Xander

 

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A Mario (ma pure a A.D., A.D. e O.A., con molte scuse)

 

Arrivo che sono le due. La casa è immersa nel silenzio e tutte le luci sono spente. Non so se mio padre sia a dormire – in questo caso probabilmente non da solo – o se sia ancora fuori a una delle sue cene o nell’alcova di qualche donna.

Di solito rientro più tardi, ma questa sera la compagnia si è sciolta presto: c’è stato uno scontro tra Gaston e Léopold, hanno litigato per un’attrice che uno ha soffiato all’altro. Una stupidaggine, ma Gaston se l’è presa, alla sua Marguerite teneva parecchio. C’è mancato poco che non si sfidassero a duello: per un’attrice del Théâtre des Variétés! Per fortuna Olympe è riuscito a calmarli, ma il clima è rimasto teso ed è finita che ci siamo separati presto.

Mentre mi spoglio ripenso alla serata, a quello stupido litigio e all’intervento di Olympe. È uno strano tipo, Olympe: è molto giovane - ha qualche anno meno di me - eppure a volte scopro in lui una saggezza da vecchio filosofo; non si nega nessun piacere, ma appare sempre padrone di se stesso. Quando con noi c’è anche mio padre, mi colpisce il contrasto che esiste tra loro due: a cinquantadue anni mio padre sembra spesso un bambinone, sempre alla caccia di nuovi piaceri; a ventiquattro Olympe è molto più maturo di lui. Eppure vanno molto d’accordo, loro due.

Mio padre si unisce spesso a noi. In realtà potrei benissimo dire che sono io che mi sono unito a lui e al suo gruppo di amici, quando lui è tornato a Parigi e io mi sono stabilito a casa sua. Diciamo che formiamo un gruppo eterogeneo di artisti di ogni tipo, di età molto diverse.

Sto bene con mio padre: l’astio che provavo nei suoi confronti in passato è svanito del tutto; la fuga della mia matrigna ha eliminato il principale ostacolo che ci impediva di avere buoni rapporti; le numerose donne che passano nel suo letto non sono un problema e più di una volta una sua amante è diventata anche la mia. Me le passa come mi passa gli stivali che gli vanno stretti. Una volta, a una cena, l’ho detto davanti a tutti e lui mi ha risposto che se mi vanno bene le sue amanti e i suoi stivali stretti, vuole dire che ho il piede fino e il cazzo grosso.

Lo scopro generoso nei miei confronti, sempre gioviale, un amicone con cui posso condividere tutto. Qualche tempo fa siamo andati a un ballo in maschera a Montparnasse. Abbiamo ballato tutti e due tanto da tornare esausti. Lui indossava pantaloni aderenti, che erano madidi di sudore. Ho dovuto strappare le cuciture per aiutarlo a toglierseli. Il ricordo mi fa sorridere.

Mi stendo e mi addormento in fretta, anche se per i miei orari è presto.

 

Quando mi sveglio, Nestor, il domestico, mi dice che mio padre mi invita a passare da lui. Mi infilo una vestaglia e raggiungo la sua camera. Busso, entro e lui tira le cortine del letto. Non è solo: con lui c’è Julie la Rossa, un’attrice priva di talento, ma dotata di un formidabile petto, che ora pudicamente copre con il lenzuolo. Non farà molta strada a teatro, ma di certo ne ha fatta parecchia tra le lenzuola e mio padre è solo uno dei tanti uomini alla cui corte Julie non ha saputo resistere (non so se ve ne siano anche alcuni a cui ha resistito: non me n’è giunta notizia, ma probabilmente a qualcuno di brutto, poco dotato e spiantato avrà anche detto di no). Non mi scompongo: non è la prima volta che mio padre mi chiama quando è con una delle sue donne. Ovviamente non si tratta mai di dame dell’alta società, che non si fermerebbero la notte a casa di un uomo e non si farebbero vedere dal figlio dell'amante.

Sorrido e mi inchino leggermente, mentre le dico:

- È un piacere vederla, signorina Julie.

Anche mio padre sorride e mi spiega le ragioni della mia convocazione:

- Ti ho chiamato perché ho avuto una discussione con Julie e volevo dimostrarle che avevo ragione.

Julie interviene, scandalizzata:

- Signor Alexandre, la prego!

Non so quale sia l’argomento del contendere – lo scoprirò tra poco, in ogni caso – ma dev’essere un po’ scabroso, a giudicare dalla reazione di Julie. Dubito che però lo sconcerto di cui dà prova sia genuino: la conosco abbastanza per sapere che non ha nessun pudore, sa esprimersi come un carrettiere e a letto è insaziabile (Hector dice che dovrebbe scopare con tre uomini per volta, per essere soddisfatta).

Mio padre riprende:

- Le dicevo che, anche se sei magro, hai pure tu il cazzo grosso, come me.

Rimango un attimo interdetto: questa non me l’aspettavo. Julie interviene, con un risolino che toglie ogni efficacia alla sua protesta.

- Non lo stia a sentire, signor Alexandre. Suo padre ama scherzare.

So benissimo che mio padre ama scherzare e so anche che in questo momento non sta scherzando. Mio padre infatti la ignora e prosegue:

- Per cui adesso, Alexandre, mi fai il piacere di spogliarti, così Julie può giudicare.

Scuoto la testa, ridendo. Mi chiedo se è ubriaco, ma sembra perfettamente lucido.

- Mio caro padre, non mi sembra proprio il caso. Signorina Julie, la saluto e la prego di scusare mio padre, che a volte esagera nei suoi scherzi.

Me ne vado, senza voltarmi. Sono un po' infastidito, ma la faccenda non ha nessuna importanza, per cui l'irritazione svanisce in fretta e non ci penso più.

Rivedo mio padre a pranzo e ovviamente mi prende per il culo:

- Perché ti sei tirato indietro? Avevi paura di fare brutta figura?

- Ma, papà, ti sembra il caso? Come se fossi un vitello da vendere.

- Un vitello no, un torello, piuttosto. E non hai niente da vergognarti.

Inutile cercare di fargli capire. Mi limito a scuotere la testa.

 

Due sere dopo siamo insieme a una cena al Café de Paris, come spesso avviene. È un locale che piace a tutti noi, arredato con grande eleganza, e la cucina è ottima. C’è anche Julie, che sta appiccicata a mio padre. In alcuni momenti ho l'impressione, per non dire la certezza, che le sue mani lavorino sotto la tavola e forse quelle di Hector, seduto di fianco a lei dalla parte opposta a mio padre, si danno anche loro da fare, senza che Julie opponga resistenza. Dopo cena andiamo al Café Riche. Io mi siedo accanto a Olympe e ci mettiamo a parlare di letteratura. Olympe è un intenditore, sa distinguere un buon libro da uno di quei romanzi di successo che sono sulla bocca di tutti, ma valgono poco. Se gli chiedo di motivare un suo giudizio, dimostra una capacità critica che mi sorprende. Assorbito dalla conversazione, non bado molto a ciò che fanno gli altri. Quando infine tutti si alzano, io mi fermerei ancora a parlare con Olympe, anche se è tardi, ma mio padre si avvicina, con Julie sottobraccio, e mi dice:

- Sei richiesto. Vieni via con noi.

Preferirei restare seduto a parlare con Olympe, ma lui si alza: se mio padre mi richiede, non è certo il tipo da trattenermi. Per una volta tanto gli manderei un accidenti e seguo mio padre con la sua preda. Non so quali siano le sue intenzioni, ma dopo l’episodio dell’altro giorno ho qualche sospetto. Perciò non mi stupisco quando, arrivati a casa, dopo aver bevuto un altro bicchiere, l’ennesimo, mio padre mi dice di seguirlo in camera da letto.

Quando siamo dentro, ghigna e aggiunge:

- Secondo Julie, gli uomini magri hanno il cazzo piccolo. Io le ho detto che non è vero. Adesso glielo dimostri.

Non è che io sia magro, ma in confronto a mio padre, che è piuttosto corpulento, in effetti appaio smilzo.

Julie ha un risolino, ma so benissimo che è curiosa di vedere. Non amo molto essere esibito come un trofeo, ma sto al gioco. Finirà con una scopata a tre: di certo non la prima della mia vita, visto che a volte alcune delle nostre serate si trasformano in orge. Ma sarebbe la prima volta che nel terzetto c’è anche mio padre.

Io sorrido e lui dice:

- Non deve avere pregiudizi, signorina Julie…

Lei ridacchia e dice:

- Se mi dimostrerà che ho torto, mi ricrederò.

Mio padre replica:

- Allora, Julie, potresti spogliarci tutti e due e vedere da te.

Io rido e aggiungo:

- Prima però noi due potremmo spogliare te.

Sono passato al tu: non ha senso che le dia del lei in questa situazione. Julie non dice nulla e allora io e mio padre ci diamo da fare. Julie ride, fa finta di opporre resistenza, ma quando noi siamo in difficoltà, è lei stessa a sciogliere un laccio o a sfilarsi un indumento. Quando è a torso nudo, ammiro il suo seno, davvero maestoso. Completiamo il lavoro e lei ride ancora, strusciandosi contro mio padre e poi contro di me, baciandoci sulla bocca. Poi incomincia a spogliarci, sfilando la giacca a lui e sciogliendo la cravatta a me. Procede senza fretta, ben conscia di essere lei a condurre il gioco. Noi ci limitiamo ad assecondare i suoi movimenti. Ormai siamo quasi nudi tutti e due e mi rendo conto che mio padre, come me, è eccitato: logico che lo sia, ma il pensiero che tra poco vedrò il suo cazzo in tiro mi turba. L’ho visto nudo alcune volte, soprattutto in campagna: ci capita di bagnarci nella Senna o in qualche laghetto. L'ho anche visto in diverse occasioni pisciare. Ma non l’ho mai visto con il cazzo duro.

Julie si inginocchia davanti a mio padre e abbassa l’ultimo indumento. Guardo il cazzo di mio padre, teso contro la peluria del ventre, grosso, duro, la cappella di un rosa scuro, quasi violaceo, che svetta.

Ho la bocca secca, ma mi sembra che il mio cazzo si irrigidisca ancora di più.

Julie, rimanendo in ginocchio, mi fa segno di avvicinarmi e mi guida a mettermi di fianco a mio padre. Poi finisce di spogliare anche me. Io e mio padre siamo uno di fianco all’altro, tutti e due con il cazzo duro. Lei li confronta, con attenzione e anch’io li guardo entrambi. So che anche mio padre li sta osservando ed è lui a concludere:

- Vedi, Julie, che avevo ragione io? Il torello è dotato quanto il toro.

Julie guarda ancora un cazzo e l’altro, poi annuisce.

- E adesso li gusterai tutti e due.

Sapevo che sarebbe finita così, ma l’idea di scopare Julie insieme a mio padre mi turba. Non fa calare la mia eccitazione, anzi: sembra quasi accrescerla.

È lui a prenderla per primo – privilegio di anzianità, dice – mentre io lo osservo. Guardo il suo grosso cazzo che entra dentro di lei, il suo culo vigoroso coperto dalla peluria, e ho l’impressione che una mano mi stringa i coglioni.

Quando entro dentro di lei, sento lo sguardo di mio padre su di me. E quando infine vengo, penso che il suo seme e il mio si stanno mescolando dentro di lei.

Julie rimane a dormire con mio padre. Io preferisco andare in camera. Mi sento turbato, ho le idee confuse.

 

La domenica raggiungiamo Bézons e facciamo un’escursione lungo la Senna. Siamo una dozzina, tra cui Olympe. Mio padre non c’è. Camminiamo a lungo, poi Gaston propone di fermarsi in una radura e ci sediamo sull’erba. 

Io mi siedo vicino a Olympe, come spesso avviene: mi metto volentieri al suo fianco, perché è quello con cui parlo più volentieri. Mi rendo conto che mi sto affezionando molto a lui. E ho l’impressione che anche lui stia bene con me.

 

Léon propone di andare a prendere da mangiare e da bere alla locanda della Ruota d’Oro. Si offre volontario, se qualcuno lo accompagna. Gaston obietta:

- Ci vuole mezz’ora per andare e altrettanto per tornare. Tanto vale che ci andiamo tutti e mangiamo là.

- No, qui è molto più bello. E non abbiamo nessuna fretta. Non è neanche mezzogiorno.

C’è una breve discussione e alla fine tre volontari andranno a prendere i rifornimenti. Dei rimanenti, qualcuno si mette a dormire. Olympe mi chiede:

- Hai voglia di fare una passeggiata, in attesa dei viveri?

- Certamente, molto volentieri.

Camminiamo venti minuti, fino ad arrivare a un canale della Senna. Ci sediamo sull’erba, vicino al fiume. Olympe è appoggiato al tronco di una quercia e io sono di fianco a lui.

Parliamo un momento dell’escursione. Ma il pensiero di quello che è successo l’altra sera mi ritorna continuamente in mente.

Olympe mi chiede:

- Che cosa c’è che non va, Xander?

Da qualche tempo Olympe mi chiama Xander, quando non ci sono gli altri intorno. Non so perché lo faccia, ma mi piace sentirmi chiamare così. E mi piace che lui sia l’unico a farlo.

Lo guardo e gli sorrido. Non me la sento di raccontargli, ma gli chiedo:

- Hai mai fatto l’amore in tre, Olympe?

Lui scuote la testa.

- L’amore in tre, no. Mi sembra difficile. Ho fatto sesso, o, se preferisci, ho scopato in tre, questo sì, diverse volte.

Sorrido e replico:

- Non è la stessa cosa?

Ma sto solo guadagnando tempo. Ho capito benissimo e gli do ragione.

- No, Xander. Fare l’amore è avere un rapporto con qualcuno che ami o a cui sei affezionato, davvero. Scopare o fare sesso è andare con qualcuno di cui non ti importa davvero, anche se ti piace. Va benissimo, ma sono due cose diverse.

Annuisco, ma non so come continuare. È lui a riprendere:

- È questo che ti turba?

Vorrei confidarmi, ma mi sento in imbarazzo. Olympe è l’unico con cui potrei parlare liberamente e so che non andrebbe in giro a raccontarlo, ma non è facile.

- Sì, ma… è complesso da spiegare.

- Se è solo un problema di complessità, farò del mio meglio per capire, utilizzando quel tanto di cervello che mi ha dato madre natura.

C’è molta dolcezza nel suo sorriso ironico. E so che il suo cervello è perfettamente in grado di capire e che lo è soprattutto il suo cuore.

- So che sei in grado di capire, ma… non sono sicuro di riuscire a spiegare.

- Sei bravissimo a spiegare. Voi scrittori siete bravi a usare le parole. Ma a volte guardare in faccia la realtà è difficile.

- Sì, è così.

- Vuoi che ti aiuti a guardare, o preferisci rimandare a un altro momento?

Cosa voglio? Voglio rimanere accanto a Olympe e parlare con lui di ciò che mi tocca davvero.

- Prova ad aiutarmi.

- Se ti turba aver avuto un rapporto a tre, non è di certo la cosa in sé: non è la prima volta, probabilmente neppure l’ultima.

- No, è vero.

- Allora è la composizione del terzetto ciò che ti ha creato problemi oppure ciò che è successo.

- Cioè?

- O nel terzetto c’era qualcuno la cui presenza ti turbava, o hai fatto qualche cosa che non avevi mai fatto.

- No, non ho fatto nulla di diverso… solo…

- …solo le persone con cui l’hai fatto o forse una delle persone con cui l’hai fatto…

- Sì, una.

- Credo di sapere chi è. Vuoi che lo dica o preferisci di no?

Rimango un attimo con il fiato in sospeso, vagamente inquieto, ora. Ha davvero capito? Se è così, ha un intuito straordinario.

- Come fai a sapere?

- Non so, Xander. Credo di sapere. Non è la stessa cosa.

- Va bene. Dimmi: chi sarebbe?

- Un famoso scrittore, di grande successo con le donne, sia nei salotti che a letto... oltre che con i libri. Uno che ha il tuo stesso nome e il tuo stesso cognome.

Rimango in silenzio. Lui non mi chiede se ha indovinato: lo sa benissimo. Sono io invece a chiedergli:

- Come hai fatto a capire?

- Nessun altro ti avrebbe turbato. In questo momento non c’è una donna di cui tu sia davvero innamorato. D’altronde che tuo padre avesse questa idea in testa, non è un mistero.

- Ha raccontato in giro quello che è successo?

- No, tuo padre lo dice quando gli viene l’idea, non quando la realizza.

- Ha detto che voleva fare l’amore… scopare una donna insieme a me?

- Ha detto che gli sarebbe piaciuto farlo e quando tuo padre si mette in testa un’idea, tende a realizzarla. È un aspetto che apprezzo in lui, uno dei tanti.

Non dico nulla. Sono contento che Olympe abbia capito, ma mi disturba l’idea che anche altri possano sospettare. Olympe mi viene ancora una volta in aiuto:

- Tuo padre dice spesso che vuole fare questo, che gli piacerebbe provare quello, che senz’altro farà quell’altra cosa, ma mescola insieme ciò che davvero vorrebbe sperimentare e ciò che lo incuriosisce soltanto.

- Ma tu sei in grado di capire quando dice il vero e quando mente.

- Non mente, non è una menzogna. È solo una fantasia destinata a rimanere tale. In altri casi invece vedi che l’intenzione c’è davvero.

- Lo vedi tu, nessuno degli altri lo capisce.

- Forse. Forse a nessuno degli altri interessa.

- Perché a te interessa?

- Tuo padre mi piace molto.

Non so che senso dare esattamente alle sue parole. Non dicono nulla di particolare, so che davvero Olympe è affezionato a mio padre, eppure mi sembra che ci sia qualche cosa che mi sfugge e che forse preferisco non sapere. Però gli chiedo, a bruciapelo:

- Hai mai scopato in tre con lui?

- Sì.

E adesso? Mi verrebbe da chiedergli se gli è piaciuto, che effetto gli ha fatto. Non so, è tutto un po’ confuso, acqua torbida che non permette di vedere bene il fondo. O in cui, piuttosto, non ho voglia di guardare. O forse ho voglia di guardare, ma ho paura di quello che potrei vedere.

- L’idea ti disturba, Xander. Forse non avrei dovuto risponderti.

- Al massimo sono io che non avrei dovuto chiederlo.

Olympe sorride.

- Forse. Ma è meglio che lasciamo perdere, adesso. Magari ne parleremo un’altra volta, se ne sentirai l’esigenza.

- Sì, hai ragione. Magari ci facciamo un bel bagno.

- Mi sembra un’ottima idea. Una nuotata è sempre un piacere, a volte persino meglio di una scopata.

Olympe ride, si alza di scatto e incomincia a spogliarsi. Capita spesso che ci bagniamo nella Senna o in qualche canale: a tutti e due piace nuotare e Olympe è davvero un ottimo nuotatore.

Anch’io incomincio a togliermi la giacca, ma c’è qualche cosa che mi rallenta. Guardo Olympe, il suo corpo robusto che emerge dagli abiti, e penso che ha fatto l’amore a tre con mio padre. I miei movimenti diventano impacciati e Olympe è nudo, un Giove ventenne e sorridente, mentre io sono ancora vestito a metà. Lo guardo, osservo il suo sesso robusto, che ho visto tante volte, ma che adesso suscita in me una strana inquietudine. Non so che cosa mi ha preso. Penso a Olympe che fa l’amore con Julie e mio padre insieme. Penso al suo cazzo duro e di colpo mi rendo conto che sto avendo un’erezione. Merda!

Olympe sorride, poi dice:

- Io incomincio a tuffarmi.

Fa tre passi di corsa e si getta in acqua, poi si allontana con le sue bracciate vigorose. Credo che abbia intuito e con la sua discrezione mi ha evitato l’imbarazzo.

Finisco di spogliarmi lentamente. Controllo che nessuno mi possa vedere mentre mi sfilo i mutandoni e mi getto in acqua: ci penserà il freddo a far ragionare quella testa di cazzo del mio cazzo.

In effetti non ci vuole molto perché l’erezione si riduca. Raggiungo Olympe, che intanto sguazza nell’acqua.

- Facciamo il giro intorno all’isola, Xander?

- Ottima idea.

In pochi minuti ci arriviamo e nuotiamo tutt’intorno. L’isola è piccola ed è coperta da una vegetazione piuttosto fitta. Non sembra esserci nessuno e senza riflettere mi avvicino alla riva, mi aggrappo a un tronco e mi isso. Olympe sale dietro di me.

Faccio qualche passo tra gli alberi e mi siedo tra le felci che coprono il terreno tra i tronchi. Olympe si avvicina, ma rimane in piedi. Lo guardo e nuovamente mi sento a disagio, conscio di qualche cosa che mi turba. Mi rendo conto che mi piacerebbe passare la mano sulle sue gambe, sul ventre, sul petto. Vorrei…

Nuovamente mi sta diventando duro. Mi volto sulla pancia. Faccio finta di guardare una felce. Non posso vedere Olympe, ma mi sembra di avvertire il suo sguardo su di me. Penso che ora mi sta guardando il culo e che mi sono voltato io, mettendomi così, quasi ad offrirmi... Ma che cazzo mi passa per la testa? Si direbbe che abbia bevuto, ma sono sobrio.

Olympe si stende di fianco a me, le mani dietro la testa. Guarda il cielo. Io fisso le sue ascelle, dove la peluria è più fitta, poi il mio sguardo scivola sul suo corpo, fino al cazzo, che non è teso, ma non è neppure a riposo. Mi sembra di avere la bocca secca. Deglutisco. Il cazzo mi si tende ancora di più. Merda!

Olympe guarda in alto e tace.

- Olympe…

Mi interrompo.

- Dimmi, Xander.

Non so che cosa voglio dire. Ma la mia lingua lo sa, perché mi sento chiedere:

- Olympe… hai mai desiderato un uomo?

- Sì, Xander.

Di nuovo deglutisco. Ma la mia lingua procede:

- Hai mai fatto l’amore con un uomo?

Olympe continua a fissare il cielo e io vedo con la coda dell’occhio che il suo cazzo si sta tendendo.

- No, Xander. Ho scopato con uomini, diverse volte. Ma non ho mai fatto l’amore, perché non amavo nessuno di loro.

Guardo il viso di Olympe, guardo il suo corpo possente, il cazzo teso. Ho la gola secca.

- Che cosa si prova, Olympe?

Olympe sorride:

- Piacere, come sempre. A volte un po’ di dolore, se è lui a prenderti e se non si muove con cautela... o se è troppo dotato.

Olympe ride, ma lo fa per spezzare la tensione che le sue parole hanno creato in me. Annuisco, confuso in un turbinio di pensieri e domande. Olympe ha scopato con uomini, diverse volte. Ha scopato anche con mio padre? Vorrei chiederglielo, ma non oso.

Olympe volta il viso verso di me e mi chiede:

- Vuoi che facciamo l’amore, Xander? O non ti senti pronto?

Le sue parole mi tolgono il fiato, anche se so benissimo che sono stato io a muovermi in questa direzione. Per un momento mi sembra di non essere in grado neppure di pensare, poi la mia mente comprende le parole che Olympe mi ha detto. So che non le ha scelte a caso.

- Con me sarebbe fare l’amore, Olympe?

- Sì, Xander. E credo che un po’ lo sarebbe anche per te.

Ha ragione, lo so.

- Vorresti prendermi, Olympe, ora?

Olympe mi guarda e sorride.

- Mi piacerebbe, molto, ma credo che sarebbe un forzare i tempi. Hai bisogno di abituarti, non l’hai mai fatto.

- Come lo sai?

È una domanda stupida, la mia. Gli ho chiesto prima che cosa si prova. Sto solo cercando di guadagnare tempo.

Olympe alza le spalle.

- Credo che sia così.

- Lo è, Olympe. Ma vorrei farlo con te.

Olympe allunga un braccio e la sua mano stringe la mia. Si mette a sedere di fianco a me, guarda il mio corpo, sorridendo, e poi mi fissa negli occhi. Le sue mani incominciano ad accarezzarmi dal torace al ventre, poi salgono al viso, mi scompigliano i capelli e scendono di nuovo, fino alle gambe. Non sfiorano neppure l’uccello teso, ma quando risalgono indugiano sul ventre e poi raggiungono i capezzoli e li stringono. Queste mani forti, questa stretta vigorosa, mi trasmettono sensazioni molto diverse da quelle che provo quando una donna mi accarezza. Diverse, ma altrettanto forti. O forse più forti.

Olympe lascia andare la sua preda, si china su di me e mi bacia sulla bocca, molto leggermente. Non sono mai stato baciato da un uomo ed è bello, proprio bello.

Olympe mi bacia di nuovo, ma questa volta le sue labbra aderiscono alle mie e rimaniamo così un buon momento. Quando nuovamente le nostre bocche si incontrano, la sua lingua entra nella mia bocca. È molto diverso da baciare una donna, ma è bellissimo.

Olympe si stende su di me e io sento il peso del suo corpo. Mi piace sentirlo così, forte, che preme, mentre ci baciamo ancora. E mi piace sentire il suo cazzo teso, a fianco del mio. Mi piace questa fraternità: siamo simili, io posso fare a lui ciò che lui può fare a me.

Dopo avermi baciato ancora a lungo, Olympe incomincia a percorrere il mio corpo con la lingua, in una carezza umida che mi trasmette brividi. Mi mordicchia prima un capezzolo, poi l’altro. Le sue dita mi accarezzano, ma stringono anche i capezzoli. È la prima volta che qualcuno li stringe ed è una sensazione intensa.

Poi Olympe si inginocchia tra le mie gambe divaricate e china la bocca. Sussulto quando le sue labbra avvolgono il mio cazzo ormai teso. Grido il suo nome:

- Olympe.

Olympe si stacca, sorride, mi bacia sulla bocca e poi le sue labbra avvolgono nuovamente la sua preda. Man mano che lui procede, sento il piacere espandersi dentro di me, salire dal cazzo a tutto il corpo, mentre le mie mani stringono le spalle di Olympe, gli accarezzano i capelli, il collo. E poi il piacere è troppo forte, una deflagrazione che mi travolge. Olympe beve il mio seme.

È stato breve, ma di un'intensità incredibile.

Quando l’ondata del piacere è passata e i battiti del mio cuore hanno ripreso il loro ritmo normale, mi sollevo e guido Olympe a stendersi sulla schiena. Avvicino il viso al suo cazzo, teso come una lama di coltello. Esito.

- Non sei tenuto a farlo, Xander.

Ma io voglio farlo. Guardo la mia preda, ne sento l’odore. Lo prendo in bocca e incomincio a leccarlo e succhiarlo. Mi muovo con qualche incertezza, ma Olympe geme di piacere. Procedo un buon momento e man mano che vado avanti mi accorgo che mi piace, davvero. Poi Olympe dice:

- Sto per venire, Xander.

Non mi ritraggo. Sento la scarica, il gusto un po’ amarognolo. Inghiotto. Per la prima volta nella mia vita ho gustato il seme di un uomo, il seme di Olympe.

Poi mi stendo accanto a Olympe e gli stringo la mano.

Ho fatto l’amore con un uomo.

Mi chiedo perché non l’ho mai fatto prima. La risposta è semplice: perché non ho mai incontrato prima un altro Olympe.

Olympe mi guarda sorridendo, poi dice:

- È ora che andiamo, Xander. Gli altri si staranno chiedendo che cosa ne è di noi.

- Va bene.

Ci alziamo. Io gli prendo il viso tra le mani e lo bacio ancora. Poi mi stacco e dico:

- Arrivo prima di te!

Mi lancio in acqua e nuoto verso la riva. Sono un buon nuotatore, ma Olympe è più forte e con le sue bracciate potenti mi supera e arriva prima.

Esce dall’acqua e mentre si passa le mani sul corpo per togliere le gocce, mi dice:

- Ti ho battuto, Xander.

C’è un sorriso ironico sul suo viso. Io annuisco.

- Va bene, avrai diritto al premio.

Olympe mi guarda e il suo sorriso si allarga. Non risponde, ma incomincia a rivestirsi. Indugio guardando il suo corpo scomparire negli abiti. Quando ha finito, mi rivesto anch’io in fretta e raggiungiamo gli altri, che stanno già mangiando.

- Pensavamo che ve ne foste andati.

- Abbiamo fatto una nuotata.

 

Mentre mangio guardo Olympe e penso che ho fatto l’amore con lui. A un certo punto mi dico che uno di questi giorni mi prenderà davvero, me lo metterà in culo. Rimango imbambolato a guardarlo. Contrariamente al solito, Olympe non si è messo vicino a me e parla con Léopold e Guy. Solo quando tutti si stendono per riposare, si avvicina a me. Mi sussurra:

- Non fissarmi in quel modo, Xander. Qualcuno potrebbe sospettare.

Mi rendo conto che il mio sguardo era troppo insistente e che qualcuno avrebbe potuto notarlo. Per quello si è tenuto alla larga da me.

- Scusami.

- Non ti scusare, Xander. Non voglio che qualcuno chiacchieri di te.

Quando torniamo a Parigi, io devo andare: ho un impegno con mio padre, questa sera. Mi spiace separarmi da Olympe. Combiniamo un'altra scampagnata tutti insieme la settimana prossima: l'estate sta arrivando ed è così piacevole andarsene a spasso in riva al fiume, riposare sull'erba, nuotare. Guardo Olympe e gli sorrido. Gli chiedo:

- Ci vediamo domani?

- Volentieri.

- Passo da te. Nel pomeriggio, va bene?

Per tutta la sera i miei pensieri ritornano a Olympe, tanto che a un certo punto mio padre mi rimprovera perché non ho sentito quello che lui mi ha appena detto. Mi scuso e cerco di concentrarmi sulle sue parole, ma mi costa fatica.

Quando infine mi corico, non sprofondo immediatamente nel sonno, come mi succede abitualmente, ma rimango un buon momento a pensare a Olympe. Rivedo ciò che è successo oggi al ruscello, ripenso alle sue parole. Mi pare di vederlo qui davanti a me. E il cazzo mi si tende. Ci vediamo domani pomeriggio. Domani.

E di colpo un pensiero mi passa per la testa, come un lampo: domani mi prenderà. Domani sarò suo. Non ce lo siamo detti, ma so che è così. E anche lui lo sa. Sono sicuro che anche lui lo sa. O forse è solo il mio desiderio a farmelo pensare? Mi sembra incredibile. Questa mattina non mi sarei immaginato che avrei gustato il suo cazzo e lui il mio. E ora sono impaziente che lui me lo metta in culo, perché di questo si tratta. No, non di questo, non solo di questo, di certo. Mi rendo conto che per Olympe provo qualche cosa che va infinitamente oltre il desiderio fisico, anche se non me n’ero mai accorto prima. Mi sembra irreale.

Mi alzo tardi, eppure mi sembra che le ore non passino mai. Sono in tensione: quello che sta per accadere un po’ mi spaventa. Ma lo voglio. Voglio appartenere a Olympe, voglio che lui mi prenda. A tratti mi vengono dubbi, mi chiedo se è davvero così. La risposta è sì, senza dubbio.

 

Nel primo pomeriggio faccio un lungo bagno. Mi lavo a fondo. Poi mi asciugo. Sono turbato, ma non rinuncerei per tutto l’oro del mondo.

Arrivo presto. Olympe mi sorride e mi abbraccia. Ci baciamo. Lui spinge la lingua nella mia bocca e io l’accolgo. Sento il calore del suo corpo attraverso la stoffa e il desiderio si accende in me, violento. Quando il nostro bacio si interrompe, gli dico:

- Prendimi, Olympe.

Olympe annuisce. Sorride, si china e mi solleva. Non me l’aspettavo e scoppio a ridere. Mi porta in camera, chiude la porta con il piede e mi posa sul letto. Non mi lascia il tempo di dire nulla: si stende su di me e mi bacia di nuovo. Ma il desiderio ci trascina e incominciamo a spogliarci a vicenda. Dopo che ci siamo sfilati le giacche, lui mi apre la camicia e mi morde un capezzolo, strappandomi un gemito, poi me lo succhia, mentre le sue mani mi calano i pantaloni. Io gli accarezzo i capelli, forse glieli tiro nella foga del momento, ma non riesco a spogliarlo in questa posizione.

La lingua di Olympe scende lungo il torace, fino all’ombelico, mentre le sue mani vigorose mi fanno scivolare pantaloni e mutande fin sotto le ginocchia. La bocca di Olympe scende ancora, fino a raggiungere e avvolgere il mio cazzo, ma è solo un attimo, una carezza umida, a cui segue un ritorno in alto, fino a che sono le nostre bocche a incontrarsi nuovamente.

A questo punto lui è ancora quasi completamente vestito, mentre io sono mezzo nudo. Olympe si mette in ginocchio sul letto e, senza smettere di guardarmi, si sfila la camicia, mentre io mi libero degli ultimi indumenti. Olympe si china su di me e nuovamente ci baciamo sulla bocca. Ma io armeggio con i suoi pantaloni e riesco infine ad abbassarglieli, insieme alle mutande. Le mie mani gli accarezzano il culo e due dita scivolano sul solco. Si fermano all’apertura, incerte, poi ritornano a scivolare sulle natiche.

Olympe spinge ancora la sua bocca nella mia, poi si mette a sedere sul letto e finisce di spogliarsi. Si alza e si volta verso di me. Lo guardo. Guardo il suo viso sorridente. Guardo il corpo forte. Guardo il grande cazzo teso. Penso che tra poco me lo metterà in culo. Mi sgomenta.

Olympe mi sorride, molto dolcemente, e mi dice:

- Facciamo solo quello che vuoi fare, Xander.

Io annuisco, mi volto e divarico le gambe. Lo voglio. Ho paura, ma lo voglio.

Olympe si stende su di me, mi bacia sul collo e su una guancia. La sua lingua passa dietro l’orecchio, poi i suoi denti mordono un lobo. La lingua scende ancora sul collo. Poi Olympe si solleva, in ginocchio tra le mie gambe, e le sue mani scorrono sulla mia schiena. È una carezza vigorosa, che mi trasmette sensazioni forti. Mi afferra il culo, stringendo, poi si china su di me e assesta un morso forte, che mi strappa un gemito. Seguono diversi altri morsi, alcuni decisi, altri molto leggeri, che mi martoriano il culo, mentre le sue mani scivolano lungo i fianchi, risalgono sul dorso, scendono sulle cosce. Poi afferrano le natiche e le divaricano. Sarà tra poco. E mentre lo penso ho paura.

Sento la sua lingua che scorre sul solco, che indugia sul buco, che preme. Sussulto. Sento le sue labbra che mi baciano, poi ancora la sua lingua che ripercorre la stessa strada. E poi un morso violento a una natica. Olympe è su di me, sento la cappella che preme contro l’apertura, un morso deciso all’orecchio, che di nuovo mi fa gemere, e mi accorgo che ha forzato l’apertura e ora ho il suo cazzo dentro di me.

Si ferma subito. Non saprei dire che cosa provo. È una sensazione strana, che non so definire, vorrei liberarmi di questo intruso che dilata l’apertura. Ma Olympe mi bacia sul collo, mi accarezza e sento che avanza dentro di me. Ora è una presenza ingombrante e vigorosa, una forza estranea che mi invade e mi soggioga. Mi fa male, ma non vorrei che smettesse. Olympe avanza ancora e questa volta, per quanto si muova pianissimo, il dolore cresce. Non dico nulla, ma Olympe si ritrae, uscendo completamente.

Mi sfugge un:

- No!

Poi dico:

- Ritorna dentro di me. È bellissimo.

Olympe non dice nulla. Mi bacia ancora sulla nuca, la sua lingua giocherella con il mio orecchio, i suoi denti mordicchiano e intanto l’intruso si affaccia di nuovo sulla soglia e avanza, lentamente, con molta dolcezza. Lo lascio farsi strada. Di nuovo avverto una sensazione dolorosa, ma al dolore si mescola il piacere. È bello sentire il suo grosso cazzo dentro di me, che prende possesso del mio culo, come lui ha preso possesso del mio cuore. Olympe mi stringe in un abbraccio e imprime un movimento più deciso, che spinge il suo corpo ad aderire completamente al mio. Ora il suo cazzo è giunto al fondo della sua avanzata. Ora sono suo. È quello che volevo. Mi sento bene, immensamente bene.

- Olympe!

Lui mi bacia sul collo.

- Sei bello, Xander. E sono felice.

- Anch’io sono felice.

Rimaniamo a lungo così, poi le sue braccia allentano la presa e Olympe incomincia a muovere il culo avanti e indietro, affondando il cazzo dentro di me e poi ritraendolo. Va avanti un po’, poi esce.

Per quanto fosse doloroso, mi sfugge un:

- No!

Sento che si riaffaccia. Questa volta entra con un movimento piuttosto deciso e si spinge fino in fondo, ma non fa davvero male: appena appena.

Le spinte riprendono, un movimento continuo che mi stordisce. Anche il mio cazzo si tende. Le sensazioni che provo sono intensissime, mi sembra di non aver mai provato un piacere così forte come questo che ora si diffonde in tutto il mio corpo, dal culo martoriato e dal cazzo teso allo spasimo. Olympe procede con lentezza, a lungo, e io mi abbandono completamente a questo spiedo che mi trapassa la carne, alle sue mani che stringono e accarezzano, pizzicano e solleticano. Ora non c’è più dolore o, se c’è, è qualche cosa di molto remoto, che non riesce a farsi sentire. C’è solo un piacere sempre più forte, il desiderio di rimanere per sempre così, trafitto dall’arma formidabile che mi scava dentro. Ma il piacere cresce ancora, mentre Olympe accelera le sue spinte, e infine sento che si scioglie nel getto violento che prorompe da me, mentre un fiotto caldo mi inonda le viscere. Grido.

Chiudo gli occhi, stordito. Olympe si è abbattuto su di me. Sento che mi sussurra:

- Ti amo, Xander.

E sento che le mie labbra dicono una verità che non avevo ancora formulato, ma a cui non posso sottrarmi:

- Anch’io, Olympe.

Rimaniamo a lungo così. Olympe mi abbraccia e mi bacia. C’è molto languore nei suoi gesti e mi dico che anche per lui è stata un’esperienza fortissima, anche se non era la prima volta. Sento che il suo cazzo assume dimensioni più ridotte e infine esce. Allora lui mi sussurra:

- Rimani così, Xander.

Si alza ed esce dalla stanza. Rientra poco dopo. Vedo che ha portato con sé la macchina fotografica.

Rido.

- Che pensi di fare, Olympe?

- Fotografarti, amore mio. Voglio una foto di te sul letto dove abbiamo fatto l’amore.

Olympe ha una passione per la fotografia. Me ne ha parlato più volte e ho visto alcune immagini che ha scattato.

Non mi farei fotografare nudo da nessun altro, perché non so che uso potrebbero fare di una mia immagine, ma lascio volentieri che Olympe sistemi la macchina sul sostegno. Rimango immobile per tutto il tempo necessario alla posa. Olympe mi scatta tre fotografie, mentre io lo guardo.

 

La mia vita prosegue come se nulla fosse cambiato, ma tutto è diverso. La scrittura assorbe molte ore, è il mio lavoro, ma spesso mi capita di fermarmi e pensare a Olympe. Continuo a dedicare parecchio tempo (anche se un po’ meno di prima) alla vita mondana, che si sfilaccia in queste prime settimane d'estate, quando molti partono per andare nelle loro proprietà di campagna. Ma anche nei salotti la mia mente spesso è altrove. Ciò che davvero conta, più di qualunque altra cosa al mondo, è Olympe. Ci amiamo e faccio fatica a rimanere a lungo separato da lui. A lungo per me è un giorno. Ho bisogno di vederlo tutti i giorni.

I miei rapporti con gli altri sono cambiati. La corte che faccio alle donne è ormai tutta di superficie. La bella contessa d’Espard, che ho corteggiato con scarsi risultati per quasi un mese, ora è molto gentile nei miei confronti: si sente trascurata, giustamente, e cerca di ravvivare una fiamma che si è spenta. Ma era la fiamma di una candela, mentre il fuoco che mi divora è l’incendio di un bosco immenso. 

Ogni tanto faccio ancora l’amore con qualche donna. No, scopo qualche donna, più che altro per non smentire la fama di seduttore che ho sempre amato avere e di cui ora poco mi importa. Mi rendo conto che questi rapporti, adesso che amo Olympe, mi danno un piacere puramente fisico, che non mi è più sufficiente. Non li ricerco, ma, per un paradosso che ho già avuto modo di notare, sono le donne a farsi avanti, in un sottile gioco di provocazioni e schermaglie che in altri tempi mi avrebbe affascinato e ora mi lascia del tutto indifferente. Gli amici sono un po’ invidiosi dei miei successi con il gentil sesso. Questo solletica la mia vanità, ma non scalfisce il mio cuore, dove c’è posto solo per Olympe.

Fare l'amore con Olympe è ogni volta diverso. Ci sono giorni in cui sembra esserci solo tenerezza, altri in cui il desiderio ci guida ad abbracci ardenti, altri ancora in cui il nostro rapporto è brusco e tanto violento che sui nostri corpi rimangono i segni della nostra passione: le tracce di un morso, un piccolo livido, un graffio. Olympe mi guida alla scoperta di un mondo che io ignoravo. Mi sono sempre ritenuto un uomo libero, ma scopro che Olympe ha molte meno remore di me. Non si preclude nulla di ciò che non nuoce ad altri.

Con Olympe ci amiamo a casa sua e in campagna, durante le nostre passeggiate lungo la Senna. A tutti e due piace molto fare l'amore in mezzo alla natura. Tra i cespugli i nostri abbracci sono spesso più irruenti e i nostri giochi non conoscono limiti. Oggi abbiamo nuotato fino all'isoletta dove ci siamo amati per la prima volta. Sono contento di ritornare qui.

Mi volto per pisciare contro un albero, ma Olympe mi dice:

- Aspetta.

Credo che voglia guardarmi mentre piscio, come a me piace fare con lui, ma non è così. Olympe si inginocchia davanti a me, mi mette le mani sul culo e mi dice:

- Ora.

Per un momento rimango interdetto, ma poi rido e incomincio a pisciargli addosso. Lui si lascia irrorare, poi avvicina la bocca al mio cazzo e beve. Lo guardo, stupito, ma ciò che sta facendo mi solletica. Quando ho finito, lui mi prende il cazzo in bocca e lo pulisce bene. Poi si alza e mi bacia. Mi spinge la lingua in bocca. Sento il sapore del mio piscio sulla sua lingua. Non mi dispiace, no, non mi dispiace. E poi mi spinge a terra e lottiamo, come facciamo a volte. Lui ha la meglio e dopo la vittoria riceve il premio: lui si stende sull'erba; io mi siedo sopra di lui e lentamente mi impalo sul suo cazzo teso.  

 

Un mese è passato. Tra due giorni Olympe e io ci trasferiremo nella sua casa di campagna, presso Amboise, per trascorrervi i mesi estivi. Mio padre ci raggiungerà all'inizio di agosto, ma si fermerà solo quindici giorni: ha altri inviti per il periodo estivo.

A pranzo mio padre mi dice che questa sera intende farmi conoscere la bella Odette, un’attricetta del demi-monde che gli piace molto. Ne deduco che l’ha conquistata (impresa non molto difficile).

- È la tua ultima conquista, suppongo.

- Sì, vale davvero la pena. Questa sera avrai modo di apprezzarla anche tu.

- Viene con noi a cena?

- Ma che dici? Sai bene che recita. E poi va al ricevimento dai Camusot. La passiamo a prendere là.

Mio padre sorride e dice:

- Facciamo il bis dell’altra volta.

Rimango interdetto. Non me l’aspettavo. Mio padre mi saluta e se ne va: mi ha detto quello che voleva e adesso ha un impegno pomeridiano.

Io raggiungo Olympe, come tutti i pomeriggi in cui non ho impegni particolari.

Facciamo l’amore, come sempre, ed è bellissimo. Ma io sono turbato. Olympe se ne accorge e, quando siamo sdraiati nudi sul letto, dopo che i nostri corpi si sono saziati, Olympe mi chiede:

- Che cosa c’è, Xander?

È la stessa domanda che mi ha fatto un mese fa, quella che mi ha fatto scoprire di me stesso cose che non sospettavo. Quella che mi ha portato alla felicità.

Non rispondo direttamente. Chiedo:

- Hai mai fatto l’amore con mio padre, Olympe?

- No, non proprio.

- Che cosa intendi dire?

- Quando abbiamo scopato in tre, ci siamo toccati e accarezzati ed è piaciuto a tutti e due, ma non siamo andati oltre.

- Lo vorresti?

Olympe mi guarda. Ha un'espressione molto seria.

- Tuo padre mi piace e gli voglio bene, anche se non nel modo in cui ne voglio a te. Credo che mi piacerebbe, sì, e credo che piacerebbe anche a te.

Deglutisco.

- Che cosa? Che cosa pensi che piacerebbe anche a me? Vederti fare l’amore con mio padre o…

Olympe mi guarda e sorride. Non dice nulla. Non oso completare la frase. Vorrei fare l’amore con mio padre? Vorrei che mi prendesse? La domanda mi spaventa. La risposta che non formulo mi spaventa ancora di più.

Mi scopro a chiedere ancora:

- Credi che lui lo vorrebbe?

Non ho specificato che cosa. Potrebbe essere solo il fatto di scopare con Olympe, ma sappiamo tutti e due che non è così. Olympe mi risponde direttamente:

- Sì, senz’altro. Tuo padre è un uomo libero, che non ama porsi limiti. È uno degli aspetti che apprezzo in lui.

Sono frastornato.

- Per questa sera mi ha proposto un'altra scopata a tre, con Odette questa volta.

- E tu sei turbato, più ancora dell’altra volta. Anche perché questa volta sai a che cosa vai incontro.

Annuisco. Ho difficoltà a spiegare, a capire. O forse non voglio capire.

- Sì, Olympe. È così. Lui è mio padre.

- Sì, ma tu hai ventotto anni e lui oltre cinquanta. Siete uomini adulti, liberi di fare le proprie scelte.

Mi volto a guardarlo.

- Olympe, io amo te.

Lui mi sorride e mi bacia con molta dolcezza.

- E io amo te. Nessuno ci obbliga a scopare con altri, ma io non ti impedisco di provare qualche cosa che desideri. Non sei una mia proprietà, Xander, anche se ti amo.

- Ti darebbe fastidio se io…

Mi blocco. Mi vergogno della frase che stavo per dire, del pensiero che ho formulato. Ma Olympe mi dice, tranquillo:

- No, non mi darebbe fastidio.

- Tu non hai mai… non hai mai avuto voglia? Di farlo con tuo padre, intendo.

- No, siamo troppo distanti. Tu e tuo padre siete molto più vicini.

- Faresti l’amore con me e con lui insieme?

- Sì, mi piacerebbe molto.

Forse continuerei ancora a fare domande, ma Olympe mi bacia con molta tenerezza sulla bocca, mi attira a sé, mi cinge con le braccia.

- Ora riposa qui, su di me. Ci penserai dopo.

Mi abbandono su di lui. Non pensavo di addormentarmi, ma il calore del suo corpo e la dolcezza della sua stretta mi fanno scivolare in un dolce torpore. Infine sprofondo nel sonno.

Mi sveglio e mi ci vuole un attimo per realizzare dove sono.

- Ho dormito molto, Olympe?

- Non molto, nemmeno un’ora, ma ne avevi bisogno.

Mi tiro su.

- Spero di non aver pesato troppo su di te.

Olympe sorride:

- Leggero come un angioletto. E altrettanto bello.

- Dubito che gli angeli facciano quello che facciamo noi due.

- Perché no? Non hanno pregiudizi, loro. Sono spiriti liberi di amarsi.

Mi alzo e incomincio a rivestirmi: devo vedere un giornalista, per un’intervista, prima di ritrovarmi con Olympe, mio padre e gli altri, per la cena. Olympe rimane sdraiato sul letto a guardarmi. Mi piace vederlo così, nudo sul letto dove ci siamo amati, il corpo robusto, il pelame sul torace e sul ventre, il cazzo che alza un po’ la testa. Sorrido e gli dico:

- Sei bellissimo.

- Per te. E va bene così. Tu sei bello per tutti.

- Ma di tutti gli altri non mi importa.

Ci baciamo ancora. Lui mi dice, con un sorriso malizioso:

- Penserò a te questa sera, quando tu e tuo padre ve ne andrete.

- Penserai a me e che farai?

- Esattamente quello che immagini.

Scuoto la testa.

- Vorrei che ci fossi tu con noi, invece di Odette.

Olympe mi guarda, improvvisamente serio.

- Ne sei davvero convinto?

- Sì, certo. Mi sentirei più tranquillo.

- Se vuoi è possibile.

- Che dici? Mio padre ha combinato con Odette.

- Le manderemo un mazzo di fiori dicendo che l’appuntamento è rinviato.

- Ma come… che cosa pensi di fare? E poi… mio padre… non so se sarà d’accordo… io…

- Lascia fare a me. Stasera, quando ci mettiamo a tavola, mi dici se sei ancora della stessa idea. Poi ci penserò io.

Mi chino su di lui, lo bacio, con la destra gli accarezzo leggermente il cazzo. Poi esco.

Percorro di buon passo il viale. Nella mia testa c’è un guazzabuglio di pensieri. Cerco di concentrarmi sull’intervista che devo fare, ma non è facile: in testa continuo a rivedere Olympe, il cui corpo ormai conosco bene, e mio padre, così come l’ho visto quella volta che abbiamo scopato con Julie.

Solo quando arrivo, riesco a dimenticare tutto il resto.

Quando l’intervista finisce, ho due commissioni da fare. Poi passo da casa a vestirmi per la cena. Mio padre non c’è: probabilmente verrà direttamente al ristorante.

Che cosa voglio? Credo di saperlo, ma sono incerto.

 

Quando arrivo al ristorante, Olympe e mio padre sono già arrivati, come pure alcuni altri amici. Olympe mi sorride e si stacca dagli altri per raggiungermi.

- Allora?

- Sì, però… non deve pensare che sia una mia idea.

- Sta’ tranquillo.

A tavola mio padre è seduto di fianco a Olympe. Io sono all’estremità opposta. Loro due parlano come vecchi amici. C’è un momento, verso la fine della cena, in cui mio padre mi guarda. Io faccio finta di non badarci. Il cuore mi batte in fretta. Vorrei dire a Olympe di lasciar perdere. È un’idea assurda. Perché ho accettato la proposta di Olympe? In realtà sono stato io a dire che avrei preferito che ci fosse lui. Ma non era una proposta, era solo un pensiero.

Paul si rende conto che non ho sentito la sua domanda e la ripete. Con uno sforzo, rispondo e cerco di concentrarmi sulla nostra conversazione, ma in questo momento non mi importa nulla del processo a Flaubert per il suo romanzo: Madame Bovary è lontana mille miglia dalla mia testa, anche se ho firmato l’appello e scritto articoli infuocati sulla faccenda. Lancio un’occhiata dall’altra parte del tavolo. Mio padre ha l’aria soddisfatta, Olympe mi strizza un occhio, mentre si alza. Mi dico che sta andando a mandare il mazzo di fiori a Odette. E di colpo ho paura, una paura violenta. Cerco di calmarmi, ma il mio turbamento è troppo forte ed è evidente anche a Paul, che mi chiede:

- Non stai bene, Alexander?

- No, in effetti. Già quando mi sono seduto a tavola, mi girava un po’ la testa.

Devo dire a Olympe che non se ne fa niente. Non me la sento. Non posso farlo. Ma Olympe è uscito.

- Mi è sembrato che stessi poco bene, in effetti. Vuoi uscire un momento? Qui c’è fumo e si respira male.

- Sì, forse è meglio che esca.

Così posso raggiungere Olympe, dirgli che non se ne fa niente.

- Ti accompagno.

- No, rimani qui. Non è niente di grave. Mi metto fuori un momento.

Uscendo incrocio Olympe, che sta tornando.

- Qualche problema, Xander?

- Non me la sento, Olympe.

Olympe sorride e la sua tranquillità basta a rasserenarmi un po’.

- Nessun problema. Dico a tuo padre che ti ho accennato le nostre intenzioni e che mi sei sembrato riluttante.

- Sì, forse è meglio.

C’è molta dolcezza nel sorriso di Olympe.

- Va bene. Appena rientro, glielo dico. Ma adesso, se non ti spiace, rimango con te un momento. Mi sembri un po’ scosso.

Annuisco.

- Sì, mi spiace, Olympe. D’improvviso ho avuto paura.

- Capisco, mi sembra naturale.

- Scusami, sono stato un idiota. Ti ho fatto chiedere e poi mi tiro indietro.

- Xander, non devi preoccuparti di questo. Non esiste nessun problema. È tuo padre e, anche se lo desideri, è comprensibile che tu abbia delle remore. Avrei dovuto pensare che non eri pronto.

- Olympe, sono stato io a dirlo. Ti ho detto che mi sarei sentito più tranquillo se al posto di Odette ci fossi stato tu.

Olympe scuote la testa.

- Tu l’hai detto, perché avermi al tuo fianco ti rassicura. Ma l’hai detto senza riflettere che mettere me al posto di Odette significava passare da una situazione in cui due uomini scopano una donna, perfettamente normale, a una in cui tre uomini scopano tra di loro, meno normale. Se tu e tuo padre scopate Odette, la cosa ti turba perché lui è tuo padre e un po’ tu lo desideri, ma è tutto nella tua testa. Se siamo io, tu e tuo padre, non c’è nessuna donna a fare da velo, a dare una parvenza di normalità e... Sta arrivando tuo padre.

- Hai ragione, Olympe. Come sempre.

Mio padre mi mette una mano sulla spalla, un gesto confidenziale che non è insolito, ma che in questo momento mi turba.

- Mi sto annoiando. Ce l’hanno tutti con Madame Bovary.

Io cerco di fare una battuta:

- Non sopporti i rivali.

- Io e Flaubert non siamo rivali. Ci rivolgiamo a un pubblico del tutto diverso. Che ne direste se ce ne andassimo? Possiamo passare da noi e bere un bicchiere in pace, senza Madame Bovary tra i coglioni.

Rispondo, istintivamente:

- Va bene, è una buona idea.

Perché ho detto che è una buona idea? So che cosa ha in testa mio padre. Perché gli ho detto di sì? Non lo so. Olympe mi guarda. Non riesco a leggergli in volto.

- Ti va bene, Olympe?

Olympe annuisce:

- Se va bene ad Alexander, per me non ci sono problemi. Non ti spiace lasciare gli altri, Xander?

Olympe mi ha gettato un salvagente.

- No, va benissimo.

Ho deciso di affogare. Un minuto fa non me la sentivo e ora lo voglio. Mi dico che non mi sono impegnato a niente, che faccio ancora in tempo a tirarmi indietro, a casa. La presenza di Olympe mi dà sicurezza, se decido di ritirarmi lui mi appoggerà. Ma so che sto mentendo a me stesso. Non voglio tirarmi indietro.

Mio padre sorride. Credo che sia impaziente e che sia ben contento di aver trovato una scusa per accelerare i tempi. Lui è molto più diretto di me, si fa meno complicazioni.

- Vado dentro e lo dico agli altri. Ci penso io a pagare. Fermate una carrozza.

Non appena mio padre è entrato, mi rivolgo a Olympe.

- So che cosa pensi, Olympe: che sono un coglione, un coglione che non sa cosa vuole.

Lui scuote la testa.

- No, di certo. Non lo penso proprio. Tu sai bene che cosa vuoi, ma hai tante remore ed è logico che sia così.

- Tu non hai queste remore.

Olympe sorride:

- Xander, lui è tuo padre, non il mio. Perché dovrei avere remore?

Mi rendo conto di aver detto una cazzata. Un’altra. Proseguo a casaccio:

- Sì, ma tre uomini… insomma.

Olympe ride:

- Su questo non ho proprio nessuna remora. Preferisco scopare con un uomo che con una donna e se i due uomini sono uno quello con cui mi piacerebbe vivere e l’altro uno che mi piace molto… non so immaginare niente di meglio.

Le sue parole di turbano.

- Vorresti vivere con me, Olympe?

- È quello che ti ho detto.

- Davvero quello che faremo è quanto di meglio puoi immaginare?

Olympe mi guarda, poi, mentre fa segno a una carrozza che passa – io me n’ero completamente dimenticato – mi dice, senza più sorridere:

- No, quanto di meglio posso immaginare è svegliarmi il mattino con te al mio fianco, magari fare l’amore, fare colazione insieme e poi dedicarci alle cose che amiamo, per ritrovarci più tardi e raccontarci come abbiamo trascorso le nostre giornate.

- Vivere insieme… Non me l’hai mai detto.

Olympe dice al cocchiere che aspettiamo una terza persona e, prima che ci sia il tempo per dirci ancora altro, arriva mio padre. È sorridente ed euforico. Dà il nostro indirizzo al cocchiere e ci avviamo.

- Infine, non ne potevo più di quella fottuta Madame Bovary

Olympe osserva:

- Era inevitabile che questa sera il tema della conversazione fosse la sentenza del processo.

- Sì, ma che rottura di coglioni!

Non so che cosa dire. Stringo la mano di Olympe, che è seduto al mio fianco. Casa nostra non è molto distante e mio padre e Olympe provvedono a quel minimo di conversazione necessario.

A casa, mio padre si fa portare una bottiglia di champagne e la stappa. Versa il vino nei calici e alza il proprio.

- A noi tre!

Brindiamo. Mio padre è euforico, ma mi rendo conto che è in imbarazzo. Guarda Olympe, che sorride e dice, rivolto e me:

- A tavola tuo padre ed io abbiamo parlato della serata che avreste dovuto trascorrere con Odette, ma dato che la nostra attrice ha avuto un impegno improvviso, il divertimento previsto è rimandato ad altra data.

C’è ironia nello sguardo di Olympe: sa benissimo che le cose non sono andate così e che io ne sono perfettamente informato. Olympe prosegue:

- Io ho osservato che nulla vi impediva di divertirvi un po’ insieme, magari inserendo qualcun altro. Tuo padre non ha trovato di meglio che proporre a me di partecipare e io gli ho detto che, se tu eri d’accordo, per me andava benissimo. Che ne dici, Xander?

Olympe sorride. Mio padre è un po’ sulle spine. Io esito e Olympe aggiunge:

- Ma se l’idea non ti va, si può fare in un altro momento. O mai…

- No, va bene. Va bene così.

Mio padre sorride, versa altro champagne, riempiendo i bicchieri e beviamo di nuovo.

- È una bellissima idea. Ci divertiremo un mondo.

Mio padre versa ancora da bere. Non sono a stomaco vuoto, ma ho anche bevuto non poco durante la cena: non sono ubriaco, ma incomincio a provare un senso di euforia. Mi sembra di avere meno paura. 

Olympe mi si avvicina, mi stringe tra le braccia e mi bacia sulla bocca. Ricambio il bacio, mentre mio padre ci guarda, sorridente. Mi chiedo se lui sa che noi siamo amanti. Escludo che Olympe glielo abbia detto, ma forse, dalla conversazione che ha avuto in serata, potrebbe sospettarlo.

- Ci spostiamo in camera?

- Va bene.

Ci dirigiamo tutti e tre in camera da letto.

Non sono più perfettamente lucido ed è meglio così: mi sembra che tutto sarà facile.

 

E lo è, in effetti. Nello stato di euforia in cui mi trovo, lascio che Olympe incominci a spogliarmi, poi, quando ho solo più i pantaloni, Olympe passa a spogliare mio padre, che però non rimane inattivo e sfila la giacca e la camicia di Olympe. Ogni tanto si ostacolano a vicenda, ma alla fine rimangono tutti e due in mutande. Olympe si toglie le sue e mio padre fa altrettanto, poi Olympe si volta verso di me e mi cala i pantaloni. Li fa scivolare a terra mentre si inginocchia. Poi prende le mie mutande e le abbassa. Ora ha la faccia davanti al mio cazzo e lo prende in bocca. Sussulto. Guardo mio padre, che ha il cazzo mezzo in tiro e mi sta fissando. Intuisco che vorrebbe avvicinarsi, ma esita ancora. Gli sorrido. È quanto basta. Passa dietro di me e mi stringe tra le sue braccia, forte. Il suo corpo aderisce al mio e contro il culo sento il suo cazzo, sempre più rigido. Intanto Olympe lavora con la bocca e mi sembra di essere sul punto di svenire. Mio padre mi accarezza, passandomi le mani sul torace, sul ventre, avvolge i coglioni. Gemo.

Olympe si stacca, si alza e mi bacia sulla bocca. Un lungo bacio.

Quando le nostre bocche si separano, mio padre mi cinge la vita con un braccio e preme sulla mia schiena per farmi piegare in avanti. Sento contro il mio culo il suo cazzo, rigido. E, tanto improvvisa quanto violenta, mi riprende la paura. Guardo Olympe con gli occhi sbarrati. Olympe guarda mio padre e fa un cenno di diniego con la testa. Mio padre si stacca.

Olympe mi stringe e mi abbraccia, poi mi guida a stendermi sul letto, supino, e si stende su di me. Ora i nostri corpi aderiscono, petto contro petto, ventre contro ventre. I nostri cazzi rigidi sono uno a fianco dell’altro. Mio padre si stende su Olympe. Sento il peso che ora è molto più forte e mi schiaccia. Le gambe di Olympe si allargano. Mi rendo conto che mio padre lo prenderà e questo mi turba. Vorrei vederlo, vorrei vedere il cazzo di mio padre che entra nel culo di Olympe. Olympe mi bacia, poi solleva la testa e chiude gli occhi. Mio padre è entrato dentro di lui. Olympe riapre gli occhi e mi sorride. Mio padre poggia le mani sulle spalle di Olympe e poi prende a spingere. Olympe appoggia la testa di fianco alla mia, io posso vedere il viso di mio padre a una spanna dal mio. Vedo le goccioline di sudore sulla sua fronte, mentre ci dà dentro. Mi sorride. Le mie mani accarezzano i fianchi di Olympe, poi, senza che io me ne renda pienamente conto, risalgono e si poggiano sul culo di mio padre, lo accarezzano, lo afferrano, accompagnando il movimento ritmico con cui infilza Olympe.

Mio padre continua a spingere con vigore e io stringo con forza crescente. Provo il desiderio di fargli male, di lasciare il segno.

Mio padre sposta un po’ la testa e ora i nostri visi sono vicinissimi. Mi chiedo se non voglia baciarmi. Ma lui si limita a sorridere. Le mie mani si muovono ancora, le dita raggiungono il solco, cercano l’apertura. Mio padre ghigna, poi però apre la bocca, mentre imprime una serie di spinte più violente. L’indice della mia destra scivola nel buco, a fondo, mentre lui viene dentro Olympe. Mio padre si abbandona sul corpo di Olympe, i nostri visi si sfiorano e infine le nostre bocche si incontrano, mentre il mio dito rimane nel suo culo. È un bacio leggero, ma io apro la bocca e la sua lingua si infila tra le mie labbra, poi si ritira. Mio padre scivola sul letto, il suo cazzo esce dal culo di Olympe, anche il mio dito esce e lui si stende supino di fianco a me.

Ora posso vedere il suo grosso cazzo che poggia sul ventre prominente. La tensione dentro di me è fortissima. La mia mano si posa sul suo ventre, scivola fino al cazzo, lo afferra e stringe con delicatezza.

Olympe ha sollevato la testa e ora mi guarda negli occhi, sorridente. Mi bacia sulla bocca. Poi si solleva sulle ginocchia e, chinandosi in avanti, avvicina la bocca al mio cazzo. Vi passa sopra la lingua tre o quattro volte. Mi rendo conto che ormai sono prossimo a venire.

Penso che mio padre l’ha preso e alle labbra mi sale una richiesta.

- Voglio prenderti, Olympe.

Olympe si stende accanto a me, supino. Piega le gambe e le allarga. Io mi sollevo. Mi inginocchio tra le sue gambe. Guardo il suo petto, accarezzo la peluria che lo ricopre. Guardo il suo culo che mio padre ha posseduto poco fa. Guardo mio padre, che sorride e scivola sul letto in modo da tornare vicino a noi. Olympe gli prende il cazzo, come prima facevo io, ma la sua mano non rimane ferma: lo accarezza.

Olympe solleva le gambe e me le mette sulle spalle. Io avvicino la cappella all’apertura ed entro dentro di lui. È immediatamente un piacere violento. Mi fermo. Rimango immobile un buon momento, poi prendo a muovermi con lentezza, per far durare questo momento: la tensione è fortissima e io non voglio venire subito.

Non reggo a lungo: le sensazioni che mi trasmette questa cavalcata sono troppo intense. Il ritmo diviene più forte e con poche spinte energiche vengo dentro di lui. Esco e mi accascio sul suo corpo, privo di energia. Olympe distende le gambe e mi abbraccia.

Sento che mio padre sale su di me. Sento il peso del suo corpo sul mio. Sento il cazzo di mio padre contro il buco. Mi sembra che mio padre abbia fretta, forse ha paura che io reagisca, che nuovamente mi sottragga. O forse non ha fretta, forse sono io che voglio che succeda ora, prima che mi renda conto di ciò che sta avvenendo.

Ora. Sta per succedere. Lui avanza, piano, forzando l'anello. Si ferma un attimo, poi procede: ora è dentro di me. Si arresta ancora un momento e poi avanza fino in fondo. Un’ondata di piacere mi investe, più forte del dolore che provo. Non penso, non voglio pensare. Brandelli di pensieri nella mia testa. Il suo cazzo. Il mio culo. Mio padre. Mi prende. Il cazzo che mi ha generato. Una sensazione di vertigine.

Sento la mano di Olympe sulla testa, in una carezza molto dolce. C’è Olympe con me, Olympe è qui, sotto di me. Olympe mi accarezza.

Mio padre spinge con vigore, avanza e arretra, con piccoli gemiti di piacere. Poi accelera il ritmo. Ora mi fa male. Sento le sue spinte violente e poi il seme che mi inonda le viscere. Sono esausto. Ho l’impressione di cadere.

Mio padre esce da me e si stende di fianco a noi. Olympe mi stringe e poi incomincia ad accarezzarmi, con molta delicatezza. Chiudo gli occhi e mi abbandono.

È avvenuto. Io e mio padre abbiamo preso Olympe. Mio padre ha preso me. E Olympe?

Sono esausto, come se avessi scalato una montagna.

È solo dopo alcuni minuti, che mio padre dice:

- La bella Odette ha dato forfait, ma noi ci siamo divertiti lo stesso, no?

Olympe risponde per tutti e due.

- Certo. Adesso però Xander è stanco e vuole dormire.

Sono stanco, è vero. Ma più che dormire, voglio rimanere solo con Olympe e lui l’ha capito.

Olympe prosegue:

- Ti porto a letto.

Ci alziamo. La servitù è a dormire, per cui non ci rivestiamo, ma prendiamo solo i nostri vestiti e raggiungiamo la mia camera.

Olympe si stende sul letto e io mi stendo di fianco a lui. Olympe mi abbraccia.

Vorrei parlare, ma sono confuso.

- Dormi, Xander. Domani mattina ne parleremo.

Annuisco. Penso che non è venuto, che non è giusto, ma so che per lui non ha importanza. Tra le sue braccia mi addormento in fretta.

 

Mi sveglio tra le braccia di Olympe e penso che è quello che voglio. Così, per sempre. Domani partiamo per Amboise e per due mesi sarà così ogni mattina.

- Come ti senti, Xander?

Nella voce di Olympe c’è la tenerezza di sempre. Lo bacio e rispondo:

- Così sto bene. Così è il paradiso.

Olympe mi accarezza la testa, con molta delicatezza. Poi mi chiede:

- Vuoi venire a vivere con me, Xander? Quando torneremo da Amboise, vuoi trasferirti a casa mia?

Rispondo subito.

- Sì.

- Pensaci bene, Xander. Devi essere sicuro di quello che fai.

- Lo desidero. Voglio svegliarmi ogni mattina tra le tue braccia.

- Anch’io voglio svegliarmi ogni mattina abbracciato a te.

Mi sento bene. Poi, di colpo, riemerge il pensiero di quello che è successo ieri sera. Olympe in qualche modo si accorge della mia tensione.

- Che cosa c’è, Xander?

- Nulla, io… ieri sera…

Olympe mi accarezza.

- Ieri sera hai fatto ciò che desideravi. Perché una parte di te lo desiderava, Xander. Anche se per te non è facile accettarlo.

- Olympe, non...

Non so continuare. Mi fermo.

- Dimmi, Xander.

- Olympe, non ti spiace, a te non dà fastidio? Voglio dire, che io abbia...

Mi interrompo, mi chiedo che parola usare. Proseguo:

- Che io abbia fatto l'amore con mio padre?

- E perché dovrebbe, Xander? Lo desideri, puoi farlo quanto vuoi. Lo farete ancora, perché tutti e due lo desiderate e questo è bello.

Rimango senza parole. “Lo farete ancora” mi ha turbato. “Lo desiderate” mi turba ancora di più. Anche se è vero, per me è vero, me ne rendo conto. E per mio padre?

- Pensi davvero che lo faremo ancora?

- Xander, tutti e due lo volete, ma siete titubanti, tu perché hai l'impressione di violare una regola, lui perché coglie la tua incertezza.

- Olympe, io ti amo.

- Anch'io ti amo, Xander. E proprio perché ti amo voglio che tu possa realizzare i tuoi desideri.

- Non... non sei geloso?

Olympe ride, la sua risata dolce, leggera.

- Xander, tu ami me ed è quello che conta per me. Ma non sei una mia proprietà e non desidero che tu lo sia. Vorrei che tu potessi realizzare tutti i tuoi sogni, anche quelli in cui io non ci sono.

Non dico nulla. Rimango stretto a lui.

Olympe però si scuote.

- Adesso però io devo andare. Ho organizzato una seduta fotografica e non voglio arrivare in ritardo. Devo andare a casa, lavarmi e preparare l'occorrente. Mi ci vorrà un po'. Perciò, mio angioletto, ti lascio libero con i tuoi desideri. E ti aspetto nel tardo pomeriggio, se ti va.

- Se mi va? Ne dubiti?

Olympe scuote la testa:

- No, direi di no.

Mi spiace che Olympe se ne vada.

Olympe si alza. Lo guardo. Guardo il suo corpo forte, così diverso dal mio. Guardo il suo cazzo, il primo che ho sentito dentro di me. Guardo il suo viso, il sorriso dolce.

- Ti amo, Olympe.

- Anch'io ti amo, Xander.

Lo guardo pisciare nel vaso da notte, lo guardo lavarsi il viso e le mani nel catino, lo guardo vestirsi e il desiderio si accende. Quando ormai è pronto, mi alzo e lo abbraccio, io nudo e lui vestito di tutto punto. Ci baciamo sulla bocca. E il desiderio divampa.

- Prendimi, Olympe, ora.

Olympe esita un attimo, poi ride.

- E va bene.

Ma sono io a prendere l'iniziativa. Mi inginocchio davanti a lui, gli apro i pantaloni, ne tiro fuori il cazzo, che già si sta tendendo. Lo prendo in bocca e incomincio a succhiarlo. Mi piace sentirlo crescere e irrigidirsi nella mia bocca. Gli stringo il culo attraverso la stoffa dei pantaloni e succhio avidamente. E nella mia testa ripassano le immagini di quanto è successo ieri sera. Olympe mi accarezza la testa con grande dolcezza. Poi lo sento irrigidirsi e la scarica mi riempie la bocca. Bevo ogni goccia, poi lo pulisco bene e lo risistemo.

- Vuoi che ti faccia venire, Xander?

Scuoto la testa. Ho il cazzo duro e il desiderio è forte, ma va bene così.

Olympe mi abbraccia, mi stringe e mi dice:

- Fa' quello che desideri, Xander, tutto quello che desideri. Io sono felice se ti so felice.

Annuisco. Olympe mi bacia ed esce.

 

Io ritorno a letto. Penso a Olympe. Penso a mio padre, che di certo dorme ancora: è un dormiglione e quando fa tardi la sera, si alza solo nel pomeriggio. Rivedo la scena di ieri sera, ripenso a quanto mi ha detto Olympe. Mi alzo di scatto. Esito un attimo, poi mi metto la vestaglia e raggiungo la camera di mio padre. Mi fermo un momento davanti alla porta, poi entro. Chiudo la porta dietro di me. La camera è immersa nella penombra. Mio padre dorme disteso sul letto, nudo, come sempre. Lo guardo. Mi avvicino al letto. Guardo il suo cazzo. Penso che è quello che mi ha generato. E che ieri sera mi ha posseduto. Il cazzo che si era un po' ammosciato mi ritorna duro.

Vado alla finestra, apro gli scuri e scosto le tende. La luce inonda la camera. Mio padre si sveglia. Mi vede e mi sorride.

- Alexander! Che fai? Stavo dormendo.

- Sono venuto a darti la sveglia. Hai dormito a sufficienza.

- Sarà... io avrei dormito ancora.

Mio padre si mette a sedere. Si stiracchia un po'. Sorride.

- Ieri sera ci siamo divertiti, eh?

- Puoi dirlo.

Mi avvicino al letto. Il cazzo duro preme contro la vestaglia e mio padre se ne accorge. Il suo sorriso si allarga.

- Facciamo un bis, senza nessun altro?

- Perché no?

Mi apro la vestaglia e la lascio scivolare a terra. Mio padre sorride.

- Prima però devo pisciare.

Si alza, ma prima che prenda il vaso io mi inginocchio davanti a lui e gli prendo in bocca il cazzo. Il cuore ha accelerato i battiti.

Mio padre ride. La sua risata fragorosa, così diversa da quella di Olympe.

- Sei un bel maialino, figlio.

Ma non esita. Incomincia a pisciare. Bevo, con gusto. E quando ha finito, con le labbra e la lingua incomincio a lavorare la cappella. Il suo cazzo cresce rapidamente di volume. Io continuo a succhiare e leccare, finché non è teso al massimo. Poi mi stacco e lo contemplo.

Lui mi solleva e mi stende sul letto. Mi allarga le gambe. Sputa sul buco del culo e distribuisce la saliva con due dita. Le sento scivolare lungo l'apertura e infilarsi dentro. Avverto l'ansia del suo desiderio, a cui corrisponde il mio.

Lui si stende su di me. Sento il suo peso schiacciarmi. E' quello che desidero.

La pressione della cappella contro il buco è dolorosa. Lui è impaziente e mi fa male, ma va bene così. Ora entra, strappandomi un gemito. Mi lascia un momento perché possa riprendere fiato e abituarmi. Poi incomincia a muoversi dentro di me. Un movimento lento e continuo, che mi fa vibrare di piacere, nonostante sia anche doloroso. Le mie remore si sono dissolte. E' bello sentire il suo cazzo entrare dentro di me, a fondo, facendomi male, e poi ritrarsi, per affondare nuovamente finché i suoi coglioni non battono contro il mio culo. E' bello sentire le sue spinte decise, che mi scavano dentro. Ho il cazzo di mio padre dentro di me e so che lo desideravo, come lui desiderava possedermi.

Mio padre mi fotte con la sua solita energia: non è un caso se lo chiamano spesso il toro. Io mi abbandono completamente a lui.

Poi le spinte diventano più intense, tanto violente da farmi stringere i denti, finché non sento la scarica dentro di me, il suo seme che si riversa nelle mie viscere.

Mio padre si abbandona su di me e io rimango immobile, sotto il suo peso che mi schiaccia. Adesso che il suo cazzo ha perso un po' di consistenza e volume, la sensazione è ancora più piacevole.

Poi mio padre mi stringe tra le braccia e si gira. Mi trovo steso su di lui, il suo cazzo sempre ben piantato nel mio culo. La sua mano mi accarezza, scende al cazzo, lo stringe con forza e io sento il desiderio moltiplicarsi e infine il piacere esplodere.

Chiudo gli occhi. Sto bene.

Rimaniamo a lungo così. Lentamente il suo cazzo si sgonfia e infine esce da me. Io mi sposto di lato. Ci guardiamo. Lui mi bacia e spinge con forza la sua lingua nella mia bocca.

- E' stato bello, Alexandre.

- Sì, è stato bello. Lo rifaremo ancora, se vorrai.

- Certo che lo voglio.

- Ma c'è una cosa che devo dirti.

Mio padre mi guarda, con un'espressione interrogativa.

- Quando rientrerò a Parigi, a settembre, non tornerò qui. Andrò a vivere con Olympe.

Mio padre annuisce, poi chiede:

- Sei innamorato di lui?

- Sì.

- E' una buona scelta, figliolo.

Non è stata una scelta, non del mio cervello almeno. Hanno scelto il mio cuore e il mio corpo. Ma è stata una buona scelta, lo so.

Poi mio padre aggiunge:

- Questo non ci impedirà di divertirci qualche altra volta, no?

- No, certamente.

Rimango un momento ancora nel letto, poi mi alzo, mi rimetto la vestaglia e ritorno in camera.

Domani mattina io e Olympe partiremo. Oggi finirò di preparare i bagagli per il soggiorno ad Amboise, ma quando tornerò a Parigi, non sarà più questa la mia casa. Sarà quella di Olympe.

     

2015

 

 

 

 

 

 

 

 

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