| Sotto
  occupazione 
 Nicolas Faucon voleva bene ai suoi figli ed era un uomo pio,
  attento ai dettami della Chiesa. Se avesse potuto prevedere ciò che sarebbe
  successo, non avrebbe trascurato tanto la casa, avrebbe fatto riparare la porta
  della scuderia e il comignolo. Ma da quando sua moglie
  era morta, dando alla luce una bambina, Nicolas Faucon
  aveva perso ogni voglia di vivere, ogni energia. Trascinava le sue giornate
  come un fardello insopportabile e a nulla servivano le esortazioni del
  curato, i consigli degli amici, l’affetto del figlio André.  Nessuno si occupava più
  della casa, se non due servitori, ma è l’occhio del padrone quello che
  ingrassa il cavallo e Nicolas Faucon viveva con gli
  occhi chiusi. Nicolas possedeva diversi terreni, che un tempo davano buone rendite, ma si lasciava imbrogliare dagli
  affittuari. Dopo la morte della moglie, l’agiatezza dei primi anni di
  matrimonio diventò un ricordo: la famiglia viveva decorosamente, nulla di
  più. Ma nessuno dei tre sembrava preoccuparsene: non Nicolas, chiuso nel
  proprio dolore; non il piccolo André, costretto a crescere troppo in fretta;
  non Marie, a cui bastava l’amore del fratello.  Quando i servi gli
  segnalavano la necessità di lavori di manutenzione, Nicolas annuiva e diceva
  che se ne sarebbe occupato, ma le incombenze scivolavano via dalla sua mente
  senza trovare un appiglio e i lavori venivano continuamente rimandati. Fu
  così che dopo le grandi piogge di un aprile maledetto, quando il fiume
  straripò e distrusse il raccolto per miglia e miglia
  lungo la valle, il comignolo crollò. Spaccò il selciato del cortile in
  diversi punti, aprendo buchi, alcuni dei quali grandi e profondi. Nicolas
  fece riparare il tetto e costruire un nuovo comignolo, ma non si occupò di
  risistemare il selciato. Anche la porta della
  scuderia avrebbe dovuto essere riparata e non lo fu.
  E quando ci fu l’incendio della casa dei Müller, i
  loro vicini, il cavallo, pazzo di terrore, vibrò un
  calcio alla porta ed essa cadde a terra. L’animale si precipitò fuori. In
  mezzo al cortile giocava Marie, che aveva allora sei anni. La bambina voltò
  la testa verso il cavallo che correva verso di lei e lo guardò, paralizzata
  dalla paura.  L’avrebbe travolta,
  uccidendola, ma André si buttò addosso alla sorellina, spingendola via. Lo
  zoccolo del cavallo gli prese in pieno il ginocchio, frantumandolo. André
  rimase zoppo.  Diciotto anni sono
  passati. Nicolas Faucon ha raggiunto nella tomba la
  moglie tanto amata. Marie si è sposata, vive in Normandia. I terreni sono serviti
  per la sua dote. Ad André è rimasta la casa. Si guadagna da vivere facendo il
  maestro. André conduce una vita
  molto appartata. L’infanzia gli è stata tolta presto dalla morte della madre
  e dalla malinconia del padre. L’adolescenza l’ha spezzata il calcio del
  cavallo, costringendolo a muoversi con le stampelle o almeno con un bastone.
  Forse ci sono anche altre cose, che André non dice. Ma ha pochi amici e vive
  isolato. André dedica il suo tempo
  alla scuola e alla lettura. Ma i suoi giorni come maestro sono contati.  Sono arrivati nuovi
  soldati e André prevede che gliene toccherà qualcuno: è già stato fortunato a
  non averne fino ad ora. È pomeriggio, André legge I
  dolori del giovane Werther e ha gli occhi lucidi. André si commuove
  facilmente quando legge storie di amori infelici. È una sua debolezza, che
  nasconde con cura agli altri.  I soldati prussiani
  bussano alla sua casa. Anne va ad aprire. André prende
  il bastone e si dirige alla porta. Sulla soglia c’è un ufficiale prussiano,
  un uomo sui quaranta, alto, spalle larghe. Trasmette un senso di potenza e,
  come sempre gli accade di fronte a uomini forti, André si sente a disagio. L’uomo ha occhi azzurri e
  capelli di un biondo scuro. Li porta corti, è un po’ stempiato. L’ufficiale lo guarda e
  gli dice, in un francese quasi perfetto, con appena un leggero accento
  tedesco: - Sono il tenente Eric Zumstein, stato assegnato qui. Lei mi deve mettere a
  disposizione una camera per me ed un letto per il
  mio attendente. Il tono è fermo, ma non
  scortese. È un ordine e l’ufficiale non pensa che qualcuno possa discuterlo. André si dice che è meglio
  avere un ufficiale che quattro o cinque soldati. Ci sono due camere, al primo
  piano. André dorme al piano terreno, in una cameretta che un tempo era
  utilizzata dalla servitù. Salire le scale gli costa fatica. Anne accompagna
  l’ufficiale e l’attendente al primo piano, dà loro
  il necessario, poi ridiscende. Borbotta qualche cosa contro i prussiani. Anne
  è di famiglia tedesca, ma i prussiani non li sopporta. André prende il libro che
  ha lasciato in giardino e ritorna in casa. Vuole rimettere il volume nella
  libreria, gli dà fastidio che il prussiano veda che lui sta leggendo in
  tedesco. Non saprebbe dire perché, ma l’idea non gli piace.  Posa il volume sul tavolo,
  apre l’anta e sta per riprendere il libro e collocarlo al suo posto, quando
  una mano si posa sul volume. André sussulta e alza gli occhi. L’ufficiale è
  davanti a lui. È sceso, senza che lui se ne accorgesse. - I dolori del giovane
  Werther? Il maestro ha un animo romantico.  Il gesto e il commento
  dell’ufficiale infastidiscono André, anche se nel tono dell’uomo non ha
  avvertito derisione. Vorrebbe dire che lo legge solo per esercitare il suo
  tedesco, ma sarebbe una menzogna e mentire di fronte al nemico è una resa,
  uno svilirsi. Tace. L’ufficiale gli parla in
  tedesco, ora: - Lei legge in tedesco. Lo
  parla anche, quindi. Le due cose non vanno
  necessariamente insieme, ma André parla benissimo il tedesco. Sua madre era
  tedesca, anche se in casa si parlava francese. André si limita a
  rispondere, in tedesco: - Sì, lo parlo. Ha replicato in modo
  asciutto. L’ufficiale ha avvertito una nota di ostilità nella voce. André lo
  vede irrigidirsi. André ama il suo paese, ma il nazionalismo esasperato di
  molti suoi compatrioti gli dà fastidio. Ha idee diverse, alimentate da tanti
  libri e meditazioni. André passa molto tempo a pensare. Si pone domande,
  cerca risposte. A volte si dice che pensa troppo, si rende conto che le sue
  riflessioni, le sue letture, lo allontanano dagli altri, non riesce più a
  condividerne le opinioni e le passioni. L’ufficiale che ha davanti a lui è un
  uomo e non c’è motivo per offenderlo. Fa la sua parte. È un nemico, ma questo
  non vuol dire che non debbano avere rapporti corretti. André riprende, cercando
  di dare alla sua voce il tono giusto, non cordiale, perché gli sembrerebbe di
  essere servile, ma neppure ostile: - D’altronde lei parla
  benissimo il francese. L’uomo non sorride.  - L’ho imparato da
  bambino. Mia madre veniva dalla Svizzera francese. Un tedesco con una madre francofona,
  un francese con una madre di lingua tedesca. André
  sorride. - Perché sorride? André guarda l’uomo negli
  occhi. Non vorrebbe rispondere, non vuole parlare di
  sua madre con questo sconosciuto, con un nemico, ma sarebbe villano. E poi il
  tono della domanda era neutro, non c’era ostilità. - Mia madre era di
  famiglia tedesca. Anch’io ho imparato il tedesco da bambino. L’ufficiale sorride. Ha un
  bellissimo sorriso, luminoso. Non è solo il sorriso a essere bellissimo, è
  lui, di una bellezza maschia. André si sente a disagio. - Mi fa piacere essere
  stato assegnato qui. Spero di non disturbare troppo. Purtroppo è la guerra. André annuisce. - Sì, è la guerra. L’ufficiale guarda i
  libri. - Lei ha moltissimi libri
  in tedesco. E nella loro scelta dimostra molto gusto. André non sa bene che cosa
  dire. - Se ha piacere di
  leggere, può prendere i libri che vuole. - Grazie, è molto gentile
  da parte sua.  Sono passati alcuni
  giorni. Il tenente Zumstein è quasi sempre fuori,
  ma quando rimane in casa, dimostra molta discrezione: si fa vedere poco,
  resta in camera. Non ha preso nulla dalla biblioteca. Perciò André è stupito di
  vederlo scendere a metà del pomeriggio. André è seduto su una sedia in
  giardino. Alza gli occhi e vede davanti a sé l’ufficiale. L’uomo si muove
  molto silenziosamente, come se sfiorasse soltanto il suolo. E dire che non è
  certo leggero. - Mi scusi se la disturbo… - Non mi disturba. - Ho una comunicazione da
  farle. Il tono del tenente non
  lascia trapelare nulla, ma André intuisce. Sente una stretta al cuore, anche se se l’aspettava. Per un momento spera di sbagliarsi, ma
  le parole del tenente confermano i suoi timori. - Da domani lei non
  eserciterà più la sua funzione di maestro. I maestri saranno tutti
  sostituiti.  André non dice nulla. Che
  cosa può dire? L’ufficiale prosegue: - Ho preferito portarle io
  direttamente la notizia. André non ha voglia di
  parlare, ma non vuole essere scortese. - La ringrazio. Per André la conversazione
  è finita. Una parte della sua vita anche, ma di questo certo non intende
  discutere con quell’ufficiale che gli sta davanti. Il tenente però ha ancora
  qualche cosa da dire: - Mi spiace, davvero. So
  che lei è un buon maestro, molto attento anche alle difficoltà dei bambini di
  lingua tedesca. A differenza di altri, qui in città. La voce è diventata dura
  nel pronunciare l’ultima frase. André scuote la testa. È
  vero, ha sempre prestato attenzione ai problemi di chi veniva a scuola
  conoscendo ben poco il francese. Il parlare bene il tedesco gli è stato molto utile. Ma adesso non serve più, adesso… André ha un attimo di
  scoramento, vorrebbe solo che il tenente si togliesse dai piedi. Forse l’ufficiale capisce
  o forse soltanto ha concluso ciò che aveva da dire. Saluta e se ne va. E adesso? E adesso che può
  fare André di se stesso? In Alsazia non insegnerà più, questo è certo: non
  c’è spazio per i maestri francesi. Può lasciare la sua casa, venderla, e
  trasferirsi in una delle regioni francesi che non passeranno alla Prussia.
  Una tristezza senza fine lo avvolge. La sua vita ha perso ciò che le dava un
  senso. Adesso è davvero inutile, a sé ed agli altri. La notte non riesce a
  prendere sonno. Il giorno dopo è peggio, molto peggio. Oltre la cancellata del giardino
  vede i bambini passare per andare a scuola e un dolore acuto gli preme
  dentro. In quel momento avverte
  una presenza e vede di fianco a sé il tenente. - Posso sedermi?  André vorrebbe mandarlo
  via, ma non è possibile.  - Certo che può. È lei che
  comanda qui. C’è molta amarezza nella
  voce di André. Gli spiace di aver detto quella frase, ma il dolore è troppo
  forte per poter essere contenuto. - No, questa è casa sua e
  se non vuole che mi sieda, me ne vado. Non voglio disturbarla proprio ora. La risposta è stata molto
  cortese. André annuisce. - Mi scusi, sono stato
  villano. È che… non è un bel momento. Si sieda. Non vorrebbe confidarsi
  all’uomo che ha davanti, uno di quei tedeschi che lo hanno privato del lavoro
  e della sua unica ragione di vita. Ma la frase gli è sfuggita. E non c’è nessun
  altro a cui parlare. Non certo a quei suoi colleghi che facevano finta di non
  capire quando un allievo si esprimeva in tedesco. Con loro non ha mai avuto
  nulla da dire. - La capisco e mi spiace,
  davvero. Che cosa conta di fare? André guarda il tenente.
  Che cosa vuole quell’uomo? Di che cosa si impiccia? - Non lo so. La risposta è stata un po’
  secca, ma questa volta André non si scusa. Quell’uomo è indiscreto. Potrebbe
  lasciarlo da solo con la sua sofferenza. Si pente di avergli detto di
  sedersi. - Qui non potrà più
  insegnare. Non ha ancora preso una decisione? - Crede che sia facile?
  Lasciare la propria casa, il proprio paese… Già,
  adesso non è più il mio paese, è il vostro paese,
  dimenticavo. Il tenente ignora il
  sarcasmo di André, coglie solo l’amarezza. - Sono invadente. Lei ha
  bisogno di tempo per accettare la nuova situazione e decidere che cosa fare.
  Io sono abituato a prendere decisioni in tempi molto stretti, è il mio
  mestiere. Ma lei fa un altro lavoro.  - Facevo. - Non smetta di insegnare.
  Se non può farlo qui, può farlo in altri territori
  francesi. Può farlo in Svizzera, che è ben vicina. È un lavoro che sa fare
  bene, che fa con passione. Non rinunci a farlo.  André è confuso,
  l’interesse del tenente Zumstein lo sorprende. È
  genuino, e d’altronde non avrebbe motivo per fingere. Non è un uomo abituato
  a fingere. Zumstein prosegue. - Capisco che non sia
  facile lasciare il proprio paese, ma l’unica alternativa è cambiare lavoro. Sì, è così, ma André non
  sa fare altro. Trovare impiego nella pubblica amministrazione è impossibile,
  i posti liberi saranno riservati ai tedeschi. - Lo so, me ne rendo
  conto. Grazie per l’interessamento. È un congedo, André ha
  bisogno di stare da solo. Ma la frase è stata pronunciata con gentilezza,
  André capisce che il tenente in qualche modo si preoccupa della sua sorte. La giornata è vuota e
  angosciosa. André guarda i compiti dei bambini che ha
  a casa e che non restituirà mai. D’improvviso scoppia a piangere, un pianto
  disperato che nessuno consola. Quando le lacrime si sono
  calmate, André mette in ordine tra i materiali del suo lavoro. Ci sono alcune
  cose che andranno portate a scuola, se ne occuperà Anne, lui non se la sente.
  Non se la sente di rimettere piede nell’aula, di rivedere i suoi bambini.  Eppure dovrebbe passare a
  salutarli. Impossibile: dovrebbe chiedere l’autorizzazione, forse non gli
  sarebbe neppure concessa. André piange ancora, poi
  finisce di sistemare il materiale. Zumstein ha
  ragione, deve pensare al futuro, ma ha bisogno di un momento di tempo. Non è
  una decisione che può prendere in fretta.  Quella sera, mentre è
  seduto nel suo studio e legge, o cerca di leggere, scende il tenente. È la
  prima volta che entra nello studio, che si fa vivo la sera. - La disturbo? Posso
  sedermi?  - Prego, si sieda. André si chiede che cosa
  vuole il tenente. Non sarà venuto per chiedergli se ha deciso che cosa fare?
  Sarebbe assurdo, deve pensarci con calma e per poterlo fare deve recuperare
  un po’ di serenità.  - Posso chiederle che cosa
  sta leggendo? La domanda stupisce André. - Balzac, Le Cousin Pons. - Un gran bel libro,
  terribile. C’è un tedesco ed un francese che sono
  amici, però. Il tenente sorride. E di
  nuovo André si dice che ha un bellissimo sorriso, luminoso. È davvero un
  bell’uomo. André si chiede qual è il significato di quella osservazione. - Le piace Balzac? - Moltissimo. Ho letto
  molti dei suoi libri. Una visione molto pessimistica della vita, ma una
  potenza evocatrice… incredibile. Noi non abbiamo
  romanzieri di questo livello. - Non si sta mica
  dimenticando Goethe? - Goethe non è certamente
  meno grande di Balzac, ma non come romanziere… Parlano di letteratura. Il
  tenente è un grande lettore. André si chiede come un militare trovi il tempo per leggere tanto. Zumstein
  conosce a fondo la letteratura tedesca e quella francese.  Quando Zumstein
  saluta e si ritira, André si rende conto che è passata oltre un’ora da quando
  è sceso. Non hanno parlato d’altro. Il tenente voleva solo chiacchierare con
  lui. Probabilmente voleva tenergli un po’ compagnia, distrarlo in qualche
  modo dai pensieri che lo preoccupano. Sì, questo deve essere stato il motivo
  per cui è sceso. “Il maestro ha un animo romantico” aveva detto il primo
  giorno? Il tenente ha un animo sensibile. È davvero così? Il giorno dopo parlano brevemente in giardino, quando il tenente esce.
  Quando torna, verso sera, Zumstein passa a
  salutarlo. Parlano ancora un momento della giornata. Quella sera il tenente non
  si fa vivo, ma la successiva sì. Parlano ancora di libri, ma il tenente parla
  anche di sé, della sua infanzia nel Baden, non molto lontano dalla cittadina in cui vive
  André, di sua madre, svizzera di lingua francese, di due fratelli che hanno
  scelto altre strade. I giorni passano, le
  conversazioni serali diventano un’abitudine: quando Zumstein
  è fuori o non scende, André ne avverte la mancanza. Con il passare dei
  giorni, André scopre un uomo molto diverso dall’immagine che ne aveva
  inizialmente: sensibile, sognatore, in fondo insoddisfatto di aver scelto la
  carriera militare, anche se impegnato a dare il massimo nel suo lavoro. È bello stare accanto al
  fuoco a parlare con quest’uomo vigoroso, ma dai modi gentili. Quelle
  conversazioni trasmettono ad André una sensazione di calore. È buffo, si
  direbbe che il suo unico amico sia un ufficiale nemico. È solo un amico? Amico è
  troppo e troppo poco, André lo sa benissimo. Si conoscono da poco tempo,
  forse è troppo presto per potersi dire davvero amici, anche se a Eric - che
  bel nome, Eric! - André ha raccontato di sé molto di più di quello che ha detto
  alla maggioranza delle persone che conosce. Stanno bene insieme, tutti e due,
  questo sì, è evidente che anche Eric sta bene con
  lui. Ma André è anche perfettamente conscio di un desiderio che preme, a cui
  non vuole dare un nome ed una forma precisa. Ma la
  notte, nel suo letto, l’immagine di Eric ritorna ossessiva e scatena sogni di
  cui André si vergogna. Intanto il tempo scorre ed
  è ora che André decida che cosa intende fare della sua vita. Continuare così
  non ha senso, non può vivere di rendita ed è bene che si dia da fare prima di
  dilapidare il suo piccolo patrimonio.  Ma André non riesce ad
  arrivare a una decisione. Sa benissimo che dovrà vendere la casa e
  trasferirsi, in Francia, perché ormai lui è in Germania, o nella vicina
  Svizzera. Ma è proprio la presenza di Eric a rendergli più difficile
  realizzare o anche solo definire un progetto. La situazione però cambia,
  in modo tanto rapido quanto improvviso. André si rende conto che Eric sta
  diradando le visite. Si ferma più spesso fuori la sera, qualche volta non
  scende neanche se è a casa. Quando viene a sedersi nello studio si trattiene
  poco, parla di cose generiche. Sempre più spesso gli chiede perché non ha
  ancora preso una decisione sul suo futuro, che cosa intende fare. André soffre di questo
  cambiamento repentino. E la violenza della sofferenza gli sbatte in faccia la
  verità, semplice e chiara: ciò che prova per Eric non è amicizia, non è
  neppure una forte attrazione fisica. È un sentimento che ha un nome ben
  preciso. André si è innamorato di un uomo che per un po’ gli è stato vicino e
  ora si è stufato e si è distaccato, facendolo sprofondare ancora di più,
  aggiungendo al dolore per la perdita del lavoro e di tutto il suo mondo,
  quello, più grande ancora, di un amore non corrisposto. Eric ormai non viene più
  in salotto, non si vedono più, si direbbe quasi che lo eviti appositamente. Finché un giorno si incontrano
  in giardino. André si è seduto al sole, anche se le giornate sono ancora
  fredde. Eric entra e se lo trova di fronte. Lo apostrofa con durezza: - Che cosa fa ancora qui?
  Non ha ancora deciso che cosa intende fare? Che cosa aspetta a trasferirsi, a
  trovarsi un lavoro altrove? È un nemico, quello che ha
  davanti, ostile e aggressivo. Non è l’uomo che si sedeva nello studio a
  parlare con lui, che gli raccontava di sé. André non capisce, si
  sente inetto e minuscolo di fronte a quest’uomo vigoroso. André ha le lacrime agli
  occhi e vuole nasconderle. Si alza di scatto, appoggia il bastone a terra e
  già muove un passo per andarsene, senza una parola. Ma il bastone s’infila
  nel vecchio buco che fece il comignolo nel selciato, molti anni fa, e
  scivola. L’appoggio viene a mancare e André, nello slancio del movimento,
  finirebbe rovinosamente a terra. Due braccia però lo sostengono. André si
  sente sollevare e poi una mano gli passa dietro la nuca e la bocca di Eric
  preme contro la sua. Eric lo bacia, appassionatamente. Ogni volontà di resistenza
  si dissolve, le labbra di André si aprono ad accogliere la lingua di Eric che
  si fa avanti. E poi André si trova contro il muro ed è tutto il corpo di Eric
  a premere contro il suo, in un abbraccio violento che tradisce un desiderio
  ormai incontenibile. Eric lo bacia, lo stringe, preme contro di lui e la sua
  bocca ripete instancabile: - André, André, André… Sono avvinghiati, contro
  il muro e in entrambi il desiderio deborda. Non si
  chiedono nemmeno se qualcuno può vederli. Eric prende André in braccio ed
  entra in casa. Sale al primo piano, nella sua camera, chiude la porta con un
  calcio e stende André sul letto. Lo guarda e poi lo bacia,
  a lungo.  Nessuno dei due parla. Non
  è il momento delle domande, questo.  Eric si stacca e fissa
  André, poi incomincia a spogliarlo. È la prima volta che André viene
  spogliato da un uomo, è la prima volta che André ama. Paura, confusione,
  desiderio si mescolano, ma le mani di Eric gli
  trasmettono brividi di piacere ed André si abbandona felice a quelle mani.
  Eric gli ha tolto la giacca e la camicia, interrompendosi solo per baciarlo,
  e ora gli ha sfilato le scarpe e sta togliendogli i pantaloni e le mutande.
  André si vergogna, nessuno lo ha mai visto nudo e per di più l’uccello è teso, ma Eric sorride, si china e le sue labbra baciano
  delicatamente la cappella di André. André sussulta e geme. La bocca di Eric
  si muove, percorre l’asta tesa, il bacio diventa un morso leggero. André
  chiude gli occhi, non gli sembra possibile. Le sue mani, rimaste fino ad ora
  inerti, accarezzano la testa di Eric, scendono sulla nuca, si perdono tra i
  capelli cortissimi. Eric si stende su di lui e
  lo bacia sulla bocca. André accarezza quel corpo muscoloso, ancora fasciato
  dalla divisa. Le sue mani non sanno bene come muoversi, ma il desiderio le
  guida. Percorrono la schiena, indugiano sul culo, lo stringono con forza. André vorrebbe spogliare
  Eric, ma nella posizione in cui si trova non è possibile. Ed Eric continua a
  baciarlo, sulla bocca, sugli occhi, sulla fronte, sulla guancia, sul collo.
  Eric gli passa le mani sui capelli, gli accarezza il viso, mormora il suo
  nome. Eric si solleva un po’ a
  guardarlo e allora le mani di André si fanno avanti, un po’ incerte
  sbottonano la giacca e poi la camicia. Una mano scorre su quel torace
  possente che ora si intravede. Eric lo lascia fare, sorridendo, senza
  smettere un istante di fissarlo negli occhi. Poi si mette a sedere e si sfila la giacca e la camicia. Eric lo guarda, affascinato.
  Solleva una mano per accarezzare, con leggerezza, la pelle, scendendo dal
  collo all’ombelico e poi risalendo fino alle spalle. Poi André sorride e le sue
  mani premono sui pantaloni, a saggiare la consistenza di quel promettente
  rigonfio sul davanti. Il sorriso di André diventa impudente ed anche le sue
  mani si mettono a trafficare con la cintura dei pantaloni: riescono infine ad
  avere ragione della fibbia e possono abbassare quella stoffa superflua. Ci
  sono ancora le mutande, che mostrano più che coprire l’erezione. Con due dita
  André accarezza l’uccello e attraverso la stoffa ne avverte la vibrazione. È
  bellissimo. Le mani di André esitano un attimo, poi salgono fino al bottone,
  lo aprono e scendono. Le mutande si impigliano nell’asta protesa ed allora André deve liberarle per poter finalmente
  contemplare quel membro vigoroso, gonfio di sangue e teso come una lama. André lo guarda, senza
  parole. Ha la bocca secca. - André, André, André. È bello sentire la voce di
  Eric che pronuncia il suo nome. È bello vedere quel corpo vigoroso davanti a
  sé. È bello guardare quell’uccello che il desiderio tende allo spasimo. - Ti amo,
  André. André chiude gli occhi.
  Per un attimo non esiste altro, ci sono solo quelle parole, che lo riempiono
  tutto e gli regalano una gioia infinita. Poi André riapre gli
  occhi: - Anch’io ti amo, Eric. Si baciano ancora, ma ora
  che i loro corpi sono entrambi nudi, il contatto accende un fuoco che rende i
  loro movimenti febbrili. Il loro abbraccio diventa frenetico. Le loro bocche
  si inseguono, si perdono sulla pelle dell’altro, i loro denti mordono, le
  loro lingue accarezzano. E poi Eric si alza, si
  libera degli ultimi indumenti e si siede sul letto di fianco ad André. C’è
  una richiesta nei suoi occhi e André si volta, mettendosi a pancia in giù sul
  letto. Dentro avverte paura, è la prima volta, e mille pensieri si
  intrecciano nella sua testa. Guarda Eric, che con la
  mano percorre la sua schiena, che lo accarezza con una dolcezza e una
  serenità, che la tensione dell’uccello smentisce. Eric si china sul culo di
  André, lo mordicchia, con delicatezza, lo bacia, più e più volte, lo morde
  con maggiore decisione, provocando un piccolo gemito in André, poi due dita
  umide si fanno strada. André si abbandona a quella
  sensazione nuova, il timore non si dissolve, ma rimane in secondo piano.
  André desidera quello che sta per avvenire. Eric si stende su di lui,
  lo bacia sul collo, poi la sua arma avanza e l’ufficiale prussiano invade il
  territorio francese, avanzando sicuro della sua vittoria. È così bella la sensazione
  di appartenere a Eric, che ad André sembra di non avvertire neppure il
  dolore, come se ci fosse solo il piacere di quell’uccello che penetra in
  profondità, soggiogandolo completamente. André geme, di piacere, di
  gioia.     Eric si muove con
  circospezione, attento a non infliggere dolore. André chiude gli occhi e si
  lascia andare alla deriva, trascinato da correnti che lo portano lontano,
  verso terre sconosciute.  L’uccello di Eric ora è
  entrato completamente dentro il culo di André e il corpo del tenente aderisce
  a quello del maestro. Le mani di Eric accarezzano, la mente di André si
  perde, mentre a tratti davanti ai suoi occhi passa l’immagine di Eric, del
  corpo di Eric, dell’uccello di Eric. - Eric!  Come se il grido d’amore
  di André fosse un comando, Eric prende a muoversi, arretrando e poi avanzando
  con la sua arma tesa. La carne di André si dilata ad accogliere l’intruso,
  poi sembra richiudersi solo per aprirsi a una nuova invasione. Da quanto
  tempo dura questo lento movimento che scava in André voragini di piacere, in
  cui è dolce sprofondare? André non saprebbe dire, la testa gli gira, gli
  sembra di vivere un sogno, ma il piacere violento e il dolore che si
  mescolano nella sua carne hanno tutta la consistenza della realtà. Eric continua a muoversi
  dentro di lui, ogni tanto le sue mani lo accarezzano, a tratti si ferma e la
  sua bocca formula parole d’amore o gli sussurra oscenità. Lo sperone lo sprona senza
  dargli tregua e a un certo punto André sente l’impeto del piacere prendere lo
  slancio e scagliarsi verso l’alto. Grida, travolto da una sensazione tanto
  forte da essere insopportabile. Eric gli chiude la
  bocca con la mano, gli sussurra: “Amore mio”, poi le sue spinte riprendono sempre
  più vigorose, in un crescendo vertiginoso. Anche Eric grida, un grido
  soffocato, che nelle orecchie di André suona come un tuono, poi André sente
  che le viscere gli si riempiono di seme e di colpo gli occhi gli lacrimano. Da quanto tempo sono distesi
  così, l’uno sull’altro? Non saprebbero dire. Dentro il culo di André
  l’uccello di Eric ha ripreso vigore, ma non è ancora tempo di una nuova
  cavalcata. Scambiano parole, anche se
  entrambi già sanno, il passato ed il futuro si
  aprono ugualmente. - Perché ti sei allontanato, Eric?   - Perché ho capito che
  cosa mi stava succedendo e non volevo cedere. Sì, André l’ha capito, la
  violenza del desiderio con cui Eric l’ha abbracciato, contro il muro, non
  lascia dubbi. - E non sei pentito di
  aver ceduto? - Idiota! Eric lo morde
  delicatamente, poi torna a porre una domanda. La stessa che ha fatto più
  volte, ma ormai radicalmente diversa:  - Dove andremo, Andrè? 2008 |