I demoni di Velikie Sorocintsy
a Nikolaj Gogol,
con molte scuse Nikolaj
Ivanovic studiava al seminario di Kiev e, come
tutti gli studenti poveri, alloggiava nel pensionato, la Bursa. Molti lo consideravano
un giovane devoto, perché, a differenza degli altri studenti, non era sempre
a caccia di gonnelle, non giocava, non si ubriacava. Nikolaj
sapeva benissimo di non essere un sant’uomo. Se non giocava e non si
ubriacava era soprattutto perché non aveva denaro e quanto alla sua supposta
castità, era piena di sogni sfrenati. Solo che in quei sogni non comparivano
le donne prosperose che vendevano sulle bancarelle al mercato e che spesso si
lasciavano sedurre dagli studenti, né le servette che rispondevano per le
rime a quei giovani, ma poi magari si lasciavano seguire fino alla casa del
padrone, né le eleganti fanciulle che percorrevano le vie di Kiev in
carrozza, scortate dai servitori, belle e irraggiungibili. I sogni di Nikolaj
erano popolati da uomini robusti e pelosi, con folte barbe e grandi mani e,
naturalmente, un’attrezzatura degna del loro aspetto vigoroso. Uomini come il
taglialegna Andrei, che portava alla Bursa la legna da ardere e che Nikolaj
non osava neppure guardare negli occhi. Nikolaj
nascondeva i suoi desideri, timoroso di diventare oggetto di scherno o,
ancora peggio, di essere scacciato dal seminario: i suoi genitori conducevano
una vita di stenti per pagargli gli studi, nella speranza che egli riuscisse
a sistemarsi come segretario presso qualche signore e li aiutasse a
provvedere ai fratelli più piccoli. Nikolaj si impegnava al massimo e ormai
mancavano solo alcuni mesi alla conclusione dei suoi studi. Il pensiero di
poter finalmente cercare un lavoro e contribuire a sostenere i suoi lo
aiutava a sopportare lo squallore della vita del seminario, le continue
privazioni, le umiliazioni che gli toccavano in quanto studente povero. Un
giorno di maggio Nikolaj fu chiamato dal rettore, un uomo anziano, ma
energico, che tutti temevano per la sua durezza. Nikolaj avrebbe volentieri
evitato di presentarsi, ma questo non era certo possibile. Il
rettore era seduto alla scrivania, occupato a leggere certi suoi documenti.
Alzò appena gli occhi dalle carte per lanciare un’occhiata a Nikolaj e
dirgli: -
A Velìkie Soròčintsy
il signore è in fin di vita. Ha chiesto che un seminarista vada
immediatamente nella sua residenza, per recitare le preghiere delle tre notti
di veglia. Andrai tu. Partirai oggi stesso. Forse il signore è già morto.
Viaggerai fino a Mirgorod sul carro di Cartkov, che ritorna in città. Parte tra poco, quindi
sbrigati. Un
ordine del rettore non poteva essere discusso: Nikolaj si rassegnò a partire
subito, anche se si sentiva oppresso da oscuri presentimenti e avrebbe volentieri
detto al rettore che non intendeva partire. Passò in cucina a farsi dare un
po’ di pane, per avere qualche cosa da mangiare durante la strada, e si
affrettò a raggiungere il cortile. Il
mercante Cartkov era già sul carro e quando vide
Nikolaj gli disse: -
Era ora che ti muovessi, sfaticato! -
Perdonate, signore, ma il rettore mi ha parlato solo ora. -
Avanti, sali, non farmi perdere altro tempo. Cartkov riforniva il seminario di vino e stava tornando a
casa, dopo aver consegnato un carico. Lo accompagnava un servo. Era un uomo
corpulento e avanti negli anni, rude, ma piuttosto gioviale. Nikolaj
salì sul carro e si avviarono. Cartkov, a cui
piaceva chiacchierare un po’, gli chiese: -
Allora, ragazzo, dove vai di bello? -
A Velìkie Soròčintsy.
Devo dire… Nikolaj
si interruppe, perché il servitore di Cartkov aveva
emesso un gemito. Cartkov si voltò verso l’uomo,
che viaggiava seduto sulle botti vuote, dietro di loro. -
E tu che hai, balordo? Il
servitore appariva molto agitato. -
A Velìkie Soròčintsy,
povero studente? Non mi dite che dovete pronunciare le preghiere alla veglia
funebre del signore. Nikolaj
sentì un brivido corrergli lungo la schiena. -
Sì, questo è il mio compito. Perché… La
domanda rimase in sospeso, perché l’uomo aveva nuovamente emesso un gemito,
più forte del primo. Cartkov si spazientì: -
E piantala di gemere, come se ti stessero bastonando. Tra un po’ ti faccio
assaggiare il frustino, così la smetti. -
Perdonate, padrone, ma questo povero giovane va a morte certa. Nikolaj
si sentì stringere il cuore e non riuscì a proferire parola. Fu Cartkov a interrogare il servo. -
Ma che dici, bestia? -
Già altre volte è successo. Il signore di Velìkie Soròčintsy muore, un seminarista va a dire le
preghiere, il mattino lo trovano morto e il signore è di nuovo vivo. Quello
si nutre dei vivi per continuare a vivere… -
Ma taci, disgraziato! Ti diverti a spaventare questo povero ragazzo
raccontando storie da vecchie comari? Vuoi davvero che ti faccia assaggiare
il frustino? -
No, padrone, è la verità, è la verità, già due seminaristi di Mirgorod sono finiti così, per questo si sono rivolti a
Kiev. Cartkov stava per replicare al servo, ma vide il pallore
sul volto di Nikolaj e ne ebbe pietà. -
Non ti spaventare, ragazzo. Questo qui beve troppo, si è bevuto anche il
cervello. Sono solo dicerie. Il
servo insistette: -
Quei due sono morti. Lo sanno tutti che il signore di Velìkie
Soròčintsy è in combutta con i demoni. Non
andare, ragazzo, scendi dal carro e torna al seminario. Non andare. L’angoscia
che vibrava nella voce del servo si trasmise a Nikolaj. Egli si voltò a
guardare Kiev, le cui cupole dorate scintillavano alla luce del sole, ed ebbe
il presentimento di partire per un viaggio da cui non sarebbe mai tornato.
Sarebbe subito sceso dal carro, ma sapeva che se fosse rientrato senza aver
assolto il suo compito, il rettore lo avrebbe sbattuto fuori dal seminario. E
che lavoro avrebbe potuto trovare uno studente povero, senza appoggi,
scacciato dal seminario per aver disubbidito al rettore? Cartkov, vedendo il pallore di Nikolaj, si arrabbiò
davvero e mollò una frustata al servo. -
Questo ti insegnerà a tenere la lingua a posto, balordo! Il
servo abbassò la testa e si morse le labbra. -
E dai, ragazzo, non sei mica più un bambino che se la fa addosso quando gli
parlano di orchi e streghe! Qualche cosa del genere l’ho sentito anch’io, ma
sono sciocchezze, chiacchiere di comari. Il
sapere che quelle voci erano giunte anche a Cartkov
aumentò lo smarrimento di Nikolaj, che chinò la testa. Si disse che Dio lo
stava punendo per i suoi pensieri impuri, ma non poteva tornare indietro,
perciò non gli rimaneva che affrontare la sua sorte. Durante
il viaggio Cartkov cercò di distrarre Nikolaj dai
pensieri neri che lo tormentavano. Gli piaceva quel bel ragazzo, che aveva
un’aria molto dolce. Era assai diverso da tanti altri seminaristi, che
pensavano solo alle donne, al vino e al gioco. Aveva un bel modo di fare,
rispettoso senza essere servile. Sicuramente le voci che circolavano sul
signore di Velìkie Soròčintsy
erano le solite leggende che le vecchie si raccontavano intorno al fuoco
nelle sere d’inverno. Verso mezzogiorno Cartkov si
fermò a un’osteria e offrì perfino il pranzo a Nikolaj: un atto di generosità
insolito in un mercante come lui, abituato a controllare ogni spesa. Quando
uscirono, in un momento in cui Nikolaj si era isolato per una sua necessità,
intimò al servo di non dire più una parola sull’argomento, altrimenti
l’avrebbe frustato a sangue. Il
viaggio proseguì lungo la strada e Cartkov si fece
raccontare da Nikolaj della sua famiglia e della vita del seminario. Rise
ascoltando le grandi battaglie che facevano per gioco gli studenti, provò
compassione per la miseria dei genitori di Nikolaj, si stupì di tutto ciò che
il giovane sapeva. Il ragazzo era davvero un giovane ammodo. Era
ormai pomeriggio sul tardi quando giunsero a Mirgorod.
Cartkov avrebbe volentieri ospitato il ragazzo a
casa sua, ma Nikolaj preferì continuare il viaggio: il rettore non gli
avrebbe mai perdonato un indugio lungo la strada. Il villaggio a cui era
diretto era ancora lontano, ma avrebbe proseguito a piedi fino a notte, poi
avrebbe cercato ospitalità presso qualche contadino. Il
servo era rimasto zitto per tutto il viaggio, ma quando Nikolaj si congedò,
gli disse: -
Che Dio ti protegga, ragazzo. Nikolaj
si avviò lungo una stradina che portava a Velìkie Soròčintsy. Nel pomeriggio i presentimenti oscuri
erano sembrati dissiparsi, ma con il calare del sole, mentre camminava lungo
la via deserta, essi ritornarono con forza. Le parole del vecchio risuonavano
in lui. Cercò di scrollarseli di dosso, ma non era facile. A
un bivio incontrò una coppia di contadini che tornava dal lavoro. Chiese
conferma della strada. Quando disse che si recava a Velìkie
Soròčintsy, la donna impallidì e si fece il
segno della croce. L’uomo le lanciò un’occhiataccia e indicò a Nikolaj un
sentiero che tagliava per i campi: -
Arriverai prima se prendi il sentiero, ma, per quanto ti affretti, la notte
arriverà prima di te. Nikolaj
ringraziò e si incamminò lungo il sentiero. Presto i campi di segale
lasciarono il posto a un terreno incolto, punteggiato di querce e noccioli.
Il cielo si stava rannuvolando e Nikolaj incominciò a temere che si mettesse
a piovere. Il sole doveva essere tramontato dietro le nubi e presto sarebbe
stato buio. Nikolaj decise che avrebbe camminato ancora un po’, poi, prima
che l’oscurità fosse completa, avrebbe bussato a una capanna per chiedere
ospitalità: a quel tempo era abbastanza comune offrire ai viandanti alloggio
per la notte. Il
sentiero però sembrava procedere tra terreni incolti e il buio stava
avvolgendo ogni cosa. Nikolaj si sentiva inquieto. Avrebbe potuto dormire
sulla nuda terra, ma se si fosse messo a piovere, si sarebbe bagnato come un
pulcino. Sbocconcellò il pane che aveva con sé e proseguì ancora un tratto. A
un certo punto si rese conto di aver perso il sentiero e decise che avrebbe
fatto meglio a fermarsi: con lo spuntare del giorno, avrebbe ritrovato la
strada o almeno la direzione da seguire. In
quel momento però un lampo illuminò il cielo e subito dopo un tuono risuonò,
tanto forte e tanto vicino, da far sobbalzare Nikolaj. Grosse gocce di
pioggia presero a scendere. Era meglio non fermarsi, ma proseguire ancora un tratto.
Magari una luce lontana l’avrebbe guidato verso una capanna. Avanzava
con cautela, perché la notte era sempre più buia. Si sentì sfiorare da
qualche cosa, sul viso. Sobbalzò. Di nuovo un’ombra nera gli passò davanti
agli occhi. Gli sembrava che i piedi sprofondassero nel terreno, che qualche
cosa di viscido gli si attaccasse alle gambe. Sentì il grido della civetta. Si
fermò, ma nuovamente qualche cosa gli sfiorò il viso. Cercò di controllare la
paura. Dovevano essere pipistrelli. Ora gli pareva che qualcuno gli
stringesse un braccio, che un animale si strusciasse contro la sua gamba. Non
erano solo impressioni, lo sapeva benissimo, le sensazioni erano troppo
precise. Si
fece il segno della croce e per un attimo non avvertì più nulla, ma poi nuovamente
sentì che le creature della notte lo assalivano. Si mise a correre, ma non
riuscì a liberarsi dalle presenze che lo accompagnavano. A un certo punto
cadde. Sentì un peso su di sé. Cercò di alzarsi. Non ci riuscì. Si liberò con
uno strattone e riprese a correre, preda ormai di un terrore cieco. Sentì
ululare un lupo, da qualche parte nel bosco. Mentre
correva, vide in lontananza un lume. Non sapeva se era un’allucinazione o
esisteva davvero, ma non aveva altra speranza. Accelerò la corsa, dirigendosi
verso quella luce. Per un momento gli parve che le creature che lo stavano
accompagnando si moltiplicassero e cercassero di frenare la sua corsa, poi
però esse svanirono, una a una e solo rimase la sensazione di qualche cosa
attaccato alla sua gamba, che non lo voleva mollare. Infine, quando fu più
vicino alla luce, anche quest’ultima sensazione svanì. Corse
ancora un momento, poi rallentò. Era in un bagno di sudore e il cuore batteva
all’impazzata. Si avvicinò ancora alla luce. Ora poteva intravedere la casa.
Cercò di calmarsi. Aveva sognato? Era stata solo la paura, destata dai
racconti del servitore? No, le sensazioni erano state troppo precise. La
pioggia, che sembrava essersi calmata (o che prima non aveva avvertito),
stava diventando più fitta. Aveva bisogno di un riparo, dagli elementi
naturali, dagli animali e da ciò che vagava in quella terra desolata durante
la notte. Percorse
rapidamente la stradina che portava alla capanna e sentì l’abbaiare dei cani.
Su un lato della casa vi era uno steccato e di lì provenivano i latrati. Nikolaj
bussò. Ci fu un momento di silenzio, poi Nikolaj sentì una voce profonda, che
diceva: -
Chi bussa? -
Sono Nikolaj Ivanovic, un seminarista di Kiev. Devo
andare a Velìkie Soròčintsy,
ma non conosco la strada. Piove, ho bisogno di un riparo. -
Aspetta. Poco
dopo la porta si aprì. Nikolaj poté vedere una figura massiccia, avvolta in
un mantello con un cappuccio, ma nulla di più. L’uomo aveva una lanterna
cieca, che proiettava la sua luce su Nikolaj, ma lasciava il resto
nell’oscurità. L’uomo
tenne la luce della lanterna su Nikolaj, poi si fece di lato e lo lasciò
entrare. Il
buio della stanza e l’ombra avvolta nel mantello non apparivano rassicuranti,
ma la voce che risuonò, per quanto forte, non era ostile: -
Siediti, hai bisogno di riposarti. Devi aver corso. Le creature della notte
si sono divertite a spaventarti. Nikolaj
annuì, contento di non dover spiegare. Il fascio di luce della lanterna
illuminava un tavolo e uno sgabello e Nikolaj si sedette, appoggiando la
schiena alla parete. In quel momento capì quanto fosse stanco. Chiuse gli
occhi e respirò a fondo. Ora si sentiva più tranquillo, per quanto l’ombra
che si muoveva nella stanza fosse inquietante. L’uomo
gli portò una brocca e delle gallette con formaggio. -
Mangia.
Nikolaj mangiò lentamente e bevve. Nella sua testa passavano mille
pensieri. Perché quell’uomo rimaneva nell’oscurità?
Quando Nikolaj ebbe finito, l’uomo gli disse:
- Così tu sei il seminarista che deve leggere le preghiere funebri per
il signore di Velìkie Soròčintsy. Non
era una domanda. Nikolaj si stupì: come poteva saperlo, quell’uomo? Lui aveva
detto qual era la sua meta, ma non il motivo del suo viaggio. Nikolaj
annuì. -
Il signore di Velìkie Soròčintsy
morirà a mezzanotte. E se tu raggiungerai il paese per la veglia funebre,
morirai alla mezzanotte di domani. Così il signore di Velìkie
Soròčintsy ritornerà a vivere. Nikolaj
ebbe l’impressione di aver sentito leggere la propria condanna a morte. Non chiese
spiegazioni, gli sembrava di sapere tutto quanto doveva sapere. Chinò la
testa e disse: -
Non posso non andare. Il rettore mi sbatterebbe fuori dal seminario. Non
potrei aiutare i miei genitori, che hanno bisogno di me… Nikolaj
non riuscì a continuare. Sentiva che se avesse detto anche una sola parola in
più, si sarebbe messo a piangere. -
Un seminarista morto non è di grande aiuto per nessuno. Nikolaj
non rispose. Che cosa avrebbe potuto dire? -
Sei deciso ad andare? Nikolaj
annuì. Una lacrima gli scese lungo la guancia. Sperò che l’uomo non se ne
accorgesse. -
Va bene, possiamo parlarne domani mattina. Adesso è bene che tu dorma e… In
quel momento si sentì un ululato lontano, a cui risposero molti altri e poi
mille rumori selvaggi, che a Nikolaj parvero grida animali e urla di mostri.
Rabbrividì. L’uomo
si alzò. La sua voce risuonò decisa. -
È mezzanotte. Il signore di Velìkie Soròčintsy è morto e i demoni di tutta la regione
lamentano la sua fine e annunciano il suo prossimo ritorno dal mondo
infernale. Nikolaj
impallidì. Ebbe un violento tremito, che non riuscì a controllare. L’uomo
fece un passo avanti e gli mise una mano sulla spalla. -
Calmati, ragazzo. C’è ancora tempo per impedire che questo si compia. Le
parole e il contatto fisico restituirono a Nikolaj un po’ di pace. Guardò la
mano che si era posata sulla sua spalla. Era una mano grande, robusta, con il
dorso coperto da una peluria scura. La mano di un uomo forte, che lo avrebbe
aiutato. Lo
avrebbe davvero aiutato? Perché aveva così tanta fiducia in quell’uomo di cui
non poteva neanche vedere il volto? Era un’ombra inquietante, eppure gli
pareva che fosse la sua unica speranza. Ma aveva forse altro a cui
aggrapparsi? L’uomo
rimase in silenzio un buon momento, poi riprese: -
Domani mattina ne parleremo. Ora hai bisogno di riposare. Sei stanco. Hai
camminato a lungo e i demoni della notte ti hanno tormentato. Nikolaj
annuì. -
Hai corso, sei sudato. Hai piacere di lavarti? -
Grazie. L’uomo
lo fece passare nella stanza accanto. Nikolaj vide una grande stufa, su cui
si trovavano due secchi d’acqua. L’uomo gli diede un tessuto per asciugarsi,
gli lasciò la lanterna e uscì. L’acqua era fredda, perché la stufa era
spenta, ma Nikolaj era abituato a lavarsi con acqua fredda anche in pieno
inverno e ormai si era in maggio. Si spogliò completamente e si lavò con
cura. Poi si rivestì. Mentre si lavava Nikolaj si domandava che cosa sarebbe
successo di lui. Aveva paura, una paura sempre più forte, che gli stringeva le
viscere.
Si era appena rivestito, quando l’uomo rientrò. -
Ho un solo letto, ma è ampio e puoi dormire al mio fianco. -
Va bene. Nikolaj
era un po’ turbato all’idea di dormire di fianco a quello sconosciuto di cui
aveva visto solo la mano. Perché l’uomo rimaneva nell’oscurità? Perché
portava un cappuccio che gli copriva il viso? L’uomo
passò oltre la stufa e Nikolaj poté vedere il letto. L’uomo poggiò la
lanterna su una cassapanca, in modo che la luce si proiettasse contro la
parete. Poi si spogliò, dando la schiena a Nikolaj. -
Sei pronto? -
Un attimo solo. Nikolaj
non si era spogliato. Non poteva vedere l’uomo, era solo una grande ombra
contro la debole luce che illuminava un lembo della parete, ma quando l’uomo si
era tolto il mantello aveva avvertito uno strano turbamento. Molto
rapidamente si tolse gli abiti e si stese nel letto. -
Sono pronto. L’uomo
spense la lanterna e nella stanza scese l’oscurità più completa. Nikolaj
non aveva mai difficoltà ad addormentarsi: non appena si stendeva a letto,
piombava in un sonno profondo, da cui era difficile destarlo. Ma quella sera
troppi pensieri gli impedivano di abbandonarsi al riposo. Nel buio
ritornavano le parole del servitore di Cartkov, il
segno della croce che aveva fatto la donna incontrata, le parole dello
sconosciuto che ora dormiva al suo fianco. L’angoscia lo opprimeva. Sarebbe
morto presto, era la sua ultima notte di vita. Pensò ai sacrifici dei suoi
genitori, ai suoi fratelli, alla desolazione della vita nel seminario. Per
che cosa era vissuto? Solo per subire umiliazioni e morire prima di aver
fatto qualche cosa di buono? Aveva sopportato la miseria della sua vita senza
soffrirne davvero, perché l’aveva sorretto la certezza di costruire un futuro
migliore per sé e per i suoi cari. Ma ora che sapeva di dover morire, una
disperazione infinita si impadroniva di lui.
E la presenza dell’uomo steso accanto a lui, di cui avvertiva il
calore e l’odore, suscitava altri pensieri, più torbidi e confusi. Sarebbe
morto senza neppure conoscere il piacere, senza aver abbracciato un corpo,
senza aver ricevuto un abbraccio.
Nikolaj scoppiò a piangere. Cercava di trattenere i singhiozzi, perché
l’uomo che dormiva al suo fianco non se ne accorgesse, ma non poteva fermare
le lacrime, che scendevano abbondanti. Sentì
che l’uomo si muoveva e una mano gli sfiorò il viso e poi si posò, con
leggerezza, sui suoi occhi. -
Non piangere, ragazzo. Puoi salvarti. L’uomo
gli accarezzò il viso, ma a quel contatto il dolore che cresceva dentro
Nikolaj esplose con forza maggiore. Non riuscì più a trattenere i singhiozzi,
che lo scuotevano tutto. Si vergognava, ma il pianto era irrefrenabile.
L’uomo si avvicinò e lo strinse tra le braccia. Guidò la testa di Nikolaj ad
appoggiarsi sul suo torace e gli accarezzò i capelli, confortandolo. -
Nulla è deciso, ragazzo. Domani troveremo una via d’uscita. L’abbraccio,
le carezze e le parole calmarono il pianto dirotto e Nikolaj si abbandonò
completamente a quella stretta che gli restituiva la serenità e leniva il suo
dolore. Ma quando le lacrime si furono asciugate, Nikolaj avvertì che nuove
sensazioni si stavano destando in lui. L’abbraccio dell’uomo era casto, anche
se i loro corpi erano nudi. Ma i pensieri che si risvegliarono nella mente
del seminarista non lo erano. Combattuto
tra un desiderio che cresceva impetuoso e la vergogna, Nikolaj rimase un buon
momento immobile. Ma quando l’uomo, resosi conto che ormai Nikolaj si era
calmato, allentò la stretta e fece per allontanarsi, Nikolaj tese il braccio
e lasciò che la sua mano scivolasse sul petto dell’uomo. Le sue dita si
impigliarono tra i peli che ricoprivano il torace, incontrarono un capezzolo
e ne accarezzarono il contorno. Nikolaj non osava andare oltre, ma non voleva
neppure ritrarre la mano. Esitò un attimo, poi l’altra mano salì verso il
viso dell’uomo, ma questi la fermò. L’uomo
attirò nuovamente Nikolaj a sé, ma questa volta il suo abbraccio fu del tutto
diverso. Lo avvolse completamente e i loro corpi aderirono. Nikolaj sentì
contro il proprio ventre la picca gagliarda dello sconosciuto che stava
rapidamente crescendo e la vibrazione di quella carne calda che gli premeva
contro gli strappò un gemito. L’uomo gli accarezzò i capelli con una mano, ma
l’altra scendeva lungo la schiena di Nikolaj, senza nessuna intenzione di
fermarsi. Arrivò indisturbata fino alla vita, per un secondo si arrestò, poi
calò, accarezzando il culo del seminarista. Nikolaj
gemette di nuovo. Non aveva mai amato, non aveva mai stretto un corpo. Ignorava
le sensazioni che una carezza può trasmettere. L’uomo
lo girò sulla schiena, gli allargò le gambe e per un momento non ci fu più
nessun contatto tra di loro. Poi le due mani si posarono sul viso di Nikolaj
e lentamente scesero. L’uomo doveva essersi messo in ginocchio tra le gambe
divaricate di Nikolaj. Gli accarezzava la faccia, ora con dolcezza, ora in
modo più brusco. Una piccola sberla e una risata trasmisero una vibrazione a
tutto il corpo di Nikolaj. Nella
stanza il buio era assoluto e quella tenebra fitta dissipava la vergogna e
scioglieva l’imbarazzo. Tutto era possibile, potevano fare quello che
volevano quelle mani esperte, che scivolavano sul torace di Nikolaj e
stringevano i capezzoli, stuzzicandoli alquanto - faceva male, ma quant’era bello!
E poi una carezza umida, le labbra, sì, l’uomo gli stava baciando un
capezzolo, no, ahi, lo stava mordendo, Dio che bello, che bello! C’era una
stoffa, anche, il lenzuolo si doveva essere messo di mezzo, forse voleva
partecipare anche lui, lo sfrontato, ma facesse pure, che male c’era? E le
mani che gli accarezzavano il ventre, che incontravano - come avrebbero
potuto non incontrarla? Si era alzata per bene, ansiosa di accogliere
l’ospite - l’asta, timorosa, eppure tesa in modo sfacciato. Sì,
meno male che era buio, alla luce Nikolaj sarebbe morto di vergogna a vedere
due mani che scivolavano di nuovo dietro di lui, gli afferravano il culo,
stringevano. Ma nel nero di pece di quella notte tutto era possibile, anche
che una bocca dolcemente accarezzasse il sesso di Nikolaj, che ne baciasse la
cappella, che la lingua - la lingua? Sì, doveva essere la lingua, di che
morire dalla vergogna - leccasse quella carne così sensibile. Nikolaj gemette
di nuovo. Le sue mani si tesero verso la testa dell’uomo, ma trovarono una
stoffa. Sotto però pulsava la carne. Nikolaj accarezzò quel tessuto e in quel
momento capì che stava per venire. Cercò di dirlo, ma il piacere gli saltò
addosso di sorpresa, lo abbatté come un fuscello, spezzandogli le reni e
mozzandogli il fiato. Emise un suono che era un gemito, un grido, strinse
disperatamente la stoffa sotto le sue dita e lasciò che il terremoto
dell’orgasmo lo sconquassasse tutto. Gli sembrò che dai testicoli e dal
ventre esplodesse un vulcano di fuoco e che fosse lava quella che gli
attraversava l’uccello per spandersi interminabile sul ventre. Chiuse
gli occhi e ancora il piacere vibrava in ogni fibra del suo corpo, nel sesso,
nella testa, nel ventre, nel cuore. Emise un nuovo gemito, più forte, e poi
ancora un altro, e si abbandonò completamente. Questo
era il piacere. Ecco perché tutti lo cercavano. Che cos’altro avrebbero
dovuto cercare? C’era qualche cos’altro per cui valeva la pena di vivere? Forse,
forse le carezze dell’uomo, che ora percorreva il suo corpo, stuzzicava di
nuovo i capezzoli, gli percuoteva leggermente la guancia, gli mordeva le
dita. Dio, che bello! Sì, anche per quelle carezze valeva la pena di vivere.
Erano belle anche quelle, non come il piacere intenso di prima, ma erano una
meraviglia. E poi quelle mani impudenti di nuovo sul culo, quelle dita che
stringevano forte, una mano che tornava davanti, accarezzava il ventre, si
appoggiava sull’uccello - sfacciata! E sfacciato pure lui, perché stava di
nuovo alzando la testa, ma come avrebbe potuto non farlo? Sarebbe stato
scorretto ritrarsi davanti a una mano che gli andava incontro.
E poi quella mano - no, era l’altra, quella rimaneva al suo posto,
giocherellando in modo indecente con l’uccello, sempre più gonfio, sempre più
teso, che mano scostumata, Nikolaj sperava solo che non smettesse - l’altra
mano, si diceva, scendeva più sotto, accarezzava i testicoli, li strapazzava
un po’. Era bello anche quello, tutto era bello, Nikolaj si disse che quella
notte nera era il momento più luminoso della sua vita, perché negli occhi
aveva lampi di luce.
Le due mani avevano lasciato la presa. Ma perché? Nessuno di certo le
aveva mandate via. Ma ritornarono, per fortuna, si posarono sui fianchi e con
un movimento energico e preciso, Nikolaj si trovò voltato a pancia in giù.
Qualche cosa nel fondo del suo cervello lo avvertì di quello che sarebbe
successo. Nikolaj aveva sentito dire che uno degli insegnanti faceva questa
cosa con alcuni seminaristi, uno squallido scambio di favori, un culo aperto
per una promozione all’esame. Ma quello che stava per succedere era un’altra
cosa, Nikolaj ne era sicuro, perché l’incendio che l’uomo accendeva nel suo
corpo trasformava ogni gesto, anche due pacche sul culo, anche i morsi - ahi!
Questo era stato davvero forte! L’uomo si stese su di lui. Era bello stare
così, sentire il peso dell’uomo sul proprio corpo. Ed era bello anche - la
notte era buia, Nikolaj poteva confessarselo - anche sentire quell’uccello
caldo che si appoggiava sul solco tra le natiche.
L’uomo lo aveva avvolto completamente con le sue braccia. Nikolaj era
prigioniero e sarebbe voluto rimanere così per sempre, per quanto desiderasse
anche provare la consistenza di quel formidabile pezzo di carne, che si
muoveva lentamente, come il suo padrone, trasmettendo con il suo movimento
una piacevolissima sensazione di calore. Poi l’uomo si sollevò nuovamente.
Nikolaj sentì un po’ di saliva colare tra le sue natiche. Poi due dita
sparsero bene la saliva, una si fece avanti, forzando l’apertura. Nikolaj si
tese leggermente. L’ingresso di quel corpo estraneo lo sgomentava. Il dito si
ritrasse, di nuovo altra saliva lubrificò bene l’apertura, poi il dito
ritornò e un altro gli tenne compagnia. Non era così spiacevole, no, non lo
era per niente.
L’uomo si stese nuovamente su di lui, gli passò la lingua sul collo,
facendo rabbrividire Nikolaj - un brivido di puro piacere - poi gli morse con
forza una spalla. E mentre i denti stringevano la carne, Nikolaj avvertì che
un palo di carne lo stava penetrando. Procedeva lentamente, con delicatezza.
Si fermava, per dare a Nikolaj il tempo di adattarsi. La lingua dell’uomo lo
accarezzava dietro l’orecchio - e il palo avanzava dolcemente. L’uomo gli
mordeva la nuca - e spingeva più a fondo.
Nikolaj avvertiva un certo dolore, ma non aveva importanza, nessuna
importanza. La sensazione di quelle braccia che lo stringevano, lo
accarezzavano, gli tiravano i capelli, gli solleticavano l’uccello, tutto era
troppo bello. E anche la sensazione di quella carne calda dentro di lui era
bella, sì, era bellissima. Sì, sì, sì.
- Sì!
Si rese conto di aver parlato perché l’uomo rise, una risata roca, e
gli accarezzò la testa. Poi diede una spinta più decisa e Nikolaj gemette. Aveva
provato dolore, ora, ma l’uomo si era fermato e man mano che il suo culo si
abituava a quella presenza vigorosa, Nikolaj ritrovava un senso di benessere.
Ma accanto cresceva anche una tensione, nel suo culo, nei testicoli, nel
sesso. Sapeva che sarebbe venuto nuovamente. L’uomo si ritrasse, poi avanzò
nuovamente, con decisione, e si fermò. Ripeté l’operazione una seconda volta.
Nikolaj gemette ancora. Era così bello! Allora
l’uomo prese a muoversi in modo continuo, con un ritmo regolare. Arretrava, fino
a che l’uccello quasi usciva dal culo di Nikolaj e poi avanzava nuovamente,
fino a che il suo ventre aderiva al corpo di Nikolaj. Nikolaj sentiva che
l’onda del piacere cresceva nuovamente, lo sovrastava, lo avvolgeva
completamente. L’uomo procedeva, instancabile, e a Nikolaj sembrava di venire
dentro, in un modo che non avrebbe creduto possibile. Il suo uccello era teso
e caldo, ma il piacere si irradiava dal culo, da quell’altro uccello che
entrava e usciva dentro di lui. Le
mani dell’uomo si muovevano, accarezzando il corpo di Nikolaj, e aggiungendo
piacere a piacere - e dolore a dolore, perché a tratti esse stringevano e
pizzicavano. Ma il dolore e il piacere erano stretti insieme e Nikolaj
avrebbe voluto di più dell’uno e dell’altro, anche se gli sembrava che non
avrebbe retto a sensazioni più forti. Le spinte lo squassavano e a Nikolaj a
tratti pareva di essere sul punto di svenire, ma era bellissimo. Infine
l’uomo accelerò il ritmo delle sue spinte, imprimendo una forza ancora
maggiore. A Nikolaj sembrò che il suo corpo si aprisse, ma la destra
dell’uomo si strinse intorno all’uccello del giovane e il piacere esplose. Nikolaj
urlò, un urlo di puro godimento, mentre l’uomo emetteva un suono sordo, una
specie di grugnito. Nikolaj sentì il fiotto riempirgli le viscere, mentre il
suo si spargeva nella mano dell’uomo. Per
un momento Nikolaj perse coscienza del luogo in cui si trovava, di ciò che
era successo: rimaneva soltanto la sensazione di un piacere che non aveva mai
provato. L’uomo
uscì da lui, con delicatezza, e lo abbracciò stretto. -
Tutto bene, Nikolaj? Come
esprimere il piacere senza limiti, il benessere infinito? Non c’erano parole.
Nikolaj si limitò a dire: -
Sì. -
Bene, ora dormi. Devi riposare. Nikolaj
aveva vagamente coscienza di un futuro incerto, ma tra le braccia dell’uomo,
che ancora lo avvolgevano, si sentiva tranquillo. Si disse che non avrebbe
dormito, ma la stanchezza della giornata ebbe il sopravvento e in pochi
minuti sprofondò nel sonno. Quando
si risvegliò, Nikolaj si sentiva avvolto in un bozzolo di felicità, anche se
non avrebbe saputo dire perché. Poi, di colpo, gli eventi della giornata e
della notte ritornarono nella sua mente. Si mise a sedere sul letto di
scatto. Non aveva sognato? No. Le sensazioni erano troppo precise. Era
davvero nella casa dell’uomo e quanto era avvenuto nella notte era ben reale.
C’era ancora sul lenzuolo una macchia. Nikolaj provò vergogna. L’uomo non
c’era. Nikolaj
si alzò. C’era una bacinella con dell’acqua e un asciugamano. Nikolaj si
lavò, si vestì e passò nella stanza a fianco. L’uomo
era seduto al tavolo, il viso coperto da un cappuccio che lasciava vedere
solo gli occhi e la bocca. Aveva preparato la colazione. -
Ben svegliato, seminarista. Si direbbe che alla Bursa si dorma fino a tardi. Nikolaj
chinò il capo. Si vergognava, non per il rimprovero scherzoso, ma perché
ripensava a quanto era successo nella notte. L’uomo
scosse il capo. -
Mangia e rinforza il corpo. Poi penseremo al da farsi. Nikolaj
si mise a mangiare. Era un po’ in imbarazzo, ma l’uomo si alzò e gli
accarezzò il capo. Nikolaj si sentì subito meglio. Quando
Nikolaj ebbe finito, l’uomo parlò. -
Adesso ci sono due possibilità. La prima è che tu torni indietro. Posso darti
una somma per aiutare i tuoi. E procurarti un lavoro a Mirgorod. Nikolaj
annuì. Sarebbe stato un bel sollievo, non rischiare la morte. Eppure aveva la
sensazione che l’uomo si aspettasse altro da lui. Allora disse: -
Qual è l’altra possibilità? -
Vuoi aiutarmi, ragazzo? Vuoi impedire che quel mostro torni a seminare il
terrore? Puoi farlo e forse salverai la tua vita. Non te lo posso garantire,
è una lotta terribile quella che ci aspetta. Nikolaj
guardò l’uomo. Sentiva in sé una forza nuova, che sovrastava la paura. Pensò
che l’uomo sarebbe stato al suo fianco. Sì, voleva farlo. -
Lo farò. -
Allora forse ci riusciremo. Ho già cercato di farlo, ma non mi è stato
possibile. -
Spiegami che cosa devo fare. -
Oggi tu farai finta di niente. Naturalmente non dirai di avermi incontrato.
Se ti chiedono qualche cosa, di’ che hai dormito in una capanna abbandonata
vicino a Mirgorod. Questa sera ti accompagneranno
alla chiesa e ti lasceranno là da solo, a pronunciare le preghiere. Io verrò
quando sarà buio. Quando
l’uomo gli confermò che sarebbe stato con lui, Nikolaj si sentì rinfrancato. -
Traccerò un cerchio intorno a te e uno intorno alla bara, senza parlare.
Bada: non possiamo scambiare neppure una parola, io e te, nelle prime due
notti. Il morto cercherà di alzarsi e uscire dalla bara, solleverà anche la
bara, ma non potrà spezzare il cerchio. Chiamerà a raccolta i demoni, che ti
cercheranno ovunque, ma non potranno vederti entro il cerchio. Fino al primo
canto del gallo essi si sforzeranno di distruggerti, ma senza risultato, se
tu continuerai a leggere la Bibbia e a recitare le preghiere e le formule che
ti dirò. Quando il gallo canterà, essi fuggiranno, perché se venissero
sorpresi dal secondo canto del gallo, sarebbe la loro fine. -
La lettura, le preghiere e le formule saranno sufficienti a tener lontano i
demoni? -
Sì, non devi temere nessun pericolo, purché tu non esca dal cerchio e
continui a recitare preghiere e formule. Nikolaj
era stupito: gli sembrava tutto troppo semplice. -
Non mi sembra così difficile. -
Non lo è, anche se le creature che appariranno sono terribili a vedersi. Non
devi spaventarti, piuttosto non guardarle. Questa notte non ci saranno
problemi, non si aspettano che tu sia in grado di difenderti. Già,
c’erano altre due notti. -
La parte più difficile incomincia domani. Vedendoti vivo, tutti
sospetteranno: qualcuno spererà che la liberazione sia vicina e ti augurerà
in cuor suo di riuscire a superare anche le due notti successive, ma nessuno
muoverà un dito per te. Qualcun altro invece cercherà di farti fallire. La
prima cosa che devi fare, appena senti il primo canto del gallo, è cancellare
con il piede ogni traccia dei due cerchi, perché nessuno li veda. Poi devi
riuscire a raggiungermi, perché io ti possa dare la forza per affrontare la
seconda notte. Non sarà facile, perché ti sorveglieranno. -
Devo tornare qui? -
No, sarebbe troppo pericoloso. Di’ che vuoi passeggiare un po’. Ti
indicheranno il sentiero che sale verso la sorgente. Tu prendilo e percorrilo
facendo attenzione a quello che vedi. Io farò in modo che tu mi trovi. Nikolaj
annuì. -
Durante il giorno cerca di riposare e di non bere: devi essere lucido, la
notte successiva. Cercheranno di farti bere. Tu di’ che non puoi bere se devi
pronunciare le preghiere della veglia funebre, che sarebbe peccato, che
berrai solo dopo la terza notte. -
Va bene. -
E un’altra cosa, Nikolaj. -
Quale? -
Cercheranno di metterti contro di me, perché comunque sospetteranno che io
possa averti aiutato. Faranno di tutto per farti credere delle cose terribili
su di me. Nikolaj
rispose di slancio: -
Non ci crederò! L’uomo
lo guardò, ma non disse nulla. Seguendo
le istruzioni dell’uomo, Nikolaj fece un lungo giro per raggiungere il
sentiero, in modo da arrivare a Velìkie Soròčintsy da un’altra direzione. Non appena lo
videro sbucare dal bosco, due uomini gli vennero incontro. -
Tu sei il seminarista che abbiamo chiesto per recitare le preghiere funebri? -
Sì, Nikolaj Ivanovic, al vostro servizio. -
Pensavamo che arrivassi ieri. -
Non ho fatto in tempo, ho dovuto dormire per strada. Per fortuna ho trovato
un capanno abbandonato, altrimenti avrei dovuto dormire sotto la pioggia. Il
signore è ancora in vita? -
No, è morto questa notte. Molta
gente era giunta a Velìkie Soròčintsy
per le cerimonie in onore del morto. Se Nikolaj non avesse parlato con
l’uomo, non avrebbe notato niente di particolare, ma dopo quello che aveva
sentito, stava in guardia e negli occhi di alcuni lesse, o credette di
leggere, uno sguardo di compassione. In altri una derisione feroce, che
avrebbe potuto credere disprezzo per la sua povertà. Nessuno, e questo era
davvero notevole, sembrava angosciato per la morte del padrone: nessuna
manifestazione di pianto o disperazione. Sapevano che presto il loro padrone
sarebbe stato nuovamente tra di loro. Nikolaj
seguì rigorosamente le istruzioni ricevute. Non bevve vino e si limitò anche
nel mangiare. Dopo pranzo si stese nel fienile per riposare. Al
pasto serale ci furono alcuni scambi di battute, che non lo stupirono: quando
Nikolaj disse che non intendeva bere fino a che non avesse concluso le tre
veglie, qualcuno osservò che avrebbero risparmiato il vino e la grande risata
che ne seguì a Nikolaj suonò sinistra. Certo, se fosse morto, non avrebbe più
bevuto vino. Dopo
cena due uomini lo accompagnarono alla chiesa, ma se ne andarono subito. In
centro alla navata c’era la bara, aperta. Intorno erano disposti quattro
ceri, che illuminavano la chiesa. Nikolaj si avvicinò, guardò il cadavere e
sussultò. Il viso del signore di Velìkie Soròčintsy era nettamente diviso in due: la metà
destra era quella di un bell’uomo, scuro di capelli, con una folta barba
nera; la metà sinistra era deturpata, priva di pelle, con segni bluastri. Il
corpo era massiccio e dava un’impressione di grande potenza. A Nikolaj parve
di cogliere un leggero movimento delle labbra e sussultò: in effetti sul viso
era apparso un sorriso crudele. Alquanto
scosso, Nikolaj si allontanò e raggiunse il punto in cui avrebbe vegliato, a
una certa distanza dalla bara. Accese un altro cero per illuminare il libro
di preghiere. Nikolaj
incominciò a leggere ad alta voce. Un’ora dopo la campana suonò le nove. La
porta della chiesa si aprì e scivolò dentro un’ombra. Prima ancora di vederlo
chiaramente, Nikolaj sapeva chi era l’uomo che avanzava. Lo sconosciuto aveva
mantenuto la sua promessa. Nikolaj
non smise di recitare. L’uomo
si chinò, estrasse dalla tasca un pezzo di carbone e incominciò a tracciare
un cerchio nero intorno alla bara. Quando ebbe concluso, si alzò e osservò
con cura la sua opera. Poi si avvicinò a Nikolaj. Al seminarista parve di
vedere sotto il cappuccio un sorriso, che ricambiò. L’uomo si chinò davanti a
lui, estrasse un pezzo di talco e tracciò intorno al giovane un cerchio
bianco. Era un cerchio perfetto, ma l’uomo lo controllò minuziosamente. Poi
si alzò, sorrise ancora e si allontanò. Rimasto
solo, Nikolaj continuò a pregare. C’era un grande silenzio. Sentì battere le
dieci. Man mano che il tempo passava, si sentiva più inquieto. Si concentrò
nella lettura, ma il suo sguardo correva spesso alla bara. Giunsero
le undici. Nikolaj era teso. Aveva paura, lo sapeva. Ripensò all’uomo che
aveva incontrato la sera prima, guardò il segno lasciato dal pezzo di talco e
si sentì leggermente sollevato. Sì, ce l’avrebbe fatta! Sentì
il primo colpo di mezzanotte. Rabbrividì. Lo sguardo corse alla bara e al
secondo colpo vide che il cadavere si stava sollevando. Per quanto se lo
aspettasse, tremò. Il cadavere lo guardava, mentre si metteva a sedere nella
bara. C’era una tale ferocia in quello sguardo che Nikolaj abbassò gli occhi,
spaventato. Continuò a recitare preghiere e scongiuri, con voce più forte,
mentre si udivano i rintocchi della campana. Prima
del dodicesimo colpo il morto uscì dalla bara, con un sorriso di trionfo, e
quando suonò l’ultimo rintocco, fece per avanzare, ma si bloccò. Sul suo viso
sembrò passare un dubbio. Si sforzò ancora di avanzare, ma senza risultato.
Allora incominciò a girare intorno alla bara, cercando una via d’uscita, ma
ovunque trovava come un muro invisibile che lo bloccava. Nikolaj respirò di
sollievo. Il
cadavere si agitava e due dei candelabri finirono a terra. Dopo aver girato
tre volte intorno alla bara, il cadavere emise un lungo grido. Il sangue si
gelò nelle vene di Nikolaj. Mai, in tutta la sua vita, aveva sentito un urlo
così terribile. La luce sembrò vacillare e strane ombre si misero a guizzare
tutt’intorno. Nikolaj non smise di recitare le formule, mentre con gli occhi
seguiva il movimento rapido di queste sagome. Esse acquistavano consistenza e
ben presto divennero creature dotate di un corpo. Nikolaj
rabbrividì. I demoni che svolazzavano nella chiesa sembravano usciti dalla
fantasia di un folle. Davanti ai suoi occhi si lanciavano in picchiata
creature con ali di pipistrello di un rosso corallo, testa da uccello e un
corpo minuscolo, da cui sporgevano grossi artigli sporchi di sangue. Grandi
pesci di un intenso verde smeraldo fluttuavano per l’aria, come fossero stati
in acqua, e aprivano bocche con labbra cremisi, piene di denti appuntiti.
Squamosi corpi sferici, alcuni giallo zafferano, altri indaco, con una testa
minuscola ed esili artigli, facevano roteare falci argentee. Neri avvoltoi
con trombe al posto del becco volavano in alto per poi ricadere al suolo come
corpi morti. Lungo
le pareti della chiesa e le colonne si arrampicavano gatti violacei con teste
di pesce e scimmie dai peli cremisi, con la testa da uccelli. Sul pavimento strisciavano
serpenti dorati con visi da pesce baffuto ed enormi ratti cavalcati da
creature prive di testa. Nani dal capo di pellicano correvano tutt’intorno,
mentre piccoli gobbi con una testa d’uomo e un’altra di scimmia mostravano un
ghigno mostruoso. Creature tondeggianti, ricoperte di lunghi peli, con grandi
occhi senza palpebre, rotolavano da una parte e dall’altra. E a ogni
movimento l’aria sembrava riempirsi di odori nauseabondi: un tanfo di
decomposizione che prendeva alla gola; un lezzo mortifero, che rendeva
difficile respirare. In
tutta la chiesa era un movimento frenetico, un volare, correre, saltare,
arrampicarsi, scivolare, precipitare, rotolare, strisciare in tutte le
direzioni, ma nessuna di quelle creature riusciva a oltrepassare il cerchio
tracciato con il talco. Nikolaj
ora si sentiva più tranquillo, ma uno sguardo verso il morto lo fece gelare.
La bara, in cui il cadavere era seduto, si stava sollevando dal catafalco.
Essa saliva in aria, sbattendo a destra e a sinistra contro l’invisibile
parete scaturita dal cerchio magico. Ora
tutto ciò che volava nella chiesa roteava intorno alla bara, cercando
inutilmente di avvicinarsi. Anche le creature che si muovevano sul pavimento
si disposero intorno al cerchio nero. La
bara salì fino al soffitto, poi ridiscese, sempre scuotendosi in tutte le
direzioni. Si innalzò ancora più volte, ridiscendendo poi lentamente, infine
precipitò a terra con un movimento brusco. Le creature schizzarono in tutte
le direzioni, come impazzite. Nikolaj scorse nuovi mostri, che prima non
c’erano o forse non aveva visto, ma i maiali che avevano davanti una testa
suina e dietro una testa di uccello dal becco adunco o i ranocchi con ali da
pipistrello non erano più potenti dei mostri che aveva già conosciuto, nessuno
riusciva a superare i due cerchi. Nikolaj
si concentrò nella recitazione delle formule. Quando la candela fu sul punto
di spegnersi, né accese un’altra e proseguì. Man mano che il tempo passava,
gli sembrava che la chiesa si riempisse in ogni angolo di un’infinità di
creature orrende, tanto che ormai riusciva solo a intravedere la bara con il
cadavere ancora seduto, dalla cui bocca scendeva una bava nera. La
stanchezza si stava impadronendo di Nikolaj, ma sapeva di non poter cedere.
Infine sentì battere le sei e poco dopo il canto del gallo. Le creature
demoniache sparirono in un attimo e Nikolaj si mise subito a cancellare il
cerchio di talco, poi si avvicinò alla bara e cancellò accuratamente quello
di carbone. Lanciò un’occhiata al cadavere, che giaceva composto nella bara.
Solo la bava nera ai due angoli della bocca e i due candelabri caduti a terra
rivelavano che qualche cosa di anomalo era successo. Tornò
al proprio posto e lesse ancora la preghiera del mattino. In
quel momento entrarono due servitori. Lo guardarono con stupore, poi il più
anziano dei due gli parlò: -
Avete recitato le preghiere, Nikolaj Ivanovic? -
Ho fatto quanto dovevo. -
Non siete stato disturbato? -
Strane cose mi sono apparse, ma certo è solo la stanchezza. Dio mi ha protetto. -
Così è stato. L’uomo
non sembrava particolarmente soddisfatto, ma a Nikolaj parve di leggere un
lampo di speranza negli occhi dell’altro, un uomo sui trenta. -
Ora vorrei dormire. I
due uomini lasciarono che raggiungesse il fienile. Nikolaj si stese e si
addormentò immediatamente. Dormì
fino all’ora di pranzo. Si svegliò solo quando una delle serve lo scosse per
il braccio. Quando
entrò nella sala dove veniva servito il pasto, tutti gli occhi si posarono su
di lui. Mentre
mangiavano, gli uomini gli chiesero com’era andata la veglia, ma Nikolaj
rimase nel vago. Nessuno insistette per sapere. Il suo vicino però, l’uomo
anziano e rubizzo che il mattino era entrato in chiesa, gli versò da bere e
quando Nikolaj gli rispose che non beveva, mostrò di offendersi. Nikolaj gli
rispose serenamente: -
Sono qui per pregare, non sarebbe dignitoso che io bevessi prima di aver
ultimato il mio compito. Un
uomo seduto pochi posti più in là intervenne subito, prima che il servitore
avesse il tempo di replicare. -
Ha ragione, è un seminarista scelto per la sua pietà. Sarebbe davvero
vergognoso volerlo far bere a ogni costo, Aleksej. Aleksej lanciò uno sguardo iroso all’uomo che aveva
parlato, ma tacque. Sì, c’era chi sperava che lui riuscisse nel suo compito. E
c’era chi avrebbe cercato, con qualsiasi mezzo, di impedirglielo. Dopo
pranzo, quando i servitori si alzarono, anche Nikolaj si alzò e uscì. Aleksej e due altri uomini uscirono con lui. Volevano
sorvegliarlo, questo era evidente. -
Voglio fare due passi. Così
dicendo Nikolaj si guardò intorno, come se dovesse decidere in che direzione
muoversi. Aleksej parlò: -
Non t’allontanare. Gira gente ben strana da queste parti. Nikolaj
lo guardò, come se fosse stupito. -
Che intendi dire? -
C’è un demone dalla faccia sfigurata, che vive giù nella foresta. Si nutre
delle anime pure, le inganna per attirarle nelle sue grinfie e poi le uccide. Un
altro degli uomini intervenne: -
La sua faccia è il segno della sua abiezione, la sua ferocia è pari solo alla
sua lussuria. L’uomo
lo aveva prevenuto, ma Nikolaj si sentì ugualmente a disagio. Cercò di
tagliare corto. -
Mi stupisco che esistano tali creature, ma terrò conto delle vostre parole.
Non scenderò verso la foresta. -
C’è un sentiero che sale verso una sorgente. È una bella passeggiata. Nikolaj
finse di riflettere un momento, poi disse: -
Perché no? Una meta vale l’altra. Ho bisogno di muovermi un po’. Dove parte? -
Lì, dietro il fienile. Allo steccato giri a sinistra. Non puoi sbagliarti. -
Grazie. Nikolaj
si avviò. Sentiva su di sé lo sguardo degli uomini. Lo avrebbero seguito?
L’uomo che aveva incontrato non aveva fatto cenno a questa possibilità.
Nikolaj proseguì senza voltarsi. Il sentiero saliva dolcemente, lungo il
fianco della collina. Nikolaj
osservava con cura il terreno, ma non vedeva nessun segno. Intanto gli
tornavano in testa le parole dei servitori. Aveva fiducia, piena fiducia,
nell’uomo che lo aveva salvato, ma quel riferimento a un demone dalla faccia
sfigurata lo inquietava. Immerso
nei suoi pensieri, notò appena una pietra nera e una bianca poste a terra
proprio nel punto in cui sulla sinistra incominciava un piccolo sentiero.
Aveva quasi superato il bivio quando ebbe un sospetto. Si chinò e vide che le
due pietre erano in realtà un pezzetto di carbone e uno di talco. Annuì e
prese la diramazione. Camminò per una mezz’ora e incominciava a temere di
essersi sbagliato, quando nuovamente vide lo stesso segnale a destra del
sentiero. Non c’era un bivio, ma a una decina di metri si scorgeva un capanno
abbandonato. Nikolaj
si guardò intorno, vide che non c’era nessuno, e raggiunse la costruzione.
Esitò un attimo, poi spinse la porta ed entrò. Era un locale piccolo, a
pianta rettangolare. Alla luce che proveniva dall’esterno poté vedere contro
la parete di fondo una grande sagoma avvolta in un mantello. Il
cuore gli batteva forte. Le parole dei servitori gli ritornavano in testa.
Non aveva mai visto l’uomo in faccia. Come poteva sapere che era davvero un
uomo? Eppure lo aveva protetto. L’uomo
capì i suoi dubbi. -
Ti hanno parlato di me, vero? Lo vedo dal tuo sguardo. Nikolaj
abbassò gli occhi, poi li rialzò. -
Sì, è vero. Ma ho fiducia in te. -
Sì, lo so, eppure dubiti. E questo non è bene. Che cosa ti hanno detto? Nikolaj
riferì le parole che aveva sentito. -
La mia faccia è davvero sfigurata, Nikolaj: per questo la copro. Ho lottato
contro il male, ma il giovane che difendevo non ha retto alla sfida e il mio
volto porta i segni dei demoni. Sì,
ora che era vicino a lui, Nikolaj sapeva che era così. Quell’uomo non era un
demone, i demoni erano quelli che la notte prima lo avevano assalito nella
chiesa e che solo i cerchi tracciati avevano tenuto lontano. L’uomo
lo guardò. -
Ti farò vedere la mia faccia, Nikolaj. Non è una bella vista, ma la terza
notte sarò a viso scoperto ed è bene che tu ti abitui. Si
sfilò il cappuccio che gli copriva il volto. Nikolaj emise un gemito. Il lato
destro della faccia era completamente sfigurato: non vi era più pelle e la
carne era percorsa da segni bluastri dal mento alla sommità del capo, perché
non c’erano capelli, né barba, né baffi, neppure l’occhio aveva ciglia o
sopracciglia. Era davvero una visione infernale. Nikolaj
spostò lo sguardo sul lato sinistro. Era normale, incorniciato da una folta
barba e da capelli neri, con un occhio scuro che trasmetteva un senso di
forza e determinazione. Eppure anche quella parte del viso lo turbava:
assomigliava a quello del morto che aveva vegliato nella notte. I tratti
erano molto simili, anche se non vi era la stessa durezza. I due visi
sembravano essere l’uno lo specchio dell’altro. -
Non è un bello spettacolo, lo so, Nikolaj. Ma non si lotta impunemente contro
il male. L’uomo
si rimise il cappuccio. Nikolaj si sentì più tranquillo: preferiva così.
Cercò di formulare la domanda che aveva in testa, ma non ci riuscì. Disse
invece: -
Non so nemmeno il tuo nome. -
Mi chiamo Piotr. -
Tu assomigli al morto, al signore di Velìkie Soròčintsy… L’uomo
annuì. -
Sì, eravamo fratelli, figli di uno stesso padre, anche se di due madri
diverse. Io ero il fratello maggiore, ma sua madre, che era una strega,
riuscì con le sue arti magiche a farmi odiare da mio padre, per cui fui
diseredato e cacciato. Non mi sarei preoccupato di questo, ho braccia forti
per lavorare, ma quando la strega fece morire mio padre, tutta la gente di
qui incominciò a vivere nel terrore e mi chiamarono. Piotr si interruppe. -
Uccisi la strega e ferii a morte mio fratello, ma egli riuscì a ritornare dal
mondo infernale, dando in sacrificio l’anima di un seminarista. Altre due
volte morì, per la ferita che gli infersi, ma io non riuscii a impedire che
ritornasse nuovamente in vita, perché il giovane che cercai di aiutare non
aveva abbastanza fiducia in me ed era troppo debole. Nikolaj
lo guardò. -
Io non sono forte, ma ho piena fiducia in te. L’uomo
si avvicinò e lo abbracciò. Nikolaj avvertì una sensazione di benessere e lo
strinse con forza. -
Io ti darò la forza necessaria. Per questo dobbiamo incontrarci ogni giorno,
anche se c’è il rischio che ci scoprano. Poi
l’uomo si staccò, andò alla porta, la chiuse e la bloccò da dentro. Ora il
capanno era immerso nell’ombra. Piotr gli mise le mani sui fianchi e gli sfilò la
camicia. Nikolaj sentì l’improvvisa tensione del suo corpo. L’uomo si
distaccò e gli slacciò la cintura. Nikolaj provò vergogna. I loro corpi si
erano incontrati di notte, nel buio più assoluto, ma ora era pieno giorno e
la luce entrava da una finestrella coperta da uno straccio. Piotr si inginocchiò davanti a lui e lentamente gli calò
i pantaloni, lasciando Nikolaj nudo. Il ragazzo arrossì. L’uccello di Nikolaj
aveva alzato la testa, vigoroso e impaziente, come è naturale a vent’anni.
L’uomo gli poggiò la testa sul ventre e le mani sul culo, poi prese in bocca
quel bel pezzo di carne che gli si offriva. Nikolaj sussultò. Chiuse gli
occhi. La sua mano accarezzò la testa di Piotr,
strinse i capelli attraverso la stoffa del cappuccio. Nikolaj
era di un’ignoranza completa per tutto quanto riguardava il sesso. Sentiva le
vanterie dei compagni, che però se la spassavano con le servette e le
venditrici del mercato, non certo con robusti maschi - o, se lo facevano, di
certo non ne parlavano. Aveva poche idee ben confuse e l’incontro della notte
prima non aveva certo contribuito a mettere ordine nel caos della sua testa,
al massimo aveva aggiunto altro materiale che Nikolaj non avrebbe saputo dove
collocare. Su un solo punto aveva le idee chiarissime: desiderava Piotr, con tutto il suo corpo e qualunque cosa Piotr facesse, andava bene. Le
idee comunque stavano svanendo, scacciate dalle sensazioni che lo stordivano:
la bocca umida che avvolgeva il suo uccello, la lingua calda che lo
accarezzava, lo stuzzicava, i denti - sì, anche loro - che mordevano con
delicatezza. Le mani di Piotr erano sul suo culo e
si davano da fare anche loro, stringendo, accarezzando, scorrendo sul solco,
un dito solleticava l’apertura, dando un anticipo di quello che sarebbe poi
seguito. Nikolaj lo desiderava, ma in quel momento non era così urgente,
poteva aspettare, finché le labbra di Piotr
mantenevano la loro presa, finché il proprio uccello era stretto tra quel
palato e quella lingua, il mondo intero poteva attendere, anche per sempre:
Nikolaj non avrebbe avuto niente in contrario a trascorrere l’eternità così. Ma
la tensione del piacere era troppo forte, gli cresceva nei testicoli, gli
vibrava nel ventre. Nikolaj riaprì gli occhi, posò uno sguardo appannato su Piotr, inginocchiato ai suoi piedi, sorrise mentre gli
sfuggiva un gemito, gli accarezzò le spalle e sentì di nuovo che un uragano
lo stava travolgendo. Gridò: -
Piotr! Poi
chiuse gli occhi e gli parve che tutto il suo essere si lanciasse in alto,
con il getto caldo che si rovesciava nella bocca di Piotr,
che Piotr inghiottiva. L’uomo
non mollò subito la preda. Prima la sua lingua ripulì con cura e solo allora Piotr si staccò e guardò Nikolaj, che riaprì gli occhi e
gli sorrise. L’uomo
si alzò e abbracciò Nikolaj, che ricambiò la stretta. E mentre lo stringeva,
pensò che avrebbe potuto spogliarlo. Provò di nuovo vergogna, ma sapeva che
era assurdo. Quando l’uomo si staccò da lui, sorridendo, le mani di Nikolaj,
tremanti, si attaccarono al cordone che stringeva la casacca al collo, poi scesero
a sciogliere ogni nodo, ogni bottone. Il seminarista esitava, ma l’ampio
sorriso dell’uomo lo incoraggiava. Nikolaj
riuscì infine a sfilare la casacca. Ora rimaneva la camicia. Era semplice,
non aveva bottoni, bastava tirarla su con le mani, l’uomo di certo non si
sarebbe opposto, ma l’avrebbe aiutato. Eppure Nikolaj esitava. Piotr gli prese le mani nelle sue e le guidò sui fianchi,
dove la camicia poggiava sui pantaloni. Nikolaj,
facendosi forza, incominciò a sollevare la camicia. Fatto il primo passo, si
sentiva più sicuro, ma quando ebbe sollevato il tessuto sopra i pantaloni,
mettendo a nudo il petto dell’uomo, la visione di quel corpo possente e della
peluria nera che lo ricopriva, lo turbò e lasciò ricadere la camicia. Piotr scosse la testa, sorridendo, e con un rapido
movimento si sfilò la camicia e la lasciò cadere al suolo. Nikolaj lo guardò.
Sentiva la gola secca. Deglutì. Ebbe l’impressione che gli mancasse il fiato.
Piotr era un uomo robusto, dalle spalle larghe e dai
muscoli ben sviluppati, lo stomaco un po’ sporgente e un velo di peli scuri,
molto fitti intorno ai capezzoli e sopra lo sterno, meno densi altrove. Anche
le braccia erano forti e villose. Nikolaj lo sapeva, aveva accarezzato Piotr la notte precedente, le sue dita avevano percorso
quel corpo, ma ora lo poteva vedere e questo lo confondeva. Allungò
un braccio e, con delicatezza, la sua mano accarezzò il petto di Piotr, giunse fino a un capezzolo, ne fece il giro, lo strinse
tra le dita, poi lo lasciò, cercò l’altro. L’altra mano prese coraggio e si
mise al lavoro anche lei, accarezzando quel corpo che si offriva, docile.
Nikolaj avrebbe continuato all’infinito, senza nemmeno rendersi conto
dell’eccitazione crescente che provava, ma Piotr
gli poggiò le mani sulle spalle ed esercitò una pressione. Il ragazzo non
oppose resistenza e si ritrovò inginocchiato di fronte a Piotr.
Davanti a sé poteva vedere il gonfiore dei pantaloni. Desiderava, ma non
osava, accostare le sue mani, sentirne la durezza e la forza, calare quella
stoffa che nascondeva e sottolineava, vedere ciò che aveva sentito dentro di
sé, ma non aveva mai visto. Esitava,
poi di nuovo le sue mani si mossero e Nikolaj avrebbe detto che lo facevano
per conto proprio, senza nessun ordine da parte della sua testa. Si posarono
sui fianchi dell’uomo, poi presero coraggio e si mossero insieme verso la
sporgenza. Le dita la sfiorarono appena e a Nikolaj parve di aver toccato il
fuoco. Ritrasse le mani, poi esse ritornarono, più sicure, e la destra osò
infine accarezzare l’asta rigida e tesa che il tessuto copriva. La sinistra
scese un po’ più in basso e sentì i grandi testicoli. Nikolaj
aveva di nuovo la gola secca ed era eccitato. Gli sembrava di essere sul
punto di venire, ma le sue mani non osavano salire fino alla cintura. Fu Piotr ad aiutarlo, a prenderle e ad accompagnarle alla
fibbia. Allora Nikolaj aprì il fermaglio, slacciò la cintura e, respirando a
pieni polmoni, abbassò i pantaloni. Ora
davanti ai suoi occhi c’era, in tutto il suo splendore, un grande uccello
quasi verticale, pieno di sangue, con la cappella scoperta, rosea, in punta
alla quale un raggio di sole che filtrava da una fessura faceva luccicare una
goccia. Nikolaj
chiuse gli occhi, perché per un attimo gli sembrò di non poter reggere la
vista, poi li riaprì, le sue mani affondarono nel vello denso che ricopriva
il ventre dell’uomo, poi presero coraggio e le dita sfiorarono l’uccello,
percorrendolo dalla base alla punta. E
infine il desiderio fu più forte dell’imbarazzo e Nikolaj avvicinò la bocca
alla cappella e inghiottì il boccone di carne. Pensò che non aveva mai avuto
in bocca nulla di altrettanto buono. Le sue mani ritornarono sul corpo di Piotr, si persero da qualche parte tra le cosce vigorose
e il culo, ma Nikolaj viveva nella sua bocca, che cercava i movimenti giusti,
imparava ad accarezzare con le labbra, provava a inghiottire - ma troppo
grande era l’arma, non era possibile prenderla tutta in bocca - muoveva la
lingua ad assaporare. Morse anche, leggermente, come Piotr
aveva fatto con lui. Piotr gli accarezzava la testa e Nikolaj veleggiava nello
spazio, tra le nuvole e l’azzurro del cielo, stringendo tra le labbra il sole
che gli dava calore. Il tempo si era fermato, lo spazio esterno non esisteva
più. Il mondo era nella sua bocca. Furono
le parole di Piotr a riportarlo a terra. -
Sto per venire, Nikolaj. Bevi, fino in fondo. Ti trasmetterà la mia forza. Nikolaj
annuì, senza lasciare il suo tesoro, e poco dopo sentì un getto prorompere.
Ne sentì il calore, il gusto nuovo. Inghiottì e sentì davvero una nuova forza
che scendeva dentro di lui. Bevve fino in fondo. Sarebbe ancora rimasto così, ma Piotr lo guidò ad alzarsi, lo girò, lo strinse tra le
braccia, così che il suo sesso, ancora gonfio, ma meno turgido, riposasse tra
le natiche di Nikolaj e poi prese ad accarezzarlo. Nikolaj
sentiva quelle mani che scivolavano sul suo corpo, lo stringevano, lo
accarezzavano, lo pizzicavano e quando esse toccarono il suo uccello, il
piacere lo stordì. Si abbandonò alla stretta di Piotr,
mentre ogni fibra del suo corpo gridava di gioia. Rimasero
a lungo così. Poi Piotr si staccò da lui e prese a
rivestirsi. Nikolaj lo guardò, incapace di staccare gli occhi da quel corpo
massiccio. Solo quando Piotr si fu infilato
pantaloni e camicia, il ragazzo si riscosse e si rivestì anche lui. Piotr gli sorrise, lo baciò sulla bocca e poi gli disse: -
Questa notte giungeranno nuovi demoni, più potenti. Ma i cerchi che io avrò
tracciato sono in grado di tenerli lontano, anche se essi li forzeranno in
alcuni punti. Questa notte non hai nulla da temere. Ma domani tutti coloro la
cui anima è nera cercheranno di impedirti di portare a termine la tua
missione. Faranno in modo di impedirti di dormire, perché nella notte la
mancanza di sonno indebolisca le tue forze. Insisteranno perché tu beva. Ti
forzeranno a rimanere nel borgo. -
Sì, Aleksej ha già provato oggi. -
Egli è il servitore più fedele del suo oscuro signore. Farà di tutto perché
il suo padrone ritorni a compiere il male. Un
pensiero attraversò di colpo la mente di Nikolaj. -
Potrebbe uccidermi? -
No, perderebbe il suo stesso signore. Nessuno potrebbe prendere il tuo posto
questa notte ed egli non riuscirebbe a ritornare in vita. -
Allora… non basterebbe che io scappassi? -
Non ti sarebbe possibile. Non te lo permetterebbero. Non
c’era altra via: doveva affrontare le successive due notti di veglia. -
Come potremo incontrarci? -
Va’ a dormire nel fienile, domani, mattina o pomeriggio, io sarò là. -
Nel borgo? Ma non c’è il rischio che ti vedano? -
Lo raggiungerò questa notte. Piotr accarezzò Nikolaj, poi gli disse: -
Ora vai, sali alla sorgente e dopo un po’, ritorna al villaggio. Nikolaj
riprese il sentiero, salì alla sorgente, si sedette vicino a essa per un po’,
poi ridiscese. A
cena Aleksej cercò nuovamente di farlo bere, ma
l’uomo che era già intervenuto a pranzo lo difese nuovamente. Aleksej
lo guardò fisso. - Bada a te, Sergiej. Bada a te. C’era
una minaccia inequivocabile nello sguardo e nelle parole di Aleksej, ma Sergiej non abbassò
gli occhi. Nella sala si era fatto silenzio. Aleksej mormorò: -
Chi tradisce paga caro. Poi
si alzò da tavola e se ne andò, senza dire più nulla. La
cena proseguì e il chiacchierio riprese, ma Nikolaj poteva avvertire la
tensione. Intorno a Sergiej sembrava essersi fatto
il vuoto, nessuno gli rivolgeva la parola, qualcuno lo guardava con odio, i
più abbassavano gli occhi. Quando
si alzarono, Sergiej gli si avvicinò e gli disse: -
Buona fortuna, ragazzo, che il Signore ti protegga.
Poi due servitori accompagnarono Nikolaj in chiesa. Nikolaj incominciò
a leggere le preghiere, alternandole con le formule che gli aveva insegnato Piotr. Quando
si sentirono suonare le nove, la porta della chiesa si aprì e Piotr avanzò. Era avvolto nel mantello e portava su una
spalla un sacco. Piotr lo posò e ne estrasse chiodi neri. Incominciò a
piantarli intorno alla bara, in modo da formare un cerchio perfetto, in cui
le teste dei chiodi si toccavano. Quando ebbe finito, controllò il lavoro con
cura, come aveva fatto la sera precedente. Poi
si avvicinò a Nikolaj e prese dal sacco altri chiodi, dorati, e tracciò un
secondo cerchio, anch’esso perfetto. Lo esaminò con attenzione, poi si
sollevò, sorrise a Nikolaj e uscì. Nikolaj
si sentiva tranquillo: aveva piena fiducia in Piotr
e sapeva di non avere nulla da temere. Tuttavia, man mano che il tempo
passava, una certa inquietudine si faceva strada in lui. Gli bastava però
guardare le teste luccicanti dei chiodi perché l’agitazione che provava si
calmasse. Al
primo rintocco di mezzanotte il cadavere si mise a sedere, come la sera
precedente. Sul suo viso c’era una fredda determinazione. Poi, mentre i colpi
risuonavano, il corpo scese a terra. Al dodicesimo colpo si mosse in avanti.
Nuovamente si scontrò contro l’ostacolo. Percorse rapidamente tutta l’area
del cerchio, senza trovare una via d’uscita, il viso contratto da una rabbia
sorda, la bava nera che nuovamente colava dalle labbra. Ed
ancora una volta risuonò quel grido inumano. L’aria
si velò e ombre scure presero consistenza. Questa volta però non erano
animali: ognuna di esse aveva una forma almeno in parte umana. Una donna
molto grassa, dalle orecchie a punta, spalancò la bocca proprio davanti a
Nikolaj, mettendo in mostra tre file di denti aguzzi, poi svanì ridendo e
mentre la risata ancora echeggiava nella stanza riapparve in un altro punto.
Un’altra si contorceva sul pavimento, avvolta in lunghi capelli neri; aveva
una lunga coda e artigli d’aquila, con cui cercava di graffiare Nikolaj,
senza però riuscire a superare il cerchio. Un uomo con due lunghe corna e una
barba caprina fissava Nikolaj, esibendo tra le gambe pelose due membri giganteschi,
che scendevano ben oltre le ginocchia. In aria svolazzavano piccole figure
umane, maschili e femminili, con ali trasparenti o rosse, mentre una specie
di bambino senza orecchie saltellava su piedi palmati. Appesi alle colonne, a
testa in giù, uomini con orecchie e baffi da gatto allungavano mani con
artigli. Quattro giganti pelosi, le cui teste toccavano il soffitto,
esibivano sessi eretti, più alti dello stesso Nikolaj, e si chinavano per
ghignargli in faccia. Le
creature sembravano moltiplicarsi con il passare del tempo e se inizialmente
apparivano indolenti, ben presto incominciarono a muoversi freneticamente. A
differenza della sera prima, però, esse non vagavano a caso, ma si muovevano
intorno alle due pareti invisibili, come se cercassero in tutti i modi di
forzare i cerchi magici e penetrare in essi. Il morto mostrava una furia
incontenibile, che lo spingeva a sbattere in continuazione contro la parete
che lo isolava. Le creature cercavano in tutti i modi di aiutarlo. Le
visioni, mostruose od oscene, erano inquietanti, ma Nikolaj era certo che,
come la notte precedente, le creature avrebbero dovuto rassegnarsi alla
sconfitta. Eppure, quando i quattro giganti si mettevano intorno a lui e le
loro mani cercavano di spezzare il cerchio magico, Nikolaj era cosciente
della propria piccolezza e fragilità. Quando
suonarono le cinque, Nikolaj si disse che ormai mancava solo un’ora. Ma
proprio in quel momento si rese conto che il dito di una delle creature
demoniache, una donna con gambe da gazzella, era molto vicino alla sua
faccia. Arretrò spaventato. Per un attimo tacque, ma il silenzio irreale che
si creò gli fece capire il suo errore e riprese subito la recitazione
interrotta. Mentre formulava gli scongiuri, osservò con attenzione ciò che
stava avvenendo. Era vero, il dito arrivava oltre la barriera. Guardandosi
intorno, notò che anche in due altri punti c’erano dei cedimenti: uno dei
giganti, alle sue spalle, aveva in qualche modo forzato la parete invisibile
sopra di lui, tanto che il suo membro smisurato sembrava essere entrato nel
cerchio; una creatura con la testa femminile e un corpo maschile aveva
infilato un pezzo di piede alla base del circolo. Con
angoscia, Nikolaj realizzò che qualche cosa di simile stava accadendo anche all’altro
cerchio, perché il morto stava toccando gli artigli di una mano che era
riuscita a superare la barriera. Nikolaj
si sentì perduto. Alzò la voce e si mise a recitare più in fretta, anche se
sapeva benissimo che la velocità non significava nulla. Mentre ripeteva
formule e preghiere, non perdeva d’occhio i progressi, lentissimi, ma
inesorabili, che stavano compiendo le creature demoniache. Ormai erano tre le
dita della mano che riuscivano a entrare all’interno del suo cerchio e il
piede era avanzato fino all’attaccatura della gamba. Sopra di lui il membro
del gigante lo sovrastava. Le
creature lavoravano accanitamente anche dall’altra parte e ben presto Nikolaj
vide con orrore che il morto riusciva a far uscire un braccio dal cerchio. Non
mancava più molto all’alba, però. Nikolaj sentiva un sudore gelido colargli
lungo la schiena, un tremito lo percorreva. Il
gigante era sopra di lui, poteva vederne gli enormi testicoli pelosi. Cercava
di schiacciare la barriera, ma questa più in basso reggeva ancora. Nikolaj
tremava, le forze lo stavano abbandonando. Guardò davanti a sé e poco mancò
che non lanciasse un urlo: il morto era uscito dal cerchio e si stava
avvicinando. In
quel momento suonarono le sei. Il
morto infilò la mano là dove una delle creature aveva aperto un varco, ma lo
spazio non era sufficiente e solo tre dita riuscirono a entrare. Il morto
ritirò la mano. Fissava Nikolaj con uno sguardo in cui brillava un odio
assoluto, mentre un’abbondante bava nera colava dalla bocca socchiusa, sporcando
il mento e l’abito scuro. In
quel momento Nikolaj sentì il canto del gallo. Le creature si dissolsero in
un attimo, il morto perse forza e si trascinò fino alla bara. Nikolaj
lo guardò distendersi nel feretro e svenne. Furono
le voci di Aleksej e di un altro servitore a
svegliarlo. -
Così vegli? Stai dormendo! Nikolaj
si sollevò, tremando. -
Ho vegliato fino alle sei, ma qui sono apparse cose terribili. Aleksej intanto stava esaminando il cerchio di chiodi.
Gli lanciò un’occhiata penetrante. Non disse nulla, aveva capito. Nikolaj era
ancora scosso, ma sostenne quello sguardo. Aveva accettato la lotta e aveva
vinto due volte. Avrebbe vinto anche la terza.
Nikolaj sentiva addosso una stanchezza mortale. Subito dopo colazione
disse che aveva bisogno di dormire. Aleksej rispose: -
Non ti allontanare dal villaggio. Era
un ordine, che conteneva anche una chiara minaccia. Nikolaj lo guardò, senza
abbassare gli occhi. Poi rispose: -
Dormirò nel fienile, come ieri. Nikolaj
raggiunse il fienile. Questa volta però, invece di dormire in basso, salì con
la scala nella parte più alta. Nell’ombra, al fondo di uno stretto passaggio
tra due masse di fieno, vide una figura familiare. Si
avvicinò a Piotr e il pensiero della notte
trascorsa lo sopraffece. Si abbandonò contro il corpo dell’uomo,
singhiozzando come un bambino. Piotr non disse
nulla, ma le sue braccia lo stringevano e una mano gli accarezzava la testa.
Nikolaj sentì che lentamente l’angoscia svaniva e i suoi singhiozzi si
calmarono. Piotr lo fece stendere. -
Ora dormi - sussurrò. Lo
coprì con il mantello e Nikolaj sprofondò in un sonno profondo. Si
svegliò diverse ore dopo, quando Piotr gli tolse il
mantello. Dal cortile proveniva un baccano infernale: un fabbro batteva sull’incudine,
un falegname segava assi e qualcuno piantava chiodi, mentre diverse persone
urlavano, come se volessero farsi sentire a distanza in quel chiasso. Piotr sorrise: Nikolaj riusciva a cogliere il sorriso
anche sotto il cappuccio. Gli disse, sempre parlando a voce bassissima: -
Hanno cercato di impedirti di dormire, ma il mantello ti ha protetto. Di’ che
non hai potuto riposare un attimo, lamentati per i rumori continui. E dopo
aver mangiato torna qui. In
quel momento sentì la voce di una serva: -
Seminarista, se non vuoi rimanere a pancia vuota, muoviti a scendere. C’era
la solita tavolata. Tutti lo fissarono quando entrò. Nikolaj si mise al suo
solito posto. Notò che vicino a Sergiej non si era
seduto nessuno. Tutti avevano paura di Aleksej o,
più probabilmente, del signore di cui desideravano o temevano il ritorno. -
Hai riposato? La
voce di Aleksej era beffarda. -
E come avrei potuto? Sembra che questa mattina tutta la Russia avesse lavori
da fare nel cortile. Ci sono ancora fabbri e maniscalchi, falegnami e
muratori a Kiev e a San Pietroburgo o sono tutti qui? Aleksej ghignò: -
Ci sono lavori da fare, ragazzo, non possiamo mica fermarci solo perché tu
devi dormire!
Nikolaj non rispose. Aleksej riprese:
- Comunque, puoi dormire oggi pomeriggio. Tanto è meglio che non te ne
vai in giro. Tra un po’ piove. Nikolaj
alzò le spalle e si mise a mangiare. Dopo
pranzo disse che intendeva cercare di dormire ancora e che sperava di potere
avere un po’ di pace, ma Aleksej gli annunciò
ghignando che il fabbro aveva parecchio lavoro da svolgere. Aleksej ritornò al fienile, si arrampicò lungo la scala
fino in cima e ritrovò Piotr. Era seduto nello
stesso posto del mattino, avvolto nell’ampio mantello.
Nikolaj non aveva sonno, aveva dormito abbastanza in mattinata. Ardeva
invece di desiderio. Sapeva che i loro corpi si sarebbero nuovamente
incontrati, perché quell’abbraccio gli avrebbe dato la forza necessaria per
affrontare il nemico. Ed era impaziente di poter stringere nuovamente Piotr. L’imbarazzo del giorno precedente non era certo
scomparso, ma era diminuito ed era assai meno forte del desiderio.
Eppure, vedendo Piotr seduto tra i due
mucchi di fieno, contro la parete, si sentì smarrito. Piotr
gli tese le braccia e Nikolaj si avvicinò, strinse le mani che si
protendevano verso le sue e lasciò che l’uomo lo attirasse a sé.
Fuori il fabbro si era rimesso al lavoro, proprio di fianco al
fienile, e i suoi colpi risuonavano fortissimi. Più in là un falegname stava
segando assi. Ma Nikolaj quasi non si accorgeva di quel concerto assordante.
Ora le braccia di Piotr avvolgevano Nikolaj.
Per la prima volta le loro bocche si incontrarono. Per un attimo Nikolaj
pensò al viso sfigurato di Piotr, ma il desiderio
che lo avvolgeva era più forte di quell’immagine atroce. Quel bacio, il primo
della sua vita, fu un’emozione fortissima. E quando la lingua di Piotr si insinuò tra i suoi denti, Nikolaj spalancò la
bocca per lo stupore. Era bellissimo, una sensazione dolcissima eppure forte.
Non pensava che si potesse fare, non aveva mai pensato che ci fosse una cosa
del genere, anche se al seminario aveva sentito parlare di donne che sapevano
baciare. Ma non aveva capito: per lui un bacio era solo l’incontro tra due
bocche. Piotr lo
guidò a sdraiarsi per terra e si mise su di lui. Poi riprese a baciarlo,
mentre le sue mani accarezzavano il corpo di Nikolaj, dai capelli al culo,
ora dolci, ora brusche. Nikolaj ricambiava quelle carezze afferrava la carne
a piene mani, accarezzava.
Poi Piotr lo avvolse tra le sue braccia,
bloccandolo completamente, e si girò. Nikolaj era su di lui, ora. Piotr incominciò a sfilargli la camicia, poi i pantaloni.
Ben presto Nikolaj fu nudo e anche le sue mani, ancora un po’ incerte, ma via
via più sicure, presero a spogliare Piotr. Era
bello vedere quel corpo robusto emergere dalla stoffa, affondare le mani in
quella peluria, stringere la carne.
Quando Nikolaj abbassò i pantaloni di Piotr,
emerse il grande uccello, già duro. Nikolaj lo guardò, ammaliato. Era
bellissimo, così grande, così forte, così teso. Piotr
gli mise le mani sulla testa e la avvicinò all’uccello.
Nikolaj passò la lingua, con delicatezza, dalla cappella ai testicoli.
Era una sensazione intensissima. Per un attimo si fermò, poi la sua lingua
riprese a muoversi, con maggiore sicurezza. Indugiò sulla cappella, che
accarezzò con cura, scese nuovamente, si perse tra le pieghe dei testicoli,
risalì ancora. Senza pensarci, Nikolaj lasciò che i suoi denti afferrassero
il vigoroso bastone che troneggiava e stringessero energicamente la carne. Piotr gli accarezzò i capelli, senza dire nulla. Nikolaj
alzò lo sguardo e, incoraggiato dal sorriso di Piotr
inghiottì la cappella, su cui era spuntata una goccia di seme. La sua lingua
si mise all’opera, con movimenti ora lenti, ora rapidi. A tratti erano invece
le labbra a darsi da fare, avvolgendo quella bella mazza calda e vibrante.
Nikolaj avrebbe continuato per sempre, senza badare alla propria
erezione, assaporando soltanto il gusto di quel boccone prelibato. Ma sentì
il sussurro di Piotr:
- Ora, bevi.
E il getto sgorgò violento, inondandogli la bocca. Nikolaj bevve, fino
all’ultima goccia, e gli sembrò di essere più forte. Quando ebbe bevuto alzò
lo sguardo su Piotr, che gli sorrideva. Piotr gli passò le mani sul viso e lo attirò a sé. Lo
baciò sulla bocca, di nuovo la sua lingua si infilò tra le labbra e i denti
di Nikolaj, poi si ritirò. Rimasero un buon momento così, avvolti in una stretta
che appagava completamente Nikolaj e gli faceva scordare perfino il proprio
intenso desiderio.
Ora contro il ventre Nikolaj poteva sentire che l’uccello di Piotr si tendeva nuovamente. Piotr
lo guidò a sollevarsi e sedersi su di lui, in modo che il culo poggiasse
esattamente sull’uccello teso. Quella clava calda tra le cosce dava a Nikolaj
un brivido. Era una sensazione splendida.
Piotr gli mise le mani sui fianchi e lo
sollevò leggermente. Si bagnò due dita e le passò intorno al buco del culo di
Nikolaj. Ripeté l’operazione due volte. Allora Nikolaj si inumidì le dita
della destra e le passò sulla cappella di Piotr.
Piotr sollevò il grande uccello teso e
Nikolaj si abbassò lentamente, impalandosi su quella mazza. Fu doloroso, ma splendido.
Nikolaj si alzava e abbassava ritmicamente e ogni volta l’uccello di Piotr quasi usciva, per poi penetrare in profondità,
nella carne che dolorante e impaziente lo accoglieva.
Fuori continuavano a sentirsi i colpi che il fabbro menava
sull’incudine e a Nikolaj sembrava che fossero i colpi che il grande uccello
di Piotr vibrava nel suo culo.
Nikolaj si sentiva sprofondare in un turbine di piacere, che
sovrastava il dolore, le mani di Piotr erano catene
che lo stringevano, una stretta a cui non avrebbe voluto sfuggire, l’uccello
di Piotr era un palo che gli dava tormento ed
ebbrezza.
Il movimento proseguiva da tempo e a Nikolaj sembrava di non essere
più in grado di reggere, eppure avrebbe voluto che non smettesse mai. Era
esausto, goccioline di sudore gli colavano sul viso, qualche goccia di sangue
scendeva sull’uccello di Piotr.
Le dita di Piotr gli strinsero il culo con
più forza, lo costrinsero ad appoggiarsi completamente su di lui, mentre il
ventre di Piotr vibrava e dentro il culo Nikolaj
sentì l’esplosione del seme di Piotr. Era un getto
continuo che lo riempiva. E a quel getto rispose il fiotto del seme di
Nikolaj, che salì alto nell’aria, per poi ricadere sul ventre di Piotr.
Nikolaj si abbandonò, quasi svenuto, sul corpo di Piotr,
le cui braccia lo avvolsero completamente.
Piotr sussurrò, pianissimo: -
Ora devi riposare ancora un po’. Coprì
i loro corpi con il mantello e ogni rumore svanì. Nikolaj sprofondò
nuovamente in un sonno benefico, steso sul corpo di Piotr,
tra le sue braccia. Si
svegliò nel tardo pomeriggio, quando Piotr gli
tolse il mantello. Si sentiva perfettamente riposato. Piotr
gli accarezzò il viso e gli sussurrò: -
Questa notte verrò e rimarrò con te. Nessuno può cancellare i cerchi che ho
costruito, non si possono togliere quei chiodi, ma il loro potere non è più
sufficiente. L’avrai visto questa notte. Nikolaj
annuì. Rabbrividì ancora al pensiero della notte che aveva trascorso. -
La mia presenza restituirà forza alla barriera e nessuno riuscirà a superarla
prima dell’alba. Ora vai, Nikolaj. La
cena non si svolse diversamente dal pranzo, ma Nikolaj avvertiva una
fortissima tensione. Tutti parlavano molto poco e sottovoce, anche se a
tratti qualcuno diceva qualche cosa molto forte, per cercare di spezzare un
silenzio tanto inusuale quanto inquietante. Tutti i servitori aspettavano
quello che sarebbe successo nella notte. Sergiej
era completamente isolato e Aleksej faceva scorrere
sulla tavolata uno sguardo cupo, Quando
divenne buio, Aleksej accompagnò Nikolaj alla
chiesa. Lo lasciò dicendogli: -
Non contare su nessun aiuto, questa notte. Te la dovrai cavare con le tue
forze e voglio proprio vedere come farai! Rise,
una risata sforzata, ma Nikolaj la sentì come una frustata. Entrò
nella chiesa. Non si avvicinò alla bara. Andò direttamente al cerchio che era
stato tracciato da Piotr il giorno prima. Quando vi
arrivò, vide che il legno del pavimento era stato rotto in diversi punti, ma
anche dove esso era stato inciso in profondità, i chiodi erano saldamente al
loro posto. Questo lo tranquillizzò un po’, anche se sapeva benissimo che i
poteri infernali avevano privato il cerchio di gran parte del suo potere. Aprì
il libro di preghiere e prese a leggere. Al termine di ogni preghiera
recitava una delle formule che gli aveva insegnato Piotr. Dovevano
essere quasi le nove. Piotr sarebbe arrivato tra
poco. Nikolaj sentiva un bisogno spasmodico della sua presenza. Il
primo rintocco risuonò e in quel momento si sentì uno sparo. Tre rintocchi
ancora, poi un secondo colpo.
Nikolaj guardò sgomento la porta. Un pensiero atroce si faceva strada
nella sua mente e a ogni rintocco acquistava più consistenza. Sapevano che Piotr lo aveva aiutato e gli avevano teso un agguato. La
porta rimaneva chiusa. Nikolaj recitava le preghiere, ma una disperazione
sorda saliva dentro di lui. Piotr era stato ucciso
e anche lui sarebbe morto. Gli sembrava che la morte di Piotr
gli pesasse di più della propria, ormai inevitabile. Piotr
era morto per salvarlo, ma tutto era stato invano. Il
tempo passava e Nikolaj recitava e leggeva meccanicamente. Si sentiva come un
uomo che aspetta la propria esecuzione: non aveva più nessuna speranza. Ogni
tanto guardava verso la porta, ma essa rimaneva chiusa. Il pensiero di Piotr ritornava in continuazione. Al
primo rintocco di mezzanotte il cadavere si sollevò a sedere nella bara e la
chiesa si riempì di ombre. Al secondo rintocco il cadavere scese dal
catafalco e le ombre divennero più spesse. Al
terzo rintocco, il cadavere fece un passo verso Nikolaj.
In quel momento la porta della chiesa si aprì e una figura familiare
apparve. A Nikolaj sembrò che il cuore gli si fermasse in petto. L’uomo che
avanzava avvolto in un mantello era senza dubbio Piotr.
Anche se non poteva vedergli il viso, glielo diceva il cuore. E glielo
confermava la smorfia di rabbia che era apparsa sul viso del morto: questi si
era fermato, guardando il suo nemico, poi aveva ripreso a muoversi, mentre le
ombre della stanza acquistavano consistenza. Piotr avanzava lentamente verso Nikolaj e c’era qualche
cosa di insolito in quel suo incedere misurato, come se ogni passo gli
costasse fatica. Quando
il penultimo rintocco si spense, Piotr entrò nel
cerchio e si tolse il mantello. Non aveva cappuccio ed era a petto nudo.
Sulla spalla aveva una fasciatura, sporca di sangue.
Al suono del dodicesimo rintocco, Piotr
poggiò il mantello sulle spalle di Nikolaj e lo chiuse con la fibbia. Poi si
voltò verso il morto, che era di fronte a loro. Si fronteggiarono a lungo,
senza un movimento, senza una parola. Nikolaj
recitava le formule e il suo sguardo ogni tanto vagava tra i demoni che
riempivano la chiesa. Questa volta le loro forme erano mutevoli. Una donna
nuda con un corpo violetto e la testa di scimmia, magrissima, si trasformò
sotto i suoi occhi: la testa si allungò e cambiò colore, fino a diventare
quella di un cinghiale, con le zanne; dalla vagina spuntò un membro maschile che
crebbe a dismisura e le mammelle divennero due teste, una di capra e una di
aquila, mentre il corpo si ricopriva di scaglie. Le zanne divennero corna di
ariete e la creatura si slanciò a grande velocità contro la parete, ma fu
respinta dalla barriera invisibile. Le trasformazioni erano continue, ma
quando Nikolaj fissava una creatura, esse subivano una brusca accelerazione.
Un topo che saltellava come un ranocchio sul pavimento crebbe fino a
diventare alto come un elefante e i suoi baffi si trasformarono in fiamme
bluastre, mentre le gambe gli si allungavano e si munivano di forti zoccoli,
con cui cercò di abbattere il cerchio magico che difendeva Nikolaj e Piotr. L’intera
chiesa risuonava di urla, gemiti, singhiozzi, ululati, grugniti, sempre più
forti, come se i demoni cercassero di coprire la voce di Nikolaj.
Molte creature si affollavano intorno al cerchio, ma altre vagavano
tutt’intorno. Nikolaj poteva intravedere scene di lotta e accoppiamenti
mostruosi, ma i demoni svanivano improvvisamente per riapparire da un’altra
parte. Più
volte Nikolaj fu sul punto di interrompersi, sconvolto da quello che vedeva.
Perciò abbassò lo sguardo sul libro, ma anche così non era facile
concentrarsi, perché alla base del cerchio poteva vedere creature che strisciavano
e i piedi deformi di altri. Le
ore passavano, lentamente. A tratti Nikolaj alzava gli occhi su Piotr e ne vedeva la schiena possente. Ma ai piedi di Piotr c’era del sangue, che formava già una piccola
pozza. Nuove gocce scendevano dal corpo di Piotr e
la pozza si allargava lentamente. Nikolaj
si sentiva sprofondare nell’angoscia. Nulla poteva fare, se non leggere le
preghiere e recitare gli scongiuri. E questo faceva, sforzandosi di ignorare
tutto ciò che aveva intorno. Ma i suoi occhi ritornavano alla pozza di
sangue, che cresceva e stava per raggiungere il cerchio tracciato dai chiodi.
Nikolaj
non badava più alle creature: quando distoglieva gli occhi dal libro, il suo
sguardo correva al sangue sul pavimento. Ora il sangue lambiva il cerchio di
chiodi. Nikolaj aveva la sensazione che quando il sangue avesse coperto i
chiodi, sarebbe successo qualche cosa. Continuava
a recitare, ma non riusciva più a sentire ciò che diceva. L’intera chiesa
risuonava di grida e risate, grugniti e ululati, sempre più forti. Ma Nikolaj
non cedeva. Sapeva che dalle formule che recitava dipendevano la sua vita e
quella di Piotr. Poi
sentì la voce di Piotr. Era debolissima, come se
arrivasse da lontano, ma neppure le grida degli esseri mostruosi potevano
sovrastarla. -
Non smettere di recitare le formule, Nikolaj, qualunque cosa succeda,
qualunque cosa!
Poco dopo a Nikolaj parve di udire, lontanissimo, il canto del gallo.
Per un attimo provò un enorme senso di sollievo, ma in quel preciso momento Piotr scivolò al suolo, ai piedi di Nikolaj. Tutto il
viso e il corpo erano una maschera di sangue.
Nikolaj trattenne un grido e facendosi forza continuò a recitare gli
scongiuri. Il gallo aveva cantato, perché i demoni non scomparivano? La
barriera era svanita, perché il morto entrò nel cerchio e si chinò su Piotr. Brandiva un pugnale e lo calava sul corpo steso ai
suoi piedi, ma i suoi movimenti erano lentissimi: probabilmente stava
perdendo forza. Nikolaj fece in tempo e sciogliere la fibbia del mantello e a
gettarlo sul corpo di Piotr. Il morto allora
sollevò su di lui uno sguardo feroce e alzò il pugnale per colpirlo.
Il gallo cantò una seconda volta e un raggio di luce entrò dalla
finestra sopra la porta d’ingresso della chiesa. Ci fu un grido atroce, che
parve emanare da tutti i demoni e dal morto. L’urlo assordò Nikolaj e gli
bloccò la parola. In
un istante tutte le creature caddero al suolo inerti e la caduta dei giganti
fece tremare l’intero edificio. Intorno a Nikolaj, al di fuori del cerchio,
si accumularono corpi di ogni tipo, che andavano decomponendosi sotto lo
sguardo di Nikolaj. Un fetore immondo, di carne in putrefazione e liquami, si
sparse per tutto l’edificio, rendendo l’aria irrespirabile. Nikolaj
non ci fece caso. Si inginocchiò e sollevò il mantello. Il viso di Piotr non aveva più traccia di ferite, su entrambi i lati
la carne era nuovamente intatta, e anche sul corpo erano scomparsi i segni
delle grinfie dei demoni. Rimaneva solo la ferita della pallottola, da cui
usciva un po’ di sangue. A
Nikolaj sembrava che il cuore impazzisse. Avevano vinto, ma una sola cosa
contava al mondo: Piotr era vivo o lo aveva
lasciato per sempre? Perché se il prezzo per la salvezza di Nikolaj era la
vita di Piotr, allora Nikolaj avrebbe preferito morire.
Piotr aprì gli occhi. Sorrise. Era pallidissimo, ma era
vivo. -
Piotr! Nikolaj
incominciò a piangere. Piotr gli accarezzò la
guancia. Era debole per la ferita ed esausto per la lotta sostenuta. -
Dobbiamo andarcene, rapidamente, Nikolaj. Piotr si alzò. Intorno a loro il pavimento era ingombro
di una massa di corpi che conservavano solo in parte il loro aspetto. Un
liquido nero e nauseabondo colava ovunque. Solo il cadavere del signore di Velìkie Soròčintsy era
ancora intatto, ma il suo viso si era trasformato in un’unica maschera di
sangue. Non
fu facile raggiungere l’uscita senza mettere i piedi in quella poltiglia, che
ormai ricopriva gran parte del pavimento. Sergiej aspettava sulla porta della chiesa. Sapeva di non
avere nulla da perdere: se il demone avesse vinto, la sua sorte era comunque
segnata. Piotr lo abbracciò e, rivolgendosi a
Nikolaj, disse: -
È lui che mi ha salvato la vita e ha salvato il borgo. Quando Aleksej mi ha sparato, ferendomi, è intervenuto e lo ha
ucciso prima che mi finisse. Poi mi ha bendato e aiutato ad arrivare alla
chiesa. Sergiej mise le sue mani sulle guance di Nikolaj: -
Tutti noi ti saremo grati per sempre, ragazzo. Senza di te, il signore
infernale regnerebbe ancora su di noi. Molti
servitori e contadini erano usciti dalle case e adesso si avvicinavano a
loro. Alcuni si affacciarono alla soglia della chiesa, ma si ritrassero
inorriditi. Piotr parlò: -
Dobbiamo bruciare questo covo di demoni. Portate delle torce e delle fascine. I
servitori ubbidirono solerti al loro nuovo signore. Gettarono le fascine
nella chiesa, senza entrare, e poi Piotr lanciò tre
torce accese. Ben presto il fuoco divampò e un fitto fumo nero si sprigionò. -
Indietro, tutti. Non respirate questi fumi infernali. Si
allontanarono e, da una buona distanza, osservarono l’edificio. Presto
l’intera chiesa incominciò ad ardere. Ma le fiamme che si levavano non
avevano il colore del fuoco, essere erano nere come la pece e diffondevano un
lezzo pestilenziale. Molti
caddero in ginocchio di fronte a quel prodigio, tutti si segnarono. La
chiesa bruciava in grandi vampe nere, che sembravano voler raggiungere il
cielo. Poi si udì un grande fragore e le pareti crollarono. Le fiamme arsero
ancora a lungo e solo quando furono sul punto di spegnersi esse si fecero
rosse e gialle come il fuoco. -
Il borgo è stato purificato. Portate ancora legna. Mentre
i servitori eseguivano gli ordini, Piotr,
accompagnato da Nikolaj e Sergiej, entrò
nell’abitazione del signore, che ora era divenuta sua. Nella camera da letto
aprì un grosso baule e ne fece prendere tre volumi. Sergiej
e Nikolaj li portarono nello spiazzo e, su ordine di Piotr,
li gettarono nel fuoco. Le fiamme cambiarono nuovamente colore, ma solo per
un breve tempo. Piotr si rivolse a Nikolaj: -
Bene, Nikolaj. Hai assolto degnamente il tuo compito e credo che il rettore
possa essere soddisfatto di te. Ma ti interessa davvero tornare al seminario?
Io avrò bisogno di un segretario e qui, se vuoi, c’è posto anche per la tua
famiglia. Nikolaj
sorrise, cercando di nascondere l’emozione violenta che le parole di Piotr avevano destato in lui. Che cosa avrebbe potuto
desiderare di più dalla vita, che vivere accanto a Piotr?
Si sforzò di mantenere ferma la voce e rispose: -
Se la paga è buona... 2011 |