Un caso facile facile

 

Un caso facile5b

     

      Ci sono giornate che sembrano procedere innocue, come una lucertolina che corre nell’erba, e poi di colpo si rivelano più velenose di un cobra.

      Oggi è una giornata di quel tipo. L’ispettore Ferraris ha passato una mattinata tranquilla, occupandosi di quello che è successo nella notte scorsa, le solite cose: una rissa ai Murazzi (due ricoverati in ospedale) ed una rapina a mano armata. E poi, nel primo pomeriggio, l’agente Mattioli avvisa Ferraris che il cielo si è improvvisamente rannuvolato e minaccia tempesta:

      - C’è qui don Gaetano, ispettore. Il capo ha detto che deve occuparsene lei.

      Gaetano Cammarata, detto don Gaetano, ed il fratello Vincenzo (don Vincenzo) sono ampiamente conosciuti in tutta Torino. Non è loro abitudine rivolgersi alla polizia, è piuttosto la polizia che si rivolge a loro, ogni tanto, per via degli inquilini dei loro appartamenti. Trovare un permesso di soggiorno in regola tra i locatari di don Gaetano e don Vincenzo non è facile, ma abbondano fogli di via, fedine penali sporche, prostitute a cui il magnaccia ha sequestrato il passaporto e chi più ne ha, più ne metta.

      Nella graduatoria degli incontri sgraditi, don Gaetano si colloca tra un serpente a sonagli trovato nell’auto ed uno scarafaggio che corre in cucina. Non che don Gaetano sia pericoloso, non per Ferraris, almeno, ma è talmente viscido e rivoltante… Insomma, per chi non l’avesse capito, a Ferraris don Gaetano non piace.

      Don Gaetano entra e, interpretando il grugnito di Ferraris come un saluto ed un invito ad accomodarsi (come dire: una traduzione molto libera), si siede.

      - Mi dica, Cammarata.

      Ferraris si risparmia il “don”, ma chi di spada ferisce…

      - Commissario, lei sa che io…

      L’ispettore Ferraris ha un ottimo carattere, come possono testimoniare tutte le persone che non lo conoscono (quelle che lo conoscono non oserebbero mai dire una cosa del genere). Però tra quel centinaio di cose che lo mandano fuori dai gangheri nel giro di dieci secondi, c’è la sensazione di essere preso per il culo. Prenderselo in culo gli può anche andare bene, Ferraris è gay e questo non è un mistero per nessuno, ma lasciarsi prendere per il culo è un’altra faccenda. E don Gaetano sa benissimo che Ferraris non è commissario, ma semplicemente ispettore. E sa altrettanto bene che a Ferraris la mancata promozione rompe, perché è convinto (non a torto) di meritarsela.

      Ferraris potrebbe dirsi che ha scagliato lui la prima pietra, non usando il “don”, ma l’ispettore non è particolarmente propenso a riconoscere i propri torti, né a porgere l’altra guancia (non parliamo poi di perdonare perché non sanno quello che fanno: non gli passa proprio per la testa!) 

      Ferraris non permette a don Gaetano di andare oltre la quinta parola. Grugnisce:

      - Ispettore. Se ha piacere di parlare con il commissario, glielo comunico. Lei può accomodarsi in sala d’attesa.

      Don Gaetano sa benissimo che cosa vuole dire: dopo quattro o cinque ore d’attesa Ferraris gli farà dire che il commissario è impegnato e quindi deve ripassare un altro giorno. E dato che comunque la pariglia l’ha resa, procede senza battere ciglio:

      - Certo, ispettore. Lei sa che io affitto alcuni appartamenti a qualche marocchino, povera gente.

      Ferraris annuisce. Sa. Tutti a Torino sanno, almeno grosso modo. Gli appartamenti sono di solito soffitte, seminterrati e monolocali; le male lingue dicono che siano oltre cinquecento, ma, come avviene sempre quando non inventano di sana pianta, le stime sono molto al di sotto della realtà. I locali perlopiù sono intestati a svariati prestanome e don Gaetano risulta essere l’amministratore, mentre don Vincenzo è il suo braccio destro. Sono loro che affittano gli appartamenti, facendosi dare anche cinquecento euro per una soffitta al quarto piano (senza ascensore, siamo a Porta Palazzo, mica alla Crocetta).

      - Sì, sappiamo in che condizioni sono i suoi appartamenti.

         Don Gaetano è offeso dall’insinuazione di Ferraris.

      - Quelli peggio dei maiali sono. Spaccano tutto. E quello che pagano, se pagano, perché spesso neanche pagano, non basta neanche per riparare i danni che fanno. Se non fosse per il mio buon cuore…

      Ferraris non dice niente. Si limita a guardare don Gaetano. Un’altra delle cento cose che lo fanno bollire di rabbia (ben oltre i 100°) è la sensazione di essere preso per fesso. Qui però non vale la pena di arrabbiarsi, è ovvio che anche don Gaetano sa che nessuno gli crede, perché ormai la gente non ha più fiducia, in che mondo viviamo!

      Ferraris rinuncia ad intervenire, perché non ha voglia di perdere il pomeriggio. Don Gaetano prosegue nel suo discorso ed infine, dopo aver menato il can per l’aia quanto basta, arriva al dunque.

      - Tre mesi fa ho affittato una soffitta ad un marocchino che dormiva per strada. L’ho fatto per pura carità, mi creda.

      - Ed ovviamente, sempre per carità, non gli ha chiesto se aveva il permesso di soggiorno.

      - Ma che dice, ispettore?! Tutto in regola, tutto in regola voglio. È vero che in passato qualche volta ho sbagliato, ma che vuole farci, ispettore? Li lasciavo dormire per strada?

      Il buon cuore di don Gaetano è commovente. Se Ferraris avesse un cuore, probabilmente dovrebbe già prendere un fazzoletto. Ma il cuore non è il punto debole dell’ispettore.

      - Questo Rachid ha pagato i primi due mesi, poi, all’inizio di aprile non ha più pagato. Ha detto che non li aveva. E poi, frequenta certi giri… Io non so che affari fa…

      Che don Gaetano si rivolga alla polizia perché uno dei suoi inquilini non paga, è impensabile. Don Gaetano ha una serie di amici che provvedono a sistemare queste faccende. La solita rissa, in cui quattro o cinque picchiano a sangue un povero disgraziato. Spesso ci scappano braccia rotte, costole fratturate, nasi che si trasformano in fontane, denti che rimangono senza fissa dimora, ma nessuno sporge denuncia. La seconda volta sarebbe peggio.

      Don Gaetano prosegue imperterrito con la sua storia: Rachid non solo non paga e frequenta “certi giri”, ma una volta gli ha mollato una sberla e poi ha minacciato di ammazzarlo.

      - Tre colpi alla schiena, così mi ha detto. Ed io adesso ho paura. Sa com’è questa gente, quelli mica uomini come noi sono, bestie sono.

      Il “come noi” è un po’ troppo per Ferraris: se quel “noi” accomuna Ferraris e don Gaetano, questa è un’offesa che Ferraris non intende tollerare. Se invece si riferisce all’umanità in genere, che cazzo c’entra don Gaetano con gli esseri umani?

      Ferraris sta incominciando a sbuffare. La sua pazienza è come le riserve di petrolio mondiali: presenta una preoccupante tendenza ad esaurirsi presto, molto presto. E la catastrofe che ne segue, per quanto di portata più limitata, ha conseguenze devastanti in tutta l’area vicina.

      - Ed oggi, ispettore, oggi…

      Don Gaetano non è un attore molto convincente, ma sembra che le mani gli tremino davvero mentre tira fuori dalla tasca una busta e la posa sulla scrivania di Ferraris.

      - … ho ricevuto questa.

      Ferraris prende la busta e don Gaetano avverte:

      - Quando ho capito che cosa c’era dentro, ho guardato senza toccare. Per le impronte.

      Ferraris apre la busta e guarda anche lui senza estrarre il contenuto. Non c’è molto da leggere nella lettera: ci sono solo tre proiettili. E Ferraris è pronto a giurare sul culo di Satana che su quei proiettili ci sono le impronte di Rachid. Perché don Gaetano non lascia nulla al caso.

      Ferraris fa rapidamente il punto della situazione. Don Gaetano vuole sbarazzarsi di questo Rachid, per qualche motivo che ovviamente non ha nulla a che fare con l’affitto e che, altrettanto ovviamente, don Gaetano non gli racconterà mai.  E, dopo una minaccia di morte, sia pure verbale, se davvero ci sono le impronte di Rachid sui tre proiettili, il tizio verrà rimandato al suo paese e la polizia avrà levato a don Gaetano il fastidio.

      L’idea di essere usato da don Gaetano per i suoi lerci giochetti è quanto mai fastidiosa. Ma c’è poco da fare. Ferraris non può ignorare la denuncia. Si fa dare l’indirizzo di Rachid, pone ancora due domande e congeda don Gaetano, dopo avergli fatto firmare il verbale.

         - Domani faremo un controllo da questo Rachid. Poi le faremo sapere, Cammarata.

      - Grazie, commissario.

      Il mite ispettore Ferraris si mette a bollire. L’agente Petrini, che ha verbalizzato la denuncia, adduce un’improvvisa ed improcrastinabile necessità fisiologica e scompare: l’esperienza insegna che è preferibile non trovarsi nelle vicinanze di un Ferraris furioso.

      Ferraris si limita a prendere a calci il cestino. Poi raccoglie due informazioni per telefono, che potranno servirgli per la visita che farà a Rachid domani.

         Visita che si svolgerà in un modo un po’ diverso dal previsto.

 

      Ci sono giornate che incominciano subito male. Oggi è una di queste. Ferraris è stato chiamato al telefono mentre si faceva la barba e, in uno dei suoi umori migliori, arriva davanti ad una casa di via Borgo Dora, il cui indirizzo gli è stato dato il giorno prima da don Gaetano. Ci sono già due macchine della polizia ed alcuni curiosi, di vari colori e nazionalità. Come spesso succede in questi casi, la distanza a cui si tengono dal portone è direttamente proporzionale alla regolarità della loro posizione: italiani in prima fila, immigrati a distanza variabile, da una prudente seconda fila ad un ancora più cauto svicolare non appena scorgono in lontananza le due auto bianche e blu. Per motivi non ancora sufficientemente esplorati dalla psicologia, un permesso di soggiorno scaduto ed una fedina penale sporca riducono fortemente l’attrazione esercitata da un sanguinoso fatto di cronaca nera.

      Ferraris entra. La casa è amministrata da don Gaetano ed è affittata, perlopiù ad immigrati. Don Gaetano è in una soffitta, steso con la pancia a terra e la testa sulla branda. Non sta schiacciando un pisolino e non si alzerà tanto presto (a meno che il giorno della resurrezione dei morti sia molto vicino). 

      Ferraris si ferma sulla soglia. Mentre nella stanza stanno facendo i soliti rilevamenti, l’ispettore si informa: il cadavere è stato ritrovato meno di un’ora fa da un amico dell’inquilino, che aveva la chiave della soffitta. Don Gaetano deve essere stato ucciso da parecchie ore, perché il cadavere è freddo. 

      Petrini indica tre fori nella schiena di don Gaetano ed ammicca all’ispettore:

      - Il marocchino è stato di parola. Tre colpi. Più uno alla testa. Il colpo di grazia.

      Ferraris annuisce. Non ha fatto neanche in tempo a prendersi un caffè e questa è una delle cose che fanno virare bruscamente al peggio un umore che già di suo, di rado è buono. Trovarsi un cadavere prima ancora di colazione è quanto mai irritante, ma don Gaetano deve aver deciso di fargli girare i coglioni da vivo e da morto.

      - Chi ci vive in questa soffitta?

      Petrini guarda l’ispettore come se Ferraris fosse deficiente a non avere ancora capito, ma rapidamente provvede a correggere l’espressione della sua faccia, improvvisamente conscio di essere sull’orlo di un precipizio. Annaspa:

      - Il marocchino, ispettore. Quel Rachid. L’assassino.

      Ferraris sta fumando, senza sigaretta.

      - Tu hai già deciso che è l’assassino, vero? Per il culo di Satana, dovevano fare te ispettore!

      Petrini tace: sa benissimo che ogni replica provocherebbe rappresaglie devastanti. Se fosse un po’ più ferrato in storia, gli verrebbero in mente le piramidi di teste tagliate che faceva erigere Tamerlano, ma per il povero Gino (Luigi) Petrini, Tamerlano potrebbe essere un corridore del giro d’Italia. Rimane paralizzato, sperando nella coscienza professionale di Ferraris, che adesso dovrebbe occuparsi di altro.

      Effettivamente l’ispettore non degna più di uno sguardo il povero agente e si avvicina ad osservare il cadavere. Maglietta e pantaloni usurati, guanti consunti, scarpe da quattro soldi, una borsa di tela che dev’essere l’omaggio di qualche supermercato: don Gaetano è uno di quelli che hanno milioni e sembrano straccioni, non spende quasi niente per vestirsi, i soldi li investe. Magari non ha neanche un abito buono per quando vestiranno il cadavere, ma di certo la bara potrebbero riempirla di biglietti da 500 e ne avanzerebbero ancora. Tanti, tantissimi.

      Terminati i rilevamenti, Ferraris esamina la borsa di don Gaetano, che è vuota.

      Quando il cadavere viene portato via, Ferraris si rivolge ad uno degli agenti. 

      - Attenzione ai guanti ed alla borsa. Voglio un controllo per verificare che cosa c’era nella borsa e che cosa hanno toccato i guanti.

      Ferraris vuole che l’appartamento sia perquisito a fondo ed è ben deciso ad assistere a tutta l’operazione. Lo spazio è ridotto e c’è ben poco. Nell’armadio pochi abiti. Nello scaffale qualche libro in italiano ed altri in arabo. Ferraris scorre i titoli (di quelli in italiano; sui tre testi in arabo non è in grado di pronunciarsi).

      Malamente nascosto al fondo della branda, proprio vicino al punto in cui don Gaetano è crollato, viene fuori un sacchetto con delle bustine di polvere bianca. Ferraris non ha bisogno di fare un controllo per sapere che cosa c’è dentro: cocaina. Una quantità più che consistente, certo non per uso personale. Se oggi Ferraris avesse fatto perquisire la soffitta di Rachid alla ricerca di una pistola o di proiettili, come aveva previsto, avrebbe trovato una merce altrettanto interessante. E probabilmente avrebbe trovato anche la pistola, se tutto fosse andato come don Gaetano aveva previsto. Ma l’illustre amministratore ha sbagliato i conti e quella pistola è stata usata per trasformare don Gaetano da essere vivente (non diciamo umano, Ferraris non sarebbe d’accordo) a cadavere (Ferraris direbbe carogna, lui non va tanto per il sottile, e non vede neanche una grande differenza tra il prima ed il dopo, don Gaetano una carogna lo era già prima di morire).         

      Tutto è chiaro nella testa di Ferraris, mancano solo alcuni dettagli. Anche Petrini ha le idee chiare e, essendo ormai passato un certo tempo dall’episodio precedente, non si perita di intervenire:

      - Un caso facile facile.

      Ferraris grugnisce. Probabilmente sarà così, ma si dice che se una sola delle idee che Petrini ha in testa è giusta, è ora che lui vada in pensione. Dato che gli mancano circa trent’anni per raggiungere l’età pensionabile (sempre che non la alzino), Petrini senz’altro ha torto.

      Escono dalla casa.

     In quel momento arriva don Vincenzo, trafelato. Lo hanno reperito solo adesso. Inveisce contro Rachid, che aveva minacciato suo fratello; contro la polizia, che non è intervenuta a tempo, quando suo fratello ha fatto denuncia; contro quei marocchini di merda, che la fanno da padroni, come se fossero a casa loro; contro il governo, che non fa niente per fermare quella invasione; contro il Comune, che…

     Approfittando di una pausa (anche don Vincenzo ha bisogno di riprendere fiato), Ferraris lo invita a passare nel pomeriggio in commissariato, perché dovrà porre qualche domanda anche a lui.

 

     Quando è troppo, è troppo. L’incontro con don Vincenzo è stata davvero la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ferraris dice a Petrini di precederlo in commissariato. Lui arriverà tra poco.

      La mattinata è ormai vecchiotta, lo stomaco di Ferraris si contorce negli spasimi di un’agonia che non contribuisce a rendere serafico l’ispettore. Neanche il pensiero che comunque deve andare in commissariato migliora l’umore del nostro eroe, che, per sopravvivere, decide di prendersi almeno un gelato alla Gelateria popolare di Maurizio. Una nota positiva nella giornata. Paga la coppetta di crema, cioccolato e gianduiotto ed incomincia ad assaporarla, quando gli si avvicina un tizio, che potrebbe essere arabo. Parla un italiano corretto, ma con un forte accento straniero.

      - Agente, vorrei parlarle. Lei si occupa dell’assassinio di don Gaetano…

      Ora, se Ferraris detesta sentirsi chiamare commissario quando non lo è, che gli diano dell’agente è una delle due-trecento cose che assolutamente non tollera. E un’altra cosa che non regge è che gli rompano i coglioni mentre è in pausa. Qualcuno che gli parla di lavoro mentre lui si gusta una coppetta di Maurizio è come uno che al Teatro Regio sgranocchia patatine nella poltrona di fianco, mentre il soprano canta “Un bel dì vedremo”. Un’offesa all’arte, alla vita ed a Ferraris.

      Eppure Ferraris è poliziotto nel DNA, anche quando è in pausa. Quel tizio ha qualche cosa da dire, davvero, non è il solito rompicoglioni, anche se in questo momento rompe, oh, quanto rompe!

      Ferraris non gli perdona di esistere, ma è disponibile ad ascoltarlo. Non dice niente, ma l’altro capisce che può parlare.

      - Non l’ha ammazzato Rachid, non ammazzerebbe nessuno, lui.

      Quello che il tizio sta dicendo adesso non ha nessuna rilevanza. Ma il tizio ha altro da dire, anche se magari non sa se dirlo. Ferraris non ci gira intorno (non è il tipo da menare il can per l’aia, lui).

      - Tu sai dove si trova Rachid, vero?

      L’uomo rimane paralizzato. Evidentemente ha paura. Si guarda intorno, come se cercasse una via di fuga. Ma non è tanto idiota da mettersi a correre.

      - Digli che ho bisogno di parlargli, per scoprire chi è l’assassino. Si deve mettere in contatto con me. In fretta, prima che lo troviamo noi. Prima si fa vivo, prima risolviamo la faccenda, meno rischi corre.

      L’uomo non ha aperto bocca.

      - Hai da scrivere?

      L’uomo annuisce. Ferraris gli detta il numero di telefono del proprio cellulare. Aggiunge ancora:

      - Non è una trappola, può fidarsi.

      Ferraris si volta e se ne va, gustandosi il gelato. L’uomo aveva detto che voleva parlargli, ma non ha più detto una parola dopo la frase iniziale.

      Ferraris è soddisfatto.

 

      Al commissariato lo aspettano. I giornalisti sono già sul piede di guerra, non vedono l’ora di sbattere l’assassino in prima pagina. Il commissario freme, perché vuole avere il quadro della situazione prima di parlare con la stampa.   

      Alla riunione partecipano due agenti, Petrini e Diotallevi, l’ispettore Orsini, Ferraris ed il capo.

      Il commissario esordisce:

      - Da quel che mi ha raccontato Petrini, mi sembra che il caso sia chiaro. Questo Rachid… come cazzo si chiama, ecco, Khuri aveva minacciato di uccidere don Gaetano con tre colpi alla schiena e questa notte l’ha fatto. Dobbiamo solo trovare il marocchino.   

      - Khuri non è marocchino, è palestinese. E non è neanche l’assassino.

      C’è un momento di gelo nella stanza.

      Petrini, che non riesce a tenere la lingua a posto, interviene:

      - Ma aveva minacciato di ammazzare don Gaetano…

      - Questo ce l’ha detto il Cammarata.

      - Ha anche mandato i proiettili…

      - Anche questo ce l’ha detto il Cammarata.

      Il commissario interviene.

      - Ma che motivo aveva per mentire?

      - Lo stesso motivo per cui ieri sera è andato dal Khuri per mettergli un po’ di cocaina nel letto, in modo che perquisendo l’alloggio noi la trovassimo: voleva sbarazzarsi di quel tizio, in via definitiva, sputtanandolo e facendolo espellere.

      Petrini interviene:

      - Ma perché voleva liberarsene?

      Anche Diotallevi pone una domanda:

      - Perché pensa che sia stato il Cammarata a mettere la cocaina, ispettore?

      Ferraris dribbla la domanda di Petrini, a cui non è ancora in grado di dare una risposta, e risponde a quella di Diotallevi, che, come al solito, ha detto una cosa intelligente. Diotallevi è il suo agente preferito, anche se con quelle orecchie a sventola e quel fisico mingherlino non è precisamente l’uomo dei suoi sogni.

      - Cammarata aveva i guanti. E non mi dite che li usava per il freddo. – considerando che siamo a giugno ed il termometro sembra intenzionato a scalare il Monte Bianco senza fare tappe, l’osservazione di Ferraris appare convincente - Ieri non li aveva. Se li è messi per non lasciare impronte digitali.

      L’ispettore Orsini apre bocca. Ferraris si prepara ad ascoltare qualche idiozia.

      - Il marocchino, insomma, il palestinese o che cazzo è, lo ha sorpreso e gli ha sparato alla schiena.

      - E secondo te, il Cammarata era uno che si lasciava sorprendere? L’altro ha minacciato di sparargli alla schiena ed il Cammarata è andato nella sua soffitta, da solo, e gli ha anche dato la schiena? Era scemo, il Cammarata? Don Gaetano non ci è andato da solo in quella soffitta, ma con qualcuno di cui si fidava, non certo il Khuri. Solo che quel qualcuno ha approfittato del momento in cui il Cammarata era di schiena, per nascondere la cocaina nelle lenzuola, e lo ha ammazzato, in modo da far ricadere la colpa sul Khuri.

      Diotallevi replica:

      - Sembra tutto molto plausibile, ma non c’era il rischio che il Khuri trovasse la cocaina, mettendosi a letto?

      Altra domanda intelligente.

      - Mettendosi a letto no, era messa contro il fondo del materasso. Magari se toglieva le lenzuola il mattino, ma non credo che lo faccia molto spesso. E poi forse il Khuri non aveva intenzione di tornare alla soffitta ieri notte ed il Cammarata lo sapeva.

      Diotallevi interviene ancora:

      - Non pensa che… magari Rachid Khuri è arrivato a casa, ha trovato il cadavere, ha capito che avrebbero subito pensato a lui ed è scappato.

      - È possibile. Ce lo dirà lui.

      - Quando lo beccheremo.

      Se il telefonino di Ferraris squillasse ora e dall’altra parte fosse Rachid, l’effetto sarebbe notevole e l’ispettore, che ama l’opera, non disdegnerebbe il colpo di scena.

      Il cellulare non squilla, ma l’ingresso di Melis, della scientifica, porta un contributo ugualmente significativo.

      - Ho qui il rapporto sulla borsa e sui guanti.

      Il commissario chiede subito:

      - Che è venuto fuori?

      - Il sacco con la cocaina è stato sicuramente nella borsa del morto, perché ci sono tracce di briciole di pane, peperoncino e zucchero sia sul sacco, sia, in misura maggiore, sul fondo della borsa. Su uno dei guanti ci sono tracce, minime, degli stessi elementi: il sacco è stato maneggiato con quei guanti.

      Ferraris è soddisfatto del suo trionfo personale.

      Il commissario non perde tempo:

      - Ferraris, lei sa chi ha ucciso Cammarata?

      Ferraris risponde senza incertezze:

      - No, commissario, ma conto che Rachid Khuri mi aiuti a scoprirlo.

      - Pensa che sia un complice?

      - No, al momento lo escluderei.

      - Ed allora?

      - Nei suoi confronti è stata preparata una trappola. E qualcun altro è stato coinvolto. Conto su questo per arrivare all’assassino.

      Orsini interviene:

      - Chi aveva motivi per odiare Cammarata?

      È una domanda degna di Orsini. Ferraris risponde:

      - Per il culo di Satana, facciamo più in fretta a fare l’elenco di quelli che non ce l’avevano con Cammarata!

      La domanda di Diotallevi è, come al solito, più intelligente di quella di Orsini (non che ci voglia molto):

      - Tra le persone di cui don Gaetano si fidava, chi aveva interesse alla sua morte?

      - Bella domanda. Una risposta in testa ce l’ho, ma fino a che non trovo la persona che cerco, non so se è la risposta giusta.

     

      Mezz’ora dopo squilla il telefonino di Ferraris.

      L’ispettore guarda il numero, sconosciuto, e risponde:

      - Era ora che ti facessi vivo, Rachid!

      Va sul sicuro, tanto nessuno gli telefona in orario di lavoro, perché abitualmente il cellulare è spento, a meno che non debba comunicare con la centrale.

      - Ispettore, non ho ucciso io don Gaetano.

      - Lo so, ma è necessario che tu venga qui. Solo tu puoi aiutarmi a trovare l’assassino. Conviene anche a te che lo becchiamo in fretta.

      C’è un momento di silenzio. Poi Rachid risponde:

      - Tra venti minuti sono lì.

      Ferraris non si stupisce. Se quello che ha intuito è corretto, Rachid è in grado di capire che è tutto nel suo interesse.

 

      Rachid è di parola. Petrini lo fa entrare venti minuti dopo la telefonata. È giovane, avrà al massimo ventisette-ventott’anni. Ha la carnagione appena un filo più scura di quella della media, due occhi quasi neri e con quella barba del giorno prima è proprio un bel ragazzo. Non che questo cambi qualche cosa, per Ferraris il lavoro è lavoro, ma anche l’occhio vuole la sua parte.

      - Sono a sua disposizione, ispettore.

      - Bene, ho poche domande da farti. La prima è: perché don Gaetano ce l’aveva con te?

      - Perché ho ficcato il naso negli affari suoi e di suo fratello Vincenzo. Facevo un po’ troppe domande agli altri inquilini e poi… c’è una storia di traffico di ragazze moldave, alcune minorenni…

      - Tu hai la cittadinanza italiana. E sei un giornalista, vero?

      Rachid guarda Ferraris senza parole. Non sa che in altre situazioni ammettere di essere un giornalista sarebbe un suicidio. Ferraris ha dei giornalisti la stessa stima che ha dei pedofili, degli stupratori e dei magnaccia (in che ordine, sarebbe da valutare, ma i giornalisti non si troverebbero nella posizione migliore). Ma in questo momento la faccenda non ha importanza. Rachid annuisce.

      - Free-lance. Collaboro con il Corriere, ma come ha fatto a…?

      Ferraris non si accontenta del primo colpo messo a segno e prosegue:

      - Vuoi scrivere una testimonianza sulla vita degli immigrati, vero?

      Rachid è davvero senza parole. Poi si riprende:

      - Una serie di articoli, forse un libro, se trovo chi me lo pubblica. Ma come ha fatto a capirlo?

      Ferraris è soddisfatto, ma da buon poliziotto non scopre le sue carte. Non dice a Rachid che gli è bastato vedere il libro Faccia di turco nella soffitta per incominciare ad avere dei sospetti: un libro che Ferraris ha letto, anni fa. L’autore è un giornalista tedesco che si è finto turco e nel libro racconta le sue esperienze di sfruttamento ed emarginazione. Né dice a Rachid che gli inquilini di don Gaetano non fanno domande su nulla e men che meno sul traffico di minorenni.

      - E magari fare uno scoop sul traffico di minorenni?

      - Ispettore, lei sa già tutto…

      Ferraris annuisce.

      - Mi manca una sola informazione davvero utile: chi ti ha fatto prendere in mano quei proiettili e con che scusa.

      Sul momento Rachid non capisce.

      - Quali proiettili? Vuole dire…

      - Tre proiettili, che sono sicuramente dello stesso tipo di quelli che hanno fatto fuori don Gaetano. Li hai toccati, ci sono le tue impronte.

      Questo Ferraris non può saperlo, le impronte sui proiettili non sono state confrontate con quelle di Rachid. Ma Ferraris va sul sicuro. Petrini ha ragione. Un caso facile facile.

      Rachid è un po’ perplesso, ma ha capito chi conduce il gioco e risponde.

      - Due giorni fa mi ha telefonato Amin. Amin Mahjoub, uno che conosco, un fuoriuscito siriano. Mi ha chiesto di passare da lui. Era molto spaventato. Aveva ricevuto una busta con tre proiettili. Non capiva chi potesse essere stato a metterli nella sua buca. Mi ha chiesto di esaminarli, non sapeva se fossero proiettili veri. Io li ho guardati, li ho presi in mano, ma non me ne intendo di armi. Che cosa significa?

      - Doveva incastrarti. Dove abita questo Amin Mahjoub? Dove lo possiamo trovare, ora?

      Rachid fornisce l’indirizzo. Poi aggiunge:

      - Ieri sera ho di nuovo incontrato Amin. Mentre uscivo di casa. Mi ha detto che aveva paura per la storia dei proiettili… Abbiamo fatto un giro.

      A questo punto Ferraris è sicuro che Amin sa chi è l’omicida, ma occorre prenderlo subito, perché è facile che scappi.  

      Ferraris manda a prendere Mahjoub, con la raccomandazione che siano il più discreti possibile nel prelevarlo ed alquanto pesanti nel trattarlo. Mahjoub deve arrivare con la chiara sensazione di essersi cacciato nella merda fino al collo.

      Ferraris chiacchiera ancora un po’ con Rachid, che è arrivato in Italia a quattro anni e da molto tempo è cittadino italiano, ma conserva la doppia cittadinanza. Se ne è servito per realizzare la sua idea di un libro sulle condizioni di vita degli immigrati in Italia, in particolare a Torino. A Milano, dove vive, non gli sarebbe possibile, perché qualcuno potrebbe riconoscerlo.

     Ferraris raccoglie ancora alcuni dettagli. Il giovedì notte Rachid non va a dormire a casa, ufficialmente perché fa il turno di notte come sostituto del guardiano di uno stabilimento, in realtà perché va da amici, dove si ferma a dormire, per prendere una boccata d’aria: vivere in una soffitta non è il massimo ed una doccia calda ogni tanto Rachid ha voglia di farsela.

      Ferraris consiglia a Rachid di tornare dagli amici e di rimanere lì, senza uscire. Quando sarà tutto a posto, lo contatterà.

 

      Amin arriva mezz’ora dopo. Stava raccogliendo i suoi stracci per scappare, quando è arrivata la polizia. La notizia della morte di don Gaetano gli è arrivata troppo tardi. Chi aveva interesse a farlo scappare ha perso tempo, convinto che intanto Rachid non sarebbe stato catturato tanto presto e che quindi la polizia non avrebbe cercato Amin.

      Amin è acciaccato (Ferraris aveva detto di andarci giù pesante ed è stato preso alla lettera) e spaventato a morte.

      - Bene, Amin, stai per conoscere le prigioni italiane. Ci sei già stato?

      - No, commissario, io…

      Nella situazione non propriamente ottimale di Amin, il “commissario” è un errore fatale.

      - Bene, avrai modo di conoscerle a fondo. Per un omicidio premeditato c’è l’ergastolo.

      - Commissario…

      - Per il culo di Satana, tu parli quando sei interrogato. Domanda numero uno: chi ti ha dato i proiettili da far toccare a Rachid?

      Amin vorrebbe negare, ma l’espressione di Ferraris non lascia spazio a vuoti di memoria, ricostruzioni tendenziose, verità parziali. Amin non oppone resistenza. Il trattamento precedente è stato sufficiente a farlo crollare. Di certo non è complice dell’omicidio, è solo una pedina che l’assassino ha usato per il suo gioco.

      - Don Vincenzo, commissario.

      Amin collabora e ha dato la risposta che Ferraris sperava di sentire. Questo salva Amin dal suo nuovo passo falso: il “commissario” non viene rilevato.

      - Chi ti ha detto di fare un giro con Rachid, ieri sera, di tenerlo in qualche angolo appartato?

      - Don Vincenzo.

      - E chi ti ha detto di scappare, oggi?

      La risposta Ferraris potrebbe darla da sé, anche se in realtà è leggermente diversa da quella che si aspettava.

      - Yusuf. Da parte di don Vincenzo.

      Ferraris annuisce, soddisfatto.

      - Commissario, io…

      - Il “commissario” puoi mettertelo in culo. Ti ho già detto che tu parli quando te lo dico io.

      Ferraris raccoglie ancora qualche informazione, poi affida Amin alla custodia amorosa dei suoi agenti. Il siriano passerà al fresco la notte, ma probabilmente domani sarà fuori.

         Ora l’ispettore è pronto per il penultimo atto.

 

      Quando don Vincenzo arriva, appare più calmo della mattina. Si scusa per la scenata, ma Gaetano era il suo unico fratello, gli voleva bene come a un padre…

      Ferraris pensa a Edipo ed ai vari parricidi della storia e della letteratura. Ferraris ha una buona cultura. Caino e Abele non gli vengono in mente: don Vincenzo sarà anche adatto come Caino, ma don Gaetano come Abele è difficile immaginarselo.

      Lascia che don Vincenzo parli. Dopo un po’, don Vincenzo arriva al dunque.

      - A che punto siete con le indagini? Quel bastardo…

      Ferraris sorride:

      - L’abbiamo beccato, due ore fa. Ha già confessato tutto.

      Lo stupore di don Vincenzo è un po’ troppo genuino. La confessione proprio non se l’aspettava.

      - Siete stati bravissimi, non avrei mai pensato… così in fretta. Quella è gente che mente, che nega…

      Ferraris sorride. E se don Vincenzo avesse avuto a che fare con Ferraris altre volte, saprebbe che un Ferraris sorridente è tanto insolito quanto pericoloso, ma l’ispettore aveva contatti, fortunatamente sporadici, solo con don Gaetano.

      - Sa, don Vincenzo, con questi marocchini di merda, non abbiamo mica bisogno di essere delicati. Glielo facciamo ricordare noi, anche quello che erano convinti di aver dimenticato. Ha confessato tutto, di aver ammazzato suo fratello, di essere scappato via. L’unica cosa che non si ricordava è che cosa aveva fatto della pistola. Quello era un casino.

      - Perché, signor ispettore?

      Il sorriso di Ferraris si allarga. L’uccellino, ammaliato, non si rende conto di aver davanti il serpente.

      - Sa come sono gli avvocati. Ed i giornalisti, poi! Dicono che la confessione è stata estorta. Solo perché l’interrogato è caduto in cella e si è fatto un occhio nero, si è rotto due denti, ha un braccio slogato. Che colpa abbiamo noi se questi non sanno stare in piedi?

      - Certo, ma sono quei comunisti al governo, quelli che mettono i bastoni tra le ruote alla polizia! Quelli, in galera bisognerebbe mandarli.

      Ferraris annuisce e sorride. Lui vota a sinistra, ma sorride. Povero don Vincenzo.

      - È così, don Vincenzo, per essere sicuri abbiamo bisogno della pistola. Un riscontro, una prova inconfutabile. Rachid non si ricordava, ma glielo abbiamo fatto venire in mente. Siamo formidabili per la memoria, noi. Ha detto che l’ha buttata dal ponte, quello di via Borgo Dora. Domani mattina presto controlliamo: una pistola va a fondo subito, secondo me in mezz’ora la troviamo. E a quel punto quel figlio di puttana non lo salvano nemmeno i giornalisti. Una volta che abbiamo la pistola, chi se ne fotte se il marocchino è un po’ pesto? Quelle merde vanno trattate con le maniere rudi, l’italiano mica lo capiscono.

      Don Vincenzo annuisce.

      - Ci sapete fare.

      Ferraris annuisce.

      - Eh sì, le merde sappiamo come prenderle, noi.

     Don Vincenzo concorda, non sospetta l’ironia implicita nelle parole dell’ispettore, ringrazia Ferraris per l’efficienza, dichiara la propria ammirazione per la rapidità e la decisione con cui la polizia ha risolto il caso. Ferraris gli chiede se ha un’idea del perché il fratello fosse andato a parlare con Rachid, dopo le minacce, ma don Vincenzo non lo sa.

      - Sa, mio fratello voleva fare di testa sua, era abituato a comandare lui, a fare quello che gli pareva. Mi avesse ascoltato…

      Quando don Vincenzo se ne va, profondamente soddisfatto, anche Ferraris è soddisfatto. Uno dei due non lo sarà più domani mattina, ma si sa, così è la vita. Mors tua vita mea.

 

      Ci sono giornate in cui manco a dormire si riesce. Oggi è una di queste. Alle tre di notte Ferraris è con Diotallevi in un angolo di piazza Borgo Dora. I poliziotti si sono alternati tutta la notte. Ferraris ha voluto essere presente di persona tra le due e le quattro, perché è l’ora giusta. Prima c’è ancora gente, dopo incominceranno quelli del mercato.

      Il telefonino di Ferraris vibra. È il poliziotto di guardia vicino alla casa di Vincenzo Cammarata: avvisa che l’uomo è uscito.

      - Bene, è in arrivo. Tra venti minuti è qui. 

      - Come ha fatto ha capire che era lui, ispettore?

      - Don Gaetano non si fidava di nessuno. Nella soffitta di Rachid non poteva farsi accompagnare da uno dei suoi sgherri, rischiando poi di essere ricattato. C’è andato con il fratello.

      - Ma perché il fratello l’ha ammazzato?

      - Probabilmente era stufo di farsi comandare da don Gaetano. Sapeva che non gli avrebbe permesso di portare avanti quel giro di minorenni dalla Moldavia. Troppo pericoloso, c’era il rischio di finire nei guai con la polizia, guai grossi. Don Gaetano era un figlio di puttana, ma era intelligente. Non si sarebbe messo in affari così rischiosi. E poi i soldi, tanti soldi, più di quanti io e te ne vedremo nella nostra vita. Un buon motivo per far fuori un fratello.

 

      Don Vincenzo arriva poco dopo. Prima che metta piede sul ponte, Ferraris e Diotallevi lo intercettano. In tasca ha la pistola, la prova per incastrare Rachid. Una prova inconfutabile.

 

 

 

                  

                                              

                           

 

Area aperta

Storie

Gallerie

Indice

 

                                     

                           

 

Website analytics