Arena
IValerio lo incalza e Cassio arretra, salta di lato e poi guizza di nuovo indietro. Cassio sa che Valerio è irruente e che, vedendolo cedere terreno, si scaglierà su di lui con rinnovata foga. Nell’impeto dello scontro si scoprirà e per Cassio sarà il momento di colpire. Così accade. Valerio si lancia su di lui con impeto, ma la reazione del suo avversario lo coglie di sorpresa: invece di arretrare, Cassio fa un passo avanti e devia la spada del suo antagonista. Cassio potrebbe colpirlo ora, trapassandogli il fegato, ma non vuole uccidere, se può evitarlo. Si limita a vibrare un colpo deciso di piatto, che stordisce Valerio. Questi cade a terra, mentre la spada gli sfugge di mano. Un urlo della folla accompagna la caduta. Valerio guarda smarrito il suo avversario, più giovane, ma più abile di lui. Sa di aver perso lo scontro e la vita. Si mette in ginocchio davanti al vincitore, accettando la sconfitta. La spada di Cassio si appoggia sul suo petto. Lo sconfitto guarda il vincitore e nei suoi occhi c’è una supplica. Cassio alza lo sguardo verso la tribuna, dove il governatore assiste allo spettacolo. La vita o la morte di Valerio non dipende da Cassio, ma dal governatore. Ma forse non dipende neppure dal governatore, è la folla che deciderà. Il governatore vuole accontentare la folla e ne asseconda sempre gli umori. Grida si alzano dagli spalti, braccia si tendono, con il pollice rivolto verso il basso. La folla chiede la morte del gladiatore sconfitto, vuole vederne l’agonia, gustarne il sangue. Il governatore tende il braccio e ruota il pollice verso il basso. Gli risponde l’urlo dell’arena. Cassio solleva un po’ la spada. Valerio lo guarda fisso negli occhi. Poi abbassa le palpebre, attendendo il colpo. Altri gladiatori amano dare una morte atroce: Giulio è bravissimo in questo, la fantasia di cui dà prova è pari solo alla sua ferocia. La folla apprezza lo spettacolo e Giulio ha molti estimatori. Cassio non è della stessa razza, non ama uccidere, non ha scelto di combattere come gladiatore. È uno schiavo, allenato a far questo. Non può sottrarsi al suo destino. Cassio uccide sempre rapidamente, con un colpo solo, anche se la folla, di cui pure è il beniamino, lo incita a far durare l’agonia. Cassio vibra un fendente deciso e la lama si abbatte sul collo di Valerio. Un getto di sangue sgorga dal collo, altro sangue scende dalla bocca e Valerio ricade inerte al suolo. L’uomo incaricato di raccogliere i cadaveri dei gladiatori uccisi si avvicina, trafigge il corpo di Valerio con un uncino e lo trascina via. Cassio saluta la folla osannante e si dirige verso l’uscita. Ha fatto la sua parte. Altri gladiatori affronteranno i due leoni portati dalla Nubia. Cassio si siede su una panca e il suo sguardo vaga lontano, molto oltre i sotterranei dell’arena, verso una vita libera di cui conserva appena il ricordo. La mente di Cassio insegue solo il passato, per lui non c’è altro futuro che la sabbia di questa arena, dove prima o poi il suo cadavere sarà trascinato via tra le urla della folla, quella stessa che oggi lo esalta e domani inneggerà a colui che lo ucciderà. Cassio è stanco, di una stanchezza che va ben oltre i suoi ventiquattro anni. Gli sembra di essere un vecchio, senza desideri, senza sogni, senza speranze. A tratti si dice che forse sarebbe meglio lasciarsi uccidere. - Hai combattuto bene, Cassio, ma dovresti dare un po’ più di soddisfazione agli spettatori. Uccidi troppo in fretta, non c’è gusto. Giulio sa come fare. La voce di Ennio, il suo allenatore, lo riscuote. Cassio non risponde. Scuote appena le spalle. Poi si alza e si spoglia. Uno degli schiavi della scuola per gladiatori lo aiuta a lavarsi. Mentre il ragazzo gli pulisce la schiena, Ennio gli dice: - Domani mattina affronti uno che vuole misurarsi con te. Tutti e due con spada e scudo. Cassio annuisce, non per dire che è d’accordo, ma solo per comunicare che ha capito: lui non ha nessuna scelta, è uno schiavo, può solo obbedire. Potesse scegliere, non accetterebbe la sfida: non ama questi duelli con uomini che non combattono per mestiere. Sono di solito giovani patrizi o figli di plebei arricchiti che pagano per misurarsi con un gladiatore ormai famoso. In questi duelli Cassio deve badare a non ferire l’avversario, se non di striscio: sono soltanto prove di forza. Ma tra i giovani che lo affrontano alcuni mirano davvero ad ammazzarlo, sperando di acquistare fama per aver ucciso in duello il grande Cassio. Non costituiscono un reale pericolo per un gladiatore esperto, ma Cassio ne detesta la vanagloria e la meschinità. Quando è così, Cassio mira a umiliarli e a spaventarli. Più d’uno ha lasciato il luogo dell’incontro dopo essersi pisciato addosso. Cassio sa di essersi attirato il loro odio, ma non ha nulla da perdere, solo la vita. E la sua vita è un fardello più che un bene prezioso. Ennio si allontana e il ragazzo che lo sta lavando continua la sua opera. Passa con cura la spugna tra le gambe di Cassio, intorno all’uccello robusto, alle palle. Cassio lo guarda in faccia e legge nel suo sorriso un invito. Succede spesso. Qualche schiavo della scuola, qualche gladiatore molto giovane. Vogliono farsi scopare dall’idolo dell’arena, il grande Cassio, uscito sempre invitto da tutti i duelli, colui che ha ucciso tanti avversari. Cassio vorrebbe dirgli di no, poco gli importa di quegli amplessi senza affetto, ma le carezze della spugna stanno facendo crescere la tensione nel suo ventre e allora, perché no? C’è forse altro a cui può aspirare uno come lui? Cassio fa appena un cenno. Il ragazzo sorride e si toglie la tunica. Ha un bel corpo, armonioso e snello, con la pelle ambrata. C’è da stupirsi che lavori per la palestra e che non sia stato comprato da qualche riccone. Ma forse il padrone o Ennio lo usano per i loro piaceri. Il ragazzo si inginocchia davanti a Cassio, in modo da avere l’uccello del gladiatore ad una spanna dal viso. Sorride, guardandolo ammaliato. È evidente che non è la prima volta ed infatti, quando apre la bocca ed accoglie il pezzo di carne succulento, prende a leccarlo con la lingua, a succhiarlo con le labbra, a mordicchiarlo leggermente. È bravo, davvero molto. Deve avere una grande esperienza, forse faceva questo prima di essere venduto al padrone della scuola per gladiatori. Poi chi lo possedeva si è stufato o è andato in rovina e l’ha venduto. Le carezze calde di quella bocca lo stordiscono: Cassio non è abituato, quelli che gli si offrono sono di solito giovani che non hanno molta esperienza ed i loro amplessi non vanno oltre una cavalcata sfrenata. Cassio ha un bello sperone e molta resistenza, per cui coloro che gli si offrono una volta di solito ritornano volentieri da lui. Ma questo ragazzo ha un’altra esperienza, ci sa fare davvero. Cassio gli accarezza la testa, ma le sensazioni che la bocca del ragazzo gli trasmette sono troppo forti, le dita del gladiatore si impigliano tra i ricci, stringono, tirano. Il ragazzo non si lamenta, continua a succhiare e leccare, molla la sua preda e poi la riprende, percorre con la lingua l’asta, ormai perfettamente tesa, fino alla cappella di un rosso incandescente. Poi la lingua scende, fino ad accarezzare i coglioni, la bocca si apre per accoglierli, la lingua li stuzzica. Cassio chiude gli occhi. Mormora: - Sei bravo, ragazzo. Come ti chiami? Il giovane inghiotte la cappella, la lubrifica per bene e poi la lascia. Guarda Cassio, sorride e gli dice: - Fulvio. Poi si alza e si appoggia sul tavolaccio, offrendo a Cassio i suoi fianchi. Cassio avvicina la punta all’apertura, la inumidisce con cura e poi entra, spingendo con delicatezza. Sa che non dissoda un campo mai arato, ma non vuole far male a questo ragazzo che gli si offre. Fulvio geme e Cassio incomincia a spingere, muovendo ritmicamente i fianchi. È una sensazione forte, come sempre. Un piacere che avvolge il suo corpo, ma, come sempre, non raggiunge la sua testa. Guarda il proprio uccello che penetra a fondo nel culo del ragazzo, poi si ritrae fin quasi ad uscire completamente e nuovamente affonda. È bello guardarsi, è bello accarezzare quei fianchi, è bello sentire quella carne calda che accoglie il suo uccello. A lungo lavora Cassio e Fulvio geme, lo incita, travolto dalle sensazioni che quell’uccello gagliardo desta in lui, grida parole oscene. Cassio sente la tensione crescere, ma è come se si vedesse da fuori. Quando infine viene, riempiendo di seme le viscere del ragazzo, il suo corpo prova un piacere intensissimo. La mente di Cassio assiste indifferente. Il giorno dopo Ennio gli comunica che il combattimento previsto si svolgerà in uno degli spazi destinati agli allenamenti: l’uomo che vuole affrontare Cassio non ha invitato amici e conoscenti, come di solito avviene, per cui non è necessario utilizzare la piccola arena della scuola per gladiatori. Cassio segue Ennio, senza dire nulla. Cassio ha imparato a tacere. Fa quello che deve fare, senza perdersi in parole inutili. Nel cortile il suo avversario è già pronto. Non è un giovane di famiglia nobile. È un uomo con qualche anno in più di Cassio e basta vederne il fisico possente e le cicatrici sul petto e sulle braccia per capire che è abituato a combattere. Non sarà un avversario facile. Ma Cassio è un gladiatore esperto e sa come attaccare e difendersi. Appena Ennio dà il segnale, l’uomo avanza e il duello ha inizio. Nella prima fase i due contendenti misurano le loro forze, poi l’uomo attacca con decisione, prima menando un fendente da destra e poi, con uno scarto improvviso, da sotto. La manovra sorprende Cassio, che para il colpo a fatica. L’uomo sposta la lama con un movimento rapidissimo e, prima che il gladiatore riesca a parare il nuovo colpo, la punta preme sul torace, all’altezza del fegato. Per un attimo Cassio si dice che sta per morire, ma l’uomo devia la punta della spada, che sfiora appena la pelle, senza neppure graffiarla. Cassio arretra con un salto. Ha sottovalutato il suo avversario, un errore che sarebbe stato fatale se l’uomo avesse avuto l’intenzione di ucciderlo. Ma quello che ha di fronte non è il solito rampollo di qualche famiglia ricca, è un guerriero che vuole provare la sua forza. E allora ben venga questo scontro: affrontare un avversario di questo livello, senza mettere in gioco la vita, è davvero un piacere. Uno dei pochi di cui Cassio può ancora godere. Che cos’altro gli rimane? Anche un accoppiamento come quello di ieri soddisfa un bisogno e stimola i sensi, ma non dà davvero gioia. I trionfi nell’arena sono amari, perché vengono pagati versando il sangue di altri disgraziati, in attesa di trovare la morte. Questa lotta ad armi pari con un avversario potente è una bella sfida e Cassio si lancia con rinnovato ardore, ma con prudenza: adesso sa chi ha di fronte. Ora che entrambi hanno un’idea più chiara del valore dell’avversario, il duello diventa un bello spettacolo, una gara di forza e valore: persino Ennio, che vede combattimenti da trent’anni, segue con attenzione lo scontro. Combattono a lungo ed ora i loro corpi sono coperti da un velo di sudore che luccica alla luce del sole. Cassio è conscio della propria stanchezza, ma anche di un’altra sensazione, che gli cresce nel ventre. Quel corpo possente che ha di fronte suscita in lui desideri confusi, che gli sembra impaccino i suoi movimenti. Si stringono nuovamente in un corpo a corpo e il desiderio stordisce Cassio. Che cosa gli sta succedendo? Non gli è mai capitato prima d’ora. Infine l’uomo lo spinge via con forza e abbassa la spada. - Adesso basta. Sei davvero bravo, gladiatore, e te lo dice uno che se ne intende. Cassio annuisce. Sa che l’uomo non parla a vanvera. - Grazie. Ma tu sei un avversario temibile. Non vorrei scontrarmi con te nell’arena. Avresti potuto colpirmi, all’inizio. - Oggi avrei potuto batterti solo perché mi avevi sottovalutato. Non commettere mai questo errore, Cassio. Al gladiatore sembra di cogliere qualche cosa che non riesce a definire nella voce dell’uomo, come se l’avvertimento che gli vuole dare non fosse un’affermazione generica, ma un segnale d’allarme preciso. Guarda l’uomo, senza dire nulla. Poi questi gli si avvicina, come per salutarlo, e gli mormora: - Ti proporranno uno schiavo nubiano, come fosse un duello qualunque, un gladiatore inesperto. È l’uomo più forte che io abbia mai incontrato, dopo di te. Puoi batterlo, ma non lo sottovalutare, anche se fingerà di essere alle prime armi. Addio. L’uomo si volta e se ne va, senza aggiungere altro, lasciando Cassio senza parole. Non è un tipo da scherzare, quello. E allora? Cassio va a lavarsi e intanto cerca di capire. Su un punto ha le idee chiarissime: l’avvertimento di quell’uomo va preso sul serio. Ma perché dovrebbero farlo? Perché proporgli un avversario molto forte come se fosse un combattente poco abile? Per ucciderlo? Cassio è uno schiavo, lo si può uccidere in qualsiasi momento. Una risposta si fa strada nella sua mente: il giro di scommesse che ruota intorno ai combattimenti nell’arena. Alcuni ricchi scommettono cifre enormi e forse la verità va ricercata lì. Un combattimento in cui tutti puntano su Cassio, perché l’avversario non è considerato temibile, e che invece si conclude con la sconfitta e la morte del favorito. Se è così e se riuscirà a vincere il nubiano, Cassio dovrà la sua vita a un uomo di cui non conosce neppure il nome. Poco importa a Cassio della sua vita, ma quell’uomo… Cassio ricorda il turbamento che lo ha preso verso la fine del duello, la sensazione intensa che ha provato quando lottavano corpo a corpo. A questo è meglio non pensare, no, meglio di no. Di quell’uomo non sa nulla. Nel pomeriggio, Ennio fa riferimento al combattimento della mattinata ed allora Cassio gli chiede chi è l’uomo che ha affrontato. Si chiama Publio Tullio. Cassio conosce questo nome. Sa che è un valoroso guerriero, che ha combattuto nelle campagne contro i Parti, dimostrando grande valore, ma poi ha lasciato l’esercito. Ora gestisce una scuola in cui insegna a combattere, frequentata da molti giovani di diversa condizione sociale, ed è piuttosto ricco grazie a questa attività. Cassio vorrebbe sapere di più, ma non chiede altro, non vuole apparire curioso. Ennio gli comunica che tre giorni dopo dovrà nuovamente combattere nell’arena. Due duelli, con gladiatori di altre scuole, che Cassio già conosce. Forti, soprattutto uno dei due, ma non tanto da impensierire Cassio. E poi ci sarà anche un avversario appena arrivato dalla Nubia. Quando Ennio glielo comunica, Cassio rimane senza fiato, ma non lascia trapelare nulla. Osserva con attenzione Ennio, ma la faccia del suo allenatore non tradisce nessuna emozione: o non sa, o finge di non sapere. Altre alternative non ci sono, perché di certo quello è l’uomo di cui gli ha parlato Publio Tullio. Tre combattimenti sono impegnativi, anche se fra l’uno e l’altro c’è una pausa di riposo. Cassio dosa con cura le sue forze, perché sa che il terzo, quello con il nero, sarà il più duro. Il primo scontro si conclude rapidamente: il gladiatore rivale viene sconfitto e si arrende. Il secondo impegna Cassio molto più a lungo, fino a che non riesce a ferire l’avversario, costringendolo a lasciar cadere la spada. Quando rientra nei locali sotterranei che servono da spogliatoi, Cassio si siede. Ennio gli dice: - Per oggi è fatta. Non sarà certo quello schiavo nubiano a metterti in difficoltà. Il tono indifferente con cui Ennio pronuncia la frase non inganna Cassio. Ennio sa ed è dalla parte di quelli che hanno organizzato il duello, per ucciderlo. Non ha nessun rapporto personale con Ennio, ma questo tradimento gli pesa. Si finge a sua volta noncurante, mentre chiede: - Uno che ha poca esperienza, mi dicono… - Sì, è alle prime armi, ma è un gigante. Il padrone pensa di acquistarlo, così lo alleniamo per bene e diventerà un bravo gladiatore. Cassio annuisce. Quando è il turno dell’ultimo combattimento, Cassio vede finalmente il nubiano. È davvero un colosso, che lo supera di quasi una spanna. Sembra disorientato, poco avvezzo a muoversi nell’arena, ma alcuni dettagli lo tradiscono: il modo sicuro in cui impugna la spada e la posizione delle gambe, pronte a scattare, rivelano l’atleta che ben conosce la lotta, anche se lo dissimula. Da dove viene? Forse da Roma? Qualcuno potrebbe averlo acquistato proprio per affrontare ed uccidere lui, Cassio. Cassio si finge rilassato, ma sta bene in guardia. Non sa quanto riesca a ingannare il suo avversario, ma non ha importanza. Il nero si muove, attaccando senza convinzione, ma a Cassio basta un contrattacco deciso per vedere che l’uomo sa muoversi con la rapidità di un lampo. Non ha bisogno di altre conferme. Cassio decide di continuare a fingere, ma quando il nubiano si fa avanti reagisce con rapidità, in un attacco a fondo che l’avversario para, deviando la spada e bloccando il colpo. Cassio vibra un nuovo fendente e questa volta la lama affonda nel braccio, recidendo carne e tendini. Il sangue sgorga abbondante. L’uomo fa un salto all’indietro e il viso gli si contrae in una smorfia di dolore. Nel suo sguardo brilla un odio feroce. Ogni finzione è ormai inutile. Il nubiano si getta su di lui e lo incalza. Nonostante la ferita profonda, l’uomo è davvero un avversario terribile. Combattono ancora a lungo, mentre la folla incita i due contendenti. Più di una volta Cassio schiva a fatica un colpo mortale. Nonostante il sangue perso, l’uomo non mostra segni di cedimento e la sua forza è immensa. Cassio deve far ricorso a tutta la sua esperienza per tenerlo a freno. Di rado attacca. Progressivamente, però, l’uomo, che continua a perdere copiosamente sangue dalla ferita, appare meno saldo. Allora Cassio passa all’offensiva, senza abbassare la guardia. Il nubiano non finge, è davvero indebolito dalla perdita di sangue ed i suoi movimenti sono rallentati. Cassio attacca con decisione, lo incalza, lo costringe ad arretrare e con un doppio attacco riesce ad immergergli la spada nel torace. L’uomo solleva la propria arma per colpire ancora, mentre Cassio estrae la spada e indietreggia. Il nubiano rimane per un attimo con la spada in alto, poi crolla sulle ginocchia, mentre un urlo immenso si leva dalla folla, un urlo che avvolge Cassio. Il nubiano non sopravvivrebbe alla ferita e la folla chiede il suo sangue. Al segno del governatore, Cassio trafigge il cuore dell’uomo, che crolla a terra. Cassio lascia l’arena, osannato dal pubblico in delirio. Si sente più solo e più stanco. Ad attenderlo ci sono il padrone, Marco, ed Ennio. Il padrone è contento, lo loda e gli dice che è stato bravissimo. Ennio nasconde a fatica la sua irritazione, sembra preoccupato, forse aveva assicurato a qualcuno che Cassio sarebbe stato sconfitto e ora dovrà affrontare la reazione furente di chi contava su una forte vincita e ha perso tutto. A Cassio non importa nulla. Il padrone ed Ennio se ne vanno e Fulvio lo lava. Non chiede più. Quando lo ha ripulito, si inginocchia davanti a lui e gli prende in bocca il sesso, che le carezze della spugna bagnata hanno già teso. Cassio lo lascia fare. Lascia che il desiderio salga e lo avvolga, che il suo corpo si tenda in un piacere che è solo della carne. È tutto quello che la vita gli può dare. L’episodio del nubiano, il tradimento di Ennio, il vuoto dei suoi giorni, tutto lo amareggia. Il ragazzo lavora a lungo, poi si stende sul tavolo e Cassio lo infilza in modo più brusco dell’altra volta. Fulvio sussulta e il gladiatore dà inizio alla cavalcata, lunga e piacevole per entrambi. Cassio spera che il ragazzo rimanga nella scuola. Ci sa fare ed è bello avere una bocca esperta e un bel culo sodo e caldo a disposizione. Ha sentito qualche altro gladiatore fare commenti invidiosi: Fulvio non si dà a tutti. Il padrone ed Ennio lo prendono, è loro diritto, ma lui si concede solo a Cassio e a due o tre altri. Cassio non si sente lusingato. È abituato agli onori che la sua posizione di idolo della folla comporta. Onori che spesso si tramutano in oneri, come quando deve partecipare a un’orgia in caso di qualche ricco cittadino. Cassio cavalca con impeto. C’è quasi rabbia in lui, ora. E i gemiti di Fulvio lo incitano a spingere più a fondo. Infine il piacere avvolge il suo corpo, mentre la scarica riempie le viscere di Fulvio. Nella sua mente c’è il vuoto e questa è la cosa migliore: per un momento almeno la realtà è svanita. Il mattino seguente Cassio esce dalla scuola dei gladiatori. La sua fama gli permette di godere di una certa libertà, d’altronde non ha mai cercato di fuggire e si è sempre mostrato docile, per cui non c’è motivo per limitarne i movimenti, come avviene per altri schiavi. Se non ci sono allenamenti o altri impegni, Cassio può uscire, purché torni all’ora della distribuzione del cibo. Cassio raggiunge il centro della città ed entra in una taverna. L’oste è un suo appassionato ammiratore. È un uomo di cui Cassio conosce la discrezione ed a lui pone la domanda che gli interessa. Dove vive Publio Tullio? L’oste gli dice che abita in una casa ai margini della città. Non sa con precisione come ci si arriva, ma indica il quartiere. Per Cassio è abbastanza. Ringrazia, beve la coppa che l’uomo gli offre ed esce. Seguendo le indicazioni dell’oste e chiedendo per strada, raggiunge facilmente la casa. È grande, anche se non è una villa patrizia: l’uomo è davvero benestante, come si dice di lui. Cassio si presenta sulla soglia e chiede di parlare al proprietario. Non dice il suo nome, non è necessario, il servo a cui si rivolge lo ha riconosciuto. Il servo va ad avvisare il padrone e ritorna subito. Cassio viene accompagnato in una saletta, in cui lo attende Publio Tullio. - Benvenuto, Cassio. Cassio ricambia il saluto e, su invito del padrone di casa, si siede. Poi dice quanto gli preme: - Grazie per avermi avvisato. Se non l’avessi fatto, il nubiano mi avrebbe preso di sorpresa ed ucciso. - Non è detto, sei molto bravo e forse lo avresti vinto ugualmente. Ma quello che volevano fare non era leale. Cassio esita un attimo. Si pone molte domande, ma non sa se può permettersi di chiedere. - Posso domandarti come hai fatto a sapere? L’uomo annuisce. - Certo! Mi chiamarono per combattere contro il nubiano e valutare la sua forza. Ho una scuola di combattimento e loro volevano sapere se il nubiano poteva batterti. Publio non dice chi sono loro e a Cassio poco interessa conoscere i nomi: sono persone che probabilmente ha appena sentito nominare e che di certo non ha modo di frequentare. Forse li ha visti a una delle orge a cui a volte il padrone lo manda: alcuni pagano per avere l’idolo della folla. Ma a Cassio nulla importa di loro, dei loro nomi, dei loro volti, dei loro fianchi che talvolta gli si offrono. - Gli dissi che era un ottimo gladiatore, ma che probabilmente tu eri più forte. Poi tornai a casa. Qualche giorno dopo ebbi modo di parlare con uno degli uomini che avevano assistito al combattimento. Probabilmente pensava che io sapessi qualche cosa, perché si lasciò scappare alcune frasi, da cui capii le loro intenzioni. Per questo decisi di affrontarti, in modo da poterti avvertire senza che nessuno lo sapesse. - Grazie per averlo fatto. Ma dimmi, hai un’idea del perché… L’uomo allarga le braccia. - Non lo so, ma penso che sia per le scommesse. Uno degli uomini che c’era quel giorno è un giovane nobile che si è rovinato vivendo al di sopra delle sue possibilità. Forse pensava di salvarsi dai creditori in questo modo. - Sì, anch’io avevo pensato a questo. Pensavo che tu potessi saperlo. - È solo un’ipotesi, Cassio, io non scommetto, non frequento quel giro. I combattimenti mi interessano solo quando i gladiatori sono davvero capaci. Mi piace vedere combattere, non giocare denaro. Mi piace molto vederti combattere, Cassio, sei davvero bravo. - Grazie, ma tu non sei da meno. C’è un momento di silenzio e a Cassio sembra di avvertire una tensione nell’aria. I loro sguardi si incontrano e per un buon momento rimangono fissi. L’uomo ha occhi azzurri, assai rari in quella regione, e a Cassio pare di leggervi mille cose. Ma di certo è solo la sua fantasia. L’uomo si alza e gli dice: - Vuoi che ci affrontiamo di nuovo, Cassio? Perché quella proposta lo turba? Perché vi legge qualche cosa che va molto oltre una sfida amichevole? - Volentieri. Passano in un locale, vuoto, in cui alle pareti sono appese alcune spade. Publio ne prende una e la porge a Cassio, poi ne prende un’altra. Cassio è turbato. - Meglio che ci affrontiamo senza le tuniche, sono solo un impaccio. L’uomo posa la spada e si toglie la tunica. Sotto non ha nulla e per Cassio è come un pugno nello stomaco. Lo ha già visto con il gonnellino che usava per combattere, ma ora la situazione è diversa. Ora Cassio sa chi è quest’uomo, sa quale oscura sensazione desta in lui quel corpo che gli si offre nella sua interezza. Lo sguardo di Cassio scorre lungo l’ampio torace, la peluria nera sul petto, le cicatrici, una sul braccio sinistro, un’altra sul fianco destro, una terza alla coscia. Sul ventre il pelame è più fitto e in parte copre un’altra cicatrice. Lo sguardo di Cassio indugia un attimo sull’uccello, voluminoso, che pare non del tutto a riposo, e sulle palle, poi scivola sulle gambe nerborute. La reazione del suo corpo lo coglie di sorpresa e lo inchioda. Si scopre incapace di muoversi. La sua erezione è evidente, la tunica di certo non basta a celarla. - Su, Cassio, togliti la tunica. Combatterai più comodo. Che importanza ha se ce l’hai duro? Siamo solo noi, qui. Le parole dell’uomo non lo tranquillizzano, ma accrescono il suo turbamento. Cassio si spoglia con un movimento brusco, per riuscire a vincere l’imbarazzo che prova. Gli pare di avere la febbre. Si fronteggiano un buon momento. Cassio si sente intorpidito. Quando Publio incomincia ad attaccare, para gli assalti a fatica. Sono due avversari di uguale forza e di eccezionali capacità, ma oggi Cassio si sente imbelle. L’idolo dell’arena, che nessuno riesce a piegare, è un fantoccio in mano ad un burattinaio maldestro. Publio lo incalza, lo costringe ad arretrare. La stanza è uno spazio ristretto e presto Cassio si trova contro la parete. Publio avanza ancora ed ora i loro corpi aderiscono. Quando Cassio sente il calore del corpo di Publio che preme sul suo, l’odore del suo sudore, sente che le forze gli mancano e la spada gli scivola a terra. Publio abbassa il braccio e anche lui lascia cadere l’arma. Si guardano negli occhi. Cassio non ha pensieri, ha coscienza solo del corpo di Publio contro il suo, dei loro due uccelli stretti in quella morsa di carne, entrambi tesi allo spasimo. Boccheggia. Publio gli prende la testa tra le mani e lo bacia. Cassio chiude gli occhi. Nessun uomo lo ha mai baciato. Qualche donna sì, qualcuna di quelle che frequentano le orge e che vogliono vantarsi di aver baciato il grande Cassio. Baci che procuravano al massimo un piacere superficiale. Ma il bacio di Publio, la sua lingua che gli si infila tra i denti, desta un’eco in ogni fibra del suo corpo, sembra ripercuotersi nel suo cervello, nelle braccia, che ora stringono il corpo di Publio, nell’uccello, sulla cui punta appare una goccia, nelle mani, che accarezzano e stringono la schiena di Publio. È l’onda di piena di un fiume che lo travolge e Cassio non è in grado di opporsi. Le mani di Publio che ora scendono ad accarezzargli il corpo gli paiono ferri roventi, ma Cassio non si sottrae. Publio si stacca da lui e lo guarda. Poi sorride e gli dice: - Stenditi, Cassio, a pancia in giù. Cassio non è mai stato posseduto e la sua mente si ribella, ma il proprio corpo lo tradisce. Le gambe non lo sostengono e non appena Publio arretra di un passo, Cassio si trova in ginocchio davanti a lui. Guarda sgomento l’uccello maestoso che ha a un palmo dal viso. Deglutisce. La mano di Publio preme sulla sua nuca. Una pressione leggera, ma a Cassio pare un macigno che lo schiaccia e lo costringe a scivolare a terra. Publio si stende su di lui e gli mordicchia il collo, la spalla, l’orecchio. Le sue mani lo accarezzano, percorrendo il corpo. Cassio vorrebbe scuotersi, ma il corpo di Publio lo inchioda al suolo e l’uccello che sente contro il solco, forte e massiccio, lo stordisce. Publio non ha fretta. Lo accarezza e gli tira i capelli, gli passa la lingua dietro l’orecchio e lungo il collo, poi si solleva e lo volta e si stende nuovamente su di lui. Cassio lo lascia fare, non è in grado di reagire, lascia che quelle mani esperte lo accarezzino, lo stringano, gli torturino i capezzoli, strappandogli un gemito, gli arrotolino i capelli. Lascia che quelle labbra gli sfiorino gli occhi, la bocca, il torace, il ventre, l’uccello, le palle. Lascia che quei denti mordano i suoi capezzoli, una guancia, l’uccello. Cassio sprofonda in un abisso o forse vola in alto, in una luce abbagliante o nelle tenebre più fitte. Guarda Publio, la bocca di Publio, le sue mani, il suo corpo. Lo guarda e gli sembra di non vederlo. E il desiderio cresce, violento, incontenibile, riempiendo ogni angolo del suo cervello. Cassio vuole che quelle mani, quella bocca, continuino il loro lavoro, senza fermarsi mai. Vuole che quello che non è mai accaduto accada, vuole che l’uccello di Publio entri dentro di lui, suggellando la sua condizione di schiavo. Non più schiavo di Marco, ma schiavo di Publio, realmente schiavo, perché desideroso di esserlo. Quando Publio lo volta nuovamente, a Cassio sfugge un: -Sì! Sente le mani di Publio stringergli il culo, con forza, poi i denti di Publio mordere, affondare nelle natiche, strappandogli piccoli gemiti. Il corpo di Publio sul suo, nuovamente la lingua sul collo, i denti che mordicchiano la nuca, il peso che scompare e la carezza bagnata della lingua lungo il solco tra le natiche, la pressione della lingua sull’apertura. Solo ora Cassio si rende conto che sta gemendo, una serie di gemiti incontrollati. Vorrebbe frenarsi, ma non ci riesce, forse non ci prova nemmeno. Non si resiste al proprio padrone. E quando infine avverte la pressione dell’uccello di Publio contro l’apertura, Cassio geme più forte, impaziente, perché vuole quel marchio sulla sua carne. Publio gli morde con forza la spalla ed entra, con un movimento lento, ma inarrestabile. E Cassio vorrebbe gridare parole che non ha mai detto, che non conosce, ma sono solo gemiti quelli che escono dalla sua bocca. Publio è dentro di lui, ora. Cassio si dice che è per sempre, che Publio sarà per sempre dentro di lui. Cassio delira, mentre un’onda di piacere lo investe. Grida, non sa che cosa ha urlato, sì, lo sa, ha gridato il nome di Publio. Publio gli risponde sussurrandogli il suo nome nell’orecchio, poi la sua lingua torna a percorrergli il collo, la nuca. Ed ora Publio arretra il culo, il suo uccello quasi esce dalla guaina che lo avvolge, poi ritorna a penetrare nella carne che lo accoglie, fino all’elsa. Publio prende a spingere, lentamente. Publio non ha fretta e Cassio sprofonda in un delirio senza fine. Per quanto tempo dura il gioco dei loro corpi? Cassio non saprebbe dire, il tempo è stato cancellato, rimane solo il gorgo del desiderio che infine lo trascina a fondo, fino al piacere assoluto che prova quando in entrambi il seme sgorga, dirompente ed incontenibile. Publio lo stringe con forza e si abbandona su di lui. Poi, quando entrambi riaffiorano alla realtà, Publio gli dice: - Grazie, Cassio. Nessun uomo mi ha dato il piacere che mi hai regalato tu. Cassio annuisce. Nessuno, maschio o femmina, gli ha mai fatto provare nulla di simile a ciò che ha vissuto tra le braccia di Publio. Ma non riesce a dirlo. Publio lo bacia ancora. Poi gli dice: - So che è stata la prima volta, Cassio, e vedo che sei turbato. Non voglio chiederti nulla, ora, ma tornerò a cercarti. Cassio si chiede come abbia fatto Publio a capire. Apre la bocca per parlare, senza sapere che cosa vuole dire, ma Publio gli mette la mano sulle labbra. - Non ora, Cassio, non ora. Poi toglie la mano e lo bacia ancora. Si alza e gli porge un braccio, aiutandolo a sollevarsi. Cassio si infila la tunica, confuso. Un ultimo bacio da parte di Publio e Cassio lascia la casa. Cammina a lungo. Non se la sente di tornare alla scuola per gladiatori. Per le strade qualcuno lo riconosce, lo ferma. Cassio allora si dirige verso la campagna. Si ferma lontano dalla strada, sotto un albero. Lentamente i pensieri si riannodano a formare un intreccio coerente. Cassio incomincia a porsi domande ed a cercare risposte. Gli sembra che la sua vita sia cambiata completamente, anche se quanto è successo può concludersi così. Forse Publio non si farà mai più vivo. No, su questo Cassio non ha dubbi: Publio lo cercherà ancora, perché così gli ha detto e della sua parola Cassio si fida ciecamente. E lui, Cassio, che cosa vuole? Desidera rivedere Publio, di questo è certo. È l’unica cosa di cui è sicuro. Cassio si alza, è ora di ritornare alla scuola.
Il mattino successivo la notizia arriva come un fulmine. Hanno ritrovato il cadavere di Ennio in un vicolo, sgozzato come una pecora. Tutti sono sbalorditi. Chi può averlo ucciso? Perché? L’unico ad avere un sospetto è Cassio. Non sa chi possa essere l’assassino, ma forse Ennio ha pagato con la vita una promessa non mantenuta: la morte a cui Cassio è sfuggito è toccata a lui. Nella scuola dei gladiatori c’è scompiglio. Ennio era un allenatore competente e Marco, il padrone, gli affidava la conduzione della scuola e non solo gli allenamenti. Trovare qualcun altro per la gestione non sarà difficile. I gladiatori più esperti possono allenare gli altri, già è prassi abituale. Ma chi si occuperà del loro allenamento? La scuola di Marco è la principale della provincia, fornisce gladiatori per tutte le occasioni importanti. Il giorno trascorre in grande agitazione, in una ridda di voci che si impongono come certezze e poi vengono smentite e sostituite da altre: la scuola verrà chiusa, i gladiatori ceduti ad altre scuole; Marco si occuperà personalmente della gestione della scuola; Marco ha già trovato un nuovo allenatore. Cassio ascolta poco, rimane chiuso in se stesso, più ancora di quanto non sia di solito. La sua mente è in un vicolo cieco e ripercorre in continuazione ciò che è successo il giorno prima. L’immagine di Publio ritorna in modo ossessivo, incendiandogli il corpo. La mattina seguente porta le risposte alle domande che si pongono i gladiatori. Marco si presenta con due uomini. Cassio ha un tuffo al cuore: uno è Publio. Marco spiega ai gladiatori che Licio si occuperà dell’amministrazione, della disciplina e dell’allenamento dei nuovi arrivati. Publio, che verrà solo poche ore al giorno, allenerà i gladiatori più esperti. Cassio è rimasto indietro e si appoggia al muro. Gli sembra di non riuscire a stare in piedi. La giornata viene organizzata senza problemi: Licio si dimostra subito un uomo pratico ed efficiente. Publio lavora un’ora con i quattro gladiatori più in gamba, insieme, e poi individualmente con ciascuno di loro. Quando sono soli lui e Cassio, Publio gli dice: - Cassio, ho accettato la proposta di Marco perché mi dava l’occasione di conoscerti meglio. Se però preferisci che rifiuti, posso farlo: ho detto che prima di dare una risposta definitiva volevo provare, per cui posso andarmene questa sera stessa. Cassio ha recuperato la lucidità necessaria. Gli risponde: - Sono contento che tu sia qui, Publio. Publio sorride. Lo allena per un quarto d’ora, poi gli dice: - Mi piacerebbe che tu cenassi con me questa sera. - Noi gladiatori non possiamo uscire dopo il tramonto. - Su questo ho preso accordi precisi con Marco. Tu puoi uscire quando vuoi per venire da me. Puoi anche trascorrere la notte fuori. Cassio ha nuovamente la sensazione che la terra non sia più salda sotto i suoi piedi. Cerca di controllarsi, non vuole che Publio lo giudichi un idiota. - Verrò, grazie. Cassio percorre la strada che porta alla casa di Publio. È teso, ma ha recuperato il controllo di sé. Sa che scoperanno, di questo è certo. E sa che accetterà che Publio lo prenda nuovamente. Lo desidera. Ma sa benissimo che ciò che è accaduto, ciò che si ripeterà, non è un accoppiamento come i tanti che ha sperimentato in questi anni. Publio lo ha toccato in profondità ed ha smosso qualche cosa dentro di lui. Publio e Cassio sono gli unici due commensali. La cena è semplice. Publio incomincia a porgli domande e Cassio risponde. Gli parla del suo passato, di quando era libero, degli anni di schiavitù. Quando Publio gli chiede del futuro, Cassio non sa che dire. Non ha un futuro. Publio tace, riflettendo. Cassio chiede. Forse non dovrebbe, lui è solo uno schiavo, Publio è un uomo libero, ricco, ma gli sembra che Publio accetterà di rispondere. Ed anche Publio racconta, della sua esperienza nell’esercito, di ciò che lo ha spinto a lasciare la vita militare, della scuola di combattimento che ha organizzato per avere più denaro a disposizione e per mantenersi attivo. È passato parecchio tempo da quando hanno concluso la cena. Ognuno dei due ha imparato molto dell’altro. - Cassio, se vuoi puoi ritornare alla scuola, ti farò accompagnare da due servitori con le torce. Ma mi piacerebbe che tu ti fermassi qui. Il lungo dialogo ha messo a suo agio Cassio. Gli sembra di conoscere bene Publio, che è un uomo aperto e franco. E sa che tutti e due desiderano la stessa cosa. - Volentieri, Publio. Questa volta è Publio a spogliarlo, con grande delicatezza. Le sue mani si infilano sotto la tunica e poggiano sui fianchi, mentre la sua bocca incontra quella di Cassio. Si baciano, le loro lingue si incontrano, giocano a ritrarsi ed inseguirsi, ma le mani rimangono sui fianchi, incandescenti. Poi le mani risalgono lentamente, sollevando la tunica, fino a che essa non copre il viso di Cassio. Ora il gladiatore non può più vedere nulla. Ma le mani di Publio accarezzano il suo corpo. Ora stringono i capezzoli, Cassio avverte un morso leggero, che gli strappa un gemito. Poi il viso di Publio scorre contro il suo torace ed il ventre, la lingua accarezza l’ombelico. Nel momento in cui Publio prende in bocca l’uccello di Cassio, il gladiatore geme. Le mani di Publio accarezzano le palle. Non sono delicate, stringono, fanno male, ma per Cassio quel dolore è piacere, ne vuole ancora altro, di più. E la bocca di Publio lavora, come quella di Fulvio, ma allora era un piacere che scaldava solo il ventre, che non raggiungeva la testa. Ora è un delirio che non lascia spazio ad altri pensieri, ad un futuro che non esiste, ad un passato che si è dissolto, ad un presente che non ha importanza. Solo quest’attimo conta, solo la bocca di Publio, le mani di Publio, il corpo di Publio. Gli occhi coperti dalla tunica, Cassio vive le sensazioni che gli trasmette Publio, accarezzandolo, mordendolo, succhiandolo, leccandolo, stringendolo. E gli sembra di non essere mai stato più vivo di così. Solo ora, in questo momento, è davvero vivo, Domani tornerà ad essere un morto che cammina senza una meta, ma adesso no, questa sera no, tra le braccia di Publio è un uomo completo, che desidera e gioisce, freme e gode. E quando infine Publio si alza e gli toglie la tunica e i loro sguardi si incontrano, quando le loro bocche si toccano e i loro corpi si stringono, entrambi preda di un desiderio che ormai detta le sue leggi, Cassio vorrebbe morire, ora, in questo momento di piacere intensissimo, tra le braccia di quest’uomo che lo stringe, che lo desidera. Morire così, perché sarebbe la perfezione. Ma Publio lo trascina a terra, è su di lui, lo bacia ancora e la violenza del desiderio li guida entrambi in una cavalcata sfrenata, cavaliere e cavalcatura entrambi lanciati come una freccia verso il bersaglio, una freccia che vola rapidissima e pure rimane sospesa in aria un tempo lunghissimo. Geme senza ritegno, Cassio, invoca Publio, desidera lo sperone che lo sprona verso il piacere, che lo squassa ed esalta il suo desiderio. E quando infine Publio viene dentro di lui, Cassio urla il proprio piacere, che sgorga impetuoso dal suo uccello, spandendosi sul giaciglio, e si diffonde altrettanto violento dal suo culo. Publio gli sussurra nell’orecchio, mentre lo stringe: - Cassio. E i denti di Cassio mordono la mano che lo accarezza, perché la sua bocca non riesce a formulare le parole che bruciano dentro. Sono passati quindici giorni. Ogni notte Cassio cena con Publio e si ferma a dormire da lui. Il mattino ritorna alla scuola e si chiede, stupefatto, come la sua vita abbia potuto cambiare così tanto in un tempo così breve. Non sa quando durerà, sa benissimo che il futuro gli riserba una morte nell’arena, ma il presente si è trasformato e le sere e le notti con Publio sono una gioia sconfinata, che va molto oltre il piacere vibrante delle loro strette. Cassio si sente felice, come non è mai stato: felice di avere Publio accanto, di parlare con lui, durante la cena o nella camera, dopo i loro amplessi, o il mattino, quando si svegliano e Publio lo stringe tra le braccia. Domani è giorno di combattimento nell’arena. Un grande spettacolo, di quelli che si concludono con la morte di diversi gladiatori. Publio si ferma più a lungo. Mentre se ne sta andando, Cassio sente il giovane Caio dirgli: - Domani ti vedremo all’opera. Publio annuisce e ride. Cassio non ha capito. O forse ha capito benissimo, ma la sua testa si rifiuta di accettare. Publio gli si avvicina. - È meglio che te lo dica ora. Domani scendo anch’io nell’arena. Cassio è stupefatto. - Ma perché, che senso ha? - Sono stufo di allenare soltanto. È ora che mi dia da fare anch’io. E poi mi serve per allenarvi meglio, devo capire che cosa significa combattere nell’arena. Cassio non comprende. Se potesse scegliere, non combatterebbe. Perché Publio vuole rischiare la sua vita? Quando hanno parlato dei giochi gladiatori, Publio non ha nascosto le sue perplessità per quella festa di sangue e di morte, che mira solo al divertimento. Per lui si può combattere e morire per un ideale, per la patria, per un amore, non per il divertimento della folla. Ed ora ha cambiato idea. Perché? Cassio sa che Publio è un combattente valoroso e le prime volte affronterà avversari che non sono certamente alla sua altezza. Ma c’è in lui un’oscura paura. Pensando che Publio potrebbe rimanere ferito, ucciso, Cassio sente l’angoscia invaderlo. È la prima volta che gli capita: ha sofferto per la morte di alcuni suoi compagni, ma l’idea che Publio muoia gli è assolutamente intollerabile. Publio si muove con sicurezza nell’arena. Con il passare delle settimane acquista fama sempre maggiore e ben presto diventa un altro degli idoli della folla. Cassio, Publio, Giulio. I più forti, i più amati. Cassio e Publio affrontano a volte insieme gli animali feroci o gruppi di combattenti meno esperti. Accanto a lui Cassio prova una sicurezza nuova, ma allo stesso tempo teme per la vita dell’amico, assai più che per la propria. E capisce che lo stesso succede a Publio, che scende con lui nell’arena per proteggerlo. Una volta affrontano insieme dodici prigionieri, che avranno la vita salva se li uccideranno. Un’altra due leoni. E ogni volta Cassio vede che Publio non lo perde di vista un momento e lui fa altrettanto. Per ognuno dei due la vita dell’altro vale più della propria. Sono mesi intensissimi, in cui il loro rapporto diventa sempre più forte, anche se nessuno dei due dà un nome al sentimento che li unisce. Cassio vive ore di estasi accanto a Publio e poi di ansia per ogni nuovo combattimento che Publio deve affrontare. Infinite volte gli chiede di rinunciare a combattere, ma Publio è ostinato e Cassio non ne capisce la ragione: ormai ha esperienza, perché intestardirsi a scendere nell’arena, mettendo in gioco la propria vita? È passato quasi un anno. L’anno più felice della vita di Cassio, nonostante l’angoscia che prova quando Publio affronta un avversario temibile. E poi appare Tito. Nei primi giorni è solo un giovane gladiatore, in gamba. Publio dedica a lui un’attenzione particolare e Tito impara in fretta. Publio passa molto tempo ad allenarlo. Cassio è a disagio, detesta Tito, non si fida di lui, anche se il ragazzo è cordiale nei suoi confronti. Più che cordiale, lo ammira incondizionatamente, come ammira Publio. Cassio non capisce perché prova ostilità, nulla lo giustifica. È un giovane leale. Eppure Cassio si rende conto di odiarlo. Poi un giorno vede Publio e Tito ridere insieme. C’è una complicità nella loro risata, che lo turba. E gli fa capire. Gli sembra che un serpente lo abbia morso. Soffre, anche se cerca di nasconderlo. La notte, quando Publio lo abbraccia, Cassio lo lascia fare, ma non partecipa. Publio se ne rende conto subito e si ritrae, stupito. - Che hai, Cassio? - Niente, sono solo stanco. Publio si alza, silenziosamente. Accende una lucerna e lo guarda negli occhi. Cassio guarda altrove. - Guardami, Cassio. Cassio si morde un labbro e volta la testa verso la luce. - Cassio, domani devi combattere. Che cos’hai? - Niente, Publio, lasciami riposare. - No, Cassio, così non scendi nell’arena. Prenderò il tuo posto. - Che cazzo dici, Publio!? Cassio è irritato, con se stesso, per aver lasciato trapelare il suo nervosismo, e con Publio, che non lo lascia in pace. - Spiegami, Cassio. Che cosa è successo? - Ma niente. - Va bene, tu domani non combatti. Prendo il tuo posto. - Cazzo, Publio! Publio lo fissa. Sta cercando di capire. - Che cosa ho fatto, Cassio? Perché sono io il responsabile. Cassio volta di nuovo la testa. Si maledice. - Cassio, tu sai che cosa provo per te. Lo sai benissimo. Ed allora non hai il diritto di non dirmi qual è il problema. Perché io sono parte del problema. Cassio nega: - No, lascia perdere. - Cassio, il problema riguarda me, lo so benissimo. Non voglio forzarti, ma domani non scendi in campo così. - Merda, Publio! Non puoi tenermi fuori. - Posso, sono io a decidere e lo farò. Se non vuoi dirmi che cos’hai, va bene. Ma domani rimarrai negli spogliatoi. Non puoi combattere se non sei sereno. Cassio si alza. Cammina furibondo per la stanza, si appoggia alla parete. Pensa di rivestirsi e tornare a dormire alla scuola, come non fa più da un anno. E poi pensa che alla scuola c’è Tito. E che lascerebbe Publio teso e preoccupato, alla vigilia di un combattimento. Si mette sulla porta, un cane famelico che gli rode il cuore. Publio gli arriva alle spalle. Lo cinge con le braccia. - Cassio, amore mio, perché non hai fiducia in me? La stretta suscita una reazione di rabbia, che le parole fanno svanire in un attimo. “Amore mio”. Nessuno gli ha mai detto questo, nemmeno Publio. Hanno entrambi un pudore dei sentimenti che li frena. - Publio… La domanda rimane inespressa, ma Publio incalza, mentre le sue labbra sfiorano l’incavo della spalla di Cassio. - Fuori il rospo… - Tu… tu e Tito… Per un attimo Publio pare non capire, poi scoppia in una fragorosa risata, che lo scuote tutto. - Tito, per Giove, Tito! Hai pensato che… ma come è possibile? - Gli dedichi molto tempo, sei sempre con lui… Publio si stacca, lo volta e lo fissa negli occhi. Sono incredibili quegli occhi azzurri, in cui si riflette la fiammella della lucerna: - Cassio, Tito è il futuro campione ed è mio compito formarlo. Ha stoffa. Ma di lui non mi importa niente. Niente di niente. C’è un solo uomo di cui mi importa e sai benissimo chi è. Cassio china la testa. Annuisce. Publio gli mette le mani sulle guance e lo bacia delicatamente. Questa sera c’è una tenerezza infinita nel loro amarsi. Il giorno che Cassio ha sempre temuto è arrivato. Publio, dopo un anno e tre mesi che ha incominciato a combattere nell’arena, deve affrontare Giulio, l’avversario più forte e più feroce. Un’angoscia devastante brucia il cuore di Cassio. Sa che il duello sarà mortale e non può sopportare l’idea che Publio possa morire. La gioia spietata e la crudeltà che Giulio mette nell’uccidere l’avversario sconfitto lo hanno sempre disgustato, ma ora che è Publio ad affrontare Giulio, Cassio si sente morire. Marco è accanto a Cassio e seguono il combattimento. La folla è immensa, l’arena trabocca. Un combattimento come questo, nessuno vuole perderlo. Publio ha baciato Cassio prima di entrare nell’arena, sorridente e sicuro, ma Cassio ha letto nei suoi occhi un pensiero doloroso ed una scintilla di gioia intensa. Cassio sa leggere in quegli occhi, nulla gli sfugge. Non è l’idea della morte ad addolorare Publio, lo sa benissimo. È il pensiero che forse non lo rivedrà più. Poco importa a Publio, come a Cassio, di morire, ma infinita è la sofferenza all’idea di non vedere più l’altro. La gioia, Cassio non la capisce, ma c’era, grande, incontenibile. Perché? Dall’ultimo combattimento di Cassio, la settimana scorsa, Publio sembra cambiato, euforico, ogni tensione svanita. I due contendenti sono in campo. Salutano il governatore e poi si dispongono uno di fronte all’altro. La folla li incita. Sono due beniamini del pubblico. Publio è più amato e ammirato, la sua bravura e la sua lealtà hanno conquistato gli spettatori. Giulio è osannato perché la sua ferocia rende indimenticabili i duelli e soprattutto la loro conclusione. Giulio e Publio si studiano, con finte e attacchi che servono solo per saggiare il terreno. Non si sono mai affrontati, ma si conoscono ed ognuno sa di avere di fronte l’avversario più temibile. E poi la lotta incomincia. Giulio attacca e a Cassio sembra che ogni colpo che vibra debba colpire il segno, ma Publio para con sicurezza. A un certo punto Giulio si scaglia su Publio con tale forza e la sua spada si muove con tanta rapidità, che Cassio sente le forze mancargli. I due gladiatori sono avvinghiati e di certo uno di loro si scioglierà dall’abbraccio mortale vincitore, mentre l’altro crollerà al suolo. Ma Publio spinge lontano Giulio e arretra con un salto, sfuggendo a un nuovo fendente che Giulio vibra. Il combattimento prosegue a lungo, la folla è in delirio, Cassio sente le viscere contratte. Non riesce più a reggere. Ora è Publio ad avanzare e Cassio legge nei movimenti di Giulio una certa stanchezza. Publio lo incalza e Giulio si difende con colpi ben assestati, ma Publio li para tutti. Riuscirà a proseguire così? Il cuore di Cassio è impazzito. Ma Giulio fa una finta e balza in avanti, i due gladiatori si stringono. La folla urla ed è un urlo di gioia. Cassio sa che il combattimento è concluso, ma dalla posizione in cui si trova, non può vedere come. Le gambe non lo reggono più e cade in ginocchio, senza staccare gli occhi dai due corpi. Publio e Giulio si staccano. Sul ventre di Publio c’è molto sangue e Cassio chiude gli occhi. Li riapre, un dolore infinito lo inghiotte. Giulio fa un passo indietro, barcolla, si gira e Cassio può vedergli il ventre squarciato. Giulio cade a terra. Il boato della folla sembra far tremare l’arena. Publio alza le braccia in segno di vittoria. Non sembra essere ferito, il sangue sul suo corpo dev’essere quello di Giulio. Giulio si contorce al suolo. Il governatore dà il segnale e Publio si avvicina al gladiatore sconfitto. Lo guarda un momento, poi gli affonda la spada nel cuore. Si volge al governatore e al pubblico, saluta e si dirige verso l’uscita, accompagnato dalle urla di una folla osannante. Cassio si rialza, le gambe che ancora gli tremano. Marco gli sorride. - C’è una cosa che ti voglio dire. So che non dovrei, ma lui non te lo dirà mai. - Che cosa? - Avresti dovuto affrontare tu Giulio, così ero d’accordo con il suo padrone, ma Publio ha voluto farlo al posto tuo. Mi ha fatto giurare di non dirtelo se avesse perso, ma ha vinto, per cui, anche se lui non vuole, è giusto che te lo dica, hai il diritto di sapere che razza di uomo è il tuo. Cassio ha uno scatto di furia. - Mai più, Marco, non deve succedere mai più. Non voglio che lui rischi al mio posto. Marco sorride, un sorriso ambiguo, ma non cattivo. - Tranquillo, Cassio, non succederà più. Publio sta arrivando e Marco si dilegua. Publio è felice, di una gioia sconfinata che Cassio non capisce. Non è solo la soddisfazione di aver sconfitto un avversario terribile. C’è molto di più. Non ha davvero ferite, il sangue che lo macchia è solo quello di Giulio. Publio si pulisce in fretta, poi gli dice: - Andiamo a casa, Cassio. Si avviano. Parlano del combattimento, della giornata. Cassio rimprovera Publio per aver preso il suo posto nel combattimento, ma Publio ride e si limita a dire che Marco è un gran chiacchierone. Poi Cassio fa riferimento ad alcuni dei prossimi impegni, ma Publio non risponde, scherza, sembra quasi ubriaco. A casa Publio trascina Cassio nella camera da letto e Cassio gli legge negli occhi una felicità tanto forte da spaventarlo. - Sei felice, questa sera. - Sì, Cassio, come mai in tutta la mia vita. - Che è successo? - Ne parleremo. Ora voglio fare l’amore con te, Cassio, voglio che tu mi prenda. Cassio guarda Publio, stupito. Lo ha desiderato spesso, ma non ha mai osato dirlo. - Lo desideri, Cassio, lo so. E lo desidero anch’io. Cassio annuisce. Publio sa leggere dentro di lui, ma non si stupisce: anche lui è in grado di capire i pensieri ed i desideri di Publio, benché ora qualche cosa di molto importante gli sfugga. Ma ciò che Publio gli cela è una gioia e Cassio è certo che Publio gliene rivelerà la causa. - Spogliami, Cassio. Spogliami e prendimi. Cassio prende la testa di Publio tra le sue mani e lo bacia appassionatamente. Il suo uomo, come lo ha chiamato Marco. Publio. Che razza d’uomo sia, Cassio è convinto di averlo capito da un pezzo. Di amarlo perdutatamente, lo sa benissimo. Le mani di Cassio tremano un po’, mentre spoglia Publio. Lo ha fatto infinite volte, ma questa sera è diverso. Cassio lo bacia e lo abbraccia. Vorrebbe rimanere così, in eterno, abbracciato. Desidera possedere Publio, come non ha mai desiderato nessun altro, ma potrebbe restare stretto a lui per sempre. Poi Cassio lo fa stendere a terra, a pancia in giù. Guarda i fianchi di Publio, possenti, con un velo leggero di peluria scura. Accarezza le natiche con le mani, poi le percorre con la bocca, mordendo, leccando, baciando. Le sue dita scorrono lungo il solco, indugiano sull’apertura, che tra poco Cassio forzerà, premono un po’, ma l’apertura non cede. Dovrà forzarla, perché Publio non è certo abituato a offrirsi così. No, è di certo la prima volta che si offre, questo Cassio lo sa con certezza. Bacia a lungo quel culo e poi sente che il desiderio è troppo forte. Si stende su Publio e, dolcemente, preme contro l’anello di carne, fino a che questo non si dilata e cede. È bello penetrare nella carne che lo accoglie, entrare da padrone in un territorio mai esplorato. È bello sentire il calore del corpo di Publio, sotto il proprio corpo ed intorno all’uccello. È bello mormorare nell’orecchio di Publio parole sconce che sono una dichiarazione d’amore. Cassio si lascia andare alla perfezione in questo momento, alla gioia di sentire Publio che gli si abbandona, al piacere delle sensazioni violente che il corpo di Publio gli trasmette. Lentamente inizia a spronare l’animale focoso che sta cavalcando e questi risponde allo sperone. I loro corpi, che ormai si conoscono, trovano presto il ritmo giusto per questa cavalcata selvaggia, che li porta lontano. Cassio perde ogni freno, spinge a fondo, trascinato da un desiderio che lo possiede tutto, da un piacere che sale vorticoso e infine esplode nelle viscere di Publio e lo lascia stremato, abbandonato su quel corpo come su una zattera alla deriva. Cassio chiude gli occhi. Questa sera vale tutta la vita che non ha vissuto, tutta la vita che non vivrà, perché la morte lo attende nell’arena. Essere amato da Publio ripaga tutto. Ogni minuto che ha trascorso con lui vale anni di solitudine. Ora sono distesi uno a fianco dell’altro e si guardano, alla fiamma tremolante della lucerna. - Grazie, Publio. - Dobbiamo festeggiare. Era il modo migliore. Già, c’è un festeggiamento, la gioia folle che guizza negli occhi di Publio, di cui ancora Cassio non conosce la causa, quella gioia che sembra ubriacare Publio. - Allora, mi dici che cosa festeggiamo? - Le nostre ultime vittorie e la fine della nostra carriera di gladiatori. - Ma che dici? Pensi di lasciare… Che Publio lasci, è possibile, ha scelto lui di diventare gladiatore e per Cassio è una preoccupazione in meno, anche se gli peserà non averlo al suo fianco. Ma Cassio è uno schiavo e non può certo scegliere. - Sì, oggi era il nostro ultimo combattimento. - Ma perché dici nostro? Io non posso certo lasciare. - Tu non puoi, tu devi. Il tuo nuovo padrone non ti permette di continuare. Cassio guarda Publio. La felicità che legge nei suoi occhi accende speranze deliranti che Cassio non osa trasformare in pensieri o domande. - Il mio nuovo padrone. Ma che cosa dici? - Ti ho comprato, Cassio. Da oggi pomeriggio sei mio. Domani ti affrancherò, ma questa notte sei di mia proprietà. Publio ammicca, ride ed aggiunge: - Vedrai che cosa ti succede… - Mi hai comprato? Ma… Publio sorride, gli accarezza le guance, mentre la mente di Cassio, con una lentezza estrema, afferra appieno il significato delle parole di Publio. Libero, domani sarà un uomo libero. Non combatteranno più. Lui e Publio non combatteranno più. C’è un futuro, davanti a loro. Quale, non sa vederlo, deve ancora imparare a guardare in avanti. Ma ora può farlo. Publio gli sorride e gli dice: - Perché credi che abbia accettato di combattere nell’arena? Sai benissimo che cosa penso dei combattimenti tra gladiatori. - Vuoi dire che… - Avevo bisogno di denaro per poterti acquistare. Mi sono messo d’accordo con Marco. L’unico modo per non impiegare cinque anni a liberarti, era combattere anch’io. Così l’ho fatto. Cassio lo guarda allibito. E lui non ha mai sospettato. Publio ha rischiato la vita, giorno dopo giorno, per liberarlo. C’è un attimo in cui sente le lacrime salirgli agli occhi. Non piange da quando era bambino. Le ricaccia indietro, a fatica, ma una sfugge e scivola lungo la sua guancia. Publio sorride e la raccoglie con la punta del dito. Cassio fa fatica a parlare. Non può dire tutto quello che grida dentro di lui. - Ma perché… non mi hai detto niente… - Cassio, se fossi rimasto ucciso nell’arena, non volevo che tu ti sentissi responsabile della mia morte. Avevo chiesto a Marco di non dirti nulla. Ho pagato Marco e ora sei mio, Cassio, mio… fino a domani. Cassio risponde d’impeto. - No Publio, non fino a domani, sono tuo per sempre, anche se mi affrancherai. Puoi liberarmi, ma non liberarti di me. Publio sorride, piccoli lampi di gioia che gli brillano negli occhi. - E tu non ti libererai facilmente di me, Cassio. 2010 |