Crocevia

 

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Maurice Duport si ferma poco a Port-au-Prince: qualche giorno per riprendersi dal viaggio dalla Francia a Haiti, salutare le vecchie conoscenze e sondare il terreno per capire se c’è qualche possibilità di lavoro. Rimarrebbe volentieri più a lungo, ma deve raggiungere suo padre, che non vede da quattro anni. E in ogni caso non avrebbe il denaro necessario per un soggiorno prolungato.

Maurice parte il mattino presto: ci vogliono alcuni giorni di viaggio per raggiungere la tenuta che suo padre ha acquistato, nella parte meridionale dell’isola, quasi ai confini con i domini spagnoli. Si fermerà a dormire nelle piantagioni che incontrerà: la tradizione dell’ospitalità è molto forte a Haiti e nessuno dei grandi proprietari si rifiuterebbe di accogliere per una notte un giovane di passaggio.

Maurice non è entusiasta all’idea di dormire presso i piantatori, di cui non ha molta stima: sono uomini avidi, privi di scrupoli, feroci con i loro schiavi, convinti di valere più degli altri.

Adesso anche suo padre possiede una piantagione. La lettera con cui gli annunciava di averne acquistata una non lo ha sorpreso: sapeva che era un sogno di suo padre, un commerciante arricchitosi che, come tanti nell’isola, considera i proprietari delle grandi tenute i soli veri signori. Anche lui voleva entrare in quella ristretta cerchia di uomini che davvero contano.

Maurice conosce l’indole violenta di suo padre e preferisce non pensare a ciò che lo attende. Farebbe volentieri a meno di raggiungere la piantagione, ma non può non andare a trovarlo dopo questi anni trascorsi in Francia per completare gli studi. Poi cercherà di fargli capire che preferisce cercarsi un lavoro a Port-au-Prince. Sarà un momento molto sgradevole e con ogni probabilità suo padre non accetterà l’idea. Gli negherà qualsiasi sostegno. D’altronde la situazione della piantagione non deve essere ottimale: le lettere di suo padre erano piene di lamentele. L’acquisto non si è rivelato un buon affare.

 

*

 

È sera. Possono ritornare alle capanne. La giornata di lavoro è stata sfiancante, come sempre. I sorveglianti sono implacabili, patron Duport è sempre in giro con i suoi cani maledetti.

Sefu è stanco, ma questa sera vuole raggiungere la Liberté. Ci sarà una grande festa alla piantagione del pirata. Se lo beccano, sarà punito, duramente. Ma Sefu ha vent’anni e voglia di danzare, anche se è stanco, anche se ci vogliono quasi due ore per raggiungere la Liberté e altrettanto per tornare.

Gros-Bras, uno dei sorveglianti, appare sulla porta, accompagnato da un cane che ringhia. A Sefu manca il fiato. Il padrone non può certo sapere che lui questa notte vuole allontanarsi di nascosto dalla piantagione, non ne ha parlato con nessuno. E allora?

Sefu conosce la risposta, ma non vuole darsela.

- Il padrone ti aspetta. Muoviti.

Sefu è in piedi. Il cuore gli batte all’impazzata.

- Che cosa…

Il sorvegliante lo interrompe.

- Muoviti, stronzo. Non mi hai sentito?

Non si può far aspettare patron Duport. Sefu si muove. Segue il sorvegliante e gli sembra di non avere più forze. Spesso il padrone chiama qualche giovane. E tutti sanno che cosa succede alla casa. Sefu vorrebbe scappare, ma il cane gli sarebbe addosso in un attimo.

Il fiato gli manca mentre salgono verso la casa padronale. Vorrebbe non arrivare mai, ma la casa è lì, davanti a lui. Il sorvegliante gli indica una porta, con un cenno della testa. Sefu guarda l’uscio aperto.

- Muoviti.

Il sorvegliante ha parlato sottovoce, ma c’è una vibrazione di minaccia che sembra riempire l’aria.

Sefu avanza, fino a che è sulla soglia. Il sorvegliante si appoggia alla parete. Rimarrà lì tutto il tempo. Non si sa mai.

La stanza è avvolta nella penombra. Il padrone è in piedi vicino alla finestra, nudo, il grande uccello in tiro.

- Spogliati e stenditi sul letto.

Le parole sono un macigno che schiaccia Sefu. Sa che non ha nessuna possibilità di sfuggire a quanto lo aspetta. È successo a molti dei giovani della piantagione. A sedici, diciott’anni, il padrone se li prende. Non è un segreto per nessuno. Il padrone non si nasconde, è lui che comanda.

Non c’è niente da fare. Supplicare, pregare, implorare significherebbe solo infastidire il padrone e beccarsi qualche sberla. Cercare di resistere sarebbe peggio. Pochi l’hanno fatto e hanno pagato caro.

La paura lascia il posto a una rabbia sorda. Sefu non dice nulla. Si toglie lo straccio che gli serve da camicia, si cala i pantaloni e si stende sul letto. Non può resistere, ora, ma avrà la sua vendetta. Allarga le gambe. 

Volta la testa verso il padrone, che non si è mosso dalla finestra. Si sta accarezzando l’uccello. Sefu non può distinguere bene la faccia, buia contro il chiarore che ancora viene dalla finestra, ma potrebbe giurare che quel porco sta sorridendo.

 

Christophe aspetta un momento, poi si sposta verso la porta. Si affaccia appena. Sa benissimo che al padrone non importa se qualcuno lo spia mentre scopa, anzi: gli tira persino di più. Il padrone non si fa problemi, è lui che comanda. Ma se ha la luna storta, il padrone è capace di spaccargli la faccia se lo sorprende a spiarlo.

La stanza è immersa nella penombra, tra poco sarà troppo buio per vedere. Il padrone è sul letto, in ginocchio. Sefu si è disteso e ha allargato le gambe. È docile, sa che cosa succede a chi cerca di resistere. Sa che non gli conviene.

Il padrone posa le mani sulle chiappe di Sefu e le allarga. Abbassa la testa e sputa sull’apertura. Sefu sussulta. Il padrone ride, una risata roca. Avanza la sua arma formidabile e lentamente infilza Sefu come un pollo allo spiedo.

 

Sefu apre la bocca, ma trattiene l’urlo. Non ha opposto resistenza, come dicono che bisogna fare, ma gli è sembrato di sentire un coltello in culo. Chiude gli occhi, serra i denti e cerca di fuggire con la mente, fuggire in altre terre, fuggire sulle montagne, dove altri sono scappati prima di lui, fuggire da questa piantagione di merda, fuggire.

Sefu sa che non sarà breve, il padrone è un toro da monta e lo fotterà a lungo.

 

Sulla soglia Christophe ride, senza farsi sentire. Gli sta venendo duro. Si infila la mano nei pantaloni e incomincia a menarselo.

 

*

 

- Il figlio di Henri Duport?

Ci vuole un momento prima che Louis Valbert si ricordi.

- Ah, sì, la piantagione della Belle Hélène.

A Maurice pare di avvertire una lieve sfumatura dispregiativa nella voce del signor Valbert. Non si stupisce: sa già che la piantagione di suo padre non è una proprietà importante. Preferisce prevenire ogni critica:

- Non è una grande piantagione.

Louis Valbert scuote la testa.

- Quanto a grandezza, è grande. Ma è la posizione che costituisce un problema. Troppo vicina al territorio spagnolo.

- Perché è un problema?

- Perché gli schiavi fuggono, si rifugiano nella Sierra de Bahoruco. Ce ne sono centinaia. E non si può neanche organizzare una spedizione in grande stile per recuperarli: creerebbe problemi con la Spagna. A quei fottuti spagnoli poco importa che i nostri schiavi fuggano.

- Capisco. Mio padre in effetti nelle sue lettere si è lamentato spesso delle fughe di schiavi.

- Già, e poi c’è anche un altro problema. Il pirata, quel figlio di puttana.

Ai pirati Maurice non ha proprio pensato: suo padre nelle lettere non ha mai fatto cenno alla pirateria. La piantagione è nell’interno, ma in effetti la costa non è lontana, per cui potrebbero esserci incursioni. Si stupisce che suo padre non gli abbia mai scritto niente sull’argomento.

- Un pirata? Saccheggia la regione?

- No, no. Si è ritirato a vita privata, diciamo così, ha pure ottenuto il perdono reale. Ma si è insediato in una piantagione non lontana dalla Belle Hélène, l’ha chiamata la Liberté, si figuri. Non ci sono schiavi. Li ha liberati tutti. E un suo amico, dicono che sia l’amante, ha comprato la tenuta vicina dopo che i negri in rivolta hanno ammazzato il proprietario. Anche lui ha liberato quei fottuti negri. Capisce che razza di esempio per gli schiavi delle altre piantagioni?!

- Sì, mi rendo conto.

- Qualcuno dei proprietari della regione avrebbe anche organizzato una bella spedizione per fottere quel figlio di puttana di Testapelata…

Maurice interrompe il suo interlocutore:

- Testapelata? Il famoso Testapelata?

- Proprio lui. Per essere famoso, certo che lo è. Chi non lo conosce quel bastardo?

Maurice è disorientato. Testapelata è stato un grandissimo corsaro e poi un pirata. Un uomo eccezionale, a sentire i racconti che ne fanno tutti.

Louis Valbert riprende:

- Intorno alla Liberté, ci sono decine e decine di appezzamenti dei suoi uomini e di altri criminali che si sono rifugiati lì per qualche guaio con la legge. Disertori, traditori, ribelli, eretici, sodomiti. Insomma, nella regione si è radunata la feccia dell’isola e non solo: c’è gente da tutte le Antille. Sono armati e sanno combattere. Ci vorrebbe un vero esercito per sgominare quella marmaglia. Per cui i proprietari della zona sono costretti a tacere, anche quando qualcuno dei loro schiavi si rifugia alla Liberté. Sì, tra la Sierra di Bahoruco e la Liberté, la piantagione di suo padre è proprio in una pessima posizione.

Maurice annuisce. Non sa bene che dire. Testapelata è stato uno degli eroi della sua fanciullezza. Le imprese di questo pirata, tanto coraggioso e geniale quanto generoso, lo hanno spesso fatto sognare. E adesso fa il piantatore. Ma in un modo del tutto diverso dagli altri.

Valbert prosegue:

- Ho avuto dei problemi anch’io, con quel figlio di puttana, ma per fortuna la sua piantagione è abbastanza lontana. Ci vuole una giornata a cavallo e se qualche schiavo cerca di fuggire, lo riprendo prima che arrivi alla Liberté. Ma dopo la lezione che ho dato all’ultimo che ci ha provato, non ci sono più stati tentativi di fuga.

- È lo schiavo che è ancora legato al palo?

Maurice si rende subito conto di aver detto una stupidaggine: lo schiavo legato al palo, la schiena coperta di piaghe per le frustate ricevute, è stato fustigato oggi o al massimo ieri. Che senso avrebbe dire che nessuno ha più provato a fuggire?

Valbert ride:

- No, quello è uno che ha poca voglia di lavorare. Ma gliela faccio venire io. A quello che ha provato a scappare, due mesi fa, ho fatto tagliare i piedi.

Maurice rabbrividisce. Sa che suo padre sicuramente è feroce con gli schiavi come il signor Valbert. Maurice sa che non potrebbe mai vivere nella piantagione di suo padre. Impazzirebbe.

 

*

 

- Adesso puoi andare.

Henri Duport esce dalla stanza e si siede sulla poltrona della veranda.

È notte ormai. Dalla casa padronale, sul fianco della collina, Duport osserva la piantagione ai suoi piedi. La luce della luna illumina i campi di canna da zucchero, che occupano tutta la valle e si stendono fino alle pendici della montagna.

Duport si sente bene. Si gratta i coglioni con la sinistra. Poi allunga la destra verso il tavolino, prende dalla scatola un sigaro e se lo accende. Tira la prima boccata.

Sente che lo schiavo passa dietro di lui e poi lo vede scendere verso le abitazioni. Zoppica un po’, tiene la testa bassa. Presto l’oscurità lo inghiotte.

Duport sorride. Il ragazzo ha un bel culo, lo prenderà altre volte, parecchie altre volte. A meno che non cerchi di scappare. Al pensiero il sorriso di Duport scompare. Tira un’altra boccata di fumo.

Se quel coglione cerca di scappare, lo acciufferà e lo scannerà davanti a tutti gli schiavi, perché vedano una volta per tutte che cosa succede a chi cerca di fuggire.

Il pensiero dei fuggitivi lo ha messo di cattivo umore. Henri Duport tira un’altra boccata dal suo sigaro, lancia un’occhiata verso le capanne degli schiavi, poi il suo sguardo passa alla massa oscura della montagna, che è già territorio spagnolo. La montagna è la sua nemica. Lì si nascondono quelli che fuggono dalla piantagione: la catena offre rifugio a centinaia di uomini, scappati da tutte le piantagioni dell’isola.

- Posso andare padrone?

La voce di Christophe lo sorprende. Non pensava più al suo sorvegliante.

- Che aspetti ancora per levarti dai coglioni?

Christophe si muove e scivola via.

- E bada che quello stronzo non scappi.

Quando ha deciso di creare una piantagione, gli hanno sconsigliato quella valle, troppo vicina alla colonia spagnola di Santo Domingo, troppo vicina alla Sierra di Bahoruco. Ma con i soldi che aveva non poteva permettersi terre migliori.

Le fughe erano incominciate subito.

Adesso Henri Duport ha tre cani, abili nel seguire le tracce e feroci: sono il terrore di quei negri fottuti. Quando uno schiavo fugge, Duport si occupa personalmente dell’inseguimento. Non è che non si fidi dei sorveglianti, ma gli piace inseguire la sua preda e catturarla.

Ma c’è la montagna, quella maledetta montagna. Man mano che ci si allontana dalla piantagione, le foreste diventano sempre più fitte e se non si trova rapidamente la traccia, diventa impossibile raggiungere lo schiavo.

E poi c’è anche quell’altro bastardo, quel pirata, Testapelata, e tutta la sua combriccola. Quello che ha liberato i suoi schiavi e adesso quella fottuta tenuta, a poche miglia dalla sua, attira i negri come uno stronzo attira le mosche. Un suo schiavo è fuggito lì, tempo fa, ma Duport non è riuscito a riprenderselo. Quel maiale ha negato che lo schiavo fosse da lui. Testapelata è bene armato, anche i suoi negri sono armati e nella zona ci sono un sacco di compagni di imprese di quel fottuto bastardo e altra marmaglia, che lì sa di essere al sicuro dalla legge. Duport non può mettersi da solo contro quella gentaglia.

Perché Duport è del tutto solo. Può fidarsi dei suoi cani, dei quattro sorveglianti e di nessun altro. Per fortuna tra poco ci sarà anche Maurice, che è finalmente rientrato dalla Francia. Anche se Maurice… Duport scuote la testa. Maurice è un debole, questa è la verità. Ma imparerà come deve comportarsi, glielo insegnerà lui, con le buone o con le cattive. Ormai non c’è più Hélène a difenderlo. Deve imparare a essere un uomo.

 

*

 

A ogni piantagione Maurice ha chiesto come arrivare alla sua meta. Il signor Valbert gli ha dato indicazioni precise per l’ultima tappa. Lasciando le sue proprietà, Maurice ha preso la strada a mezza costa, che lo porterà direttamente alla piantagione di suo padre, e non quella sul fondovalle, che passa dalla Liberté: anche di lì si arriva, ma è più lunga e Maurice non riuscirebbe a raggiungere la Belle Hélène prima di notte.

Maurice prosegue per la sua strada, andando a volte al trotto, a volte al passo. Sono ormai quattro ore che cavalca. Quando è partito, splendeva il sole, ma poi il cielo si è coperto rapidamente e il vento sta soffiando impetuoso. Che sia in arrivo un uragano? Maurice spera di no. Ma il cielo diventa sempre più scuro.

Improvvisamente Maurice si trova davanti a un crocevia. Non se lo aspettava. Il signor Valbert non gli aveva parlato di nessun bivio lungo la strada che lui ha preso. Ma ora la pista si biforca e Maurice non sa se prendere a destra o a sinistra: entrambe le vie potrebbero portare alla piantagione.

A sinistra il bosco è molto fitto e, sotto il cielo ormai nero, la pista è buia. C’è qualche cosa di inquietante in quella traccia che si inoltra tra gli alberi. Maurice prova una strana sensazione, che non saprebbe spiegare, come se nell’ombra fitta qualcuno lo stesse aspettando. Una presenza ostile.

L’altra via è meno cupa e in quella direzione in lontananza si vede un lembo di cielo azzurro. Dopo aver esitato un momento, Maurice prende la strada che va a destra: mal che vada raggiungerà il mare e sicuramente troverà qualche villaggio dove chiedere indicazioni ed eventualmente fermarsi per la notte. L’altra strada potrebbe portarlo verso il nord, lontano da ogni centro abitato.

Maurice gira il cavallo, ma prima di procedere si volta ancora verso l’altra pista. Gli appare ancora più buia di prima, come se fosse sbarrata da un muro nero. Maurice sente un brivido corrergli lungo la schiena e sprona il cavallo al galoppo.

 

Man mano che Maurice procede, il cielo si schiarisce. Nel pomeriggio c’è un temporale, ma poi il vento spazza via le nubi. Tre ore dopo il bivio, Maurice vede una piccola casa. In un campo c’è un uomo bianco che ora lo guarda.

- Scusi, è questa la strada per la piantagione Belle Hélène?

- Ci arriva anche di qua, passando per la Liberté. Ma è tardi, ormai, alla Belle Hélène non arriva di oggi.

- La ringrazio.

 

Si sta facendo notte e Maurice non sa bene che fare. Nonostante quello che gli ha detto l’uomo a cui ha chiesto, sperava ancora di raggiungere la piantagione di suo padre in serata, ma tra pochissimo sarà buio e, non conoscendo la strada, cercare di arrivare a tutti i costi non avrebbe senso. Rischierebbe solo di mettersi nei guai, anche se le due piantagioni non sono molto distanti.

Nel pomeriggio ha visto molte piccole proprietà e diversi bianchi, oltre a numerosi neri. Devono essere i compagni di Testapelata e altri uomini che si sono rifugiati qui per sfuggire alla giustizia. Chiedere ospitalità a loro non sarebbe saggio. L’unica grande piantagione nella zona, dove un ospite potrebbe essere accolto, è la Liberté, quella di Testapelata, che si vede in lontananza. A Maurice non spiacerebbe conoscere il famoso Testapelata. Ma tra il pirata e suo padre non deve certo esserci buon sangue. Come lo tratterebbe Testapelata, se lui si presentasse come il figlio di Henri Duport?

Forse farebbe meglio a mettersi a dormire di fianco alla strada. Però anche questo potrebbe essere pericoloso: se davvero nella zona ci sono tanti delinquenti, potrebbero tagliargli la gola. Con sé ha ben poco, ma quelli mica lo sanno.

Ormai è buio: la notte scende in fretta ai tropici. L’unica cosa sensata da fare è andare alla Liberté. Se Testapelata lo sbatterà fuori, si cercherà un angolo tranquillo per riposare o almeno attendere l’alba vegliando.

Davanti alla casa c’è un nero che lo guarda interrogativamente. Nessuna traccia del servilismo tipico degli schiavi. Questo è un uomo libero.

Maurice scende da cavallo e dice:

- Buonasera. La notte mi ha sorpreso mentre passavo di qui e vorrei chiedere al padrone ospitalità.

- Vado a chiamarlo.

L’uomo che arriva poco dopo ha il cranio rasato: dev’essere Testapelata. È un gran bel maschio, con una cicatrice che dalla fronte scende su una guancia.

- Buonasera. Mi hanno detto che lei cerca ospitalità. Io sono il proprietario della piantagione, Michel Leglaive. Ma probabilmente le avranno già parlato di me e quindi mi conoscerà con il mio soprannome di pirata, Testapelata.

Maurice è stupito dalla franchezza dell’uomo, per cui prova un’istintiva simpatia.

- Sì, mi hanno parlato di lei e della sua scelta di liberare tutti gli schiavi. Mi sembra molto bello.

Michel scuote la testa:

- Non è una scelta molto popolare, tra i piantatori.

- No, lo immagino. Io…

Maurice sa che deve presentarsi e non vuole mentire a quest’uomo.

- Mi chiamo Maurice Duport.

Sul viso di Michel appare un’espressione interrogativa. Maurice continua:

- Sono il figlio di Henry Duport e sto andando alla piantagione di mio padre, che non vedo da quattro anni. Sono stato in Francia per completare gli studi. Conoscendo mio padre, immagino che tra voi i rapporti non siano buoni.

Testapelata sorride.

- Immagina bene. Ma se lei pensa che ho fatto bene a liberare gli schiavi, mi sa che avrà anche lei problemi con suo padre.

Maurice china il capo. Poi lo rialza e fissa Michel:

- Sì, lo so.

C’è un momento di silenzio. È Michel a riprendere:

- Venga a cena. Questa notte può dormire qui e se ha piacere può fermarsi anche nei prossimi giorni. Questa sera c’è una grande festa, ma ne parleremo dopo. Se vorrà assistere, dovrò chiederle un impegno e darle qualche avvertimento. Ma c’è tempo. Stiamo mettendoci a cena, per cui venga.

Michel chiama un uomo e gli dice di prendersi cura del cavallo di Maurice, poi lo accompagna dentro. Dà alcuni ordini e, dopo aver mostrato a Maurice la camera che gli mette a disposizione e avergli lasciato il tempo per sistemarsi, lo accompagna a tavola. Ci sono parecchie persone, almeno una quindicina, in larga maggioranza maschi, in parte neri e in parte bianchi. È la prima volta che a Maurice capita di vedere una tavolata mista: in nessuna delle piantagioni di Haiti sarebbe possibile. In nessuna casa dell’isola sarebbe possibile.

Michel fa le presentazioni. Quando dice che Maurice è il figlio di Henri Duport, c’è un momento di stupore, ma nessuno dice nulla: per Maurice è evidente che se a Testapelata va bene, va bene anche agli altri.

Michel presenta l’uomo al suo fianco, un bel giovane, dicendo:

- Questo è Felipe, il mio uomo.

Poi presenta gli altri.

Maurice non sa bene come intendere la frase di Michel, che suscita in lui una serie di interrogativi. Ad alcune domande le risposte vengono dalla conversazione che si tiene a tavola: dopo un momento in cui tutti appaiono incerti, i dialoghi si intrecciano senza remore. Maurice è stupito dalla libertà con cui anche i neri si esprimono: non si sentono evidentemente in soggezione. Maurice ha l’impressione di essere finito in un altro mondo. E dalle battute che vengono scambiate a un certo punto, è evidente che non ha capito male: Michel e Felipe sono amanti e tutti ne sono a conoscenza. Maurice è frastornato. E mille pensieri gli frullano in testa. Non ha mai avuto rapporti, ma sa di desiderare gli uomini. Se suo padre lo sapesse… Maurice pensa che vorrebbe fermarsi qui, trovarsi un qualsiasi lavoro e rimanere tra questa gente senza pregiudizi, dove tutti sono liberi di vivere la propria vita.

Maurice non partecipa molto alla conversazione generale, ma Michel lo coinvolge in più occasioni e anche il nero alla destra di Maurice, un uomo più anziano degli altri, gli rivolge qualche domanda sui suoi studi. A un certo punto l’uomo, che si chiama Kunta, gli chiede:

- Come mai hai deciso di passare di qui per raggiungere la piantagione di tuo padre?

A tavola si danno tutti del tu, ma a lui molti si rivolgono dandogli del lei. A Maurice non dispiace che quest’uomo invece gli parli in modo familiare.

- Non l’ho deciso. Avevo chiesto le indicazioni alla piantagione del signor Valbert, ma non mi avevano detto di un bivio.

- Un bivio?

- Sì, io ho preso la strada che passa a nord e che, da quanto mi hanno detto, raggiunge direttamente la proprietà di mio padre, ma mi sono trovato a un crocevia di cui nessuno mi aveva parlato.

- Non c’è nessun crocevia lungo quella strada.

- Ma sì, a un certo punto la strada si biforcava e io ho preso a destra. Evidentemente sarei dovuto andare a sinistra.

L’uomo scuote la testa.

- Non c’è nessun bivio, ma il signore dei crocevia ha voluto che tu finissi qui.

- Il signore dei crocevia?

- Il signore dei crocevia ha sete di sangue. Ma qui sei sotto la protezione di Ogûn.

Testapelata interviene:

- Non lo spaventare, Kunta.

Kunta lo guarda negli occhi:

- Michel, sai benissimo anche tu che lungo la strada che dai Valbert porta alla Belle Hélène non c’è nessun crocevia.

- No, è vero.

Maurice è confuso. Michel gli sorride.

- Molte cose strane succedono da queste parti. Se vivrà qui, ci si dovrà abituare.

- Preferirei non vivere qui. Non alla piantagione di mio padre, intendo. Qui credo di sì. Ma da mio padre non credo che reggerei a lungo. Siamo troppo diversi.

 

Dopo cena, Michel si rivolge a Maurice.

- Venga con noi. Devo parlarle un momento.

- Certo.

Michel invita Maurice a sedersi di fianco a lui e Felipe si mette dall’altra parte.

- Le ho detto che questa sera qui si terrà una grande festa. Non so se intende partecipare.

- Sinceramente, signor Leglaive, mi piacerebbe molto. Qui mi sembra tutto così diverso…

Michel sorride. La sua destra stringe quella di Felipe, in un gesto inequivocabile.

- Per noi va benissimo, ma le chiedo un impegno.

- Mi dica.

- Alla festa partecipano moltissime persone, uomini e donne. Alcuni vengono da piantagioni vicine. Credo che alcuni arrivino anche dalla Belle Hélène, la piantagione di suo padre, certamente non con il suo permesso. Lei potrebbe riconoscerne qualcuno.

- Non sono mai stato alla piantagione.

- No, ma domani o dopo, quando deciderà di andarsene, ci arriverà. Le chiedo di impegnarsi a non denunciare a suo padre gli schiavi che può vedere questa notte. Subirebbero punizioni durissime, anche se non si tratta di tentativi di fuga. Mi spiace dirlo, ma suo padre è spesso feroce con i suoi schiavi.

- Le garantisco che non denuncerò nessuno. Non lo farei mai.

- Le credo. Non ho altri impegni da chiederle. Ma ci sono degli avvertimenti.

- In che senso?

- Cose che è bene che lei sappia. Felipe, vuoi provare a raccontare tu qualche cosa?

Felipe sorride.

- La festa comprende sempre un breve rito propiziatorio. Sono riti africani, che i neri hanno portato con loro dai paesi di origine. Credono che certe divinità prendano possesso degli uomini. Ad esempio pensano che Michel sia un’incarnazione di Ogûn, una divinità.

Michel lo interrompe.

- Non entrare in tanti dettagli.

- Questo almeno deve saperlo. D’altronde Kunta gli ha detto che qui è sotto la protezione di Ogûn.

Poi Felipe si rivolge di nuovo a Maurice.

- A volte la cerimonia è molto lunga, ma questa sera è solo una festa, per cui il rito sarà breve. Dopo la cerimonia, officiata da un uomo che viene chiamato hûngun, si balla.

- Assisterò molto volentieri alla cerimonia, se la mia presenza non è di disturbo.

È Michel a rispondere:

- No, certamente. Ma si metterà di fianco a me e rimarrà in silenzio.

- Seguirò le sue istruzioni.

- Un ultimo avvertimento. Man mano che la festa procede, molti si appartano a coppie, o anche a gruppetti, e non credo di doverle spiegare perché. Ognuno va liberamente con chi vuole. E nessuno è obbligato ad accettare un invito, ma non avrebbe senso offendersi se si viene invitati: intendo dire che lei potrebbe essere invitato da una donna o da un uomo, bianco o nero o mulatto. Perciò, se preferisce evitare di assistere a questa parte, potrà andarsene quando incomincerà a vedere che i bambini vengono portati via. Qualcuno rimane ancora molto a lungo, fino alla fine, e allora… Ma le mie parole la turbano. Lei è molto giovane.

Maurice scuote la testa.

- Non sono turbato, sono disorientato. Mi chiedo se sono a Haiti o se non sono invece passato attraverso una porta che conduce in un’altra realtà. Quel crocevia che sembra non esistere…

Michel sorride.

- I neri qui credono che ci siano crocevia in cui l’uomo si trova a scegliere non una strada, ma il proprio destino. E credono anche che ci siano passaggi che conducono altrove, in altri mondi.

Maurice si sente confuso. E, anche se ha negato, è turbato.

Michel conclude:

- Ma in qualunque momento può andare a dormire e dimenticarsi di questo mondo in cui è entrato. La sua camera non ha crocevia, anche se sentirà per tutta la notte i tamburi. Solo all’alba cala il silenzio. Domani nessuno lavora e prima di mezzogiorno sarà difficile vedere in giro qualcuno.

 

*

 

Kamau cammina in fretta. Tra due ore sarà al luogo dell’incontro.

Kamau ha superato la sorgente quando davanti a sé vede il crocevia. Kamau rabbrividisce. Conosce benissimo il sentiero che scende verso la piantagione, lo ha percorso pochi giorni fa e sa che non c’è un crocevia, non c’è mai stato.

Ma adesso c’è, la sua vita è a un bivio. Da una parte c’è la morte, dall’altra la vita, ma Kamau non può sapere qual è la strada da prendere. Kamau si è assunto un compito e vorrebbe svolgerlo: sceglierebbe la strada che porta verso la piantagione anche se sapesse che è quella della morte. Ma colui che guida i suoi passi e decide il suo destino gli nasconde la verità. Quale strada porta verso la Belle Hélène? Non può saperlo.

Kamau guarda i due sentieri bui. Il cuore gli dice di prendere quello che va verso sinistra. Qualche cosa lo attira verso il suo destino, quale che esso sia.

Kamau procede nel buio. Ben presto intuisce di non aver preso la strada per la piantagione. Dopo un po’ ne ha la certezza. Ma ormai ha scelto il suo destino, di morte o di vita, e non può tornare indietro. Non c’è più un crocevia alle sue spalle: se tornasse indietro, si perderebbe nella notte.

Kamau sente i tamburi. Si sta avvicinando alla Liberté. Non raggiungerà gli altri, non sarà al fianco di Rigaud, colui che ha scelto come fratello, quando tenderà l’agguato a quel figlio di puttana che deve morire. Il signore dei crocevia ha deciso altrimenti. Kamau non può sapere se va alla morte o alla vita. Ma deve andare avanti per la sua strada.

 

*

 

- Pronto per il rito, Maurice?

Maurice annuisce.

- Deve togliersi la camicia.

E mentre lo dice Michel si toglie la propria e Felipe lo imita. Maurice fa lo stesso. Guarda il torace di Michel: ampio, forte, muscoloso. Sembra un dio guerriero.

- Nell’ultima fase, di solito ci si spoglia completamente. Ma questo avviene molto tardi e magari a quel punto lei sarà già addormentato e avrà scordato la festa.

Maurice non sa se rimarrà fino alla fine. Di rado nella sua vita si è sentito altrettanto confuso. È spaventato, ma anche curioso.

Felipe dice:

- Maurice, la prima volta che ho partecipato, mi è sembrato tutto incredibile. Ma per me è stato bellissimo. Spero che lo sia anche per te… Possiamo darci del tu?

Maurice sorride. È felice di questa proposta, che gli sembra ridurre le distanze.

- Molto volentieri. Grazie.

Vorrebbe chiedere anche a Michel se possono darsi del tu, ma è in imbarazzo: Michel ha diversi anni in più di lui. Michel intuisce e sorride:

- Non avrei mai pensato di fare amicizia con il figlio di Henry Duport, ma nella vita non si può mai dire. Come avrai capito, Maurice, succedono molte cose strane da queste parti, ma questo credo di avertelo già detto.

Maurice sorride.

- Sì, e comunque me ne sono reso conto anch’io. Grazie, Michel.

Si avviano verso uno spiazzo non lontano dalla casa. C’è molta gente seduta a terra. Uomini, donne e bambini.

Michel dice:

- E ora silenzio, Maurice. Nessuno può parlare quando l’hûngun sta officiando.

Maurice annuisce. È curioso di vedere il rito. Gli sembra che tutto sia irreale, come se davvero al crocevia fosse entrato in un altro mondo.

Ora sono ai bordi della folla e Maurice si chiede se vedrà qualche cosa, a questa distanza. Ma Michel fa segno a Maurice di mettersi dietro di lui, poi si avvia. Gira intorno alla gente seduta fino a che arriva a un grande albero. Di lì c’è un varco, che è stato lasciato appositamente. Michel si infila nel passaggio, seguito da Maurice e Felipe. Adesso Maurice si rende conto che la gente è disposta ad anello, intorno a un’area libera. Il grande albero protende i suoi rami su di loro e a uno di essi, sopra lo spazio libero, è appeso un gallo nero. Michel si siede al bordo dell’area, dove è stato lasciato un certo spazio, e fa sedere Maurice alla sua destra. Felipe si siede dall’altra parte.

Quando Michel si siede, si crea un silenzio assoluto. Poi un tamburo incomincia a battere, lentamente. Il suono diventa via via più forte e il ritmo più rapido. Improvvisamente una voce femminile si innalza in un canto. Altre voci si uniscono.

Il canto si interrompe, i tamburi tacciono. In mezzo al cerchio ora c’è un uomo anziano. Maurice sussulta. Non l’ha visto arrivare. Le torce illuminano solo parzialmente lo spazio, probabilmente è per quello che Maurice non l’ha visto.

L’uomo guarda la folla riunita, senza dire nulla. Quando gli occhi dell’uomo si posano su di lui, Maurice ha paura. Michel gli stringe una mano e quella stretta lo tranquillizza.

L’hûngun ha in mano una brocca e la alza quattro volte, in quattro direzioni opposte. Sembra mormorare qualche cosa, ma Maurice non sente le sue parole. Avverte una sensazione strana, come se l’aria si fosse riempita di presenze misteriose.

L’uomo versa l’acqua disegnando una striscia a terra, poi la porge a Michel, che a sua volta ne versa un po’ al suolo e la passa a Maurice. Maurice imita il gesto di Michel e, a un suo cenno, la passa a Felipe. La brocca viene passata di mano in mano, finché arriva all’uomo a destra di Maurice, che gira ancora la brocca e la posa davanti a sé. 

L’hûngun annuisce e incomincia a girare su se stesso, prima lentamente, poi sempre più in fretta. Maurice si rende conto che girando l’uomo ha afferrato il gallo che era legato al ramo. Ora l’hûngun si ferma. Ha in mano il coltello. Pronuncia alcune parole, che Maurice non capisce, poi riprende a girare su se stesso. Ruota vorticosamente e Maurice si chiede come riesca a stare in piedi. Non si accorge del momento in cui l’uomo, sempre girando, taglia il collo dell’animale.

Uno schizzo di sangue raggiunge in pieno il petto di Maurice, che sussulta. Vorrebbe alzarsi e correre via, ma si controlla. Michel gli stringe di nuovo la mano e quella stretta lo calma.

L’ hûngun si ferma. Guarda Maurice. Lascia cadere l’animale morto. Si avvicina a Maurice e alla luce delle torce scruta le macchie di sangue. Per la prima volta parla ad alta voce:

- Il signore dei crocevia ha sete di sangue. Il signore dei crocevia si disseterà. Sette uomini gli sono destinati, sette vite si spegneranno, sette paia di piedi non calpesteranno più la terra, sette paia di occhi non guarderanno più il cielo, sette bocche non si apriranno più. Baron Samedi ha sete.

Maurice ha l’impressione di respirare a fatica. Michel gli stringe la mano più forte. L’hûngun sorride.

- Ogûn protegge il giovane. La notte è notte di festa. Il giorno sarà giorno di morte.

L’hûngun ride, mettendo in mostra i pochi denti della sua bocca. È una risata che fa rabbrividire Maurice.

I tamburi riprendono a battere. La gente si alza. L’hûngun è scomparso, senza che Maurice lo abbia veduto allontanarsi. Michel rimane seduto. Maurice e Felipe lo imitano. La folla si allontana.

Michel parla:

- Mi spiace, Maurice. Non pensavo proprio che saresti stato coinvolto. Ma tutto porta a pensare che non sia un caso che tu sia giunto qui questa notte. E che si preparino fatti sanguinosi. Ma quest’isola gronda sangue.

Maurice non dice nulla. Michel gli chiede:

- Vuoi andare in camera, Maurice? Io devo presenziare alla festa, ma se non te la senti di restare, ti accompagneremo e Felipe rimarrà con te. Non ti spiace,vero, Felipe?

- No, certo.

Maurice esita. Adesso non ha più voglia di partecipare alla festa, ma non desidera neppure ritirarsi in camera, sia pure con la compagnia di Felipe. Vicino a Michel gli sembra che non possa capitargli niente di male.

- Posso restare vicino a te, Michel? O dovrei dire Ogûn?

Michel sorride.

- Rimani con me. Ogûn ti proteggerà. E poi questa è notte di festa. Adesso però prima di partecipare alla festa, ti laverò.

- Basta uno straccio per pulirmi un po’ il sangue.

- No, Maurice. È il sangue di un sacrificio, questo. Va lavato alla fonte. Vieni.

Michel si alza. Maurice e Felipe lo seguono. La fonte è poco lontano dallo spiazzo dove si sono riuniti. Sgorga dal fianco della collina e l’acqua forma una pozza.

- Questa fonte non esisteva quando sono arrivato qui. Si è formata il giorno dopo, quando ho annunciato la liberazione di tutti gli schiavi. I neri la considerano miracolosa e la usano per le loro cerimonie.

- Davvero non esisteva prima del tuo arrivo?

- No. Ero passato anche di qui. C’era questo avvallamento dove si è formata la pozza, ma era secco.

Maurice non dice nulla. Pensa che ormai niente potrebbe stupirlo.

- Spogliati, Maurice.

Maurice guarda Michel. Lo intravede appena nell’oscurità. Michel prosegue.

- Nella fonte ci si immerge senza abiti per purificarsi.

Maurice annuisce. Si toglie il poco che ha addosso.

- Ora immergiti.

Maurice entra nella pozza. L’acqua è più profonda di quanto pensasse: gli arriva alla vita. È fredda e Maurice rabbrividisce. Michel raccoglie un po’ d’acqua con le mani e la versa sul capo di Maurice. Ripete il gesto tre volte, senza dire nulla. Quando ha concluso, dice:

- Ora puoi lavarti.

Maurice si pulisce con cura, poi si immerge fino al collo e infine esce. Si rimette i pantaloni.

Ritornano a casa. Michel offre a Maurice da bere.

- Bevi. Ne hai bisogno, se non altro per goderti un po’ la festa.

Maurice non è abituato a bere molto, ma accetta volentieri. Un po’ di liquore lo rinfrancherà. Michel gli riempie di nuovo il bicchiere. Maurice esita, ma poi beve ancora. Adesso prova una piacevole sensazione di calore.

Michel sorride e dice:

- Ora ci uniamo alla festa. Resta vicino a me, finché hai voglia di rimanere. Mi sento più tranquillo se ti ho sott’occhio. Quando vorrai andare in camera, Felipe ti accompagnerà.

- Pensi che corra qualche pericolo?

- Nessuno qui vorrebbe farti del male: sei mio ospite. Ma ci sono forze oscure che si stanno muovendo e Baron Samedi ha sete di sangue.

- Baron Samedi. L’ha nominato anche l’hûngun. Chi è?

- È il signore dei crocevia, colui che conduce al mondo dei morti.

 

*

 

- Kamau non è con noi.

Rigaud si rifiuta di accettarlo: Kamau è il suo fratello giurato, non può essere venuto meno al patto. Dice:

- Ha detto che sarebbe stato dei nostri.

Agwé tronca la discussione:

- Se non è venuto, è perché non ha potuto. Kamau mantiene la sua parola.

- Sì, è così.

Certamente è così, ma l’assenza di Kamau a Rigaud pesa.

- Mi spiace che non ci sia, ma ce la faremo ugualmente.

- Sì, certo.

L’uomo più anziano, che finora non ha detto niente, interviene:

- Zitti, altrimenti l’hûngun non verrà.

Tutti tacciono. La notte è scura e ognuno può appena scorgere le sagome degli altri. Sono in sei, tutti uomini forti e decisi.

L’hûngun appare. Nessuno dice nulla, ma ora sono tutti tesi.

- Disponetevi.

I sei uomini si mettono in cerchio, intorno all’hûngun.

- Datemi la vittima.

Uno degli uomini porge all’hûngun un gallo nero. L’hûngun lo solleva sulla sua testa, infila la lama nel corpo dell’animale e lo apre completamente. Le viscere dell’animale escono e il sangue zampilla su tutti e sette gli uomini. Rigaud se lo sente sul viso. È un segno di morte?

L’hûngun si avvicina a Rigaud.

- Baron Samedi ha sete di sangue. Prima che tramonti il sole che sorgerà domani mattina, il sangue sarà versato. Anche il vostro.

- Riusciremo nell’impresa?

- Baron Samedi è con voi. Pretenderà il suo prezzo.

Tutti sanno che il prezzo che chiede Baron Samedi si paga con il sangue.

- Chi di noi morrà?

- Colui che doveva morire non è qui, perché al crocevia il suo destino lo ha condotto altrove.

Per tutti è chiaro che l’hûngun si riferisce a Kamau. Non si stupiscono delle sue parole: se Kamau non è con loro, è solo perché è stato il suo destino a guidarlo lontano. Rigaud sente un brivido all’idea che Kamau sarebbe morto. Adesso è contento che non sia venuto.

L’hûngun prosegue:

- Il suo posto sarà preso da qualcun altro, qualcuno che domani sera ballerà con Baron Samedi.

L’hûngun non intende rivelare il nome. È inutile chiederglielo. Ma se Baron Samedi è con loro, l’impresa riuscirà. Questo solo conta per Agwé.

D’improvviso decine di pipistrelli volano sopra le teste degli uomini seduti. Tutti abbassano il viso, perché non prendano le loro anime. Quando non sentono più i pipistrelli, sollevano il capo. L’hûngun è scomparso.

 

*

 

Kamau ha raggiunto la Liberté. Il signore dei crocevia lo ha portato alla festa e Kamau parteciperà. Forse vi troverà la morte, forse no. Non può saperlo e non può sottrarsi al destino che ha scelto al crocevia.

Kamau cerca Michel. Lo conosce da tempo e lo rispetta. Come tutti lo considera l’incarnazione di uno dei cavalieri divini. Lui è il padrone della casa e il signore della festa e a lui deve presentarsi. Se fosse venuto per sua scelta, Kamau non lo riterrebbe necessario: la festa è aperta a tutti. Ma non è così e a Michel deve dire che a portarlo qui è stato il signore dei crocevia.

I suonatori lanciano la loro musica verso il cielo, dove brilla una luna velata. Uomini e donne danzano. La festa non è incominciata da molto.

Kamau vede infine Michel, che è insieme al suo uomo e a un altro bianco.

- Mi inchino a te, signore della Liberté.

- Sono contento di vederti, Kamau. Sei venuto a unirti alla festa?

- Non sono venuto per mia scelta, ma perché il signore dei crocevia ha disposto così. Altra era la mia meta, ma la strada che ho scelto al bivio mi ha portato qui.

- Anche tu ti sei trovato a un crocevia inatteso?

Le parole di Michel, “Anche tu”, sorprendono Kamau.

- Sì.

- Anche il giovane che vedi qui doveva raggiungere un’altra meta, ma a un crocevia inatteso ha scelto una strada che l’ha condotto qui.

- Nessuno sfugge al destino.

- L’hûngun ha detto che il signore dei crocevia ha sete e che domani sarà giorno di sangue.

Kamau annuisce. Sa che l’hûngun non si è sbagliato.

- Sì, domani sarà giorno di sangue.

Michel lo guarda, senza dire nulla. Ha capito che Kamau sa qualche cosa, ma non chiede. Si limita ad annuire. Aggiunge, indicando il ragazzo che è con lui:

- Questo giovane si chiama Maurice. È mio ospite ed è sotto la protezione di Ogûn.

Kamau guarda il ragazzo.

- Se è così, sono al tuo servizio, Maurice.

- E ora, poiché il dio dei crocevia ti ha portato alla festa, spero che tu ti diverta.

Kamau si inchina e si unisce alla danza. Non si allontana dal luogo dove si trovano Michel, Felipe e Maurice. Ogni tanto fissa il ragazzo, non sa neanche lui perché. Ha qualche cosa che lo attrae e si rende conto che anche il ragazzo guarda spesso dalla sua parte, ma cerca di nasconderlo.

 

*

 

Quando la festa è incominciata, Maurice si è messo a guardare i danzatori. I loro movimenti non sembrano seguire regole precise e sono lontanissimi dai balli europei. Ognuno danza per conto suo, anche se a tratti si formano coppie e gruppi che si muovono al ritmo della musica. Maurice è rimasto affascinato. Non oserebbe partecipare alla danza, anche se ne avrebbe voglia, ma il ritmo gli sta entrando nel sangue.

Adesso che Kamau si è messo a ballare, Maurice non stacca gli occhi da lui. È un maschio magnifico: alto, spalle larghe, torace muscoloso. Maurice si sente attratto da quest’uomo.

La voce di Michel lo scuote:

- È ora che ci uniamo anche noi alla danza. Se non lo facessimo, penserebbero che la festa non ci piace e non si divertirebbero più.

Maurice guarda Michel, perplesso.

- Non credo che si accorgerebbero neppure se io ballo o no.

Felipe ride e risponde:

- È vero e lo stesso vale per me, ma invece per Michel è proprio così. Se lui non balla, la festa è un fallimento. Se Ogûn non partecipa, la musica si spegne.

Michel scuote la testa.

- Vieni, Maurice. Rimani vicino a me.

Maurice annuisce. Non pensava di ballare, ma non gli spiace provare.

Non è difficile, basta abbandonarsi al ritmo. Tanto nessuno sembra badare a lui, a parte Kamau, che guarda spesso dalla sua parte. Michel si è messo molto vicino al nero e Maurice è al suo fianco. Ora lui e Kamau si trovano spesso uno di fronte all’altro. Il corpo del nero si sta coprendo di una patina di sudore che luccica alla luce delle torce. Maurice ha la gola secca. Deglutisce.

Ogni tanto Michel prende Felipe ed eseguono insieme alcuni movimenti. Felipe non è un buon danzatore, ma si vede che è felice di danzare con Michel. E chi non lo sarebbe?

Kamau si avvicina, scivola dietro di lui e gli mette le mani sui fianchi. Ora danzano insieme, come Felipe e Michel. Felipe e Michel si scambiano le posizioni e loro due fanno lo stesso. Poi si sciolgono.

Maurice ha la sensazione di essere ubriaco. Di musica, di notte, di desiderio.

Continua a danzare, senza sentire la stanchezza. Non si rende conto che il tempo passa, che i bambini non ci sono più. Ogni volta che Kamau lo accompagna in un passo di danza, Maurice si sente felice.

Ora Michel stringe Felipe da dietro. I loro corpi aderiscono. E Kamau prende nello stesso modo Maurice. Quando sente il corpo del nero che aderisce al suo e le braccia che lo cingono, Maurice ha l’impressione di svenire. I suoi movimenti rallentano, ma non cerca di sciogliersi dall’abbraccio.

 

*

 

Sefu si alza e scivola via in silenzio. Molte vite si giocano questa notte. Una è la sua. Sefu si muove silenziosamente. Raggiunge l’estremità orientale della piantagione e, dopo essersi guardato intorno, prende il sentiero che va verso la montagna, verso il confine.

Sono tre ore ormai che cammina. La luna è tramontata e solo la luce delle stelle illumina, debolmente, il sentiero che percorre. Si vede poco, ma Sefu si rende conto che davanti a lui c’è un crocevia. Gli sembra che il cuore gli si fermi. Non è mai stato qui, il padrone non lo avrebbe certo permesso, ma gli hanno detto che non ci sono crocevia.

Sefu vorrebbe tornare indietro, ma sa che non è possibile. Ora deve scegliere. Tra la vita e la morte, senza sapere quale strada conduce all’una o all’altra. Se prenderà la strada sbagliata, il padrone lo raggiungerà e per lui sarà la morte, una morte orrenda. Sefu chiude gli occhi. Non può perdere tempo o altrimenti il piano fallirà comunque.

Sefu si avvia verso sinistra. 

 

*

 

Ancora una volta Kamau ha preso Maurice tra le braccia e lo stringe a sé. Maurice può sentire, attraverso la stoffa dei pantaloni, il cazzo del nero, duro come una lama, che preme contro il suo culo. Anche Maurice è eccitato. Non si preoccupa che gli altri se ne accorgano. In una situazione normale, trovarsi tra le braccia di un nero con una vistosa erezione gli creerebbe un imbarazzo terribile, anche se non ci fosse nessuno intorno. Ma adesso, anche se sono in mezzo a tanti altri, Maurice non se ne preoccupa. Maurice fluttua in un mondo che non ha più contorni precisi. Si guarda intorno. Non sono rimasti in molti. Sono tutti uomini. Quasi tutti sono nudi. Anche Michel lo è, il grande cazzo perfettamente teso. Sì, quest’uomo è davvero una divinità. Maurice pensa che è bellissimo. Anche parecchi altri hanno il cazzo duro. Maurice prova il desiderio di spogliarsi.

Mentre le sue mani si posano sui fianchi per abbassare i pantaloni, la voce di Kamau gli restituisce un po’ di lucidità:

- Andiamo da qualche parte?

Maurice sa che cosa significa la richiesta. Non sceglie. La musica, la danza, la notte hanno scelto per lui. Mormora:

- Sì.

- Nel bosco? O in camera? Tu hai una camera, vero?

- Sì. In camera.

- Andiamo.     

Kamau si mette di fianco a lui, gli cinge la vita con un braccio e lo guida fino alla casa padronale. Si ferma sulla soglia. Maurice dice:

- Al primo piano.

Kamau prende una delle candele poste su un tavolo vicino alle scale, la accende e salgono, sempre abbracciati, al piano superiore.

Quando sono in camera, Kamau posa la candela e stringe Maurice tra le sue braccia. Poi, lentamente, gli abbassa i pantaloni e finisce di spogliarlo. Lo stringe da dietro, forte.

Maurice appoggia la testa su una spalla del nero.

Le mani di Kamau percorrono il corpo di Maurice, che si abbandona a quelle carezze. Sono mani grandi, forti, che avvolgono e stringono. Maurice non si è mai sentito così bene, in tutta la sua vita, come ora, il corpo di Kamau contro il suo, le mani di Kamau che lo accarezzano.

Kamau lo spinge sul letto e si stende su di lui. Ancora lo abbraccia, lo morde, lo accarezza.

Poi Maurice sente le dita di Kamau percorrere il solco, indugiare sull’apertura, premere un po’, allontanarsi, ritornare umide e spingersi all’interno, prima un dito, poi un altro. Kamau ripete l’operazione più volte, morde il culo di Maurice, passa la lingua tra le natiche e infine si stende su Maurice, che sente la pressione della cappella e poi l’ingresso. Per la prima volta la sua carne si apre per accogliere il cazzo di un uomo e, malgrado il dolore, è una sensazione bellissima. Kamau esce. Il dolore si attenua e scompare. Kamau inumidisce ancora l’apertura e rientra. Maurice geme, un gemito di puro piacere. Kamau avanza, con lentezza, e Maurice avverte una fitta.

Nuovamente Kamau si ritira e poi lo penetra, questa volta spingendo fino in fondo. Maurice geme più forte. Riesce a dire:

- Kamau!

Kamau incomincia a spingere, avanti e indietro, in un movimento che stordisce Maurice. Ondate di piacere lo investono a ogni spinta. Non sa quanto a lungo duri la cavalcata selvaggia. Il tempo questa notte si dissolve in una nebbia dai contorni vaghi. Sa solo che il piacere che lo travolge quando Kamau viene dentro di lui è il più forte che abbia mai provato.

 

*

 

- Sefu non è nella capanna.

- Cosa?! Non l’hai tenuto sotto controllo, bestia!

Henry Duport scatta e vibra una frustata. Christophe fa appena in tempo ad alzare le braccia per riparare il viso e sente il bruciore violento. Sapeva che il padrone si sarebbe infuriato, ma non poteva certo nascondergli la fuga di uno schiavo.

Duport ordina:

- Portami i cani, stronzo.

Christophe obbedisce. Henry fa preparare il cavallo, poi, quando Christophe arriva con i tre cani, li porta nella capanna dove dormiva Sefu. Gli fa annusare il giaciglio del ragazzo.

Henry Duport è ancora furente, ma in fondo non gli spiace che Sefu abbia tentato di scappare. La caccia sarà un divertimento. Peccato solo che Maurice non sia ancora arrivato: gli avrebbe ordinato di accompagnarlo. Maurice deve capire come si trattano i negri.

I cani si slanciano lungo la pista che porta alla montagna e che presto diventa un sentiero, abbastanza largo da poter essere percorso a cavallo. Quei fottuti negri che cercano di scappare prendono tutti questa via e poi cercano di far perdere le loro tracce sul fianco della montagna, ma Molosse e gli altri due cani troveranno Sefu.

I cani corrono veloci: quel coglione di Sefu non ha cercato di confondere le sue tracce, tornando indietro o infilandosi in qualche torrente, come fanno alcuni. Probabilmente non ha voluto perdere tempo qui, che sono ancora vicino alla piantagione. Di sicuro avrà provato qualche trucco più in là: lo fanno tutti.

Per quante ore di vantaggio possa avere Sefu, ormai non deve più essere molto lontano. E mentre lo pensa, Henry si trova a un crocevia. Henry non ricorda un bivio nel sentiero, ma non se ne preoccupa: a lui basta seguire i cani che trovano le tracce del fuggitivo.

Le tracce sembrano portare a destra, perché i cani si sono diretti da quella parte, ma ora si sono fermati e guaiscono. Che cazzo fanno? Henry preme sui fianchi del cavallo per farlo avanzare, ma anche la sua cavalcatura sembra recalcitrare. Che ci sia qualche animale? Magari un serpente? Henry ha le pistole, ma uccidere un serpente con un colpo di pistola non è facile e se il cavallo venisse morso, potrebbe morire.

Henry non ha nessuna intenzione di lasciare che il ragazzo gli sfugga. Frusta il cavallo, che s’impenna. Henry lo frusta ancora. Il cavallo avanza. Henry chiama i cani. Questi rimangono ancora fermi un momento, guaendo disperatamente, poi si fanno avanti. Procedono un po’ incerti, poi riprendono a muoversi più sicuri.

Ora i cani hanno ripreso a correre e il cavallo li segue senza che Henry debba spronarlo. Probabilmente c’era proprio un serpente.

I cani abbandonano il sentiero e si inerpicano per il fianco della montagna. Non è possibile proseguire a cavallo, ma ormai il negro non deve essere molto lontano. Henry scende da cavallo e lega l’animale a un albero. Impugna le due pistole e si lancia di corsa dietro ai cani. Li sente abbaiare davanti a sé, via via più lontano. Poi l’abbaiare diviene frenetico e ringhi e guaiti si mescolano ai latrati.

Che succede? Hanno trovato il fuggitivo, che sta difendendosi? Magari quel bastardo di Sefu si è procurato un coltello.

Un guaito acutissimo, poi più nulla. Henry procede in fretta, guardandosi intorno. Se quel figlio di puttana gli ha ucciso i cani… la sua fine sarà un esempio per tutti. Lo sarà in ogni caso, ma se gli ha ucciso i cani… si pentirà di essere nato, gli farà maledire quella puttana di sua madre per averlo messo al mondo.

Il corpo del primo cane è ai margini di una piccola radura. È stato colpito, si direbbe con una lancia, e poi sgozzato. Quel bastardo la pagherà. Ma come ha fatto a procurarsi anche una lancia? Qualcuno lo ha aiutato a fuggire e gli ha fornito delle armi? Henry è furente. Sì, lo farà davvero pentire di essere nato.

Poco oltre c’è anche il secondo cane. Henry procede con attenzione. Il bosco è più fitto. Ma quel bastardo non se la caverà.

Di colpo sente di nuovo l’abbaiare di Molosse, l’ultimo dei suoi cani, il più temibile. Proviene da destra. Henry si lancia in avanti. Fa appena in tempo a vedere l’uomo che gli salta addosso, seguito da altri. Gli afferrano le braccia e quando Henry spara, i colpi vanno a vuoto. Lo bloccano a terra. Sono in parecchi.

- Ora paghi per tutti, Duport.

Lo hanno attirato in una trappola. Hanno ammazzato i cani. E nessuno verrà a cercarlo. È finita. Cerca di dibattersi, ma lo colpiscono, più e più volte, pugni e calci in faccia, alla schiena, ai coglioni, finché rinuncia a difendersi. Adesso uno di loro ha tirato fuori il coltello e gli taglia la giacca, poi la camicia e i pantaloni. In breve Henry si ritrova nudo. Gli legano le mani e lo sbattono contro una roccia. Il colpo intontisce Henry. Gli allargano le gambe. Non capisce, finché non sente contro il culo la pressione di un cazzo.

No, questo no! Non possono fargli questo.

Henry grida:

- Bastardi, vi…

Non finisce la frase. Il nero spinge. Henry cerca di resistere, di impedirgli di violentarlo. Il nero prova una seconda volta, senza riuscire a forzare l’apertura.

Il dolore della lama che taglia arriva improvviso: l’uomo ha lacerato l’anello di carne e ora lo incula con una spinta, penetrando a fondo dentro di lui. Henry urla, un grido acuto, che scatena le risate dei neri.

Henry chiude gli occhi. Sprofonda in una voragine di dolore e umiliazione.

Il nero lo fotte con grande energia, spingendo ogni volta fino a che i coglioni toccano il culo di Henry e poi ritraendosi.

- Era quello che facevi ai tuoi schiavi, no? Adesso ti rendiamo il favore. 

- Bastardo!

Il nero non dice nulla: ride e lo fotte con forza, moltiplicando il dolore della ferita. Ma uno degli altri gli molla un calcio in faccia. Henry sente il dolore violento al naso, da cui cola sangue.

 

*

 

Maurice si sveglia tra le braccia di Kamau. È giorno pieno. Dalla luce che inonda la stanza si direbbe che sia mezzogiorno.

Lentamente i ricordi riaffiorano. Ieri sera l’uomo che ora lo abbraccia lo ha posseduto. Per la prima volta ha sentito dentro di sé il cazzo di un uomo. Kamau lo ha preso due volte e le loro bocche, le loro lingue, le loro mani si sono incontrate. Ognuno dei due ha dato e preso piacere. Poi si sono addormentati stretti l’uno all’altro.

Il movimento di Maurice ha destato Kamau, che lo bacia sul collo, poi si alza e piscia nel vaso da notte. Maurice lo imita, poi ritorna a stendersi sul letto, prono, e allarga le gambe. Kamau sorride e si stende su di lui. Riprendono i giochi della notte, ma ora è bello vedersi alla luce del giorno e non solo alla fiamma di una candela. È bello vedere i due corpi così diversi, quello chiaro di Maurice, quello scurissimo di Kamau, che si stringono, si abbracciano e poi infine paiono fondersi, quando Kamau penetra Maurice.

Due volte si amano. Poi, sazi, rimangono ancora distesi, abbracciati.

Maurice pensa che è ora che si alzino. L’idea di doversi separare da Kamau è una coltellata, ma non può fermarsi alla Liberté. Che direbbe suo padre se venisse a sapere che invece di raggiungerlo, Maurice si è fermato dal suo peggior nemico?

- È ora che io vada.

Maurice si alza. Kamau lo imita. Mentre si rivestono, Kamau chiede:

- Non stai qui alla Liberté, vero?

- No, sono solo di passaggio. Al crocevia… Michel te l’ha detto. E adesso è ora che parta.

- Dove devi andare?

- Alla piantagione di mio padre, la Belle Hélène.

Kamau ha cambiato faccia. Maurice chiede:

- Che cosa c’è, Kamau?

- Sei il figlio di Henry Duport?

Maurice annuisce e abbassa lo sguardo. Si vergogna. Non si stupisce che Kamau conosca di nome suo padre e immagina quello che può pensare. Cerca di spiegare:

- Kamau, mi dispiace. Non condivido le idee di mio padre, non intendo vivere nella sua piantagione. Se potessi scegliere, farei come Michel e libererei tutti gli schiavi. Ma adesso devo andare da mio padre. Sono stato via quattro anni e sono tornato a Haiti da nemmeno dieci giorni: non posso non passare da lui.

Kamau annuisce. Non dice più nulla e quando Maurice lo bacia, ricambia appena.

 

*

 

Anche il sesto uomo si ritira, dopo essergli venuto in culo. Henry spera solo che adesso l’uccidano. L’umiliazione è più forte del dolore provocato dal taglio e dalla violenza.

Uno degli uomini, quello che gli altri chiamano Agwé, ride e dice:

- Adesso facciamo un secondo giro, ma dopo che ti abbiamo fottuto in sei, non sei più un maschio. Ti togliamo il superfluo.

Gli afferra il cazzo e i coglioni. Henry rabbrividisce. Non possono fargli questo, non possono. Sente la lama appoggiarsi contro la pelle. Grida, preda di un terrore più forte dell’orgoglio:

- No! No! Nooooooooo!

Henry urla ancora, mentre l’uomo recide. Gli altri ridono.

Agwé solleva il suo trofeo.

- E ora ancora qualche cazzo per questa donna bianca.

Lo fottono di nuovo, tutti e sei. Henry geme, travolto da ondate di dolore, incapace di dominarsi.

Quando anche l’ultimo ha finito, Agwé gli si avvicina.

- È ora di concludere. L’inferno ti aspetta.

Agwé gli spinge il coltello in culo. Henry grida di nuovo. L’uomo recide la carne, allargando la ferita, in modo che adesso la mano può entrare dentro di lui e spingere il coltello più in profondità. Henry grida, rantola, singhiozza, mentre la lama scava nel suo culo. La mano dell’uomo è interamente dentro le viscere dilaniate di Henry e si spinge ancora in avanti. Henry vorrebbe sfuggire alla lama che lo squarcia, ma non c’è via di fuga, c’è solo un dolore che si dilata, via via che il braccio di Agwé si fa strada nel suo corpo e la lama sale lacerando.

Henry vomita, poi vede il mondo svanire.

 

Il corpo è inerte. Agwé estrae il braccio e la mano, coperti di sangue e frammenti di viscere. Poi recide la testa di Henry Duport e infila dentro la bocca il cazzo e i coglioni del piantatore. Il cadavere verrà abbandonato agli animali della foresta, la testa verrà portata alla piantagione per essere issata su un palo.

I neri scendono a valle. Ora c’è la seconda parte: uccideranno i quattro sorveglianti e la spia. Sono ancora tutti vivi, ma sanno che uno di loro dovrà morire. Non hanno paura. Baron Samedi ha sete di sangue.

 

*

 

Maurice è il figlio di Henry Duport, l’uomo che lui avrebbe dovuto uccidere oggi. Kamau è frastornato. Questo giovane, che lo ha attratto fin dal primo momento, è il figlio di un uomo abietto. Ieri se Kamau avesse incontrato Maurice per strada e avesse saputo chi era, lo avrebbe ucciso, senza esitare, senza porsi domande, come si uccide un serpente velenoso. Ma il signore dei crocevia ha deciso altrimenti. Kamau sa che non è un caso se le loro strade si sono incrociate. Avevano entrambi la stessa meta, ma non l’hanno raggiunta. Maurice vi avrebbe trovato la morte: sia che avesse accompagnato suo padre nell’inseguimento dello schiavo, sia che fosse rimasto nella piantagione, sarebbe stato ucciso. Oppure sarebbe stato ucciso lui, Kamau, insieme agli altri sei. Ma il loro incontro è avvenuto alla Liberté, i loro destini hanno seguito altre strade e adesso Kamau intende proteggere Maurice da ogni pericolo, a costo della propria vita.

Ma è confuso.

 

Kamau e Maurice scendono nella sala comune, dove ci sono già Michel e Felipe. Michel sorride.

- Qui c’è da mangiare. Potete chiamarlo pranzo o colazione o cena, come volete.

In effetti ormai è pomeriggio e Maurice si sente alquanto affamato, anche se il cambiamento nell’atteggiamento di Kamau lo ha molto turbato.

Non è un pasto con diverse portate, come la cena di ieri. Sul tavolo ci sono parecchi cibi freddi, di cui ognuno può servirsi. Maurice mangia volentieri. Kamau prende poco, è evidente che ha altri pensieri per la testa.

Maurice sa che deve andarsene: non può far aspettare suo padre.

Maurice però vorrebbe poter rivedere Kamau. Avrebbe dovuto parlargliene prima, mentre erano in camera, ma quando si sono alzati e lui ha detto di essere il figlio di Henry Duport, l’atteggiamento di Kamau è cambiato. Adesso Maurice non sa bene che cosa dire.

Intanto Michel si rivolge a lui:

- Maurice, mi farebbe piacere se ti fermassi qualche giorno con noi.

- Farebbe immensamente piacere anche a me, ma devo andare da mio padre. Se venisse a sapere che sono qui, a poche miglia da lui, non so che cosa farebbe. No, è necessario che vada oggi stesso. Ci sono ancora alcune ore di luce.

Kamau guarda Michel, che capisce benissimo la richiesta espressa da quello sguardo.

- Come preferisci, aspetta solo un momento che ci organizziamo: a cavallo si arriva in fretta alla Belle Hélène. Intanto però devo parlare con Kamau.

Michel si alza e Kamau lo segue fuori dalla casa.

- Che cosa c’è, Kamau?

- È meglio che Maurice non vada alla piantagione.

- Perché?

- Oggi uno schiavo è fuggito sulla montagna. È una trappola per catturare Henry Duport, fargli pagare tutto quello che ha fatto e poi ammazzarlo. Dovevo esserci anch’io, ma il signore dei crocevia ha deciso altrimenti.

Michel annuisce. Non si stupisce di ciò che gli sta dicendo Kamau. È già successo che qualche proprietario inumano sia stato ucciso, sono avvenute anche alcune rivolte. Sono eventi rari, ma si verificano. Qui, in quest’angolo di Haiti, la presenza di Testapelata e di due piantagioni in cui i neri sono liberi ha reso la situazione più instabile: i neri si rendono conto che alla Liberté e nella tenuta vicina, che appartiene a Felipe, si vive in un modo completamente diverso e questo li rende insofferenti.

Kamau prosegue:

- Non so se l’agguato sia riuscito o meno. Ieri sera l’hûngun ha detto che sette uomini sarebbero morti. Noi saremmo dovuti essere in sette. Gli altri sei potrebbero essere stati uccisi, insieme al giovane schiavo che faceva da esca. Pochissimi sapevano del nostro piano alla piantagione, ma un tradimento è sempre possibile, è già successo. Oppure Henry Duport è morto, insieme ai quattro sorveglianti: il piano era di ammazzare anche loro, una volta eliminato il padrone. E anche Isnard, che ha denunciato un tentativo di fuga due mesi fa, provocando la morte di una donna e del figlioletto. Così si arriva a sei.

- Sì, tutto è possibile. Hai parlato di uccidere anche i sorveglianti. Perché? Che cosa intendevate fare dopo la morte di Duport? Tu non sei uno schiavo di Duport. E gli altri?

Sono tante le domande che Michel ha posto, per poter capire. Kamau cerca di rispondere a tutte:

- Di noi sette, solo due erano schiavi di Duport, fuggiti tempo fa. Gli altri sono scappati da altre piantagioni e adesso viviamo tutti nella serra di Bahoruco. La donna e il bambino che Duport ha ucciso perché volevano fuggire erano la moglie e il figlio di Agwé, uno di noi. Volevamo vendicarli e vendicare tutti gli schiavi uccisi da Duport. Poi gli uomini della piantagione potevano decidere liberamente se unirsi a noi o rimanere lì in attesa di un nuovo padrone.

Michel annuisce. Ora ha chiaro il quadro della situazione.

- Solo andando alla Belle Hélène potremo scoprire che cosa è successo.

- Se Maurice andasse da solo, la sua vita sarebbe in pericolo: se Duport è morto e la rivolta ha avuto successo, Maurice verrà ammazzato. Solo se Duport ha ucciso i miei compagni, Maurice non corre rischi.

- Credo che la cosa migliore sia che andiamo tu, io e Maurice. Se Duport è morto, la tua presenza e la mia eviteranno che Maurice venga ucciso. Se è vivo e non c’è stata rivolta, sarà Maurice a farci da garante: Duport sarebbe capacissimo di spararmi quando mi vede. E magari sparerebbe anche a te perché sei con me e sei nero.

Kamau annuisce.

Rimangono un momento in silenzio. Poi Michel osserva:

- Bisogna preparare Maurice, in qualche modo.

Kamau non dice nulla.

Michel e Kamau rientrano. Michel si rivolge a Maurice.

- Preparati, Maurice. Io e Kamau veniamo con te.

- Mi accompagnate, ma…

Maurice esita un attimo, poi completa la frase:

- …non pensi che mio padre, vedendoti…

- Se ci sarà tuo padre, diremo che hai sbagliato strada e sei arrivato da noi. Per questo ti abbiamo riaccompagnato. Ma Kamau ha sentito certe voci, sulla piantagione. Potrebbe essere successo qualche cosa.

Maurice aggrotta la fronte.

- Qualche cosa? Che cosa?

Maurice si volta verso Kamau:

- Kamau, che cosa hai sentito?

È Michel a rispondere:

- Cose brutte, ma è inutile parlarne. È meglio che andiamo. Vedremo sul posto qual è la situazione.

Maurice è turbato. Non ha mai avuto molta confidenza con suo padre, che gli è sempre apparso distante. Non hanno niente in comune e se avesse potuto, Maurice sarebbe rimasto volentieri in Francia. Ma l’idea che sia successo qualche cosa lo turba.

Salgono a cavallo e si dirigono verso la Belle Hélène. Non ci vuole molto a percorrere la pista che conduce alla piantagione di Duport.

La risposta alle domande che si pongono Kamau e Michel è infissa su sei pali all’ingresso della piantagione. Sei teste, cinque nere e una bianca.

Scendono di cavallo. Maurice fa due passi verso i pali, poi si gira e vomita. Kamau lo abbraccia. Lo sente tremare nella sua stretta.

 

Agwé  e gli altri cinque stanno arrivando, seguiti da molti uomini e donne della piantagione, che si tengono a una certa distanza.

- Salute a te, Kamau. Sappiamo che il signore dei crocevia ti ha condotto su un’altra strada, ma l’impresa è riuscita, come vedi.

Kamau annuisce.

- Non ne dubitavo.

Agwé si rivolge a Michel:

- Salute a te, Michel-Ogûn.

- Salute a te e a tutti voi.

- Abbiamo vendicato i nostri fratelli che quest’uomo ha ucciso. Ha subito ciò che molti avevano subito. Avremmo voluto dargli molte morti, ma aveva una sola vita.

- Sì, ora ha pagato.

Agwé e gli altri guardano Maurice, che Kamau stringe a sé con un braccio, ma non chiedono. È Michel a porre una domanda:

- Che cosa intendete fare, ora?

- Noi ritorneremo sui monti e alcuni ci seguiranno. Altri rimarranno qui, in attesa di vedere chi è il nuovo padrone: sappiamo che Duport aveva un figlio. Ma se sarà inumano come il padre, noi ritorneremo.

Michel si rivolge a Maurice.

- Posso parlare, Maurice?

Maurice solleva la testa. Nei suoi occhi ci sono lacrime. Mormora:

- Sì.

Michel si rivolge ad Agwé e a tutti gli altri.

- Il nuovo padrone della piantagione è lui, Maurice Duport. Non è come suo padre e intende…

Rigaud non ha distolto gli occhi da Maurice da quando Kamau lo ha abbracciato. Quella stretta, che ancora non si è sciolta, è stata una staffilata. Rigaud sente di odiare il giovane bianco che Kamau tiene contro di sé. Fa un passo avanti e grida:

- Lui deve morire. Come suo padre.

È Kamau a intervenire:

- No, Rigaud. Lui non ha colpe.

Rigaud fissa Kamau, la disperazione nel cuore, l’odio negli occhi.

- Vuoi impedirmi di ucciderlo, Kamau?

- Sì, dovrai uccidere me, prima.

- E allora che questo sia. Baron Samedi ha ancora sete di sangue e manca una vittima. Sarai tu o sarò io.

Kamau scuote la testa. Non capisce. E anche questo non capire per Rigaud è un coltello che gira nella piaga aperta.

- Ma perché, Rigaud? Abbiamo giurato un patto di fraternità. Perché affrontarci in un duello mortale? Tu sei mio fratello. E questo giovane non ha fatto nulla.

Rigaud sa che Kamau lo considera davvero un fratello, ma sa anche che il giovane bianco è molto di più per Kamau. E questo non può accettarlo.

- Voglio ucciderlo.

Michel decide di intervenire per evitare che Kamau si debba battere contro Rigaud. Dice:

- Dovrai uccidere anche me, Rigaud, prima di colpire lui.

Le parole di Michel fermerebbero chiunque altro: nessuno oserebbe alzare la mano sull’incarnazione di Ogûn. Ma Rigaud è giovane e ardente e si sente abbandonato da Kamau: nell’abbraccio di Kamau, che stringe ancora Maurice, legge un tradimento, anche se il loro era un patto di fraternità, non di amore. Altri potrebbero credere che quell’abbraccio sia solo un gesto fraterno, ma ciò che Rigaud prova per Kamau rende il suo sguardo più acuto. Rigaud non può accettare che qualcun altro sia per Kamau più importante di lui.

Ripete, ostinato:

- Quest’uomo deve morire.

Kamau fa un cenno a Michel, che si mette a fianco di Maurice, e fa due passi avanti.

- Va bene, allora la risolviamo io e te, Rigaud. Prendi il coltello.

La voce di Maurice risuona alta, un po’ stridula:

- No, preferisco che uccida me.

Michel trattiene Maurice.

Kamau e Rigaud ignorano le parole di Maurice. Ognuno dei due ha impugnato il coltello. Gli altri si dispongono in cerchio intorno a loro, facendo in modo che Michel e Maurice si trovino in prima fila. Sulla folla cala il silenzio.

Kamau e Rigaud si fronteggiano, rimanendo a due passi di distanza. Sono due avversari formidabili, più forte e imponente Kamau, più agile e scattante Rigaud. Si muovono lentamente, con bruschi scatti in avanti e balzi indietro, cercando di colpire l’avversario. Ma mentre vibra i colpi, Rigaud sente che non può uccidere Kamau, non vuole. Altro è quello che cerca e Kamau glielo darà.

Progressivamente si avvicinano, menando fendenti. Rigaud si fa sotto, ma Kamau gli blocca la destra che stringe il coltello e vibra un fendente al ventre. La lama si immerge fino al manico nel corpo del nero, che barcolla. Kamau lo stringe a sé, in un abbraccio. Sussurra:

- Addio, fratello.

Estrae la lama e la immerge nel cuore. Rigaud lancia un grido strozzato e crolla.

Kamau depone a terra Rigaud e gli chiude gli occhi.

Uno dei compagni di Rigaud dice:

- Il settimo uomo è morto. Baron Samedi ha avuto il sangue che chiedeva.

C’è un momento di silenzio. Poi l’uomo aggiunge:

- Noi ce ne andiamo. Torneremo sulla montagna.

Kamau guarda il corpo di Rigaud e dice:

- Verrò con voi.

- Kamau!

È Maurice ad avere parlato. Kamau lo guarda.

Michel si rivolge a Maurice e gli dice:

- Maurice, devi dire a tutti coloro che sono qui che cosa intendi fare, perché ognuno possa fare la sua scelta.

Maurice annuisce. Cerca di rendere ferma la propria voce, mentre dice:

- Non ci saranno più schiavi, in questa piantagione. Chi vorrà rimanere, lavorerà per me. Non posso parlarvi di salari, ora, conosco troppo poco la situazione, ma mi farò guidare in tutto da Michel.

C’è un brusio. Qualcuno chiede a Michel se ci si può fidare delle parole di Maurice. Michel garantisce per lui.

Molti uomini e donne si allontanano discutendo.

Maurice si avvicina a Kamau.

- Non vuoi rimanere con me, Kamau?

Kamau lo guarda, poi fissa il cadavere di Rigaud, che i compagni stanno sollevando per dargli sepoltura.

Maurice aggiunge:

- Almeno per un po’, se non vuoi stabilirti qui…

L’angoscia lo dilania. Le lacrime incominciano a scendere, anche se cerca di fermarle.

- Non lasciarmi da solo qui, Kamau.

Michel è rimasto da parte. Non vuole intromettersi, anche se la disperazione di Maurice lo tocca. Maurice è poco più di un ragazzo, ha appena perso il padre in un modo orribile e si trova da solo in una realtà del tutto nuova. Kamau è combattuto, questo è evidente.

Kamau guarda Maurice.

- Avrei dovuto esserci anch’io tra quelli che hanno ucciso tuo padre, Maurice.

- Ma non c’eri. Avrei dovuto esserci anch’io questa mattina, qui alla piantagione. Non è stato così.

Kamau annuisce.

- Sì, il signore dei crocevia ci ha guidato verso un destino diverso. Rimarrò con te, Maurice.


 

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