Il tesoro di San Pedro

 

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- Alza le mani, gringo!

      Doug si blocca. Si rende conto di non avere nessuna scelta. Potrebbe cercare di scappare, ma gli sparerebbero alla schiena. Ubbidisce, anche se sa che non cambia niente: la sua vita è finita.

      Era convinto di averli seminati. Era sicuro di avercela fatta. Ma quei figli di puttana lo hanno preceduto e sono arrivati a San Pedro prima di lui. Si sono nascosti nella chiesa e lo hanno aspettato.

      Doug ha le mani alzate. Uno di quei bastardi si avvicina, gli slaccia il cinturone con le pistole e lo prende. Gli altri si fanno intorno. Sono in quattro, messicani, si direbbe. Gli bloccano le mani dietro la schiena.

      - Bene, gringo, adesso facciamo due chiacchiere.

      Doug non apre bocca. Per qualche giorno ha creduto che la sua vita sarebbe cambiata, ma era un sogno assurdo. Adesso paga quell’illusione con la morte.

      - Sei muto, gringo?

      Doug rimane zitto. Si limita a sputare ai piedi dell’uomo.

      - Senti, sappiamo benissimo che hai trovato il tesoro della missione. E adesso ci dici dov’è. Noi ce lo prendiamo ed in cambio ti lasciamo la pelle e magari anche un sacco di monete.

      Doug sa benissimo che, non appena avranno il tesoro in mano, lo uccideranno. E se non dirà nulla, lo ammazzeranno ugualmente. Ma non ha nessuna intenzione di raccontare ai suoi assassini dove si trova l’oro.

      Perché Doug ha davvero trovato il tesoro della missione, quello che hanno cercato in tanti, scavando ogni palmo di terra, scoperchiando tombe, rompendo muri alla ricerca di nascondigli segreti.

Tutti sapevano, o credevano di sapere, che l’ultimo governatore spagnolo della California aveva affidato una cassa piena d’oro alla missione di San Pedro, cinquant’anni prima, nella speranza di poterlo recuperare al termine della guerra. In migliaia sono andati avanti a cercarlo per decenni, poi anche i più ostinati ci hanno rinunciato: hanno incominciato a pensare che il tesoro fosse solo un miraggio. 

      Doug l’ha trovato, anche se non lo cercava. Doug è un mandriano, uno dei tanti che guardano gli animali per conto dei ricchi proprietari. Una vita dura, per una paga misera. Ma Doug non si è mai lamentato: è sempre stato così, per lui. Arrivare al tesoro gli era parso incredibile, gli sembrava che non potesse capitargli una fortuna del genere: aveva ragione, la fortuna è durata poco. 

      Il pugno lo prende allo stomaco e Doug si piega in due, ma non apre bocca. Possono picchiarlo, torturarlo, ucciderlo, ma non gli dirà mai dove si trova il tesoro.

      - Piano, Gutierrez. Lo faremo parlare, se occorre. Intanto vediamo un po’ di fare un giro. Le monete deve averle trovate pochi giorni fa, da qualche parte ci sono. Vediamo se c’è qualche traccia.

      Lo spingono a terra, gli legano anche i piedi e lo mollano lì, nella chiesa abbandonata. Doug si mette a sedere, la schiena contro il muro. Non può liberarsi, quei figli di puttana sanno fare i nodi. Può solo aspettare la morte.

      Tornano mezz’ora dopo.

      - L’abbiamo trovato! Vecchio coglione, pensavi di fregarci? Si vede che una tomba del cimitero è stata scavata di fresco.

      Doug fa per aprire la bocca. Vorrebbe dire che in quella tomba c’è davvero solo un morto, di lasciarlo in pace, ma naturalmente non gli crederebbero. L’ha sepolto lui, quel vecchio che ha trovato morente a poche miglia dalla missione. L’uomo lo ha pregato di portarlo a San Pedro. Doug lo ha accompagnato, gli ha dato da mangiare e da bere, ma l’uomo era allo stremo. Quando ha capito che stava per morire, ha chiesto a Doug di seppellirlo nel cimitero della missione: voleva riposare dove era nato. Perché il vecchio era nato e cresciuto lì, a San Pedro, ed aveva lasciato la missione solo quando era stata abbandonata.

      I quattro prendono le pale ed escono. Scaveranno per un po’ e troveranno solo un cadavere avvolto in una coperta. Altro Doug non aveva per dargli sepoltura.

Il vecchio era l’unico uomo ancora vivo che conosceva il nascondiglio del tesoro: aveva spiato il governatore, il superiore del convento ed i due servitori quando lo avevano nascosto. Il governatore aveva fatto ammazzare i due servitori quel giorno stesso. Il superiore era morto poco dopo, probabilmente anche lui assassinato per ordine del governatore. Ma anche il governatore era stato ucciso quell’anno, mentre cercava di raggiungere il Messico, e non era mai potuto tornare a recuperare il tesoro.

Il vecchio avrebbe voluto raggiungere San Pedro molti anni prima, ma non ce l’aveva fatta e quando infine gli era stato possibile, era stato solo per morire. Aveva detto a Doug dov’era quel tesoro, che tutti avevano cercato. Ma Doug non ci aveva creduto. Aveva assistito l’uomo e poi lo aveva sepolto. Solo dopo aveva deciso di cercare.

      Il passaggio segreto tra la cripta della chiesa ed i resti del convento esisteva davvero, ma qualcuno lo aveva già trovato. La pietra che andava spostata per entrare in una cameretta sotterranea, quella no, nessuno l’aveva scoperta. E il tesoro era là…

 

      Doug ha preso solo alcune monete, il necessario per procurarsi tutto quello che gli serviva per prendere il tesoro e portarlo via. E poi si è organizzato: ha venduto le monete, a tre giorni di cavallo da San Pedro, sperando che nessuno collegasse quelle vecchie monete d’oro con il tesoro della missione. E poi ha acquistato i cavalli e il necessario per il trasporto, in un'altra città. Ma quei figli di puttana lo hanno saputo. Lo hanno seguito, lui se ne è accorto e li ha seminati, ma ormai avevano capito che stava venendo a San Pedro e lo hanno preceduto.

      Nella chiesa sta diventando buio. Ormai il sole è tramontato. Tra poco sarà notte. Doug cerca ancora di liberarsi dalle corde, ma è perfettamente inutile. Va bene, la sua vita è arrivata alla conclusione. Poteva anche fare a meno di nascere, tutto sommato, non è che abbia avuto molto. Ma non ha importanza, c’è chi ha avuto ancora di meno.

      Doug sente delle voci. Stanno ritornando, sono furibondi. Hanno trovato solo un cadavere in decomposizione.

I quattro rientrano.

      - Ora ci racconti qualche cosa, gringo. Hai ammazzato quel tipo dopo che ti aveva detto dov’era il tesoro di Ramirez. Ma adesso lo racconti a noi.

      Doug non ha ammazzato il vecchio. Gli è capitato di dover sparare per difendersi, la California della seconda metà dell’Ottocento non è precisamente un posto tranquillo, ma non gli passerebbe mai per la testa di ammazzare uno a sangue freddo.

      Uno dei quattro lo afferra per il collo della camicia e quasi lo solleva.

      - Ascoltami bene, stronzo, adesso ci racconti dov’è il tesoro. È meglio per te. Perché se non lo fai in fretta, rimpiangerai di essere nato.    

      Doug ci prova, anche se sa benissimo che non c’è nessuna possibilità che gli credano.

      - Non ho trovato il tesoro. Il vecchio aveva delle monete in tasca. Doveva averle trovate qui. Allora mi sono detto che valeva la pena di cercare se ce n’erano altre.

      Il tipo lo molla e poi gli dà uno schiaffone violento.

      - Credi di essere furbo, stronzo? Ti faccio sputare sangue.

      L’uomo gli preme una mano sul collo, rendendogli difficile respirare. Doug sta soffocando.

      - Fermati, Federico. Questo ci serve vivo. Sappiamo come farti parlare, gringo. Fernando, José, slegatelo e portatelo fuori.

      I due uomini gli slegano le mani e i piedi.

      - Muoviti, gringo, adesso vedremo se riesci a parlare senza dire cazzate.

      Lo costringono a uscire dalla chiesa. Raggiungono un albero sulla piazza.

      - Adesso spogliatelo e poi legatelo all’albero

      L’ordine viene eseguito in fretta. Doug non oppone resistenza. Che senso avrebbe?

      L’uomo che sembra essere il capo parla di nuovo.

      - Accendete il fuoco. Ora che il gringo è nudo, magari ha freddo e gli fa piacere riscaldarsi un po’.

Fernando e José cercano un po’ di legna secca e l’ammucchiano vicino all’albero. Mentre finiscono il loro lavoro, diventa sempre più buio. Ormai sono solo ombre.

I due uomini si chinano e accendono il fuoco. Alla fiamma che guizza i quattro assassini appaiono sorridenti. Sono convinti di riuscire a scoprire il nascondiglio del tesoro, ma Doug non ha nessuna intenzione di parlare. 

      Federico ha preso un tizzone e avvicina l’estremità che arde al viso di Doug.

      - Allora, gringo, ti decidi a parlare?

      La fiamma è vicinissima, Doug può avvertirne il calore.

      In quel momento si sente uno scalpitio. Un cavallo entra trottando nella piazza davanti alla chiesa.

      - Fernando, stronzo, come hai legato i cavalli?

      - Ma, capo, li ho legati bene.

      - Sì, lo vedo come! Riportalo indietro e controlla anche gli altri, stronzo.

      Fernando si avvicina al cavallo e lo riconduce nella direzione da cui è arrivato.

      Federico ha seguito la scena senza lasciare il bastone che arde. Adesso lo avvicina ai peli del ventre di Doug.

      - Che ne diresti se bruciassimo un po’ di questi peli da scimmia che ti ritrovi? O magari questo cazzo da cavallo?

      Ora avvicina la punta del tizzone alla cappella e Doug rabbrividisce. Riuscirà a reggere a questo? Ha senso affrontare la tortura quando può farsi ammazzare direttamente, risparmiandosi il peggio?

      Doug si morde il labbro inferiore e non dice nulla. Lo uccideranno comunque. Sono i suoi assassini. Non gli rivelerà mai il nascondiglio del tesoro.

      Si sente uno scalpitio e i tre uomini si voltano verso la via in cui si è allontanato Fernando. Di nuovo un cavallo che arriva.

      - Che cazzo succede?! José, vai a vedere che fa quello stronzo di Fernando.

      José ubbidisce. Intanto il capo si avvicina al fuoco, prende anche lui un tizzone e si avvicina a Doug.

      - È ora che tu assaggi un po’ di fuoco, così capisci che non scherziamo.

      Il tizzone ardente si appoggia sul torace di Doug. È solo un attimo, ma Doug sussulta e stringe gli occhi. Il dolore è stato violentissimo ed anche ora che il tizzone non poggia più sul suo corpo, sente la sofferenza pulsare.

      - Ti piace, gringo? Perché se ti piace, ne avrai finché ne vuoi. E se non ti piace, ne avrai finché non ci dici dove si trova il tesoro.

      Doug stringe i denti. Sta sudando. Apre la bocca, ma in quel momento si sente una voce:

      - Alzate le mani o vi ammazzo.

      La voce proviene dal buio, in direzione della chiesa. Federico e il capo hanno un attimo di esitazione, poi lasciano cadere i tizzoni e si buttano a terra, mentre estraggono le pistole e sparano. Sono stati rapidissimi, ma anche il loro avversario è stato un lampo, perché Doug vede i due messicani contorcersi al suolo. Federico agonizza  un buon momento, le convulsioni del capo sembrano finire subito.

      Alla luce del fuoco appare un uomo. Un ragazzo, avrà vent’anni. Barcolla. Perde sangue da una spalla. Si avvicina a Doug. Passa dietro di lui, gli taglia la corda che lega le mani, poi si china e gli libera i piedi. Fa per alzarsi, ma ricade in ginocchio, chiudendo gli occhi.

      - Merda, mi hanno beccato!

      Doug lancia un’occhiata ai due uomini che giacciono a terra, per sincerarsi che non siano più in grado di nuocere, poi si china sul ferito.

      - Fammi vedere.

      Il ragazzo ha la manica inzuppata di sangue. Mentre gli apre la camicia, Doug si chiede che fine hanno fatto gli altri due. C’è il rischio che tornino?

      - E gli altri due?

      - Li ho ammazzati.

      Doug esamina la ferita. Non è un medico, ma di ferite ne ha viste tante, questa non sembra molto grave, anche se esce parecchio sangue: la pallottola ha trapassato il braccio.

      Doug va a cercare i propri cavalli. Sono legati insieme agli altri. Lì vicino ci sono anche i cadaveri di due dei banditi. Da una sacca Doug tira fuori quanto gli serve.

      Torna dal ragazzo, gli versa un po’ di tequila sulla ferita, poi la benda con cura.

      - Ti accompagno fino alla chiesa. È meglio non rimanere qui. 

      Si mette un braccio del ragazzo su una spalla e lo aiuta ad arrivare fino alla chiesa. Prende una coperta e la mette a terra, poi lo fa stendere e lo copre: le notti sono ancora fredde, anche se di giorno il caldo è già pesante.

      - Io mi occupo di tutto. Tu cerca di riposare. È meglio che ce ne andiamo di qui prima dell’alba.

      Doug esce e raggiunge il fuoco. Disperde i tizzoni e li fa rotolare, in modo che si spengano. Mentre si riveste, riflette un attimo sul da farsi. Meglio eliminare ogni traccia della presenza di quei quattro. Uno per volta, trascina i cadaveri di Federico e del capo fino al pozzo. È completamente secco, da molto tempo. Quelli che cercavano il tesoro si sono calati anche lì dentro, ma non c’è nulla. Doug getta i due corpi in fondo. Poi va a cercare gli altri due. Devono essere vicino ai cavalli. Li trova subito. Hanno tutti e due la gola tagliata di netto. Il ragazzo è bravo con il coltello, oltre che con la pistola.

      José e Fernando finiscono nel pozzo insieme agli altri due.

Poi Doug prende i cavalli dei banditi e li conduce fino alla pista che va verso nord. Con una pacca sul culo li spinge. Non andranno molto lontano, ma non è il caso che li porti con sé: troppo pericoloso, potrebbe incontrare qualche amico di quei quattro e non sarebbe facile spiegare perché ha dei cavalli che non sono suoi.

Poi cerca il cavallo del ragazzo: di certo non è venuto a piedi. Doug non riesce a trovare l’animale, probabilmente il tipo lo ha lasciato fuori dalla missione. Chissà perché. E chissà chi è.         

      Doug ritorna alla chiesa. È meglio lasciare San Pedro ed accamparsi ad una certa distanza. Qualcun altro potrebbe avere avuto la stessa idea dei quattro.

      Il ragazzo sta dormendo e Doug decide di lasciarlo riposare un po’. Fa ancora un giro di controllo nella missione e si mette a sedere all’ingresso della chiesa. Questa notte non chiuderà occhio.

      Quando a oriente il cielo incomincia ad impallidire, Doug rientra nella chiesa e sveglia il ragazzo.

      - Dobbiamo andare. Te la senti?

      Il ragazzo annuisce.

      - Sì.

      È pallido, ma riesce a muoversi da solo.

      Escono e raggiungono i cavalli di Doug.

      - Il mio cavallo è tra gli alberi, da quella parte.

      Indica la collina boscata dietro la chiesa. Doug esita un attimo, poi decide che è meglio andarlo a prendere. Lo trova quasi subito e ritorna indietro.

      Aiuta il ragazzo a salire, poi partono. Si dirigono verso una piccola valle, non molto lontano dalla missione. Sono solo due ore, ma Doug vede che il ragazzo fa fatica a stare in sella.

      Quando infine arrivano, Doug scende e aiuta il ragazzo a smontare. Adesso è bianco come un cencio. Ha bisogno di riposo. Doug gli prepara un giaciglio e lo fa stendere.

      - Come ti chiami?

      - Patrick. E tu?

      - Doug.

Doug gli toglie la camicia per controllare la ferita. Tutto a posto, la benda è sporca di sangue, ma è sangue secco, ormai.

Il ragazzo chiude gli occhi e si addormenta quasi subito. Doug lo guarda.

      Ormai è giorno e può vederlo bene. È davvero molto giovane, con i capelli cortissimi e la barba pure corta. Ma è piuttosto villoso. Un piccolo orso, come piacciono a Doug. Gli appoggia la camicia sul torace. Altro non serve, il freddo della notte è passato.

      Doug si siede. È stanco, ma preferisce non dormire. Riposerà questa notte, quando sarà sicuro che non ci sono pericoli.

      Riflette sulla situazione. I quattro sono morti. Ci può essere qualcun altro? Difficile che i banditi ne abbiano parlato in giro, il tesoro della missione fa gola a troppe persone. Comunque è meglio essere prudenti. E Patrick? Chi è? Perché era alla missione? Meno male che c’era, perché altrimenti Doug non sarebbe più vivo. Ma chi è? È giovanissimo.

      Adesso Doug deve occuparsi di lui, finché è guarito: la pallottola se l’è beccata per salvarlo. Poi… poi lo dovrà pur ricompensare, con una parte del tesoro. Ma di certo non gli dirà che lui sa dov’è nascosto. E intanto, che cosa racconterà a Patrick, del perché quei quattro lo stavano torturando?

      Doug ha tutto il tempo per riflettere.

      Patrick si sveglia alcune ore dopo. Ha la febbre. Doug incomincia a preoccuparsi. Gli dà da mangiare e da bere, ma il ragazzo fa fatica a stare seduto.

      Doug toglie le bende, ma la ferita sembra a posto, non c’è traccia di infezione. Doug pulisce bene e cambia la benda.

      Patrick passa la giornata dormicchiando, svegliandosi ogni tanto. È perfettamente lucido, ma ogni volta cede rapidamente al sonno. Doug lascia due volte il loro accampamento per salire sulla cresta, da cui si vede la valle e, in lontananza, la strada che porta alla missione. Tutto è tranquillo, non si vede nessuno.

      La sera Doug è esausto. Dà da mangiare a Patrick, poi si stende accanto a lui e si addormenta.

      Il sole fa già capolino oltre la collina, quando Doug si sveglia. Patrick è in piedi ed ha raccolto la legna per accendere un fuoco.

      Doug sorride.

      - Come stai?

      - Direi bene. Mi sento un po’ debole e il braccio mi fa male se cerco di muoverlo, ma niente di particolare.

      Doug prepara la colazione e mentre il caffè si riscalda, parla un po’ con Patrick.

      - Mi hai salvato la vita. Senza di te a quest’ora sarei morto. Ed anche male.

      - Ho capito che volevano ammazzarti. Ma che gli avevi fatto?

      Doug si è preparato la storia da raccontare.

      - Hai mai sentito parlare del tesoro della missione?

      - E chi non ne ha sentito parlare? Tutti sono convinti che da qualche parte alla missione sia sepolto oro per ottantamila dollari.

      - Credo che non sia una leggenda, Patrick.

      - Non mi dire che l’hai trovato!

      Doug scuote la testa.

      - Magari! Sono passato di qui una settimana fa ed ho visto un vecchio che stava morendo. Mi ha detto che era venuto qui per il tesoro. Mi ha fatto vedere che aveva trovato delle monete, ma non mi ha spiegato dove. È crepato senza dirmi niente. Io l’ho sepolto e sono andato a vendere le monete, con l’idea di tornare a cercare il tesoro, anche se l’hanno fatto in migliaia prima di me, senza risultati. Ma il vecchio c’era riuscito.  

      Patrick lo guarda, senza dire niente. Doug non sa se è stato convincente, ma non ha importanza. Conclude la storia.

      - Quei quattro sapevano delle monete, erano sicuri che avevo trovato il tesoro. E se non arrivavi tu, mi facevano secco, dopo avermi cotto a fuoco lento… Se trovo il tesoro, te ne do una parte.

      Patrick scuote la testa.

      - Quel tesoro l’hanno cercato in centinaia, migliaia. Come pensi di trovarlo tu?

      - Il vecchio l’ha trovato. Se no, come spieghi quelle monete?

      Patrick alza le spalle. È Doug a riprendere.

      - Meno male che eri alla missione, l’altra notte.     

      Doug non ha fatto una domanda diretta. Se Patrick vuole dirgli perché era lì, bene; altrimenti farà a meno di saperlo. Patrick risponde.

      - Andavo verso Escondido, ma ho visto quei quattro che facevano la mia stessa strada. Non mi andava che mi raggiungessero, non sapevo chi erano, da queste parti girano tipi da cui è meglio stare alla larga. Ho preferito lasciare la strada e mi sono fermato fuori dalla missione. Loro sono arrivati, hanno nascosto i cavalli e si sono infilati nella chiesa. Era chiaro che stavano aspettando qualcuno, da cui non volevano farsi vedere. Allora ho deciso di rimanere, per capire che cosa succedeva.

      - È stata un’ottima decisione. Per me almeno, tu ti sei beccato una pallottola.

      Quando hanno finito la colazione, Patrick chiede a Doug che cosa intende fare.

      - Voglio lasciar passare qualche giorno, prima di scendere di nuovo alla missione per mettermi alla ricerca. Non vorrei che qualcun altro avesse avuto la stessa idea di quei quattro. E non tutti i giorni c’è un Patrick che mi tira fuori dai guai.       

- Con la sinistra per un po’ non posso sparare, mi sa. Ma non sono mancino, per cui non è un grande problema.

Doug sorride ironico:

- Sì, ho visto che te la cavi abbastanza. Adesso però fammi vedere la ferita.   

      Patrick si toglie la camicia, rimanendo seduto. Doug si avvicina a lui e intanto lo guarda e si dice che è proprio un bel ragazzo.

      Doug si accovaccia per esaminare la ferita, che sembra essere a posto. Quando solleva lo sguardo, vede il viso di Patrick a una spanna dal suo. Prova l’impulso di baciarlo, ma si trattiene. Il ragazzo magari gli spara, se si avvicina troppo. Ma nello sguardo di Patrick c’è qualche cosa di indefinibile e per un momento rimangono così, a fissarsi negli occhi. A Doug sembra incredibile che possa accadere, ma sta succedendo.

      Patrick sorride, solleva il braccio destro, passa la mano dietro la nuca di Doug ed appoggia la schiena a terra, guidandolo a stendersi su di lui.

      Doug fa attenzione a non fare pressione sul braccio ferito. Le sue mani accarezzano il viso di Patrick e le sue labbra cercano la bocca del ragazzo.

      Di rado Doug bacia. Non è raro che scopi, spesso qualche giovane mandriano gli si offre, ma sono rapporti consumati in fretta, più per soddisfare un bisogno che per una reale attrazione fisica, almeno da parte di Doug.

      Doug non conosce Patrick, non sa nulla di lui, ma il giovane gli piace ed ha voglia di baciarlo. Il ragazzo non si ritrae e la sensazione è piacevole. Le grossa dita di Doug stuzzicano la guancia di Patrick, gli accarezzano i capelli corti, la barba che incornicia il viso.

      Doug si stacca, guarda Patrick e si mette a sedere di fianco a lui. Sorridendo gli toglie gli stivali, poi gli abbassa i pantaloni e le mutande. Poi lo fissa di nuovo. Passa la mano, piano, dal torace al ventre, accarezzando la peluria fitta.

      - Sei bellissimo, un bellissimo orsetto.

      Patrick ride e gli dice:

      - Spogliati, voglio vederti!

      Doug sorride, si alza e si toglie la camicia, scoprendo l’ampio torace peloso. Poi si toglie gli stivali e ben presto è nudo davanti a Patrick. È leggermente imbarazzato.

      - Tu sei un bell’orso...

      Doug sa benissimo di non essere bello, ma le parole di Patrick gli fanno comunque piacere. Patrick sorride ed aggiunge:

      - … e hai uno splendido cazzo.

Doug sorride. Le sue parti basse sono sempre apprezzate dagli estimatori, in effetti. Si china sul ragazzo, poi si stende su di lui e nuovamente lo bacia.

      La sensazione della pelle calda di Doug contro la sua gli toglie il fiato. L’arma si sta mettendo rapidamente in posizione di tiro.

      Doug solleva un po’ il torace, accarezza il petto di Patrick. C’è una tenerezza nuova, in lui, con cui non sa bene fare i conti. E allora, per scacciarla, dice brutalmente:

      - Visto che il mio cazzo ti piace, lo preferisci in bocca o in culo?

      Patrick sorride di nuovo:

      - Devo proprio scegliere? Non posso averlo in tutti e due i modi?

      Doug ride e di nuovo bacia Patrick. La tenerezza riemerge, le parole brutali che ha pronunciato non l’hanno dissolta.

      - Puoi averlo in tutti i modi che vuoi, orsetto…

      - Va bene, allora fammelo assaggiare un po’. Alzati.

      Doug si alza e divarica leggermente le gambe. Patrick si mette in ginocchio davanti a lui. Alza il braccio destro e la mano percorre il corpo di Doug, dal torace fino al ventre, ma quando giunge all’arma, ormai in posizione di tiro, scivola su un lato e scende lungo una gamba. Poi passa dietro e prende a risalire, accarezzando un polpaccio. Raggiunge una coscia, fino a fermarsi sul culo e a stringere con forza.

      Per Doug, quella mano che lo accarezza è una sensazione nuova: i rapporti che ha abitualmente non lasciano molto spazio a carezze o baci. Ma con Patrick tutto sembra subito entrato in una dimensione diversa.

      Patrick sta fissando l’asta di Doug, maestosa e svettante come una sequoia. Patrick avvicina la bocca e la lingua si sporge, fino a toccare la base dell’arma. Poi, con estrema lentezza, risale. Indugia, scivolando un po’ su un lato e sull’altro, poi riprende il suo movimento ascensionale. È una carezza umida, che per un attimo fa chiudere gli occhi a Doug. Il ragazzo ci sa fare, cazzo, se ci sa fare! Gli altri aprono il culo o la bocca e se lo prendono dentro, ma questo, questo è un’altra cosa.

      E di nuovo, assurda in questo momento in cui tutto il suo corpo brucia di un desiderio violento, riemerge la tenerezza. Doug accarezza i capelli di Patrick e il ragazzo alza lo sguardo e gli sorride. Poi riprende il suo lavoro e la lingua infine raggiunge la cappella. Doug sussulta a quel contatto e nuovamente abbassa le palpebre. Poi le solleva un po’, appena appena, e attraverso il velo delle ciglia guarda il ragazzo che gli sta lavorando la cappella con maestria, come certamente nessuno ha mai saputo fare fino ad ora.

      La mano di Doug scende dai capelli alla nuca di Patrick, le sue dita percorrono lievi il collo. Intanto Patrick si è sollevato un po’ sulle ginocchia ed ha avvicinato le labbra alla cappella. Le appoggia appena, quasi un bacio che fa fremere Doug, poi ritorna a percorrere la strada che ha seguito, scendendo con delicatezza. Ma questa volta sono le labbra ad accarezzare e avvolgere. Ogni tanto la lingua fa la sua comparsa.

      Le labbra di Patrick scendono in basso, fino ai grandi coglioni e allora la lingua si insinua nel solco, poi la bocca si apre per avvolgerli, prima uno, poi l’altro.

      Doug ha la sensazione di sprofondare nelle sabbie mobili di un piacere che lo risucchia e lo svuota di ogni energia. Una mano è sulla spalla di Patrick, l’altra gli accarezza stancamente la testa.

      Ora la bocca di Patrick sale nuovamente, i denti stringono il palo di carne, ma è un morso lieve, che fa sussultare Doug. Un secondo morso e poi la bocca giunge alla cappella e questa volta la inghiotte tutta, costringendo l’arma ad abbassare un po’ la testa. Doug non vede più nulla, tutto il suo corpo è soltanto la cassa armonica di una corda di violino che Patrick suona con maestria.

      La bocca di Patrick è un nido accogliente, in cui il grande uccello di Doug entra festoso, e mulinelli di piacere trascinano Doug verso il fondo. La lingua, le labbra, i denti, Doug non è più in grado di distinguere nulla, nel vortice che dopo averlo sommerso ora lo fa riemergere, in un’onda di piacere che percorre tutto il suo corpo e gli strappa un gemito.

      Patrick ha bevuto, fino all’ultima goccia. La sua lingua ancora accarezza la cappella e Doug freme. Arretra il culo, ora quella carezza umida è troppo forte. Con la mano accarezza ancora la testa del ragazzo. Gli sorride. Patrick lo guarda e sorride anche lui.

      - Ci sai fare, cazzo, se ci sai fare!

      Doug guarda il corpo di Patrick. L’attrezzo è teso e pronto per l’uso. Doug si china su di lui, gli poggia le mani ai lati del torace e lo solleva. Quando Patrick è in piedi, lo bacia di nuovo sulla bocca, poi la sua mano scivola sotto i coglioni, li strizza dolcemente e infine afferra con decisione l’asta robusta. Il ragazzo apre la bocca, come se gli mancasse il respiro. Doug lo stringe a sé e lo bacia, infilandogli la lingua tra le labbra. È bello rimanere così, i loro corpi stretti l’uno all’altro.

      La mano di Doug scorre sull’arma del ragazzo. È una carezza ruvida, che strappa a Patrick un gemito. E poi il getto si spande sul ventre di Patrick e su quello di Doug. Ed è una bella sensazione.

      Doug spinge delicatamente Patrick a terra. Ha voglia di stendersi su di lui, di abbracciarlo, di baciarlo. Hanno goduto entrambi, ma la tenerezza che si sta svegliando dentro di lui non è ancora sazia. Sulla coperta, Doug incomincia a baciare le labbra di Patrick, poi gli occhi, le guance (e qui ci scappa anche un morso). E poi la sua bocca scende, Doug sta baciando il collo di Patrick, un capezzolo (un altro morso, leggero), l’altro, e la bocca scende ancora, baciando il torace, il ventre. Ora Doug guarda la picca del ragazzo, ancora gagliarda, le tracce del seme sul glande e sul ventre. Doug si dice che è proprio un bel cazzo e le sue labbra si appoggiano sulla cappella. Doug si chiede che sta facendo. La risposta è semplice: sta baciando un cazzo, per la prima volta nella sua vita, e gli piace, gli piace un casino. Ci scappa anche un piccolo morso, non sulla cappella, ma sull’asta. E poi Doug si stende su Patrick e sussurra:

      - Il mio orsetto.

 

      Il giorno dopo, finita la colazione, Doug dice che è ora di esaminare la ferita. Aiuta Patrick a togliersi la camicia, poi, senza dire nulla, gli sfila tutti gli abiti. Quando Patrick è nudo, Doug lo guarda un po’, poi toglie la benda e controlla la ferita. Sembra tutto a posto. Allora Doug si spoglia e le sue dita scendono dal braccio fino alla mano e poi scivolano sulla gamba e risalgono, fino a raggiungere l’asta del ragazzo. I polpastrelli la accarezzano, stuzzicano un po’ i coglioni, poi Doug si stende su Patrick e lo bacia sulla bocca.

      - Oggi vediamo l’ingresso posteriore?

      Patrick sorride:

      - Certo! Ma vacci piano.

      Doug non vuole far male a Patrick, si muoverà con cautela, anche se il desiderio già brucia e la sua arma si tende.

      Doug si solleva per voltare Patrick, ma questi si girà da sé, con un movimento rapido. Ed allora Doug guarda la schiena ed il culo del ragazzo ed il fiato gli manca. Gli sembra di non aver visto mai niente di più bello di quelle due natiche strette, coperte da una leggera peluria scura. Le sue dita scorrono leggere, raggiungono il solco e vi passano. È profonda e lussureggiante questa valle segreta e nasconde nel cuore una caverna che attende un visitatore.

      Il visitatore è perfettamente pronto, ma Doug vuole far durare il piacere dell’attesa. Avvicina la bocca al culo e morde, con forza. Patrick emette un piccolo gemito. Doug ripete l’operazione, più volte, ora più dolcemente, ora con maggior vigore, mentre il culo del ragazzo si copre di una serie di segni rossi che rapidamente scompaiono.

      Le dita ritornano sul solco, raggiungono l’apertura, la solleticano un po’. Doug è talmente eccitato che si chiede se non verrà al primo contatto. Si mette in ginocchio a cavalcioni sulle gambe di Patrick, abbassa la testa e si inumidisce le dita con la saliva. Poi la sparge, in modo da inumidire bene il buco che sta per forzare. Si sputa sulla mano e lubrifica il proprio attrezzo. Lo guarda. Gli sembra bellissimo ed il pensiero lo fa sorridere. Non si è mai guardato così, ma ora gli pare che il cazzo grosso e turgido, teso verso l’alto, sia davvero da ammirare.

      Si appoggia sulle mani e muovendo il culo avanza l’arma verso l’apertura. Preme, costringendola a dilatarsi per accogliere l’intruso possente, che si fa strada con infinita lentezza. Doug si ferma, per lasciare a Patrick il tempo di abituarsi. E poi riprende ad avanzare, senza fretta, verso una meta che è sicuro di raggiungere. Il corpo di Patrick vibra e il gemito che gli sfugge è di piacere puro.

      Infine Doug è entrato per intero in Patrick, il suo ventre preme contro il culo del ragazzo. Doug assapora il piacere intensissimo.

      - Pronto, orsetto?

      Patrick annuisce e Doug incomincia la cavalcata. Arretra fin quasi a estrarre il cazzo e poi lo spinge in avanti, sempre lentamente. Ripete il movimento più volte e le spinte diventano più vigorose. Patrick geme, forte, più e più volte, a ogni spinta di Doug.

      Doug accelera il ritmo, senza più frenarsi, squassando il corpo che sente sotto di sé. Il piacere si attorciglia nel suo ventre, preme dentro di lui, per uscire. E infine Doug sente che il fiato gli manca e dentro di lui qualche cosa si scioglie nel getto di seme che riempie le viscere di Patrick.

      Il grido di Patrick gli dice che il ragazzo è venuto insieme a lui.

 

      Da allora ogni mattina Doug controlla la ferita e l’esame si conclude sempre con i loro due corpi abbracciati sulla coperta. Un giorno Doug si spinge fino al paese più vicino a prendere provviste, due volte raggiunge la collina che domina San Pedro e rimane qualche ora, per controllare la situazione, ma non vede anima viva. Ogni tanto va a caccia, per rifornirsi di carne. E spesso rimangono abbracciati e a Doug sembra di non essere mai stato così bene. Non si preoccupa del tesoro. Lascia che il tempo passi, si dice che più tardi andrà a recuperare il tesoro, meno rischi correrà di incontrare qualcuno. Fosse per lui, vivrebbe tutto il tempo così.

      Passano tre settimane. La ferita di Patrick è in via di guarigione. Tiene ancora il braccio fasciato e lo deve muovere con cautela, ma può servirsene, evitando solo gli sforzi e i movimenti bruschi.

      Quel mattino, dopo colazione, Doug non propone di controllare la ferita, che ormai non è più bendata.

      - È ora che tu ti lavi decentemente. Puzzi come un maialino.

      - Senti chi parla!

      È vero, per tutti e due. Non è un’epoca in cui ci si lavi spesso e da quando si sono incontrati nessuno dei due si è fatto un bagno.

      - Scendiamo al torrente.

      - Va bene.

      Il torrente ha poca acqua, ma c’è una pozza più profonda, dove possono bagnarsi. Si spogliano tutti e due, sorridendo. Sanno benissimo che non si tratta solo di lavarsi. C’è il loro rituale del mattino. E in effetti quando si spogliano, nessuno dei due è in posizione di riposo: Patrick ha l’arma in tiro, perfettamente tesa e gonfia di sangue. Quella di Doug si protende in avanti, non ha ancora raggiunto le sue dimensioni massime, ma è già sulla strada.

      Sorridono, guardandosi, poi Doug entra in acqua. Patrick lo segue e quando sono tutti e due con l’acqua fino alla vita, incominciano a spruzzarsi. Si immergono completamente, riemergono, giocano ancora con l’acqua. Il freddo del torrente spegne la loro eccitazione, ma è solo un rinvio, lo sanno tutti e due.

      Escono e raggiungono una radura dove i raggi del sole riescono a filtrare tra gli alberi. Patrick si inginocchia dietro Doug e incomincia a mordicchiargli il culo, poi la sua lingua scorre lungo il solco. È la prima volta che a Doug succede. Ed è una sensazione formidabile. Doug chiude gli occhi. La lingua continua il suo lavoro e l’uccello di Doug si libra immediatamente in volo. È bellissimo sentire la lingua di Patrick indugiare sul buco del culo, accarezzare tutto il solco. A Doug sembra che potrebbe venire ora, senza altro contatto tra i loro corpi che la lingua di Patrick contro il buco e le mani che stringono (anche la sinistra sta recuperando forza) il suo culo.

      Patrick continua il suo lavoro e il mondo sembra ondeggiare, gli alberi si inclinano e poi ritornano diritti. Doug si volta di scatto e spinge Patrick a terra. In un attimo è su di lui. Gli morde il culo con forza, gli passa la lingua sul solco, inumidisce il buco. Non è più in grado di resistere, non c’è spazio per nulla se non per il desiderio che lo travolge. Doug preme contro l’apertura che tante volte ha violato in queste settimane. Entrando indugia un attimo, quanto gli permette il desiderio che deborda, e poi spinge, entrando fino in fondo. Patrick geme. Doug prende a spingere, con violenza e quasi subito viene. Anche Patrick viene, anche lui era sull’orlo.

 

      All’ora di pranzo Doug prepara il fuoco e guarda Patrick. Una decisione l’ha presa, da tempo. Ed è arrivato il momento di metterla in atto.

      - Patrick, ti ho raccontato un sacco di storie sul tesoro della missione.

      - Come sarebbe a dire?

      - Io l’ho trovato, Patrick. Il vecchio mi ha detto dov’era, prima di morire.

      Patrick ha alzato gli occhi e lo sta fissando.

      - Stai scherzando?

      - No. Ma non potevo dirtelo così, non sapevo niente di te. Adesso ascoltami, Patrick. Io e te torniamo a San Pedro e tiriamo fuori il tesoro, poi ce ne andiamo. Io vorrei comprarmi un piccolo ranch.

      - Un piccolo ranch? Dicono che il governatore Ramirez avesse ottantamila dollari in oro. Altro che un ranch! Puoi vivere il resto dei tuoi giorni spassandotela.

      Doug annuisce.

      - Non mi interessa, Patrick. Ho sempre lavorato e mi va bene così. Però questa volta con il mio bestiame. Comunque non è quello che conta. Patrick, dividiamo a metà il tesoro: mi hai salvato la vita ed è mio quanto tuo. Se vuoi venire con me, dopo, non chiedo di meglio. Altrimenti le nostre strade si separano.

      L’idea che Patrick se ne vada è angosciosa, ma Doug sa benissimo che non può trattenerlo.

      Patrick scuote la testa.

      - Metà del tesoro? Tu sei pazzo, Doug. È vero, ti ho salvato la vita, ma tu potevi mollarmi là. Mi hai curato…

      - Sarei stato un bel figlio di puttana, se me ne fossi andato!

      Patrick sorride.

      - Va bene, abbiamo tempo. Prima voglio vedere questo tesoro.

      Patrick non ha risposto. Per Doug è una piccola fitta. Deve rendersene conto: Patrick ha vent’anni, non può certo legarsi a un vecchio.

      Il giorno successivo ritornano verso San Pedro. Si fermano ad alcune miglia di distanza e raggiungono l’area soltanto la notte. Non scendono però alla missione, si accampano in alto, su una delle colline, da dove si può dominare il paese. All’alba si mettono di vedetta e fino al tramonto rimangono sempre sul fianco della collina, nascosti tra gli alberi, osservando i resti della missione. Non si vede nessuno. Doug è teso. Non solo perché tra poco recupereranno il tesoro, ma perché Patrick non gli ha detto nulla sulle sue intenzioni. E Doug ha paura. Continua a dirsi che Patrick non ha nemmeno la metà dei suoi anni, che non può aspettarsi che rimanga con lui. Ma il suo cuore la pensa in un altro modo.

      A sera scendono. C’è la luna ed è abbastanza luminoso per vedere la strada, anche se difficilmente qualcuno può scorgerli. È improbabile che ci sia qualcuno, sono passate alcune settimane da quando Doug ha venduto le monete. Se qualcun altro l’ha saputo ed è venuto alla missione o se qualche amico dei quattro ha deciso di controllare che fine hanno fatto, ormai se ne deve essere andato. Ma è meglio essere prudenti. Farsi fottere ora, con il tesoro a portata di mano, sarebbe imperdonabile.

      Sistemano i cavalli nella chiesa e poi scendono nella cripta. Il buio è completo. Rimangono un momento in ascolto, poi accendono una torcia ed entrano nel passaggio. Procedono con cautela fino a una nicchia: sulle pietre sono evidenti i segni dei picconi e delle pale che qualcuno ha usato alla ricerca di una camera segreta. Ma il passaggio è sulla parete opposta. Doug appoggia la sua torcia al muro, Patrick rimane indietro, con la pistola in pugno. Non l’ha mai lasciata. Meglio essere prudenti.

      Doug si china e toglie una pietra infissa verticalmente nel suolo: serve per bloccare l’ingresso segreto. Poi spinge un’altra pietra, più grande, e questa ruota su se stessa. Doug prende la torcia e si infila nello stretto passaggio. Come la prima volta, entra a fatica: è piuttosto grosso e il passaggio non è largo. È un cunicolo in cui si avanza con difficoltà e con la torcia in mano, non è facile.

      Per fortuna il cunicolo non è molto lungo e Doug sbuca nella camera. È molto bassa, tanto che Doug può appena mettersi in ginocchio. In un angolo ci sono gli scheletri dei due uomini che hanno scavato il cunicolo e portato il tesoro, per essere poi ammazzati dal governatore. Sul lato opposto la cassa del tesoro. Doug l’ha forzata la volta scorsa. Adesso la apre e tira fuori i sacchi, uno dopo l’altro.

      Poi ne prende due e li trascina lungo il cunicolo fino al corridoio. La torcia è rimasta dentro la stanza e nel corridoio l’oscurità è quasi completa, anche se un po’ di luce giunge dal cunicolo.

      - Tutto a posto?

      - Sì, tutto a posto. Qui ci sono i primi due sacchi.

      Entrambi parlano a voce bassissima.

      Ci vogliono diversi viaggi per portare nel corridoio tutti i sacchi. Patrick è sempre lì, la pistola in pugno, ma non c’è segno di altre presenze.

      Doug infine conclude il suo lavoro. Chiude la cassa del tesoro e striscia con gli ultimi sacchetti.

      - Con questi ho finito. Torno a prendere la torcia.

      Doug rientra nella camera e mentre afferra la fiaccola, un pensiero lo assale. Tutto il tesoro è nel corridoio, lui è dentro la camera. Se Patrick facesse girare la pietra e la bloccasse, potrebbe tenersi il tesoro e Doug rimarrebbe lì dentro, a morire di sete o di mancanza d’aria. Doug rabbrividisce. Conosce appena Patrick, ma non è possibile. Perché non lo è? In fondo Patrick ha ucciso i primi due banditi a sangue freddo. Doug sta sudando ancora più di prima, mentre avanza per il cunicolo. Ma al fondo non c’è la pietra, il passaggio è libero. Certo, Patrick potrebbe ucciderlo ora.

      Patrick è vicino all’ingresso. Lo aiuta ad alzarsi e gli sorride.

      - Sei tutto sudato.

      - Cazzo, avrei voluto vedere te. Saresti dovuto andare tu, invece di far faticare me che sono vecchio.

      Patrick sorride. Erano d’accordo così, Patrick sa sparare molto meglio, era sensato che rimanesse lui di guardia.

      Patrick sale nella chiesa, poi fa un fischio a Doug, che incomincia a portare i sacchi. Gli tocca fare tutto il lavoro, ma adesso, senza dover strisciare, è molto più facile.

      Finalmente il tesoro è tutto nella chiesa. Lo caricano sui cavalli ed escono. Guidano i cavalli tenendoli per mano, tutti e due con la pistola in pugno, finché non sono fuori da San Pedro. Poi si lanciano al galoppo e si allontanano dalla missione.

      Si fermano soltanto due ore dopo e si accampano lontano dalla pista. Patrick è nervoso. Neanche Doug si sente tanto tranquillo. Girare con forse ottantamila dollari in oro non è proprio salutare. Patrick gli dice:

      - Preferisco stare un po’ di guardia. Tu mettiti a dormire.

      Doug annuisce. Si avvicina a Patrick, che può appena scorgere, e lo bacia sulla bocca. Patrick lo stringe con forza e il loro bacio diventa appassionato. Doug sente l’eccitazione avvolgerlo, ma Patrick si stacca.

      - Non ora, Doug. Adesso dobbiamo pensare all’oro.

      Doug si stende. Patrick non ha detto nulla delle sue intenzioni, non si sono quasi parlati. Adesso è ora di dormire.

      - Chiamami quando vuoi il cambio.

      - Tu dormi e non ti preoccupare.

      Doug si addormenta quasi subito. Sogna il tesoro. E Patrick.

 

      Doug si sveglia di soprassalto. Patrick sta trafficando con i cavalli. Doug apre la bocca per chiedergli che sta facendo, ma la richiude senza dire una parola. Socchiude gli occhi e finge di essere ancora addormentato.

      Ha capito benissimo che cosa sta facendo Patrick e gli sembra di essere stato morso da un serpente a sonagli. Patrick se ne sta andando con il tesoro.

      Patrick guarda verso di lui. Doug spera che prenda la pistola e gli spari. Preferirebbe crepare. Cento volte. Mille volte. Ma Patrick ha finito di legare i cavalli e incomincia a muoversi. Per un attimo Doug pensa di tirar fuori la pistola e di minacciarlo. Per farsi sparare, nient’altro, non certo per colpirlo: non potrebbe mai fare del male a Patrick.

      Patrick scompare con i cavalli oltre gli alberi. Doug guarda il cielo stellato. La luna è tramontata ed ha lasciato una marea di stelle. Ognuno di quei punti luminosi sembra a Doug una lama che lo trapassa. Un’angoscia terribile lo invade, quale non ha mai provato. Non per l’oro, non gliene fotte un cazzo. Ma senza Patrick gli sembra di non poter più vivere.

      Ha conosciuto la felicità. È stato qualche cosa di inebriante, non pensava che esistesse niente del genere. Patrick al suo fianco e la prospettiva di finirla con una vita di stenti. Che cosa avrebbe potuto chiedere di più? È durata poco la felicità.

      Troppi soldi, una tentazione per chiunque. Che motivo aveva Patrick di rimanere con un vecchio? Patrick ha la metà dei suoi anni. Ha la vita davanti. Una vita di ricchezza. Perché dividerla con un vecchio? È già andata bene che non l’abbia ammazzato. Anche se Doug vorrebbe essere morto.

      È stata tutta una menzogna, per ingannarlo? Sì, probabilmente sì. Certamente sì. Doug chiude gli occhi, sopraffatto dalla sofferenza. Rivede Patrick, ferito. Patrick che gli sorride. Patrick che gli passa una mano sul torace. Il corpo di Patrick, il culo di Patrick. Il sorriso di Patrick. I suoi pensieri si intrufolano in ogni angolo del corpo di Patrick, indugiano, accarezzano. È una tortura feroce, che lascia Doug stremato ed infelice.

 

      È l’alba. Doug si alza. Non ha più chiuso occhio e non gliene importa. Vicino al suo cavallo, l’unico che è rimasto, c’è un sacchetto. Doug lo apre. È pieno di monete. Patrick gli ha lasciato di che cambiare vita. Ma anche di questo, a Doug non gliene fotte un cazzo.

     Doug accende il fuoco. Si prepara un po’ di caffè. Ogni movimento gli costa fatica. Vorrebbe non fare nulla. Rimanere disteso tutto il giorno a guardare il cielo e a frugare nei ricordi. Perché la sua vita con Patrick è già solo più una manciata di ricordi.

      Prende la tazza tra le mani. Guarda il vapore che sale. Non si decide a bere. Non ha voglia di bere. Non ha voglia di fare nulla. Non ha voglia di vivere.

      C’è un rumore, sembra… Doug rimane in ascolto, con il fiato sospeso. Sì, non si è sbagliato: sono cavalli, stanno avvicinandosi.

      Doug sente che il cuore accelera i battiti. Guarda nella direzione da cui proviene il rumore.

      Patrick appare sul suo sauro, con gli altri cavalli legati dietro.

      Doug non dice niente, non è in grado di parlare. Abbassa gli occhi sulla tazza e lentamente la porta alla bocca.

      Patrick si avvicina. Si ferma. Scende da cavallo e lega l’animale all’albero.

      Si dirige verso il fuoco. Doug non si è alzato. Ha finito di bere il caffè e fissa la tazza vuota che stringe tra le mani.

      - C’è una tazza di caffè anche per me?

      Doug non lo guarda, non ci riesce. Continua a guardare la tazza e dice:

      - Dipende da quanto paghi.

      - Diciamo un quarantamila dollari in oro?

      - Va bene, ti do una tazza di caffè.

      Doug si allunga per prendere la seconda tazza. Meno male che non deve alzarsi: ha l’impressione che le gambe non lo reggerebbero. La riempie e la porge a Patrick, senza guardarlo.

      Patrick sorseggia il caffè bollente in silenzio. Poi rimangono tutti e due davanti al fuoco, muti.

      È di nuovo Patrick a parlare:

      - Dopo la colazione, c’è la scopata. Oggi ti va di mettermelo in culo?

      Doug continua a non alzare gli occhi.

      - Dipende da quanto paghi. Oggi è a pagamento.

      - Altri quarantamila dollari in oro, un po’ di meno.

      - Per quarantamila dollari si può fare. Spogliati.

      Doug si versa ancora un po’ di caffè, l’ultimo rimasto e lo beve. Solo quando ha finito guarda Patrick, che sta finendo di spogliarsi.

      Patrick non sorride. Si stende a pancia in giù sulla coperta su cui ha dormito Doug, allarga un po’ le gambe e rimane in attesa.

      Doug sa che ora deve alzarsi, ma non è facile. Posa la tazza. Si toglie la camicia, poi si alza e finisce di spogliarsi. Non guarda dalla parte di Patrick: ha l’impressione che se lo guardasse non riuscirebbe più a muoversi.

      Solo quando ha finito si volta verso il ragazzo. Ha il più bel culo che Doug abbia mai visto, davvero. Doug si inginocchia tra le gambe aperte e stringe le natiche a piene mani. Poi si china in avanti e morde, una, due, tre volte. Affonda i denti in quella carne calda ed è una sensazione inebriante. Solo adesso si dice che Patrick è tornato, è davvero tornato. E una felicità delirante lo invade.

      Si stende su Patrick. Gli morde una spalla. Gli morde la nuca. Gli passa le braccia intorno al corpo. Vorrebbe urlargli la tenerezza che prova, ma qualche cosa ancora lo frena. Non lo chiama orsetto.

      Gli passa una mano tra i capelli, con l’altra gli pizzica il culo. Poi si solleva di nuovo sulle ginocchia, fa colare un po’ di saliva sull’apertura e la lubrifica. Ride e ripete:

      - Per quarantamila dollari si può fare.

      Preme sulle natiche e avanza la sua arma formidabile, tesa e gonfia di sangue. Ha pensato che non avrebbe mai più posseduto quel culo.

      Entra lentamente, ma senza fermarsi. Penetra fino in fondo. Poi passa nuovamente le braccia intorno al corpo di Patrick e si ferma. Chiude gli occhi. Non esiste nulla di più bello al mondo. Non ha mai avuto niente di più bello, non l’avrà mai.

      Il cuore di Doug è in festa, il suo corpo brucia. Doug vorrebbe rimanere per sempre così, il cazzo ben piantato nel culo di Patrick. Ma il desiderio preme e allora Doug incomincia ad arare il campo. Lavora con cura, senza interrompersi: Doug ci sa fare e il suo vomere scava in profondità, inarrestabile. Avanza e arretra, preparando il terreno ad accogliere il seme. Un gemito sfugge a Patrick e gli dice che sta facendo un buon lavoro, d’altronde Doug non è uno che batte la fiacca.

      Procede con un ritmo tranquillo, un trotto: per lanciarsi al galoppo c’è ancora tempo, prima bisogna lavorare con cura. L’arma scava, dilata, spinge e Patrick geme di nuovo, più forte. Doug imprime al movimento un’accelerazione: non è ancora un galoppo, ma un trotto sostenuto, a cui risponde il movimento del culo di Patrick. Le spinte di Doug strappano nuovi gemiti e le mani di Doug accarezzano la testa del ragazzo, gli tirano i capelli, scivolano sul collo, mentre il movimento continua instancabile.

      E poi Doug sente che è il momento di lanciarsi al galoppo. Lo sperone prende a lavorare frenetico e Patrick geme senza ritegno, mentre l’arma lo squassa, in spinte poderose, che lo annichiliscono.

      La cavalcata è convulsa, ora, e infine il piacere li scaglia entrambi in alto, mentre il seme di Doug si sparge sul terreno lavorato in profondità e quello di Patrick sulla coperta.

      Due ultime spinte, poi Doug si affloscia sul corpo di Patrick, accarezzandogli la testa. Chiude gli occhi e la parola gli sfugge. L’ha trattenuta fino ad ora, ma ormai non può più rimanere chiusa tra le labbra.

      - Il mio orsetto.

      E la parola di Doug ne risveglia altre in Patrick, che incomincia a raccontare:

      - Ero nella stessa locanda di quei quattro, nella camera di fianco alla loro. Li avevo sentiti mentre parlavano e conoscevo i loro piani: volevano costringerti a rivelare dov’era il tesoro e poi ucciderti. Mi ero detto che a quel gioco potevo partecipare anch’io. Li avevo seguiti. Pensavo di farli fuori e di prendermi il tesoro. Poi ho visto che volevano torturarti ed ho deciso di intervenire.

      Patrick smette di parlare. Doug continua ad accarezzargli la testa. È rimasto dentro di lui ed è bellissimo stare così.

      Patrick riprende:

      - Non pensavo che mi ferissero, sono molto rapido a sparare e poi io ero lontano dalla luce del fuoco, ma li avevo sottovalutati. Così tu mi hai curato e… ci siamo conosciuti.

      Il tono di Patrick cambia, diventa ironico:

      - Certo che se avessi saputo che avevi un cazzo così grosso e che eri tanto bravo a scopare, sarei stato in guardia, ma chi poteva sospettarlo?

      Doug emette solo un grugnito. Sa benissimo che per entrambi c’è altro, molto altro, nel loro rapporto.

      - Io contavo di prendermi tutto il tesoro, quando ti fossi deciso a tirarlo fuori, ma ogni giorno che passava diventava più difficile. Mi stavo attaccando a te. E tu mi hai detto che se non volevo rimanere con te, mi davi metà del tesoro. Cazzo, Doug, sono rimasto senza parole. Avrei dovuto capirlo allora, ma avevo ancora in testa l’idea di arraffare tutto il tesoro. Non volevo pensare ad altro. Mi disorientava.

      Patrick sospira e finalmente conclude.

      - Questa notte mi rendevo conto che stavo facendo una cazzata, ma sono andato avanti. Man mano che mi allontanavo, mi sentivo sempre peggio e alla fine ho capito che quello che volevo era altro. Mi è costato tutto quello che avevo, ma una tazza di caffè e Doug che me lo mette in culo, che altro mi serve nella vita?

      Doug stringe il corpo di Patrick e mormora:

      - Grazie per essere tornato, orsetto. Quel tesoro ci ha fatto incontrare e questo mi importa molto di più dell’oro. Ce lo dividiamo, come è giusto.

      - Io non ne voglio più sapere. Te lo tieni tu. Un piccolo ranch mi va benissimo, se mi prendi come stalliere. E mi fai da stallone.

      Doug ride. Gioca con una ciocca dei capelli di Patrick e gli dice:

      - Va bene, allora facciamo così: tu mi hai dato quarantamila dollari per fotterti. Le prossime volte pago io. Però scordati che te ne dia tanti così per una volta sola. Diciamo quaranta dollari a volta, anche se hai un bel culo, non pago di più. Poi, quando siamo arrivati a mille volte, mi paghi di nuovo tu, così ho i soldi per pagarti altre mille scopate. Che ne dici?

 

2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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