Il diversivo

 

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a Francesco

 

Il tenente Robert Saint-Paul abbassò il binocolo. Non si vedeva nessuno, l’unico segno di vita era la colonna di fumo con cui gli indiani stavano annunciando alle altre bande di aver intrappolato la carovana. Guardò a occhio nudo l’area montuosa intorno a loro. Nessuno.

- Me lo passi un momento, Saint-Paul?

- Certo, McCraig.

Robert diede il binocolo all’altro tenente, McCraig, che lo prese e incominciò a sua volta a scrutare il profilo delle rocce.

Robert guardò le grosse mani che stringevano il binocolo. Erano un po’ tozze e una fitta peluria chiara le ricopriva. Come sempre la vista di quelle mani lo turbò. Il suo sguardo passò ai capelli di un biondo intenso, al viso non bello, largo, dai lineamenti forti, al naso aquilino, alla barba anch’essa bionda, ma di una sfumatura più scura rispetto ai capelli.

C’era qualche cosa in McCraig che lo attraeva, come gli era capitato di rado, forse mai. Certamente mai. La morte in un’occasione e il tradimento in un’altra si erano frapposti tra lui e i due uomini che aveva realmente desiderato. Erano rimasti gli altri, i corpi conosciuti per una notte o per un breve periodo, gli abbracci senza un domani, il bisogno placato. E niente di più.

E ora davanti a lui c’era Patrick McCraig e tutto il suo corpo era in tensione. Provava una violenta attrazione fisica, tanto che anche in quel momento, in cui aveva tutt’altre preoccupazioni per la testa, sentiva che il sangue affluiva al cazzo. Era un desiderio feroce, che il solo pensiero di McCraig era sufficiente a destare.

Ma non era solo quello. E non era quello a turbarlo tanto. Qualche cosa che aveva creduto morto da tempo sembrava volersi risvegliare dentro di lui e premeva per uscire, qualche cosa che lo spaventava. Aveva trent’anni ormai, combatteva da quattordici. Il suo corpo si era abituato ad affrontare pericoli e disagi e con il tempo sembrava essersi rivestito di una corazza ruvida. Anche il suo cuore era divenuto insensibile e le emozioni del passato gli apparivano tanto lontane da sembrare irreali, come se fosse stato un altro Robert a provarle. E ora, di colpo, la corazza gli era stata strappata via, lasciandolo esposto a emozioni violente che non riusciva a controllare. Come era stato possibile?

Ma erano domande oziose. Anche questa volta il destino non gli avrebbe permesso di andare oltre, di capire quanto quell’uomo massiccio tenesse a lui, di scoprire che cosa si provava a stringere un corpo che non era soltanto uno dei tanti. Sarebbe morto prima.

Sarebbero presto morti entrambi, come tutti i soldati e i coloni che erano con loro, compresi i bambini e le donne. Non avevano nessuna speranza. Quando era giunta notizia della rivolta, il comandante del forte aveva immediatamente inviato tre colonne per proteggere i coloni e impedire che venissero massacrati dagli indiani. Era probabile che le altre colonne fossero riuscite a svolgere il loro compito senza difficoltà, perché dovevano operare in aree meno direttamente minacciate. Loro invece erano arrivati appena in tempo per evitare una strage. Erano riusciti a raccogliere i coloni prima dell’attacco nemico, ma lungo la via del ritorno erano finiti in trappola.

Loro erano solo in venti e c’erano altrettanti uomini validi tra i coloni. Gli indiani erano almeno duecento e ormai li avevano raggiunti e circondati. Non erano molti, ma erano più che sufficienti per bloccare ogni via d’uscita. I Kichai non avrebbero attaccato quella notte, probabilmente: la carovana si era sistemata in una posizione facilmente difendibile, ma l’indomani, con l’arrivo degli altri guerrieri, sarebbe stata la fine.  

Robert Saint-Paul aveva una lunga esperienza di guerra. A sedici anni aveva combattuto nella guerra civile, poi era stato di guarnigione al confine con il Messico e infine l’avevano mandato all’ovest. A trent’anni era uno degli ufficiali più esperti. Ora la sua vita era sul punto di concludersi, ma non aveva importanza. Quello che gli premeva davvero era altro, era salvare i coloni, i compagni.

- Grazie, Saint-Paul.   

La voce di McCraig lo fece sussultare. Il tenente gli stava porgendo il binocolo. Saint-Paul lo prese. I loro sguardi si incrociarono. Patrick McCraig aveva occhi di un azzurro intensissimo, due spicchi di cielo. Rimasero a guardarsi un buon momento. Robert deglutì. Aveva la gola secca. Era già successo altre due volte, in quei giorni. Si fissavano negli occhi e rimanevano così, come se non fossero più capaci di staccare lo sguardo uno dall’altro.

A fatica Robert guardò altrove. Quando Patrick McCraig si allontanò, Robert lo guardò di nuovo. Era un uomo massiccio, imponente per altezza e per mole. Robert ripensò a quanto di lui aveva detto il sergente Bertson: “A ovest del Mississippi non c’è un ufficiale migliore di McCraig, né qualcuno che conosca i cavalli come lui. Né – aveva aggiunto ridendo - una testa più dura e una… attrezzatura più grossa!”

Bertson era un impertinente, ma non era stupido e non parlava a vanvera. McCraig conosceva davvero i cavalli come nessun altro. Ed era un ufficiale eccellente: probabilmente avrebbe avuto un grado ben più alto se non fosse stato ostinato. La sua non era pura testardaggine: le due volte che Robert lo aveva visto tener testa ai suoi superiori, dentro di sé gli aveva dato ragione. In ogni caso McCraig non avrebbe fatto carriera continuando in quel modo, ma questo non sembrava preoccuparlo, non era ambizioso. Quanto a quello che Bertson chiamava attrezzatura, Robert non gliel’aveva mai vista e non ci sarebbe più stata un’occasione per vederla. Non era certo quello che aveva in testa, ora, anche se a quel pensiero di nuovo il cazzo gli si irrigidì, facendolo sbuffare.

Robert cacciò dalla testa l’immagine di Patrick McCraig e si mise a riflettere. Aveva avuto un’idea, un abbozzo di piano, che presentava molti punti deboli, ma che forse poteva essere migliorato. Si trattava di creare un diversivo, qualche cosa che spingesse gli indiani in una direzione, mentre la carovana sarebbe fuggita in un’altra. Se fosse riuscito a risolvere i problemi aperti, ne avrebbe parlato al maggiore.

Cercò di risolvere le difficoltà, una per una. Forse il piano poteva funzionare. Era un azzardo, ma non era impossibile. Forse sarebbe riuscito a salvare i coloni e i soldati.

 

La sera il maggiore Friedman e i due tenenti fecero il punto della situazione. Era presto fatto: di certo altri indiani stavano arrivando, in risposta ai segnali inviati dal gruppo che li aveva circondati. Non c’era da aspettarsi un aiuto dal forte. Anche se il giorno successivo, non vedendoli arrivare, avessero mandato una colonna in loro soccorso, sarebbe arrivata troppo tardi.

Robert decise di proporre il suo piano.

- Maggiore, ho un’idea, che vorrei sottoporle.

- Mi dica, Saint-Paul.   

- Il nostro problema è uscire da quest’area senza che gli indiani ci blocchino. Se riuscissimo a farlo, potremmo mandare un messaggero a chiedere rinforzi. Con un minimo di vantaggio, prima che gli indiani ci raggiungano saremo abbastanza vicini al forte da poter contare sui soccorsi.

- Sì. Tutto questo va bene, ma come uscire di qui senza che gli indiani se ne accorgano?

- Se questa notte io prendessi alcuni carri, diciamo due o tre, potremmo legarli uno all’altro, e mi avviassi per la pista a sud, gli indiani mi verrebbero dietro. Di notte non si accorgerebbero che non c’è nessuno, penserebbero che tentiamo una sortita in quella direzione. Si muoverebbero tutti per inseguirmi. Voi potreste tentare di uscire per la pista lungo il fiume, approfittando del momento in cui loro si lanceranno al mio inseguimento. Ci sarà un gran casino e potrete muovervi senza che si accorgano di voi. Sono notti senza luna. Non avrete un gran vantaggio, ma forse, se organizziamo tutto per bene, vi basterà per uscire dalle montagne. Mandate subito un uomo ad avvisare la guarnigione del forte; se vengono in vostro soccorso, avete qualche possibilità.

- Non è così facile ingannare gli indiani. Scoprirebbero subito che sono solo due carri vuoti.

- No, se creiamo un altro diversivo, una finta incursione. Un gruppo di soldati attaccano da quella parte – Robert indicò in direzione di un vasto pendio roccioso – e poco dopo io cerco di uscire con i carri dalla pista sud. Crederanno che l’attacco sia stato una manovra diversiva e, se gioco bene le mie carte, riesco a trascinarli per un po’ in quella direzione. Voi intanto uscite dall’altra parte.

Il maggiore lo guardò.

- Saint-Paul, noi abbiamo qualche probabilità di cavarcela, in questo caso, ma lei è certamente spacciato. Con duecento indiani alle calcagna, non ha nessuna possibilità di farcela.

- Se non tentiamo qualche cosa, siamo tutti spacciati. Almeno in questo modo possiamo sperare di salvare i coloni.

Discussero a lungo. Il maggiore era dubbioso, ma in effetti se fossero rimasti lì, il giorno dopo sarebbero stati attaccati e sterminati.

Esaminarono il piano con cura, cercando di prevedere ogni possibile inconveniente. Era un azzardo, che avrebbe potuto concludersi con lo sterminio completo di tutti. Ma poteva anche riuscire.

Infine il maggiore chiamò alcuni dei soldati e dei coloni e trasmise le istruzioni. McCraig avrebbe guidato il gruppo di soldati incaricati di creare il primo diversivo. Avrebbero impegnato gli indiani finché il presunto tentativo di fuga della carovana non fosse stato scoperto.

Appena fu buio incominciarono a preparare tutto.

Quando fu il momento in cui il suo gruppo di uomini doveva incominciare a muoversi, McCraig si avvicinò a Robert e gli disse:

- Saint-Paul, non farti prendere vivo. Non finire vivo nelle loro mani.

Si potevano appena vedere, il cielo era coperto, la notte senza luna. Robert sentì una mano di McCraig stringere la sua. Pensò che quello sarebbe stato l’unico contatto che avrebbero avuto. Il diversivo che aveva ideato li avrebbe separati per sempre, se tutto fosse andato per il verso giusto. Altrimenti si sarebbero ritrovati nella morte.

Un desiderio violento lo prese: voleva abbracciarlo, voleva avvolgere quel corpo possente. Quando la mano di McCraig si staccò, Robert fece un passo avanti e lo strinse tra le braccia. Con la testa sulla spalla, mormorò:

- Addio, Patrick.

Non l’aveva mai chiamato per nome, non l’aveva mai stretto. Ma non l’avrebbe più rivisto. Patrick McCraig ricambiò l’abbraccio.

Robert fece per staccarsi, ma in quel momento successe qualche cosa che non si aspettava. Patrick gli prese la testa tra le mani e lo baciò sulla bocca.

Robert rimase paralizzato, incapace di pensare, travolto da una sensazione fortissima. Nuovamente gli sembrò di essere tornato indietro nel tempo, a un periodo in cui riusciva ancora a emozionarsi.

Patrick si staccò da lui.

- Addio Robert.

 

Robert raggiunse i carri. Tutto era pronto. I carri erano legati tra di loro, in modo che un solo uomo potesse condurli tutti e tre. Nel carro che guidava Robert era stato messo un barilotto di polvere da sparo, con una miccia corta: se gli indiani non lo avessero ucciso prima, Robert avrebbe fatto esplodere il carro, morendo con i suoi inseguitori.

Robert aspettava in silenzio al suo posto. Cercava di non pensare a Patrick, perché non avrebbe più avuto la concentrazione necessaria per portare a termine nel modo migliore la sua impresa.

Ben presto incominciarono gli spari. Robert aspettò qualche minuto, poi si mosse, con grande cautela. Il gruppo guidato da Patrick continuava a sparare e di certo molti indiani si erano diretti da quella parte, ma non tutte le sentinelle avevano abbandonato le loro posizioni.

Robert guidò i carri lungo l’itinerario prestabilito. A un certo punto sentì un grido d’allarme, allora lanciò i cavalli al galoppo. Altre grida risuonarono e poi alcuni spari. Robert sferzava i cavalli per farli correre il più in fretta possibile. Presto sarebbero arrivati i primi inseguitori.

Sentì le grida che si avvicinavano. Tra non molto lo avrebbero raggiunto.

“Non farti prendere vivo” aveva detto Patrick. Sì, lo sapeva anche lui. La tribù dei Kichai, che aveva dato inizio alla rivolta, era nota per la sua ferocia. Robert ripensò ai truci racconti che aveva udito più volte, di prigionieri castrati e squartati ancora vivi, morti dopo ore e ore di torture atroci. Sì, non doveva farsi prendere vivo, a nessun costo.

Quando il primo indiano fu alla sua altezza, Robert sparò. Era un buon tiratore e sentì un urlo strozzato. Un’altra sagoma, appena distinguibile nel buio, comparve dallo stesso lato e nuovamente Robert la abbatté. Era una buona cosa, stava ritardando il momento in cui gli indiani avrebbero scoperto l’inganno, ogni minuto guadagnato era prezioso. Gli spari avrebbero attirato altri indiani, convincendoli che davvero la carovana cercava di fuggire da quella parte.

Per un momento non sembravano esserci altri inseguitori, quelli che aveva ucciso erano solo le sentinelle. Ma le loro urla e gli spari avrebbero attirato gli altri. Se così non fosse avvenuto, il suo piano sarebbe fallito.

E in effetti dopo pochi minuti sentì altre urla in lontananza. Stavano inseguendolo. I carri erano vuoti e quindi si muovevano rapidamente, ma gli indiani a cavallo erano più rapidi.

Ben presto furono vicinissimi. I cavalli, spaventati dalle urla, correvano al massimo delle loro forze. Robert legò le redini e salì sul carro. Raggiunse la corda che legava il suo carro agli altri due e con il coltello la tagliò. I carri si sarebbero separati, forse questo avrebbe confuso per un momento gli assalitori.

Riprese le redini e frustò nuovamente i cavalli. Alcuni cavalieri stavano per raggiungerli. Non poteva vederli, ma sentiva le loro grida. Tra poco sarebbe finita.

 

Alcuni indiani apparvero alla sua sinistra. Robert sparò di nuovo, ma si sentì afferrare. Un pellerossa lo aveva affiancato da destra ed era saltato sul carro. Robert riuscì a fermare il braccio che stava vibrando la coltellata. Lottarono. Robert premette la pistola contro il corpo che lo sovrastava e sparò. Un grido di dolore. Sparò una seconda volta, poi si liberò del corpo ormai inerte gettandolo dal carro. Diversi kichai erano intorno a lui. Era finita. Accese la miccia. Tra pochissimo il carro sarebbe saltato in aria.

In quel momento due uomini saltarono sul carro. Robert sparò ancora, abbattendone uno, ma la seconda volta che premette il grilletto, non ci fu uno sparo: il caricatore era vuoto. Era finita.

L’uomo gli saltò addosso, ma Robert riuscì a bloccarlo prima che lo colpisse con la scure. Lottarono e di colpo Robert si rese conto che stavano cadendo dal carro. L’indiano finì sotto, attutendo la caduta di Robert. Rotolarono avvinghiati. Robert sentì un bruciore alla mano destra e la pistola gli sfuggì. La caduta aveva stordito il suo rivale. Robert lo colpì con un pugno e fece per sollevarsi.

In quel preciso istante avvenne l’esplosione. I cavalli avevano proseguito la loro folle corsa e il carro era saltato in aria a una certa distanza. Robert si sentì investito da un vento caldissimo, ma le fiamme che divoravano il carro non lo raggiunsero.

Alla luce del fuoco, Robert era un bersaglio perfetto. Tre indiani arrivarono al galoppo. Uno si lanciò su di lui brandendo l’ascia. Robert vide la pistola che gli era caduta, la raccolse e la puntò. Era scarica, ma vedendolo armato l’indiano l’avrebbe certamente ucciso.

Un ordine risuonò. L’indiano abbassò l’arma. In tre gli furono addosso. Robert cercò di divincolarsi, ma lo afferrarono e due colpi allo stomaco ebbero ragione di lui.

Era caduto vivo nelle loro mani! Merda! Merda! 

Un indiano a cavallo si avvicinò. Era un capo kichai, certamente era stato lui a dare l’ordine di non ucciderlo. Rimase immobile a guardarlo, poi parlò, con una voce che trasudava odio:

- Ci hai ingannato, ma pagherai per questo.       

Disse qualche cosa ai suoi uomini, che legarono Robert e lo caricarono come un sacco su un cavallo.

Quattro uomini si mossero con lui in una direzione, mentre gli altri tornarono indietro, per inseguire la carovana in fuga. Ma se tutto era filato liscio, la carovana aveva ormai superato la parte più pericolosa, dove per gli indiani sarebbe stato più facile bloccarla. E un messaggero stava galoppando in direzione del forte.

Forse ce l’aveva fatta. Questo era importante. Ma la morte che lo attendeva era orrenda. La paura gli strinse le viscere. Una paura fottuta, che gli premeva la gola con la sua mano di ferro. Cercò di dominarsi, ma la morsa non mollava. Una paura che aveva l’odore intenso dell’indiano che guidava il cavallo, il sapore del manto del cavallo contro cui premeva la sua faccia. Una paura che faceva tutt’uno con la nausea crescente, provocata dalla cavalcata a testa in giù.

Si sforzò di controllarsi, ma passò parecchio tempo prima di riprendere a respirare liberamente.

Allora lasciò che il suo pensiero ritornasse a Patrick. Ora, ora che la sua vita stava per concludersi in un’agonia spaventosa, ora poteva dirselo. Si era innamorato di Patrick McCraig, come Patrick doveva essersi innamorato di lui. Dopo diversi anni, quando ormai aveva creduto che non gli sarebbe più successo, qualche cosa si era ridestato in lui, con una forza nuova, come se il lungo periodo di quiete fosse servito a restituirgli intatta un’intensità di sentimenti da lungo tempo svanita.

Patrick lo aveva baciato. Almeno questo l’aveva avuto. Era stata la cosa più bella della sua vita.

La nausea riaffiorò e con essa l’angoscia per ciò che lo attendeva. Chiuse gli occhi. Pensò ancora a Patrick. Era vivo, lo aveva salvato. Sicuramente era vivo. Solo questo contava. Per questo poteva affrontare quello che lo aspettava, il pensiero gli avrebbe dato forza.

Cavalcarono per tre ore, finché arrivarono a un accampamento, posto in una vallata. Robert non poté vedere nulla: era buio e la testa gli girava.

Lo misero in una tenda, ben legato.

Robert non era in grado di muoversi. Non c’era nulla da fare, se non attendere la morte. Respirò a fondo, per controllare l’ansia prima che lo sommergesse. Riuscì a placarla. Sarebbe morto, lo sapeva, ma ora non voleva pensare alla morte, voleva pensare a Patrick. Per un attimo gli venne da sorridere, rivedendo il suo viso, ricordando la stretta e soprattutto il bacio. 

Rimase a lungo sveglio, poi finalmente si addormentò.

 

Lo destò la luce del giorno. Non si rese subito conto di dov’era, poi la realtà si impose con forza e per un instante la paura gli strinse lo stomaco. Sarebbe morto quel giorno stesso, ma prima del momento in cui avrebbe infine perso i sensi, avrebbe invocato mille volte la morte. Ripensò ai racconti uditi. Non aveva mai visto nulla direttamente, era arrivato da troppo poco tempo in quella regione, ma sapeva che non erano invenzioni e le parole di Patrick erano più che sufficienti a confermarli.

Per alcune ore non successe nulla. Ogni tanto la sentinella sulla porta guardava dentro, ma Robert non poteva certo liberarsi.

Aveva bisogno di pisciare, ma non poteva muoversi.

Poi sentì il rumore di cavalli e molte voci. Altri indiani stavano tornando all’accampamento, probabilmente quelli che la sera prima si erano lanciati all’inseguimento della carovana. Non si sentivano grida festose. Forse l’inganno era riuscito. Il diversivo aveva ottenuto il risultato sperato.

Vennero a prenderlo poco dopo. Gli slegarono i piedi e lo condussero fuori. Fece i primi passi con una certa fatica, le gambe intorpidite dalla forzata immobilità. Appena fuori, si diede una rapida occhiata intorno. L’accampamento era piuttosto piccolo. Probabilmente lì c’era solo una delle bande ribelli. Le tende erano vicino al fianco di una montagna; ai piedi della parete rocciosa, quasi verticale, c’era un grande recinto, con molti capi di bestiame, bovini da una parte e cavalli dall’altra; senz’altro erano stati razziati nella regione.

Gli indiani lo portarono davanti al capo.

- I bianchi sono fuggiti, ma tu sei nelle nostre mani. Questa sera morirai.        

La prima sensazione fu di sollievo. Ce l’aveva fatta, ce l’aveva fatta. Erano vivi. Questo solo contava. Per l’agonia c’era ancora tempo, qualche ora di tempo.

Lo riportarono alla tenda e gli legarono nuovamente i piedi. Non gli diedero da mangiare, né da bere. La sete lo tormentava, ma poteva reggere. In confronto a quello che lo aspettava, la sete non era un problema. Eppure, malgrado la coscienza di ciò che lo attendeva, non era più angosciato. Era riuscito a salvare i suoi compagni, i coloni. Avrebbe pagato un prezzo altissimo per questo, ma era disposto a pagarlo.

Dopo un’ora che era nella tenda, rinunciò a controllare la vescica: tanto si sarebbe pisciato addosso la sera, durante la tortura, ed era meglio farlo in quel momento. Non voleva dare a quei bastardi nessuna soddisfazione, oltre a quelle che non poteva di certo negargli. Pisciare fu un sollievo.

La paura arrivava a ondate. Robert cercò di non cederle, senza però allontanare il pensiero da quello che sarebbe successo, perché voleva prepararsi ad affrontarlo.

Poi la sua mente si perse dietro ai ricordi. E più volte tornò a Patrick, all’uomo che amava e a cui aveva salvato la vita. Non poteva essere del tutto sicuro che Patrick non fosse morto la sera prima, ma era ragionevole pensare che anche lui se la fosse cavata. Pensò a quell’abbraccio, a quel bacio.

La luce del giorno incominciò a calare e la paura ritornò. Divenne buio. Attraverso la tenda poteva vedere la luce di un fuoco che ardeva. Anche in gola gli sembrava di avere un fuoco: la sete era un altro tormento.

Robert attese a lungo. Sperò vagamente che il suo supplizio venisse rimandato, ma sapeva che era assurdo pensarlo. E infatti sentì i tamburi che iniziavano a battere. Quel suono sarebbe diventato sempre più forte, accompagnando la sua fine. I tamburi non avrebbero smesso di suonare prima dell’alba e solo allora gli ultimi colpi avrebbero messo fine alla sua agonia.

Vennero a prenderlo poco dopo. Davanti alle tende era stato sistemato un largo spazio, con un palo al centro.

A quel palo lo avrebbero legato, lì lo avrebbero torturato, castrato, ucciso.

Lo condussero al palo, lo misero con la schiena contro il legno. Robert cercò di non tradire la tensione crescente. Non voleva mostrarsi vile. Un indiano passò dietro di lui per legarlo al palo. Un altro gli si mise di fronte per tagliargli la giacca e la camicia.

Prima però che i due svolgessero il loro lavoro, un violento rumore e le urla delle donne fecero voltare tutti verso la parete rocciosa ai cui piedi si trovavano i recinti degli animali. Fiamme ardevano contro la montagna e gli animali, impazziti di paura, stavano fuggendo verso il punto in cui si trovavano i guerrieri. Cavalli e tori correvano all’impazzata e tutti i guerrieri si gettarono di lato per sfuggire alla carica, che travolgeva tende e uomini.

Robert si disse che sarebbero stati gli animali a ucciderlo, travolgendolo, e non gli indiani. Meglio, molto meglio. Doveva solo staccarsi dal palo e fare un passo a destra o a sinistra, dove i tori correvano. Doveva farlo ora, prima che la mandria finisse di passare. Gli animali evitavano il palo e finché rimaneva dove si trovava, non era detto che venisse ucciso: era possibile che un toro lo urtasse con le corna, ma non era sicuro.

Respirò a fondo, pensò una volta ancora a Patrick, perché voleva morire con la sua immagine negli occhi, e fece per muoversi. In quel momento gli sembrò che l’immagine che aveva in testa si sovrapponesse alla realtà, diversa, ma riconoscibile. Fu sicuro, assolutamente sicuro, di avere un’allucinazione.

Tra gli animali che correvano nella loro direzione, vi era un cavallo, su cui si trovava, accovacciato, un cavaliere. Non poteva vederlo bene, nella polvere che sollevavano gli animali, ma conosceva benissimo quel corpo massiccio, quei capelli biondi. 

Patrick fu al suo fianco e mentre passava lo afferrò e lo sollevò. Solo la forte stretta di quelle braccia lo convinse che era realtà, che non era una visione. Robert si trovò appoggiato con la pancia sul dorso di un cavallo, come il giorno prima. Poi sentì tagliare la corda che legava le sue mani.

- Ce la fai a cavalcare, Robert?

- Sì, certo.       

Patrick lo aiutò a mettersi a cavalcioni. Per un lungo tratto guidò il cavallo tra gli animali che correvano, poi incominciò a spostarsi verso destra, lungo un pendio roccioso. Spronò il cavallo in salita, fino a che arrivarono sulla cresta. Il cielo si era rasserenato e, anche se non c’era la luna, si poteva vedere meglio.

- Qui c’è il mio cavallo. Prendilo tu.

Robert sapeva benissimo perché era meglio che lo prendesse lui: quello su cui erano arrivati era senza sella, e sicuramente Patrick era in grado di cavalcarlo meglio di lui. Patrick sembrava in grado di montare qualunque cavallo.

- Mettiti questo cinturone con le pistole. Se vuoi bere, c’è la borraccia.

Robert si mise il cinturone e bevve. Sentire l’acqua che scendeva nella gola fu passare direttamente dall’inferno al paradiso. Poi salì in groppa.

- Patrick, come diavolo hai fatto?

- Quando abbiamo incontrato la colonna inviata in nostro soccorso, sono tornato indietro, ho seguito le tracce e ho trovato il punto in cui il carro era esploso. Ho pensato che ti avessero catturato e ho seguito le altre tracce fino all’accampamento.

Sembrava semplicissimo, ma era stata una pura follia. Con tutti gli indiani presenti nella zona!

- Non c’erano sentinelle?

- Certo. Due. Li ho uccisi. E ora andiamo. Non è ancora detto che gli indiani non abbiano i nostri scalpi.

Robert avrebbe ancora voluto chiedere, ma non era difficile capire. Patrick aveva appiccato il fuoco e aperto i recinti per far uscire gli animali, approfittandone per liberarlo. Un’impresa impossibile, che era riuscita solo perché gli indiani non si aspettavano di certo un’incursione nemica nel loro accampamento.

 

Si avviarono. Erano in pericolo, certo, si trovavano in pieno territorio kichai. Ma in qualche modo Robert si sentiva tranquillo. In Patrick aveva una fiducia cieca, come tutti i soldati del forte, d’altronde.

Patrick si muoveva con sicurezza, guidando il cavallo su sentieri rocciosi, dove i pellerossa non avrebbero potuto seguire le loro tracce. Robert non sapeva dove fossero, ma non gli importava, non aveva davvero nessuna importanza. Era sfuggito agli indiani. E davanti a lui c’era Patrick. In un lampo pensò che se lui e Patrick fossero riusciti a uscirne vivi, allora… Sentì di nuovo la gola secca.

Patrick era appena una sagoma più scura sul cavallo davanti a lui. Robert cercò di concentrarsi sulla strada che percorrevano. Ogni piccolo errore poteva essere fatale. Ma i suoi occhi tornavano a posarsi su quella schiena larga. E ogni volta era un tuffo al cuore e una tensione nel ventre. Per tutta la notte gli sembrò di muoversi in un sogno.

Cavalcarono fino al mattino successivo. Quando il cielo incominciò a schiarirsi, Patrick guidò i cavalli in un angolo nascosto, una fenditura tra le rocce sopra una parete inclinata. Sistemarono i cavalli in fondo alla fenditura. In alto la parete era ripida, nessuno sarebbe potuto arrivare da quella parte. In basso, da dove erano saliti loro, non potevano essere visti. Loro non avevano lasciato tracce. Praticamente impossibile che qualcuno li scoprisse.

- Dobbiamo dormire di giorno e viaggiare la notte. Troppi indiani da queste parti.

- Questa notte arriveremo al forte, no?

Patrick scosse la testa.

- No, mi sono diretto verso sud, stiamo facendo un giro molto più lungo, in terre indiane. È l’unica via dove quei figli di puttana non ci cercheranno. Perché puoi essere sicuro che tutti i Kichai e i loro alleati ci stanno dando la caccia e se ci trovano… sai quello che ci succede.

Robert annuì.

- Mettiti a dormire. Dobbiamo riposare.

- Io un po’ ho dormito ieri. Tu sei sveglio da due notti. Dormi prima tu.

- Non ti preoccupare per me. Mettiti lì e dormi.

Robert ubbidì: Patrick era troppo testardo perché lui potesse pensare di fargli cambiare idea. E ora che la tensione era calata, sentiva una stanchezza immensa. Si stese in un angolo e si addormentò quasi subito.

Quando si svegliò, gli bastò guardare il cielo per vedere che aveva dormito parecchie ore. Si alzò e si avvicinò a Patrick, che, nascosto dietro ad alcuni massi, sorvegliava la valle.

- Mangia qualche cosa. Non c’è molto, ma per i prossimi tre giorni dobbiamo stringere la cinghia.

Robert si sentiva alquanto affamato. Mangiò con moderazione, poi prese il posto di Patrick, che si mise a dormire.

Dal punto in cui si era messo poteva vedere una zona molto ampia. Non c’era nessuno in vista.

Ora che aveva riposato, mangiato e bevuto, si sentiva in forze. Era abbastanza sicuro che ce l’avrebbero fatta: Patrick conosceva molto bene quelle terre, sapeva quello che faceva.

Patrick dormiva a pochi passi da lui. Ora Robert poteva sentire il suo respiro pesante, quasi un russare. Patrick. Gli venne da sorridere. Si girò a guardarlo. Dormiva su un lato, un braccio teso sopra la testa e uno piegato contro il corpo.

Distogliere lo sguardo e rimettersi a controllare la valle gli costò uno sforzo notevole. Gli sembrava che quel respirare che sentiva fosse un richiamo, a cui era difficile resistere. Si impose di non voltarsi di nuovo, ma stava per cedere, quando sulla cresta davanti a sé vide comparire due indiani, due kichai. Per un attimo rimase senza respiro. Si chiese se svegliare Patrick, ma sarebbe stato inutile. Se i due indiani si fossero diretti verso di loro, avrebbe avuto tutto il tempo per chiamarlo. Altrimenti, era bene che Patrick recuperasse il sonno perduto.

I due kichai osservarono per un buon momento la valle, poi scesero verso il torrente che la percorreva e ne seguirono il corso. La tensione si allentò. Robert si concentrò nella sorveglianza, pur prestando attenzione al respiro di Patrick. Era bello sentirlo ronfare. Ma quel suono e la coscienza della sua vicinanza provocarono in lui una nuova tensione: allungato pancia a terra, Robert sentì che il cazzo gli si induriva. Il desiderio premeva, ma per quello ci sarebbe stato tempo. Se fossero sopravvissuti.

Il sole calò e la valle rimase immersa nell’ombra. Robert si chiese se non fosse meglio svegliare Patrick, ma in quel momento si rese conto che il russare si era arrestato.

- Tutto bene? Hai visto indiani?

Robert si voltò e gli sorrise.

- Solo due, a cavallo, poco dopo che ti eri addormentato. Dalla cresta là davanti sono scesi nel fondovalle e hanno seguito il torrente.

- Benissimo. Sei pronto?

- Sì.

Patrick studiò un buon momento la situazione e quando divenne buio, entrambi si mossero, scendendo lungo la valle. Di nuovo cavalcarono tutta la notte. Il terreno era roccioso e non lasciavano molte tracce.

Verso mattino, Patrick accelerò il ritmo della loro marcia. Evidentemente aveva in testa un luogo preciso in cui voleva arrivare.

- Qui attenzione a non lasciare tracce. Muoviti esclusivamente sulla roccia.

L’avvertimento era superfluo, Patrick si sforzava sempre di rimanere sul terreno roccioso, là dove era possibile.

Entrarono in un vallone, in cui si sentiva il fragore di una cascata. Patrick prese un sentiero che saliva, poi lo lasciò, dirigendosi direttamente verso l’acqua che precipitava. Robert si chiese se intendesse fare una doccia. Ne avrebbero avuto entrambi bisogno, soprattutto lui. Puzzava di sudore e di piscio, peggio di un maiale. 

Giunti quasi sotto la cascata, Patrick scese da cavallo e Robert lo imitò. Attraverso uno stretto passaggio si infilarono dietro la cascata ed entrarono in un’ampia cavità, completamente buia.

- Aspettiamo qui che faccia giorno, poi ci sistemiamo.

Si sedettero e rimasero entrambi in silenzio.

Pochi minuti dopo Robert incominciò a notare che riusciva a distinguere le pareti della cavità. In breve la luce del giorno invase la grotta, filtrata dall’acqua della cascata. Era uno spazio molto ampio. Patrick si occupò dei cavalli: non avrebbero trovato cibo, in quella grotta, ma avrebbero potuto riposarsi e c’era acqua, perché un ruscello scendeva da una fenditura e attraversava la cavità, unendosi al torrente ai piedi della cascata. Bevvero anche loro due e mangiarono un po’ delle scarse provviste.

Robert avrebbe voluto mettersi di vedetta, ma non c’era una posizione da cui potesse osservare fuori, se non andando oltre la cascata, dove avrebbero potuto scorgerlo dalla valle.

- Di qui non si vede se arriva qualcuno. Come possiamo sorvegliare l’ingresso?

- Qui non viene nessuno. È un posto maledetto per gli indiani. Non verranno. Anche se dovessero trovare delle tracce, e non credo che ne abbiamo lasciate, ci aspetteranno fuori. Lasciamo qui i cavalli, se dovesse arrivare qualcuno, li sentiremo muovere. Noi possiamo metterci più in fondo, siamo meno visibili dall’ingresso.

Si spostarono verso l’estremità più interna della grotta.

- Patrick, come sai che questo è un luogo maledetto per gli indiani? Come sai tutte queste cose?

- Sono qui da dieci anni…

Patrick fece per continuare la frase, ma si interruppe. Fissò Robert. E di nuovo i loro sguardi si incatenarono, incapaci di lasciarsi. Ora però quel fissarsi aveva un altro significato, ora non c’era più nessun ostacolo a dividerli, non c’era altra gente, non c’era nessun diversivo.

Senza distogliere lo sguardo, Patrick si tolse la giacca e la camicia e le gettò a terra. Robert continuava a fissarlo in viso, ma poteva vedere il torace possente coperto da una fittissima peluria bionda che gli arrivava fin sulle spalle. Patrick rimase fermo, come in attesa.

Robert deglutì. Si tolse anche lui la giacca strappata e la camicia. Allora fu di colpo cosciente del proprio corpo, robusto ma meno massiccio di quello del suo compagno, e del pelame nero che gli copriva il torace e il ventre, più corto e meno fitto di quello di Patrick.

Ora erano l’uno davanti all’altro, entrambi a torso nudo. Patrick lo contemplava e Robert si sentiva la gola secca. Gli sembrava che la testa gli girasse. Si sedette, si sfilò gli stivali, poi i pantaloni e le mutande, rimanendo nudo. Guardò Patrick, ma non si alzò, assalito da una debolezza improvvisa, che gli tagliava le gambe.

     

Patrick si sedette di fronte a lui e finì di spogliarsi.

Quando gli vide il cazzo magnifico, non ancora completamente rigido, ma già sollevato, proteso in avanti, Robert ebbe la sensazione che il mondo vacillasse. Non riuscì a staccare gli occhi da quella sciabola di carne, che stava drizzandosi e crescendo ancora di volume, fino a porsi in verticale, contro la selva di peli del ventre, massiccia e conturbante.

Erano seduti a nemmeno un passo l’uno dall’altro, ma Robert non riusciva a muoversi. Il fiato gli mancava. Il cuore batteva all’impazzata. Non riusciva a capire: manco fosse stata la prima volta che scopava! Ma non aveva mai scopato con qualcuno che lo attraesse come Patrick, non aveva mai scopato con qualcuno che avesse amato davvero.

Patrick si mise in ginocchio. Ora era di fianco a lui. Gli spinse la schiena a terra. Poi gli passò sopra e si stese su di lui. Robert sentì il peso di quel corpo nerboruto che lo schiacciava al suolo e pensò che non aveva mai desiderato altro nella vita. Una sensazione di calore si diffuse in tutto il suo corpo. Sentì l’odore, intenso. Odore di sudore, di maschio.

La bocca di Patrick si avvicinò alla sua e le loro labbra si incontrarono, come era già avvenuto, ma questa volta la lingua di Patrick uscì e si fece strada tra le labbra e i denti di Robert.

Questo non gli era mai successo, molto di rado aveva baciato un uomo o, più esattamente, di rado qualcuno aveva baciato lui e quei baci non lo avevano toccato in profondità. Ora invece fu una sferzata, che lo fece vibrare. E le mani, le mani di Patrick sulle sue guance, tra i suoi capelli. Robert chiuse gli occhi e lasciò che la marea di quelle sensazioni violente lo trascinasse lontano, avvinghiato a quel corpo che ora stringeva spasmodicamente: le sue mani serravano il culo di Patrick, come se fosse una roccia sull’orlo di un precipizio. 

La lingua di Patrick si ritirò. Patrick sollevò un po’ il viso e lo guardò. Robert aprì gli occhi e fissò il viso sopra il suo. Parole d’amore gli vennero alle labbra, ma provò vergogna e tacque. Una mano accarezzò il volto di Patrick, esitando, in una dichiarazione muta.

Patrick si sollevò, poggiando le ginocchia ai lati del corpo di Robert, e si sedette sul suo ventre. Ora Robert poteva sentire il culo di Patrick premere contro il suo cazzo, non meno teso di quello del compagno.

Guardò incantato la grande asta che troneggiava e di nuovo lo prese una vertigine. Alzò le mani e accarezzò il torace di Patrick. Le dita si perdevano nell’intrico di peli, li stuzzicavano, tirandoli, li solleticavano. Ma le mani scendevano, attratte inesorabilmente dal bastone di carne. Gli scivolarono di fianco, timorose di un contatto, poi si fecero coraggio e sfiorarono la pelle calda, scesero delicatamente ai lati, fino a incontrare i coglioni, che riposavano sul suo ventre, grandi e coperti da una vegetazione lussureggiante.

Robert chiuse gli occhi, aveva la sensazione di essere trascinato in un vortice. Le sue mani scivolarono lungo le cosce di Patrick, poi si arresero contro il suolo. Non aveva più la forza per muoverle. Guardò il viso di Patrick, sorridente, e gli parve che ondeggiasse. Patrick corrugò la fronte.

- C’è qualche cosa che non va, Robert?

Robert scosse la testa. Chiuse gli occhi e, senza più vedere, lasciò che le sue labbra si aprissero per lasciare uscire quanto premeva dentro.

- Ti amo, Patrick.

Provò vergogna. Riaprì gli occhi e guardò Patrick, che sorrideva.

- Anch’io. Tanto che averti vicino mi faceva stare male.

Non dissero altro. Non era necessario.

Patrick incominciò a percorrere il corpo di Robert con le mani. Mani grandi, forti, dalla pelle un po’ scabra, ora pesanti e ruvide, ora leggerissime, quasi aeree. Dita che gli stringevano i capezzoli, gli si infilavano tra i denti, gli accarezzavano una guancia, gli disegnavano sul torace e sul ventre volute. E Robert avrebbe desiderato rimanere per sempre così, lasciando che quelle mani risvegliassero nel suo corpo nuove melodie, mentre il culo di Patrick gli premeva sul ventre e sul cazzo teso. Il movimento continuava e Robert sentì che le forze gli tornavano. Alzò le braccia di nuovo verso quel corpo massiccio, lambì il ventre, ritornò all’arma poderosa che lo sovrastava, la prese a piene mani, ne sentì il calore, il volume, la pienezza. Pensò che non aveva mai visto nulla di tanto bello.

Patrick tornò a stendersi su di lui, lo baciò ancora sulla bocca. Di nuovo la sensazione del peso sopra di sé, l’odore intenso, il contatto tra le loro lingue. Patrick si muoveva, avanti e indietro, e i loro due cazzi strusciavano uno contro l’altro. Era un piacere intensissimo, tanto violento da togliere il fiato. E di colpo Robert si rese conto che stava per venire, senza che altro fosse successo tra loro, solo per quel contatto tra i due corpi, tra i due sessi.

Chiuse gli occhi ed emise un mugolio, che crebbe fino a diventare un urlo, mentre tutto il suo corpo era percorso da brividi di piacere e il getto prorompeva violento. Mai aveva goduto tanto.

Anche Patrick stava raggiungendo il piacere. Lo sentì respirare affannosamente e poi il ventre fu inondato da un liquido caldo, mentre Patrick lanciava un grido strozzato.

Rimasero distesi e Robert sentì ancora le mani di Patrick che lo accarezzavano.

Poi Patrick gli sorrise:

- Vorrei continuare tutto il giorno, ma dobbiamo riposare. Diamoci una lavata e poi ti metti a dormire.

Patrick lo baciò ancora e si alzò. Robert lo contemplò. Il cazzo era ancora gonfio, anche se non più eretto, e visto da sotto appariva enorme. Che cosa avrebbe provato se Patrick glielo avesse messo in culo? L’idea lo spaventava, ma sapeva di desiderarlo. Sorrise a Patrick e si alzò.

Si lavarono, prima Patrick, poi Robert. Guardare Patrick nudo che si bagnava provocò in Robert una nuova, intensa, erezione, ma il tempo stringeva, dovevano sfruttare al massimo le ore a disposizione per riposare. Gli dispiaceva, ma non aveva davvero importanza. E poi era bellissimo vederlo nudo, il grande cazzo un po’ sollevato. Era bello vederne il sorriso. Robert si disse che non era mai stato così felice.

Lavarsi sotto lo sguardo di Patrick, leggere nei suoi occhi il desiderio, fu quasi altrettanto bello.

- Mettiti a dormire, ora.

- Tu non dormi?

Patrick lo aveva già detto, ma Robert chiese ugualmente. Gli avrebbe fatto piacere dormire a fianco di Robert.

 - No, meglio fare i turni. Non verrà nessuno, ma proprio farsi trovare addormentati tutti e due sarebbe troppo.

Robert sorrise.

- Avrei voluto dormire abbracciato a te.

Si vergognò di quello che aveva detto, non aveva mai desiderato di dormire tra le braccia di un uomo, non l’aveva di certo mai detto a nessuno, ma ora era un desiderio fortissimo.

Patrick gli rispose con un sorriso.

- Si può fare.

Si mise seduto contro la parete, in una posizione da cui poteva vedere bene l’ingresso e i cavalli, poi stese le braccia. Robert non capiva bene come avrebbe dovuto mettersi, ma Patrick lo guidò ad appoggiarsi su di lui, la testa sul ventre, il corpo tra le gambe. Poi gli passò un braccio intorno alle spalle. Robert pensò che non avrebbe potuto immaginare una posizione migliore per dormire. Non era forse la più comoda, ma era perfetta.

Si addormentò quasi subito e dormì un sonno profondo.

Quando si risvegliò era ancora nella posizione in cui si era addormentato. Stava così bene, che sarebbe volentieri rimasto disteso. Ma Patrick doveva riposare. Guardò Patrick, che gli accarezzò la testa. Robert la scosse un po’ e sfregando la guancia contro i pantaloni di Robert ne sentì l’erezione. Allora si sollevò un po’ e guardò Patrick negli occhi. Ne vide il sorriso. Si riabbassò, mettendosi quasi completamente disteso a terra, e aprì i pantaloni di Patrick. Ora, a una spanna dal suo viso, poteva vedere l’imponente asta di Patrick, perfettamente tesa.

Senza pensare, avvicinò la bocca e ne avvolse la cappella tra le labbra. Non l’aveva mai fatto, non aveva mai in vita sua preso in bocca il cazzo di un uomo. Per un attimo ebbe timore di quello che avrebbe potuto pensare Patrick. Lo avrebbe disprezzato? Una volta un soldato glielo aveva succhiato. A Robert era piaciuto, ma dentro di sé aveva perso ogni stima di quell’uomo. E ora stava facendo la stessa cosa. Ma il cazzo di Robert era caldo ed era bello sentirlo tra le labbra, in bocca. Era splendido passare la lingua sulla cappella. Robert si disse che certamente Patrick lo avrebbe considerato una troia e nient’altro, eppure in fondo sapeva che non era così, che il loro legame era tanto forte da rendere impossibile il disprezzo.

Le sensazioni che arrivavano da quella carne fremente finirono per cancellare ogni pensiero e Robert si abbandonò completamente al piacere di leccare, succhiare, mordicchiare leggermente. A tratti lasciava la cappella in libertà e scorreva con la lingua lungo il cazzo, fino ai coglioni, oppure mordeva leggermente quel grosso bastone nodoso, poi ritornava al boccone più appetitoso, lo accarezzava con la lingua, lo avvolgeva completamente, quasi volesse inghiottirlo.

- Robert, sto per venire.

Robert non si ritrasse. Voleva sentire il gusto del seme di Patrick, voleva berne lo sborro. Sì, voleva che Patrick gli venisse in bocca. Sentì la prima scarica, un fiotto asprigno, e poi le altre. Le inghiottì, accarezzò ancora la cappella con la lingua, ma Patrick gli strinse la testa tra le mani, fermandolo.

- Ora basta.

Robert sollevò la testa e guardò Patrick in viso. Aveva un po’ di paura, ora, ma nel sorriso felice di Patrick non c’era traccia di disprezzo o condanna.

- Grazie, Robert, è stato bellissimo.

Robert si alzò e avvicinò la sua bocca a quella di Patrick. Si baciarono. Poi Robert pisciò in un angolo, bevve e si mise a sedere al posto di Patrick, che si distese a dormire su di lui.

Era bellissimo, una sensazione intensissima, come quando si erano amati. Vedere il corpo di Patrick abbandonato contro il suo, nel sonno, sentirne il peso sulla coscia e sul ventre, c’era qualche cosa di più bello al mondo?

Patrick dormì prfondamente. Robert era sicuro che nei loro turni di guardia, Patrick aveva vegliato assai più di lui. Cercò di non muoversi, per non disturbarne il sonno. Non era facile, era scomodo rimanere a lungo immobile con quel peso sulla gamba. A tratti l’eccitazione cresceva e il cazzo gli diventava duro. Sentire il corpo di Patrick contro il suo e non poterlo stringere era il supplizio di Tantalo, ma quella tortura era dolcissima.

 

Quando vide che la luce del giorno stava svanendo, chiamò Patrick. Si baciarono, bevvero e mangiarono ancora.

Poi prepararono i cavalli e Patrick andò in avanscoperta per controllare la situazione. Non c’era nessuno. Uscirono dalla caverna e ripresero a muoversi, seguendo il corso del torrente.

 

Quella notte si imbatterono due volte negli indiani.

Due ore dopo il tramonto li sentirono passare poco oltre il punto in cui si trovavano. Si fermarono un buon momento, poi ripresero il cammino.

Più tardi, nel cuore della notte, si accorsero che qualcuno si muoveva dietro di loro. Nuovamente si nascosero e alla luce del quarto di luna, videro quattro indiani superare il punto in cui si trovavano.

Quando furono scomparsi, Robert sussurrò:

- Si direbbe che non si siano accorti di noi.

- Non ci sperare, seguivano le tracce, non vedendole torneranno indietro. Rimaniamo qui. Tu controlla da quella parte, io da questa.

Passò una mezz’ora e Robert incominciò a dirsi che forse Patrick si sbagliava, ma in quel momento sentì un leggero fruscio alle loro spalle. Fece appena in tempo a voltarsi, che due indiani si avventarono su di lui. Robert e Patrick fecero fuoco insieme e i due si abbatterono al suolo. Gli altri due arrivarono di corsa e furono anch’essi abbattuti.

- Presto, dobbiamo andarcene di qui. Se ce ne sono altri nei dintorni, verranno tutti qui.      

Salirono a cavallo e si allontanarono rapidamente. Dopo un’ora lasciarono la valle lungo cui si erano mossi, infilandosi in un canalone. Robert si stupiva che Patrick conoscesse quei luoghi così bene da poter muoversi con tanta sicurezza anche di notte.

Quando il cielo incominciò a schiarirsi a oriente, cercarono rifugio tra i massi e i cespugli di un pendio roccioso. Era una buona posizione, piuttosto nascosta. Sdraiandosi dietro alcune rocce, potevano agevolmente controllare la valle senza essere visti. Sistemarono i cavalli in modo che non fossero visibili.

- Quando arriveremo al forte? Se ci arriviamo, naturalmente.

- Domani mattina. Ma oggi non bisogna abbassare la guardia nemmeno un minuto. Abbiamo lasciato quattro cadaveri, una traccia piuttosto consistente.    

- Va bene. Oggi faccio io il primo turno di guardia. 

Robert si stese a pancia in giù, senza aspettare che Patrick rispondesse. Era in effetti un ottimo punto di vista, difficilmente qualcuno avrebbe potuto avvicinarsi senza che loro se ne accorgessero.

Sentì le mani di Patrick sul culo. Una carezza delicata, che divenne energica, poi una stretta vigorosa che strappò a Robert un gemito.

Avrebbe voluto scherzare, dire a Patrick che stava approfittando della sua posizione, ma il fiato gli mancava. Le mani di Patrick si muovevano sicure ed erano tizzoni che incendiavano tutto il suo corpo. Robert lanciò un grido soffocato.

- Sì!

Voleva che Patrick lo baciasse, lo abbracciasse, lo stringesse. Voleva che quelle mani non smettessero mai.

Le sentì passare sotto di lui, slacciargli la cintura, sfilargli gli stivali e poi togliergli i pantaloni. Un brivido lo percorse. “Adesso! – pensò – Adesso me lo mette in culo!”

Patrick si chinò su di lui e Robert sentì un morso al polpaccio destro, forte. Gemette. Patrick morse ancora, più volte, ora una gamba, ora un’altra, come se tutto quello che l’interessava fosse l’area tra il ginocchio e la caviglia. Dopo un buon momento passò la lingua dietro un ginocchio e poi dietro l’altro. Poi incominciò ad accarezzare le cosce, prima dalla parte esterna, poi da quella interna. Era una carezza a tratti delicata, a tratti energica, che faceva vibrare tutto il corpo di Robert.

Le mani di Patrick non procedevano e quell’attesa esasperava Robert. Voleva sentirle sul culo, voleva gustarne la forza.

Sentì invece i denti di Patrick, che lo mordevano senza pietà. Gemette. Poi il morso divenne un bacio, un altro, molti altri e poi ancora morsi, baci, morsi che gli torturavano il culo ed esasperavano il suo desiderio.

Poi Patrick ritornò ad accarezzargli le gambe e le cosce, mentre Robert fremeva d’impazienza, il cazzo teso allo spasimo.

Le mani di Patrick gli afferrarono il culo e strinsero con forza. Robert sussultò e in quel momento sentì la lingua di Patrick che dall’estremità superiore del solco tra le natiche saliva un po’, per poi ridiscendere e percorrere tutto il solco, prima in una direzione, poi nell’altra.

Mai nessuno lo aveva fatto. Qualche volta glielo avevano messo in culo, altre volte aveva inculato lui, ma non c’era stato molto altro. E ora invece il piacere era tanto intenso che faceva fatica a non urlare. La lingua si mosse ancora, indugiò sull’apertura segreta, la forzò. Robert gemette.

Patrick si distese su di lui e Robert ne sentì il grande cazzo premere contro il solco. Patrick incominciò a muoversi lentamente, sfregando il sesso tra le cosce, e Robert capì che intendeva venire così, su di lui, non dentro di lui.

- Patrick…

Patrick si fermò.

- Che cosa c’è?

- Entra dentro di me.

Patrick esitò un attimo.

- Robert, non voglio farti male.

- Cazzo, Patrick, non ce la faccio più. Mettimelo in culo!

Patrick esitò un attimo, poi si sollevò e si mise a sedere sulle cosce di Robert. Due dita bagnate inumidirono ancora il solco e indugiarono sull’apertura. Si allontanarono e ritornarono, questa volta spingendosi con delicatezza all’interno. Era una sensazione bellissima e Robert mugolò di puro piacere. Le dita seguirono lo stesso percorso tre volte, poi Patrick si stese nuovamente su Robert e gli sussurrò:

- Dimmelo se ti faccio troppo male… Robert, sei sicuro… 

- Sì, Patrick, sì!

Robert sentì la massa di carne calda che forzava l’ingresso. Man mano che il palo penetrava, con lentezza infinita, il piacere abbacinante si mescolava a un dolore cupo. Era una sensazione violentissima, che mozzava il fiato. Piacere allo spasimo e dolore sordo, entrambi che continuavano a crescere, a moltiplicarsi.

- Ce la fai Robert?

- È bellissimo, Patrick.

Lo era, doloroso, ma splendido. Troppo intenso, perché Robert si rese conto che già stava per venire. Sarebbe voluto venire insieme a Patrick, ma il suo desiderio stava esplodendo, feroce, e il suo seme sgorgava.

Chiuse gli occhi, incapace di tenerli ancora aperti. Quando l’ondata di piacere fu passata, li riaprì e guardò la valle. Nessuno in vista. Sorrise. Non stava facendo buona guardia.

Dentro di lui il palo avanzava. Ora il dolore cresceva. Patrick si fermò. Forse si era accorto della sua sofferenza.

- Vuoi che esca, Robert?

- Vorrei che tu rimanessi così per sempre.

Era vero, perché malgrado il dolore, c’era in quella lenta avanzata, in quel dilatarsi delle sue viscere, in quella sensazione di essere completamente riempito, un piacere profondo che dal culo si espandeva in ogni fibra del suo corpo.

Patrick riprese ad avanzare, poi si fermò e incominciò a muoversi, con lentezza, dentro di lui, avanti e indietro. Era una sensazione bellissima, anche se non scevra da dolore.

Robert si rese conto di essere nuovamente eccitato.

Patrick spingeva con maggiore decisione, il dolore cresceva, ma il piacere lo sovrastava. Le spinte aumentarono di velocità e intensità, accendendo lampi di sofferenza e ondate di godimento. Infine Patrick venne, con un suono sordo, quasi un grugnito, e Robert sentì che il seme gli riempiva le viscere. E allora, per la seconda volta, l’ondata dell’orgasmo lo travolse.

Rimasero un buon momento distesi. Robert era incapace di parlare.

- Ti ho fatto molto male?

- No, Patrick, è stato bellissimo. Rimani un po’ dentro di me.

Restarono così ancora un buon momento, poi Patrick si alzò e si rivestì e Robert fece altrettanto, rimettendosi poi subito di vedetta. A metà giornata Patrick gli diede il cambio.

A sera, quando salì a cavallo, Robert sentì una fitta acuta al culo. Ma c’era in lui una sensazione di gioia talmente forte, che non avrebbe rinunciato nemmeno a quel dolore. La sofferenza era il sigillo dell’incontro dei loro corpi, impresso nella sua carne.

 

Quella notte non incontrarono indiani. All’alba si trovavano a poche miglia dal forte. Si sincerarono che non ci fossero nemici nelle vicinanze e proseguirono il viaggio di giorno.

Robert aveva male al culo e desiderava ardentemente arrivare per potersi fermare e riposare. E per poter stare con Patrick senza doversi preoccupare d’altro. Al forte avrebbero potuto amarsi tranquillamente. Purtroppo non sarebbe stato possibile dormire tutta la notte insieme, c’era il rischio di venire scoperti. Ma se avessero trascorso le serate in camera dell’uno o dell’altro, non avrebbero destato sospetti.

Arrivarono senza intoppi. Da un lato del forte era stata costruita una palizzata per difendere l’accampamento dei coloni: difficilmente il forte sarebbe stato attaccato, era troppo ben difeso, ma un’incursione notturna non poteva essere esclusa.

Il loro arrivo suscitò un grande entusiasmo tra i coloni che sapevano della spedizione di McCraig per salvare Saint-Paul o almeno recuperarne il corpo, ma avevano ormai poche speranze di rivederli vivi.

Il maggiore Friedman accolse con gioia evidente Robert, ma salutò Patrick con una certa freddezza e quando gli disse che era felice di rivederlo vivo, c’era una chiara nota ironica. Robert non capì, ma non se ne preoccupò.

Il comandante del forte si congratulò con i due ufficiali, lodandoli senza riserve. Dopo aver ascoltato il resoconto delle loro imprese, li invitò a riposare e rimanere in libertà tutto il giorno. Fu a quel punto che il maggiore intervenne.

- Il tenente McCraig è in punizione per dieci giorni, agli arresti.

Patrick non si mostrò stupito e neanche il comandante. L’unico a essere sorpreso fu Robert, che disse:

- Ma, signor maggiore, McCraig mi ha salvato la vita…

- Sì, ed è per quello che è solo agli arresti e non lo metto al muro.

Robert non disse più nulla. Avrebbe chiesto più tardi a Patrick una spiegazione, ma sapeva già com’era andata: di certo Patrick era partito per salvarlo nonostante il parere contrario del maggiore (per non dire: l’ordine tassativo di rimanere con gli altri). Il comandante sorrideva: doveva essere al corrente del motivo della punizione, ma non se ne preoccupava. Rientrava nel rapporto a volte burrascoso, ma sempre di grande stima reciproca, che esisteva tra il maggiore e McCraig. Anche questa volta McCraig non avrebbe ricevuto la promozione che si era meritato con la sua impresa.

Il comandante si rivolse ai due tenenti.

- Fort Greystone è stato abbandonato. In questa situazione non è difendibile. Perciò i militari di stanza laggiù si sono stabiliti qui. Abbiamo dovuto risistemare gli spazi disponibili, per accogliere tutti. Le camere degli ufficiali devono ospitare due persone. Abbiamo lasciato la sua camera vuota, Saint-Paul, nella speranza che lei tornasse, e vi abbiamo trasferito i suoi effetti, McCraig. Temevamo che quella camera rimanesse disponibile e sono felice che entrambi i suoi occupanti possano riprenderne possesso. Potrà tenere compagnia al suo salvatore, Saint-Paul, in questi giorni in cui è agli arresti.

Robert si disse che era il migliore colpo di culo che gli fosse mai capitato in tutta la sua vita. E che avrebbe comportato un notevole aumento del male al culo.

Come in effetti fu.

 

2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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