La cascina

 

Cascina

 

- Porcodd…!

La bestemmia di Carlo è quasi un urlo. Il notaio smette di leggere il testamento. Esita un attimo, poi si schiarisce la voce e dice:

- Non interrompete la lettura.

Non ha richiamato direttamente Carlo, probabilmente quest’uomo alto e robusto lo mette un po’ in soggezione. Lucio, il fratello di Carlo, gli ha messo una mano sulla spalla, per calmarlo, ma anche lui è furente. Lancia verso Francesco un’occhiata carica di odio.

Francesco non dice nulla. Non è il momento di parlare. Vuole ascoltare le ultime volontà del nonno. Un testamento lungo e molto articolato, tanto preciso da essere una prova indiscutibile della lucidità mentale del vecchio.

La prima parte della lettura è trascorsa senza intoppi: lasciti minori a parenti e dipendenti, alcuni anche consistenti, ma non tali da intaccare il patrimonio della famiglia.

E poi è arrivata la parte relativa al grosso dell’eredità, le terre della famiglia.

Il nonno è andato per ordine. Per primo Francesco, che è il più giovane, ha appena ventiquattro anni, ma Antonio, suo padre, era il figlio maggiore del vecchio. Francesco ha ricevuto un terzo dell’eredità, in pratica tutte le terre a ovest del Rovasenda. Lucio e Carlo non si aspettavano che il vecchio gli lasciasse una proprietà così estesa: loro lavorano nella tenuta, dalla morte del padre di Francesco sono stati loro a mandarla avanti. Francesco sta finendo l’università e non torna spesso alla cascina. Ma il nonno ha deciso altrimenti.

Il notaio riprende la lettura. Nella stanza c’è silenzio. E il calore soffocante di questo giorno di fine giugno. Un moscone ronza.

È il turno di Nicola, il padre di Lucio e Carlo. A lui il nonno ha lasciato le terre oltre il Marchiazza. Francesco conosce benissimo la proprietà: è anche quello un terzo, qualche cosa in meno, ma il nonno ha lasciato anche due fondi isolati, per cui il valore è uguale alla parte che ha ricevuto Francesco. Carlo bestemmia di nuovo, più piano, poi si volta verso Giovanni, che sta seduto tra lui e Francesco, e gli lancia un altro sguardo feroce.

Sì, adesso è il turno di zio Giovanni, il figlio minore del nonno. Lui non lavora alla cascina, da anni ci va poco, anche se dopo la morte del padre di Francesco ci è andato più spesso, Francesco l’ha sempre visto quando tornava in cascina. Secondo Nicola e i suoi figli, a Giovanni dovrebbe spettare poco, perché lui lavora vicino a Novara, non si è mai occupato della proprietà. Francesco gli lancia un’occhiata. Gli piace la faccia maschia dello zio, dai lineamenti duri. Non solo la faccia gli piace e Francesco abbassa rapidamente lo sguardo, vergognandosi dei pensieri che affiorano in questo momento. La lettura del testamento non è proprio il momento più adatto per inseguire pensieri erotici.

Il notaio legge. A Giovanni vanno le terre tra il Marchiazza ed il Rovasenda, più alcuni fondi a sud del canale. Un terzo dell’eredità. Carlo bestemmia ancora. Giovanni sembra perfettamente a suo agio.

Poi c’è la cascina, quella dove la famiglia è sempre vissuta, che viene divisa in tre parti. Ci sono norme precise sulle servitù e i diritti di passaggio. Il nonno ha fatto le cose per bene. Perfino per gli attrezzi agricoli è tutto dettagliato, nulla è lasciato al caso. Nulla che possa creare altri attriti. C’è persino una parte sui conti in banca.

Poi il notaio conclude la lettura.

Carlo fa per avvicinarsi alla scrivania, ma Lucio lo trattiene. Il padre gli mette una mano sulla spalla e gli ingiunge di calmarsi. Poi i tre escono, salutando appena il notaio ed ignorando Giovanni e Francesco. Giovanni si avvicina al notaio, facendo un cenno a Francesco. Chiede alcuni chiarimenti, poi loro due escono insieme.

- Andiamo a prendere un aperitivo e lasciamo sbollire la rabbia dei parenti?

Francesco annuisce. Non ci tiene a stare con i cugini. Non si è mai trovato bene con loro, anche se hanno quasi la sua età: prepotenti e maneschi, da bambino sono stati il suo incubo. Giovanni non era certo un bambino esile, ma i cugini avevano uno due e l’altro quattro anni in più di lui ed erano in due. A difenderlo è stato spesso lo zio Giovanni: Francesco pensa spesso che senza lo zio la sua infanzia sarebbe stata un inferno.

Si è sempre trovato bene con lo zio Giovanni, che ha solo otto anni in più di lui. E in quest’ultimo anno, dopo la morte di suo padre, lo zio gli è stato molto vicino. Francesco vorrebbe potersi dire che questo è tutto, ma non lo è, lo sa benissimo. Giovanni risveglia in lui emozioni e sentimenti molto più complessi. Ma Francesco preferisce non pensarci. Non ora.

Lo studio del notaio è in centro a Vercelli e non è difficile trovare un bar. Si siedono ad un tavolo e discutono dell’eredità. Francesco intende occuparsi della conduzione delle sue terre non appena si sarà laureato, tra due settimane. Giovanni non è interessato, lui ha la sua officina di falegname, che funziona molto bene.

- Che farai della terra, Giovanni? La venderai?

- Non credo. Se ti interessa, potrei affidartela.

- Mi piacerebbe, ma non so se ce la farò. Dovrò già occuparmi della mia proprietà e di certo non posso contare su zio Nicola o sui cugini.

Giovanni fa una smorfia che potrebbe essere una risata, poi dice, serio:

- Pensi di vivere alla cascina?

- E dove, altrimenti?

- Io al tuo posto risistemerei la Cascina Granda, così non hai i parenti tra i coglioni. Ed è anche più comoda per le tue terre. Con loro sarebbero continuamente liti.

Giovanni ha ragione. Certo, l’idea di dover pensare anche a ristrutturare la cascina Granda, adesso che deve prendere in mano la gestione delle terre, lo spaventa. È vero che non c’è moltissimo da fare, due ali sono abitabili senza grandi lavori. E la prospettiva di rimanere solo con i cugini e zio Nicola non è piacevole.

- Quando pensi di tornare a casa tua?

Giovanni lo guarda e per un attimo Francesco ha l’impressione di leggere nei suoi occhi qualche cosa che non sa definire. Gli sembra che Giovanni gli nasconda qualche cosa.

- Per un po’ rimango qui. Non mi va di lasciarti solo con quelli.

Francesco sorride, rinfrancato. Giovanni aggiunge:

- Adesso andiamo? Tra un po’ è ora di cena, anche se non so come ci accoglieranno.

 

La moglie di Nicola ha preparato la cena per tutti, ma Nicola chiarisce che da domani ognuno si arrangia per conto proprio.

Dopo cena Giovanni chiede a Nicola quando vuole parlare della divisione della cascina: la separazione dei tre lotti richiederà alcuni lavori. Nicola risponde torvo che ne parleranno in altro momento.

Giovanni e Francesco ritornano nell’ala della cascina dove hanno le loro camere. Non è quella in cui sono cresciuti, che ora è occupata da Nicola e dai suoi figli: le loro camere si trovano in un’area risistemata in tempi recenti.

Francesco è preoccupato, gli sembra di trovarsi di fronte un compito superiore alle sue forze. Vorrebbe parlare ancora con lo zio, ma Giovanni si scusa, dice che vuole cercare una cosa in soffitta, e sale al piano di sopra. Sulle scale, si volta verso Francesco e gli dice:

- Evita di uscire in cortile, Francesco. Sono cani rabbiosi, oggi.

Francesco rimane nella cucina, da tempo inutilizzata: mangiavano sempre tutti insieme in quella che adesso è la casa di Nicola. Guarda fuori nel cortile, inquieto. Perché mai Giovanni è dovuto salire proprio ora?

Francesco potrebbe mettersi a leggere, come fa spesso la sera, quando non è fuori casa, ma non ne ha voglia. Rimane in ozio ed i pensieri vanno in mille direzioni. Pensa a suo padre, morto un anno fa, cadendo dal tetto. Il dolore ritorna, violento. Una morte assurda.

Poi ripensa a Giovanni. In questi giorni ha cercato di non farlo, ma il pensiero adesso emerge, prepotente. Francesco ha trovato Giovanni su Facebook. Profilo riservato. Era curioso di sapere che cosa lo zio potesse aver messo nella sua pagina, ma non voleva farsi scoprire. Così si è creato un altro profilo, con uno pseudonimo, e gli ha chiesto la sua amicizia. L’ha ottenuta ed ha esplorato la pagina dello zio.

Ed ha visto le sue foto. Niente di particolare, se non una o due un po’ più audaci, in cui lo zio è a torso nudo (in una ha anche i pantaloni aperti, ma si vede solo un addome ben modellato). Il problema è che zio Giovanni ha un corpo da atleta: il suo lavoro richiede un esercizio fisico continuo, per di più lo zio va in palestra. Giovanni l’aveva visto a torso nudo molte volte in cascina e il vederlo lo aveva sempre turbato. Ma quella foto provocante ha acceso il suo desiderio. Nicola si vergogna di pensare che ha usato quella foto per masturbarsi. Eppure anche ora, in questo momento, il pensiero gli accende i sensi.

Francesco si alza, scocciato con se stesso e irrequieto. Giovanni è ancora in soffitta, Francesco si dice che magari può dargli una mano a cercare quello che vuole. Non ha voglia di rimanere da solo.

Mentre sale le scale, nuovi dubbi lo assalgono. Perché sta andando da Giovanni? Domanda fastidiosa. Francesco si dice che lo fa per aiutare lo zio a cercare quello che gli serve, nient’altro. O forse solo per non rimanere da solo con i suoi pensieri. Poi si dice che sono tutte stupidaggini, alza le spalle e cerca di aprire la porta che al secondo piano dà accesso alle soffitte. La porta è chiusa. Francesco rimane un attimo stupito. La porta è sempre chiusa: tutto il secondo piano, con i magazzini e il fienile, è una parte comune, a cui si può accedere da tutti gli appartamenti. Se le porte che danno su questo piano non fossero chiuse, si potrebbe passare da un appartamento all’altro. Ma adesso lo zio è appena salito, perché ha chiuso la porta dietro di sé?

Francesco ridiscende e cerca la sua chiave: anche lui ne ha una. La trova e risale. Apre la porta e passa nel corridoio delle soffitte. Da alcune aperture del muro filtra ancora un po’ della luce serale: siamo a giugno, le giornate sono molto lunghe.

Francesco apre la porta del grande stanzone utilizzato come soffitta, convinto di trovarvi Giovanni, ma il locale è buio. Francesco accende la luce. Non c’è nessuno. Francesco non capisce. Lo zio ha detto che andava in soffitta, perché non è lì?

Guarda lo stanzone, dove si accumulano infiniti oggetti di periodi diversissimi. Francesco ci ha passato ore intere, da bambino e poi ancora da ragazzo.

Ci sono altri stanzoni al secondo piano, almeno tre, ma non c’è nemmeno la luce, lì. Ci sono cose inutili: ciò che aveva un senso conservare è stato sempre messo qui.

Francesco esce nel corridoio e apre la porta dello stanzone attiguo. Non vede bene, la luce che filtra dal corridoio illumina solo una parte del locale, ma non sembra esserci nessuno.

- Giovanni…?  

Nessuno risponde.

Francesco è inquieto. Si chiede se non farebbe meglio a tornare indietro. Poi si dice che a questo punto tanto vale proseguire. Volta l’angolo del corridoio e si trova nell’ala centrale della cascina, sopra l’abitazione di Nicola. E se arrivasse uno dei cugini? Non sta facendo nulla di male, ma si sente a disagio. Apre la porta del terzo locale. Questo ha un’apertura sul muro, per cui si vede abbastanza. Non c’è nessuno. Nell’ultimo stanzone invece è buio pesto. Francesco tiene aperta la porta, ma la luce che filtra dal corridoio è insufficiente. Aspetta un momento che i suoi occhi si abituino all’oscurità. Vorrebbe chiamare lo zio, ma ha paura che da sotto possano sentire la sua voce. Comunque non sembra esserci proprio nessuno.

Esce. Dov’è lo zio?

C’è ancora una porta, ma è solo una stanzetta vuota, un bugigattolo lungo e stretto. Francesco appoggia la mano sulla maniglia, esita, poi apre. Fa un passo avanti, per vedere. E la porta, che ha lasciato aperta, si chiude silenziosamente alle sue spalle, mentre una mano gli tappa la bocca. Francesco è colto di sorpresa, prima che riesca a reagire, è a terra e l’uomo che lo stringe è su di lui. Francesco si divincola, è forte, ma l’uomo non lascia la presa.

E poi una voce gli sussurra, appena percepibile.

- Sono io, Francesco. Zitto, zitto!

Francesco smette di agitarsi. Giovanni toglie la mano che gli bloccava la bocca. Francesco respira. Rimangono un momento così, immobili. Passato lo spavento, Francesco sente altre sensazioni invaderlo, violente. Il peso del corpo dello zio sul suo gli accende i sensi, come un tizzone gettato su una catasta di legna secca.

Lo zio si solleva. Il peso svanisce. È buio pesto, non si vede nulla. Ed in questo buio che cancella la realtà, Francesco si solleva, mettendosi a sedere, e le sue mani cercano qualche cosa nell’oscurità, finché la destra trova una gamba. Francesco la stringe, senza capire che cosa sta facendo. Poi anche la sinistra si aggrappa al corpo in piedi accanto a lui, le mani risalgono, si fermano sulle natiche, ne sentono la forza e la compattezza attraverso il tessuto. Francesco ha negli occhi la fotografia dello zio sulla sua pagina, gli sembra di barcollare, appoggia la testa contro il corpo di Giovanni e sente, contro la propria guancia, un gonfiore inequivocabile. Le sue mani stringono in modo spasmodico la carne. Francesco non sa che cosa sta facendo, ma non potrebbe smettere di farlo.

La sua bocca si apre, cerca di stringere tra i denti il vigoroso uccello dello zio, ma i pantaloni lo tengono premuto contro il ventre, non è facile. Le sue dita affondano nel culo di Giovanni, che si china e lo forza a sollevarsi, lo spinge contro la porta e preme con il proprio corpo contro quello di Francesco. Le loro bocche si incontrano, si aprono, le loro lingue si accarezzano, la bocca di Giovanni si sposta, Francesco sente un morso alla guancia, le mani dello zio gli stanno aprendo il camiciotto, accarezzano la sua carne, mentre i loro due corpi si staccano solo per brevi attimi, per permettere i gesti frenetici delle dita, che slacciano i pantaloni ed ora quelle di Giovanni arrivano ad afferrare l’uccello di Francesco.

La sensazione di quelle dita è troppo intensa, Francesco geme. Una mano immediatamente gli tappa la bocca e di nuovo, appena sussurrata, ritorna la parola di prima:

- Zitto!

Francesco obbedisce, senza capire, senza neppure chiedersi perché deve tacere, non gli importa niente di niente, l’unica cosa che conta sono le mani che nuovamente gli accarezzano l’uccello, una gli stringe con delicatezza le palle e nel buio completo della stanza a Francesco sembra che si scatenino lampi accecanti, che non illuminano i loro corpi, ma li nascondono in un’esplosione di luce.

Le mani di Francesco si muovono frenetiche, trovano infine l’oggetto del loro desiderio, lo stringono, ne apprezzano la consistenza e il volume, lo accarezzano, scendono sotto, avvolgono i gioielli di famiglia, imponenti, risalgono ancora, incontrano le mani di Giovanni, ma le sfiorano appena, continuando a lavorare sempre nello stesso punto.

Nella testa di Francesco i pensieri si accavallano. Si dice che sta accarezzando Giovanni, quello che ha sempre desiderato fare, che gli sta stringendo l’uccello, no, il cazzo, e la parola che pensa gli trasmette una scossa e le sue mani serrano con più forza, pensa che vorrebbe vedere quel magnifico pezzo di carne, che non è possibile che questo succeda davvero, che ciò che ha sempre desiderato si avveri, pensa che le mani di Giovanni sono meravigliose, che sanno stringere ed accarezzare come nessuno al mondo, che quelle volte che ha scopato, in sauna o in qualche altra occasione, non erano niente, rispetto a questo momento stupendo, a questo tumulto del suo corpo, che non è mai stato accarezzato così, che non ha mai avuto un momento così bello, così intenso, che questo è il paradiso, sì, è il paradiso, le mani di Giovanni che si scontrano con le sue, che gli avvolgono l’uccello ed il superbo cazzo di Giovanni tra le sue dita, davvero, non è un sogno, anche se tutto è buio e potrebbe essere un sogno, questa tensione che si avvolge dentro di lui, questo piacere che riempie il suo corpo, queste mani che afferrano e lasciano, fanno male e trasmettono sensazioni indescrivibili, forse è un sogno, è troppo bello, è troppo intenso, questo cazzo bellissimo che sta stringendo è troppo bello, troppo grande, troppo caldo, è un sogno, ma che questo sogno non finisca mai, è un sogno, ma un sogno come questo vale tutta la vita, non c’è altro al mondo che conti, solo questo corpo che preme sul suo, la carne umida e calda, la bocca che cerca la sua, le labbra che baciano, i denti che mordono, la lingua che accarezza e le mani, le mani insaziabili che stringono un corpo mai sazio, un uccello che solo desidera quelle mani, che per tutta la vita ha atteso quelle mani, pensa che potrebbe morire così, mentre le sue dita accarezzano il più bel cazzo del mondo, scivolano tra i più bei coglioni del mondo, pensa che l’universo intero potrebbe sprofondare, pensa che a lui basterebbe sprofondare per sempre così, pensa ancora mille cose e poi si rende conto che non può più pensare, che dentro di lui il piacere è ormai incontenibile ed allora esplode dentro e fuori, sconquassandolo, gli sembra che le forze gli manchino e sente contro il ventre il cazzo di Giovanni che vibra ed il seme che si sparge.

Francesco ha chiuso gli occhi, fluttua in un mondo sconosciuto, nel buio che lo avvolge. Ha coscienza solo del corpo di Giovanni che preme contro il suo e di una felicità travolgente.

Giovanni si stacca e incomincia, con gesti lenti e precisi, a rivestirlo. Francesco si riscuote e finisce di sistemarsi.

Ha appena concluso, quando si sente un rumore, molto vicino, una porta che si apre. Giovanni gli mette la mano sulla bocca, poi la toglie. Il messaggio è chiaro. Con uno sforzo Francesco cerca di riprendere coscienza delle realtà. Giovanni lo prende e lo forza a chinarsi, a distendersi sul pavimento. E mentre si abbassa, Francesco vede una luce che filtra in due punti dal pavimento. Guarda attraverso una delle fessure e vede una stanza illuminata, in cui ora può scorgere zio Nicola e, spostandosi un po’, i suoi cugini.    

Giovanni è venuto qui per questo? Per spiare il fratello?

Francesco non capisce.

E in quel momento si sente la voce di Nicola.

- Vediamo come risolvere questa faccenda.

Carlo bestemmia di nuovo, poi dice:

- Il nonno era rincoglionito, se no…

Non completa la frase. Francesco vede solo la mano dello zio alzarsi e poi sente il rumore di un ceffone vibrato con forza. Poi la voce di Nicola:

- Non ti permettere di parlare così di tuo nonno.

Un momento di silenzio, poi Nicola riprende:

- Il testamento è quello. Inutile piangere sul latte versato. Adesso dobbiamo decidere che cosa fare.

Dal punto in cui si trova, Francesco non può vedere Lucio, ma ne sente la voce:

- Non possiamo impugnare il testamento.

Il vecchio concorda:

- No, da quella parte non c’è niente da fare.

- Dobbiamo ammazzare quei due…

Francesco sente un brivido corrergli lungo la schiena. “Quei due” sono lui e lo zio Giovanni, non c’è dubbio. Carlo è un impulsivo, ma ha parlato di ammazzare. Francesco si aspetta che lo zio lo freni, ma la risposta è diversa:

- Non c’è altra soluzione, ma deve sembrare un incidente, come con Antonio.

Francesco apre la bocca, allibito. Guarda verso zio Giovanni, ma nel buio della stanza non si vede nulla. La morte di suo padre non è stato un incidente? Non è caduto dal tetto?

Lucio interviene:

- Sì, ma non possiamo buttare anche loro giù dal tetto. Qualcuno sospetterebbe.

Francesco chiude gli occhi. Gli sembra tutto troppo orribile. Suo padre è stato ammazzato dal fratello e dai nipoti. Per l’eredità. Non è possibile. E ora…

- Un incidente d’auto? Manomettiamo il motore…

L’idea di Carlo è stupida, ma non è da lui che bisogna aspettarsi proposte intelligenti.

- Sì, e poi? Ben che vada, finiscono in un canale e si bagnano. Dobbiamo essere sicuri che crepano, quei due bastardi.

Al tempo del liceo, Francesco si divertiva a correggere mentalmente gli errori dello zio e dei cugini, rimettendo i congiuntivi al loro posto. Ma in questo momento non ci bada di certo.

- E allora trovala tu un’idea, Lucio!

- Non è facile, Carlo.

C’è un momento di silenzio, poi Nicola riprende.

- Non possiamo lasciare che si prendano la cascina, quelli.

Carlo suggerisce:

- E se incendiamo la cascina, il pezzo dove stanno loro? Li invitiamo a cena, diciamo che vogliamo trovare un accordo, gli diamo da bere vino con dentro della roba per farli dormire e poi appicchiamo il fuoco.

- Sì, e così bruciamo anche casa nostra. Come lo fermi il fuoco, una volta che ha incominciato a bruciare tutta l’ala? E se lo spegni prima, rischiamo che non bruciano i cadaveri, fanno un controllo e ci beccano. No, io ho un’altra idea.

Nessuno replica e Lucio continua:

- Non riusciamo a farli fuori tutti e due, adesso. Zio Giovanni è diffidente, basta vedere come si muove. Facciamo fuori Francesco, quello è un coglione, non sospetta di nulla.

Francesco si dice che Lucio ha ragione: davvero è stato un coglione a non accorgersi di niente.

- Zio Giovanni si toglierà dai coglioni, prima o poi: ha il suo lavoro, della terra non gliene frega niente. Allora prepariamo un cappio in soffitta, portiamo su Francesco con qualche scusa e lo impicchiamo. Poi lo facciamo passare per un suicidio, diciamo che era depresso.

Il vecchio appare un po’ dubbioso:

- Faranno delle indagini, dobbiamo essere molto attenti. Se sul suo cadavere c’è qualche segno di botte, capiscono che non è un suicidio.

È il turno di Carlo, ora:

- Lucio lo porta su con una scusa, come hai fatto tu con Antonio. Io lo aspetto dietro la porta, lo afferro e gli blocco le braccia. Prima che capisce, penzola già.

Francesco chiude gli occhi. Vorrebbe essere altrove, lontano mille miglia da questo groviglio di vipere che sono i suoi parenti. E in quel momento sente la mano di zio Giovanni che gli tocca un braccio, poi scivola fino alla mano e gliela stringe, in un gesto di affetto. Francesco si rende conto che sta per mettersi a piangere.

Intanto Lucio concorda con il fratello:

- Sì, mi sembra una buona idea. Aspettiamo che Giovanni si levi dai coglioni, ma non dobbiamo perdere tempo. E poi al momento di dividerci l’eredità di Francesco, vediamo come fottere quell’altro stronzo. Che ne dici, pa’?

Il vecchio pensa un momento.

- Va bene. Facciamo così. Appena Giovanni parte. Ma non ci devono essere errori.

I tre escono dalla stanza e spengono la luce.

Francesco è sconvolto. Gli sembra di avere un peso sul cuore, che lo schiaccia. Non è possibile. Zio Giovanni gli stringe sempre la mano e Francesco avverte che si sta alzando. Si mette in piedi anche lui. Giovanni si avvicina e gli sussurra, in modo quasi impercettibile:

- Nessun rumore.

La raccomandazione ormai è superflua.

Giovanni apre la porta. Anche nel corridoio ormai è buio, si vede appena. Giovanni lo fa uscire e si avviano verso il loro appartamento. Raggiungono la porta che dà sulle scale. Giovanni infila la chiave e si accorge che non gira nella serratura. Allora sussurra:

- L’hai lasciata aperta tu?

- Sì… non sapevo.

Entrano, Giovanni chiude la porta con due mandate.

Scendono al buio, poi Giovanni accende la luce nella sua stanza. Solo in quel momento Francesco vede che ha in mano una pistola. Lo guarda senza parlare.

Giovanni sorride:

- Credo di doverti alcune spiegazioni. Ma prima fammi fare un giro di controllo.

Giovanni esce e Francesco si siede sull’unica sedia. È completamente rintronato. Impossibile dare ordine ai suoi pensieri. Gli sembra di essere un’altra persona. Che cos’ha in comune con quel tizio che è andato in soffitta a cercare lo zio forse nemmeno un’ora fa? In un tempo brevissimo la sua vita è cambiata del tutto. Ha scoperto che suo padre è stato assassinato e che rischia di fare la stessa fine entro pochi giorni. Ed ha fatto l’amore con Giovanni: questa è stata la cosa più bella della sua vita.

Giovanni rientra in quel momento. Posa la rivoltella sul comodino.

- Tutto chiuso, tutto a posto. Come ti senti, Francesco?

Francesco annuisce, anche se la domanda di Giovanni non è una di quelle a cui si risponde annuendo.

Giovanni si siede sul letto. Francesco lo fissa.

- Giovanni…

Francesco non completa la frase. Guarda la pistola. Giovanni segue il suo sguardo. Parte di lì.

- Sì, la pistola. Ho preso il porto d’armi poco più di un anno fa, quando è morto tuo padre. Ed ho incominciato ad andare al poligono di tiro. Me la cavo abbastanza bene. Tutte le volte che venivo qui, me la portavo dietro. L’ho presa per questo.

- Tu sapevi. Sapevi che avevano ucciso papà.

- Sì, ne ero certo. Una settimana prima di morire, tuo padre mi accompagnò al treno: ero venuto in treno perché l’auto era dal meccanico. Alla stazione mi chiese di vegliare su di te se gli fosse capitato qualche cosa. Gli chiesi spiegazioni, ma non voleva darmene. Aveva contato sul fatto che dovevo prendere il treno, che non potevo perdere tempo. Ma io lasciai partire il treno e riuscii a tirar fuori la verità, almeno una parte. Mi raccontò delle tensioni con Nicola ed i figli. Temeva di essere ucciso. Come in effetti avvenne. Cercai di convincerlo a fare qualche cosa, ad andarsene oppure a parlarne con il nonno, ma lui non voleva. Si era già pentito di avermi parlato e si chiuse in un silenzio totale. Mi dissi che sarei tornato presto e che sarei intervenuto. Ma il venerdì successivo lo uccisero.

Francesco chiude gli occhi. Poi li riapre e dice:

- Ma quando successe, perché non hai parlato di quel che sapevi, non hai preteso un’inchiesta?

- Ne parlai subito al nonno, che si oppose categoricamente. Aveva perso un figlio, non voleva perderne un altro. Negò tutto. Litigammo. Io capivo benissimo che stava da cani, ma non potevo aiutarlo. Allora lasciai perdere. Ma mi comprai una pistola e incominciai a venire più spesso. Volevo esserci sempre quando c’eri tu.

- Per questo ti trovavo sempre qui!

Giovanni annuisce.

- Come hai fatto a capire che si sarebbero riuniti in quella stanza? Come hai fatto a scoprire che dalla soffitta si può sentire quello che dicono sotto?

- Ho girato molto, in quei giorni, alla ricerca di tracce, di informazioni, di prove. Non ho trovato niente, ma una sera ho visto la luce accesa in quella stanza, dove non va mai nessuno. Ho sospettato che si ritrovassero lì per parlare liberamente. E allora sono passato dalle soffitte per vedere se riuscivo a sentire quello che dicevano. Quella sera non ho combinato niente, ma ci sono tornato di giorno e ho scoperto i buchi, così, la volta successiva che ho visto la luce, sono andato sopra e li ho spiati. Questa sera ero sicuro che si sarebbero riuniti lì, dopo la lettura del testamento... figurati!

- Tu te l’aspettavi? La divisione dell’eredità, intendo.

- Sì, certo, il nonno si è rivolto a me, per modificare il testamento senza che loro lo sapessero. Ho organizzato tutto io, dicendo che lo portavo a Novara per un esame medico.  

Francesco ha le idee più chiare, ora. Una domanda però preme ancora:

- E adesso?

Giovanni sorride.

- Sì, dobbiamo pensare a un piano d’azione…

Parlano ancora a lungo. Alla fine hanno concordato una strategia. È molto tardi, ormai, ma Francesco non pensa a dormire. Ora, che ha capito qual è la situazione, ora che hanno deciso come affrontarla, ora c’è un’altra domanda, che preme, che non può più essere rimandata.

E allora Francesco si alza. Si avvicina a Giovanni.

Ora è davanti al letto. Giovanni ha capito, perché si alza e risponde alla domanda inespressa di Francesco: lo abbraccia e lo bacia sulla bocca. Le sue mani scivolano a stringono il culo di Francesco, come avevano fatto quelle di Francesco prima, nella soffitta, poi una risale ad accarezzargli i capelli.

La lingua di Giovanni si infila nella bocca di Francesco, che si apre. Francesco sente il desiderio che monta, prepotente. Abbraccia Giovanni, stringe quel corpo che desidera tra le mani, lo accarezza.

Giovanni ha incominciato a spogliarlo, togliendogli la camicia e adesso gli sta calando i pantaloni. Francesco si dà da fare anche lui e in breve sono tutti e due nudi, con l’uccello in tiro. Giovanni lo spinge un po’ indietro, lo guarda e gli dice:

- Sei bellissimo, Francesco, sei bellissimo!

Non è la prima volta che lo dicono a Francesco, ma adesso che è Giovanni a dirlo, gli fa piacere come non era mai accaduto. Francesco scuote la testa:

- Io no, tu, tu sei bellissimo!

- Con questa faccia?

Giovanni lo avvicina a sé, ridendo e lo bacia di nuovo, impedendo a Francesco di rispondere che la faccia dello zio per lui è davvero bella e che il corpo è splendido (e questo non solo per Francesco, che d’altronde non è l’unico ad avere avuto certi pensieri - e mica solo pensieri - di fronte alla foto di Giovanni).

Poi Giovanni si distende sul letto, trascinando con sé Francesco. Si baciano ancora e Francesco pensa che è bellissimo stare così, steso sul corpo di Giovanni, tutti e due nudi, tutti e due eccitati. Ma Giovanni scivola via - traditore! - e ruota su se stesso, così che ora la sua testa è ad una spanna dall’uccello di Francesco, no, non è più ad una spanna, la sua bocca sta inghiottendo la preda e Francesco sussulta.

Non sia mai detto che Francesco rimanga indietro. Ha una magnifica preda vicino alla bocca e si lancia all’assalto. Con un movimento rapido l’afferra e la stringe tra i denti, con delicatezza, poi l’accarezza con la lingua e infine l’inghiotte.

Non è la prima volta che Francesco partecipa a un bel 69, ma gli sembra di non aver mai messo in bocca un boccone così appetitoso e di non aver mai trovato una bocca così calda ed una lingua così abile come quelle di Giovanni.

Le loro mani accarezzano, stringono, pizzicano, ma Francesco non si rende nemmeno ben conto di ciò che stanno facendo: le sensazioni che salgono dal suo uccello e dalla sua bocca sono troppo forti. Di nuovo il piacere cresce dentro di lui, lo riempie e lo fa salire verso il cielo in un movimento lento e continuo. È un piacere che ha la forma ed il calore dell’uccello di Giovanni, che gli riempie la bocca, e della bocca dello zio, che avvolge il suo uccello.

Come è successo prima, in loro il piacere arriva al culmine quasi contemporaneamente. Giovanni si ritrae e Francesco lancia un urlo:

- Ora!

Le mani di Giovanni accarezzano il sesso di Francesco, mentre questi viene in un’onda di piacere. Una mano di Francesco afferra l’uccello dello zio, che vibra dello stesso piacere.

Rimangono distesi. Francesco guarda l’uccello dello zio che lentamente si riduce e pensa che è una vista magnifica. Le dita di Giovanni scivolano sul ventre di Francesco, giocano con le gocce di seme.

Poi lo zio si solleva e si gira, in modo da disporsi come Francesco.

- Mi hai fatto impazzire di desiderio, Francesco, ma non avrei mai pensato di piacerti.

Francesco ride. Avrebbe potuto dire le stesse parole.

- Mi piaci da morire. Mi sei sempre piaciuto. Credo di averti amato fin da quando ero bambino.

La parola gli è sfuggita senza quasi rendersene conto: ha detto a Giovanni che lo ama. Ed è vero.

Giovanni sorride:

- Mi sei sempre piaciuto, Francesco, anche fisicamente. Ma solo in quest’ultimo anno mi sono accorto di amarti. Quando ho deciso che sarei sempre stato alla cascina quando fossi venuto tu, non sospettavo che mi sarei innamorato di mio nipote.

Si sorridono.

Ed ora le loro bocche si incontrano di nuovo e Francesco si sente felice.

Poi si staccano e si guardano, sorridendo.

- Facciamoci la doccia, Francesco. Siamo sporchi come due maialini.

Francesco annuisce.

Il bagno è di fianco alla stanza di Giovanni. Si fanno la doccia, prima l’uno, poi l’altro. Si guardano a vicenda, Giovanni aiuta Francesco ad asciugarsi, poi il nipote ricambia il favore. E dopo aver riso ed essersi ancora baciati, ritornano nella camera da letto.

- Ora di metterci a dormire, Francesco. Hai voglia di dormire con me? Questi vecchi letti matrimoniali sono un po’ stretti, ma forse ne vale la pena.

Giovanni sorride. Francesco non chiede di meglio. Si mettono a letto. Giovanni spegne la luce, lo bacia sulla nuca e poi si augurano la buona notte.

Francesco pensa che non riuscirà a dormire, ma la giornata è stata troppo piena, è molto stanco e sprofonda nel sonno in fretta.

 

Francesco si sveglia per primo. Alla luce che filtra attraverso le imposte e le tende, guarda il corpo di Giovanni steso accanto al suo. È magnifico, lo è davvero. Francesco non vuole svegliare lo zio, si dice che rimarrà volentieri a contemplarlo. Ma si accorge che non gli è possibile stare fermo al suo fianco, guardare quel corpo accende un fuoco dentro di lui.

Allora scende silenziosamente dal letto e va in bagno. Mentre sta pisciando, arriva Giovanni, che lo guarda sorridendo. Poi si mette di fianco a lui e lo imita.

Si guardano, si sorridono e quando hanno finito incominciano a baciarsi. Sono giovani tutti e due, i loro corpi prendono fuoco facilmente.

Ma questa volta la destra di Giovanni scivola lungo la schiena di Francesco, due dita si insinuano lungo il solco e raggiungono l’apertura. La stuzzicano un po’. Giovanni guarda Francesco, ammiccando. Francesco ha un tuffo al cuore. Nessuno lo ha mai preso. Ma lui lo desidera. Annuisce. Non dice che è la prima volta, si vergogna della verginità del suo culo. Ha un po’ paura, ma il desiderio è più forte.

Giovanni gli morde la spalla e lo spinge verso la camera da letto. Lo guida a stendersi sul letto, ad allargare bene le gambe. Poi si stende su di lui e incomincia a leccargli la schiena, a mordicchiargli il culo, ad accarezzargli i coglioni, mentre gli passa l’altra mano tra i capelli. La lingua scende, percorre il solco, lentamente, si ferma sull’apertura, poi riprende. Seguono morsi, piuttosto decisi. Francesco si sente precipitare e desidera solo il precipizio che lo inghiotte. La paura svanisce, anche se l’attrezzatura di famiglia è di tutto rispetto e Francesco sa che non sarà facile accogliere quell’arma.

E in quel momento sente il bisogno di dirlo, non per fermare lo zio, per nulla al mondo vorrebbe farlo, non perché sia cauto nel prenderlo, ma perché vuole che Giovanni lo sappia, perché sa che è una cosa bella.

- Giovanni, è la prima volta che lo prendo in culo…

Francesco arrossisce e continua:

- … e sono felice che sia tu a mettermelo.

Giovanni gli morde il culo più forte.

- Ed io sono felice di essere il primo a farti questo servizio.

Poi Giovanni si alza, prende dall’armadio qualche cosa. Francesco volta la testa verso di lui e lo vede con due bustine in mano: profilattico e crema, evidentemente (Francesco ha poca pratica, ma un po’ di conoscenze teoriche). Ad attirare il suo sguardo è soprattutto il magnifico cazzo, perfettamente in tiro.

Lo zio gli sorride, apre una bustina, si avvicina e incomincia a spalmare qualche cosa sul buco del culo di Francesco. Una crema lubrificante.

Francesco si dice che lo zio è ben attrezzato, ma non gli chiede come mai l’ha con sé.

Poi Giovanni sospende il movimento. Dopo un minuto le due bustine atterrano sul comodino e Francesco sente il peso del corpo dello zio su di sé, come la sera prima. Solo che questa volta i loro corpi sono nudi e tutti e due sanno benissimo come finirà.

Giovanni lo accarezza ancora, poi Francesco sente una pressione contro l’apertura. Si tende.

- Rilassati, Francesco. Non ti farò male. Appena mi dici di smettere, mi tiro indietro.

Smettere? Francesco non ha nessuna intenzione di dirgli di smettere, proprio nessuna. Intanto lo zio gli mordicchia una spalla, gli passa la lingua sulla nuca, dietro l’orecchio, gli morde un lobo (piuttosto forte) e mentre Francesco geme, sente che l’arma ha forzato l’apertura e la punta è scivolata dentro. Francesco pensa che è bellissimo, ma Giovanni si tira un po’ indietro e gli sussurra:

- Tutto bene?

- È bellissimo.

Poi Francesco aggiunge, arrossendo leggermente:

- Hai il più bel cazzo del mondo.

Giovanni ride.

- Maialino!

E con una spinta si affaccia nuovamente all’ingresso posteriore e avanza, questa volta spingendosi più a fondo. Poi si ferma e la sua bocca, i suoi denti, le sue labbra continuano a percorrere la nuca di Francesco, un orecchio, le spalle.

Le mani di Giovanni, intanto, stringono con forza il culo di Francesco, tirando la carne verso l’esterno, mentre l’arma avanza ancora. Francesco chiude gli occhi e si dice ancora una volta che è meraviglioso. Geme, un gemito di puro piacere.

- Ti piace il mio cazzo?

- È bellissimo!

- Adesso incomincia la cavalcata.

Giovanni lo bacia su una guancia, gli morde ancora una volta il lobo dell’orecchio, poi incomincia ad avanzare e a ritrarsi, con un movimento continuo. Francesco sente quell’arma vigorosa che lo riempie, spingendosi a fondo, fino a fargli male, poi si ritira, lasciandogli un senso di vuoto. Ma l’arma ritorna a farsi strada, senza pietà per il nemico, avanza in profondità, colpendo con forza, poi si ritira.

È una sensazione incredibile, in cui c’è un po’ di sofferenza e molto piacere, sempre più piacere e sempre meno sofferenza.

Giovanni è un cavaliere instancabile, si muove con un ritmo continuo, senza lasciare alla sua cavalcatura un attimo di tregua, ma Francesco non vuole una tregua, lui desidera solo che questa corsa continui senza un attimo di sosta.

Il piacere che dal suo culo si diffonde in tutto il suo corpo è tanto forte da stordirlo. Francesco geme, senza ritegno, più volte, e Giovanni accelera il ritmo della sua cavalcata, spinge più a fondo, con più forza. I gemiti di Francesco salgono di tono, diventano quasi un urlo. Giovanni gli mette una mano davanti alla bocca e gli dice:

- Piano, piano!

Ma lo sperone colpisce con forza sempre maggiore e Francesco fa fatica a trattenere il grido che gli viene da dentro, mentre il suo seme sembra aprirsi la strada a forza per uscire, in un’ebbrezza di piacere. Giovanni spinge ancora con vigore e poi si affloscia sul corpo di Francesco.

Lo abbraccia, stringendolo forte, e gli sussurra:

- Francesco, Francesco, amore mio! Quanto ho desiderato questo momento!

Francesco sussurra:

- Anch’io.

Fanno fatica a staccarsi, ma la giornata che li aspetta è intensa. Dopo aver fatto colazione, partono.

 

Ritornano nel primo pomeriggio e verso sera, quando Nicola e i figli tornano dai campi, Giovanni si rivolge al fratello. Dice che intende fermarsi per qualche settimana, per aiutare Francesco a sistemare tutto, e che occorre mettersi d’accordo sui diversi aspetti pratici, superando le polemiche. Propone di discuterne con calma venerdì, tra due giorni. In mattinata deve andare a casa propria, ma conta di essere di ritorno a mezzogiorno e nel pomeriggio possono parlare.

Nicola acconsente.

La sera Giovanni sale per andare a spiare nella soffitta. Francesco vorrebbe salire anche lui, ma Giovanni si oppone categoricamente. Discutono un buon momento.

L’ora che Giovanni passa in soffitta è un incubo per Francesco, che freme d’impazienza e più volte pensa di raggiungerlo: se non lo fa è solo perché teme di peggiorare la situazione, di mettere Giovanni in pericolo. Un rumore li farebbe scoprire.

Quando Giovanni infine ritorna, Francesco sente un sollievo enorme.

Giovanni dice:

- Tutto come previsto.

Poi incomincia a raccontare.

 

Il venerdì Francesco e Giovanni si svegliano nel letto in cui hanno dormito insieme tutte le notti (e non solo dormito). Non hanno riposato molto, un po’ per la tensione, un po’ perché ci sono state altre cose da fare.

Giovanni abbraccia Francesco con molta tenerezza. È evidente che è preoccupato.

- Sta’ tranquillo, Giovanni, andrà tutto bene.

- Sì, lo so. Ne sono sicuro. Altrimenti non ti lascerei.

Dopo colazione Giovanni parte. Francesco è teso, ma quando esce nell’aia per bagnare i fiori cerca di assumere un’aria indifferente. È appena rientrato, quando Lucio bussa alla porta. Francesco apre. Il cuore gli batte forte. Negli ultimi due giorni i cugini si sono sforzati di mostrarsi gentili, come se l’arrabbiatura gli fosse passata, e Francesco ha finto di crederci.

- Ciao, Lucio.

- Ciao, Francesco. Senti, ieri, cercando delle cose nella soffitta, ho ritrovato del vecchio materiale di scuola di tuo padre, roba di quand’era bambino, figurati. Hai voglia di venire a vedere?

Francesco fa fatica a nascondere il disgusto che prova. Lucio lo sta attirando in una trappola per ammazzarlo, per l’eredità. Gli sembra impossibile tanta meschinità, tanta crudeltà.

Non distoglie lo sguardo dagli occhi del cugino, mentre gli risponde.

- Sì, certo, Lucio, vengo volentieri. Andiamo adesso?

- Sì, se ti va bene. Facciamo che salire. Passiamo da te? Tanto il corridoio è unico.

A Francesco non piace l’idea che Lucio entri in casa sua, ma non avrebbe senso opporsi.

- D’accordo.

Lucio entra, Francesco chiude la porta. Poi salgono al primo piano. Francesco prende la chiave della porta del secondo piano e dalle scale salgono al corridoio. A ogni scalino Francesco sente il cuore martellargli in petto. Si dice che la sua vita è appesa a un filo, poi pensa che davvero il suo corpo potrebbe essere appeso ad una corda, tra poco. No, non è possibile, non succederà.

Nel corridoio si vede bene, non c’è nemmeno bisogno di accendere la luce.

Francesco parla, per rompere un silenzio che aumenta la sua tensione.

- Di che cosa si tratta? Roba di quando mio padre andava a scuola, dici?

- Adesso vedi.

Lucio apre la porta e lascia passare Francesco. Appena sono dentro, Lucio chiude la porta e accende la luce. Nell’attimo in cui la porta si chiude, due braccia robuste afferrano Francesco e lo stringono con forza, bloccandolo.

La luce che illumina la stanza mostra il cappio che penzola da una grossa trave del soffitto. Sotto il cappio, uno sgabello.

- Lasciami, lasciami!

Gli risponde la voce di Nicola:

- È inutile che ti agiti tanto. Sei finito. Carlo, muoviti ad appenderlo.

Francesco urla. Sa quello che sta per succedere, ma la paura è davvero forte.

Carlo lo trascina sotto al cappio. In quel momento la porta si apre e irrompono i sei poliziotti che sono arrivati nella notte.

Poi tutto è rapido, molto rapido. Carlo abbozza una reazione, ma si prende un colpo con il calcio del fucile in faccia. Nicola e Lucio rimangono paralizzati. Poi Nicola guarda Francesco e sputa per terra.

Giovanni arriva dieci minuti dopo, insieme al furgone cellulare, all’auto della polizia e al commissario. Erano tutti nella cascina abbandonata vicino al Rovasenda. Giovanni abbraccia Francesco, che è molto pallido. Nicola ed i figli sono portati in prigione.

 

Sono passati quattro mesi. L’autunno è arrivato, ma la giornata di fine ottobre è tiepida e si sta bene fuori. Francesco è seduto davanti all’ingresso della Cascina Granda, dove lui e Giovanni abitano.

È piuttosto stanco. Le sue sono giornate intense e faticose: dalla morte del nonno si occupa della gestione delle sue terre e di quelle di Giovanni e non è un compito facile. Non gli mancano le conoscenze, né una certa esperienza, ma in questi primi mesi in cui tutto è ricaduto sulle sue spalle, ha dovuto darci dentro senza un attimo di tregua. Come al solito, quando c’è un passaggio di proprietà, i problemi da affrontare sono stati infiniti e l’arresto dello zio e dei cugini per diversi aspetti non ha reso le cose più semplici. Ma Francesco è felice e della stanchezza non gli importa molto.

Guarda la cascina. Per fortuna, della ristrutturazione si è occupato interamente Giovanni, che ha svolto personalmente diversi lavori e si è rivolto a un’impresa per altri, così Francesco non ha dovuto pensarci. Molto lavoro è stato fatto, ormai il laboratorio di Giovanni e la loro abitazione sono a posto. Ci sono ancora interventi da effettuare, ma per la primavera la cascina sarà tutta risistemata.

Giovanni esce dal suo laboratorio. Si avvicina a Francesco e gli sorride. E come sempre il cuore di Francesco si dilata e la stanchezza svanisce. Giovanni si siede sulla panca. Non si baciano: in un’ala della cascina abitano tre famiglie di contadini che lavorano nelle terre e uno degli operai di Giovanni; davanti ad estranei Giovanni e Francesco evitano effusioni.

Guardano insieme il cielo che diventa sempre più scuro, poi entrano per preparare la cena. Sono entrambi affamati. Ma mentre tirano fuori dalla credenza e dal frigorifero il necessario per mangiare, Giovanni abbraccia Francesco alle spalle e lo bacia sul collo. Francesco non si difende: si abbandona a quell’abbraccio che lo appaga e che desta un’altra fame. E così, sul vecchio tavolo da cucina su cui consumeranno la cena, i due danno inizio ad un nuovo - e vecchissimo - gioco. E mentre sente che l’uccello di Giovanni entra trionfalmente dentro di lui, Francesco si dice che di tutta l’eredità, quella è la parte migliore.

 

2009

 

 

 

 

 

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