Uomini e lupi

 

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Nicola guardò la lupa correre verso il bosco e poi scomparire tra gli alberi. Quando non la vide più, alzò gli occhi verso il cielo. Da occidente le nuvole avanzavano compatte e l’aria era fredda. Forse nella notte sarebbe nevicato. Non giù al paese, ma lì in alto, la neve sarebbe scesa presto. L’autunno era arrivato: i larici si erano vestiti di giallo e tra poco sarebbero rimasti spogli. L’inverno si avvicinava. Lì, all’alpeggio in rovina, l’autunno viveva poco, l’inverno lo avvolgeva in fretta nel suo manto di gelo, per poi regnare incontrastato fino a giugno. Quando al paese la primavera già trionfava, lassù l’inverno non mollava la presa. Non era un caso se quell’alpeggio era stato abbandonato anni prima: in quel luogo la natura era troppo avara, anche per la razza tenace dei montanari, abituati ad accontentarsi di poco.

In inverno sopravvivere ad alta quota sarebbe stato ben difficile, anche se Nicola non soffriva il freddo. Il problema sarebbe stato trovare cibo: la selvaggina era scarsa. Doveva passare in un’altra valle, dove avrebbe potuto muoversi più liberamente.    

Giù al paese era meglio che non scendesse. A meno di non abbandonare la montagna, proseguendo oltre il paese, oltre il valico, giù fino alla costa. Poteva farlo, superando il paese di notte. Non sarebbe stato difficile. Ma Nicola era figlio dei monti, del freddo intenso dell’inverno, dei silenzi stretti nella morsa del ghiaccio. E la lupa non l’avrebbe seguito.

Non poteva lasciarla, lo sapeva, le loro vite erano legate. Ma rimanere nella vallata era troppo pericoloso. Gabriele lo aveva avvisato già alcune notti prima: gli uomini del paese intendevano ucciderlo.

L’ultima apparizione di Gabriele lo aveva molto turbato. Gabriele ritornava nei suoi sogni da anni, da quel giorno di maggio in cui l’avevano ammazzato come una bestia feroce, giù alla gola del Diavolo, dieci anni prima.

Nicola aveva allora solo dodici anni e Gabriele ventidue. Erano cugini. Nonostante la differenza di età, erano molto legati. Gabriele gli aveva insegnato la vita dei boschi, lo aveva guidato per mano, con pazienza e dolcezza, alla scoperta del mondo, assai più di quanto non avesse fatto suo padre. 

     

Dal giorno della sua morte, Gabriele gli era apparso più volte in sogno. Ma erano visioni talmente nitide, che spesso Nicola si era chiesto se fossero davvero sogni.

Vedeva Gabriele fermo contro la porta della stanza. La sua voce destava Nicola dal sonno e gli dava un consiglio, un’indicazione, un avvertimento. Se c’era la luna piena, Nicola poteva vedere abbastanza chiaramente la sagoma di Gabriele. Altrimenti c’era solo un’ombra, che dopo aver parlato apriva la porta e scivolava fuori, in silenzio.

Un giorno Nicola si era alzato non appena Gabriele era uscito. Dalla porta aveva fatto in tempo a vedere l’ombra dileguarsi nel bosco e gli era sembrato che accanto a quella figura massiccia che conosceva bene ci fosse il profilo di un lupo.

Gli avvertimenti di Gabriele avevano sempre un senso preciso, che trovava conferma nella realtà. E quando Gabriele gli aveva detto che avrebbe trovato il suo coltello ai piedi del grande larice, vicino alla cascata, il coltello era davvero lì, come se fosse stato messo apposta. Nicola conservava quel coltello, che era appartenuto a Gabriele, e non se ne separava mai.

C’erano stati anche altri sogni, soprattutto negli ultimi anni. Gabriele che lo abbracciava, che lo baciava, che lo spogliava. Tra le braccia di Gabriele, Nicola era venuto più volte, ma quelli erano davvero solo sogni, che apparivano reali sul momento, ma spesso contenevano elementi assurdi, e quando il piacere ridestava Nicola, di Gabriele non c’era traccia. Quei sogni turbavano Nicola, assai più delle visioni in cui Gabriele sembrava avere la consistenza della realtà. Perché quei sogni gli dicevano quello che lui era.

Nicola sapeva di non essere come gli altri e con il passare del tempo, anche gli altri, in qualche modo, avevano incominciato a intuirlo. Le ragazze, che un tempo si avvicinavano spesso a lui e lo stuzzicavano, ora lo evitavano. Di amici non ne aveva, anche se aveva un buon carattere e di rado litigava. Ma amava stare da solo, passava giornate intere a cacciare per i monti, anche prima che la situazione precipitasse, prima della lupa.

     

L’incontro con il cucciolo di lupo non lo aveva stupito. In fondo l’aveva già capito. Il suo affetto per Gabriele, la presenza di Gabriele in quelle visioni notturne, i sogni che facevano ardere il suo corpo, tutto portava nella stessa direzione. Lui non era come gli altri, lui era un uomo-lupo, di quella razza odiata dai valligiani, una razza che legava con i lupi e viveva secondo altre regole e leggi.

Anche Gabriele aveva trovato un cucciolo di lupo, quando aveva diciott’anni, ed era riuscito a nasconderlo. Se lo avessero visto, li avrebbero uccisi subito entrambi. Non ne aveva parlato con nessuno, ma a Nicola lo aveva raccontato, quando lui aveva compiuto undici anni. La fiducia di Gabriele nei suoi confronti aveva stupito Nicola: lui era appena un ragazzino. Eppure Nicola sapeva che quella fiducia era ben riposta, che lui non avrebbe mai tradito Gabriele.

Poi gli uomini del paese avevano scoperto il lupo. Ci avevano messo quattro anni, ma l’avevano scoperto. E avevano ammazzato Gabriele, sparandogli e facendolo precipitare nella gola del Diavolo. Meglio così, tanto un funerale cristiano a un uomo-lupo, nessuno l’avrebbe mai fatto, anche se adesso giù in città il vescovo diceva che quelle erano tutte leggende.

A Gabriele aveva sparato Morutri, che tre giorni dopo avevano trovato morto, la gola squarciata dal morso di un lupo.

Tutti nel paese sapevano degli uomini-lupo. Un tempo, quando ne uccidevano uno, ne mettevano la testa su un palo ed il corpo lo facevano sbranare dai cani. Allora il parroco benediceva i cacciatori che avevano fatto fuori la bestia immonda. Adesso era diverso, la Chiesa condannava la caccia agli uomini-lupo, ma il parroco li invitava a vigilare: lui agli uomini-lupo credeva, come tutta la gente del paese, sapeva che erano schiavi di Satana. La Chiesa non li perseguitava più solo perché si erano diffuse le idee blasfeme che venivano dalla Francia, ma sbagliava.

Da bambino Nicola aveva chiesto che cosa facevano gli uomini-lupo. Erano al servizio del demonio, gli dicevano, vivevano con i lupi, erano bestie essi stessi, odiati da Dio, uccidevano i bambini nel sonno, portavano sciagure su tutto il villaggio. Altre cose le aveva sentite dire dagli adulti vicino al fuoco, quando pensavano che nessuno dei bambini potesse sentirli. Gli uomini-lupo si accoppiavano con le lupe, si accoppiavano tra loro. Bestie, nient’altro che bestie, ma bestie dannate.

Poco prima che Gabriele venisse ucciso, Nicola aveva capito che gli uomini del villaggio progettavano qualche cosa. Due giorni prima suo padre gli aveva detto che era meglio che si tenesse alla larga da Gabriele, gli aveva proibito di vederlo. Suo padre non aveva cercato di avvisare Gabriele, anche se era il figlio di suo fratello.

Il giorno dopo Nicola aveva sentito i discorsi degli uomini, nel cortile di casa, e la sera era scivolato fuori per correre ad avvertire Gabriele di stare in guardia, ma suo padre lo aspettava dietro l’angolo: l’aveva fermato, l’aveva preso a cinghiate e poi l’aveva chiuso a chiave in una stanza.

Quando infine l’aveva lasciato uscire, Gabriele era già stato ammazzato. Per Nicola era stato un dolore atroce, che si era portato dentro per un anno, fino a che Gabriele non gli era comparso per la prima volta in sogno. Allora la sofferenza per la sua morte si era attenuata, perché Gabriele lo guidava ancora, anche se a distanza, gli faceva sentire il suo affetto ed infine gli aveva donato il coltello.

  

E a vent’anni anche Nicola aveva trovato il cucciolo di lupo, il segnale dell’antico legame: tutti gli uomini-lupo trovano un cucciolo di lupo, si affezionano a lui, lo allevano e tra l’uomo e l’animale nasce un’amicizia profonda che neppure la morte scioglie. Ad ammazzare Morutri era stato il lupo di Gabriele, questo era noto a tutti.

Il lupo di Nicola era una femmina. Nicola pensava alle cose che si dicevano degli uomini-lupo. Non gli era mai passato per la testa di accoppiarsi con la lupa, era un’idea folle. E nessun diavolo era mai apparso a chiedergli qualche giuramento, a ordinargli di baciargli il culo, come dicevano i vecchi del paese. Fantasie assurde, partorite dalla paura. Nicola viveva come prima, senza fare male a nessuno. Ma non appena lo avessero scoperto, lo avrebbero ammazzato.

     

Quel mattino Nicola li vide. Salivano dalla valle, avevano lasciato il pascolo di Genzana. Erano ben decisi a ucciderlo, se lo venivano a cercare nella sua tana. Non si preoccupavano neanche di nascondersi.

Non c’era altra soluzione: doveva superare il passo e spostarsi in una delle altre valli.

Gli uomini erano molto distanti: non sarebbero arrivati prima di due ore. Nicola prese le sue cose e si avviò rapido. La lupa non era con lui, ma l’avrebbe raggiunto facilmente: con il suo fiuto, l’avrebbe ritrovato senza problemi.

Passò attraverso il bosco, badando a non lasciare tracce. Gli uomini non avevano i cani, non l’avrebbero trovato. Ben presto fu in vista del colle. L’avrebbe raggiunto prima del tramonto e poi si sarebbe cercato un riparo per la notte.

Ora stava seguendo il sentiero, una traccia appena visibile, spesso interrotta, che saliva verso il colle. Non c’erano molte alternative, in quel punto. Era il posto ideale per tendere un agguato, ma lui non intendeva ammazzare gli uomini del paese, anche se loro salivano per ucciderlo.

Mentre pensava a quelli che erano stati amici suoi o di suo padre ed ora volevano scannarlo, avvertì un movimento tra gli alberi.

Si gettò a terra, ma non abbastanza in fretta per sfuggire al colpo. Il dolore alla spalla destra lo stordì e il fucile gli sfuggì dalle mani, scivolando qualche metro più sotto. Avrebbe dovuto raccoglierlo, ma Matese era uscito dal suo nascondiglio e già gli stava puntando addosso l’arma. Nicola sapeva che era finita. Lo avevano attirato in una trappola, Matese era salito la notte precedente, tenendosi lontano dal suo rifugio, per appostarsi al passo ed ucciderlo.

- Crepa, bestia fottuta!

Lo sparo risuonò prima che Matese premesse il grilletto. Allibito Nicola vide un foro rosso sulla fronte di Matese, da cui il sangue sgorgava, mentre l’uomo barcollava e poi cadeva al suolo.

Nicola si volse verso la parte alta della gola, da dove era stato tirato il colpo. Conosceva benissimo la figura che scendeva rapida verso il torrente. La conosceva, anche se da dieci anni l’aveva vista solo nei suoi sogni. Ora il confine tra sogno e realtà si era dissolto: il dolore acuto alla spalla e il cadavere di Matese a neppure venti metri da lui erano assolutamente concreti, ma Gabriele, che stava saltando sulle pietre per superare il torrente, appariva altrettanto reale.

Gabriele arrivò davanti a lui e si chinò. Nicola non riusciva a parlare, quasi timoroso che una qualunque parola potesse spezzare l’incantesimo e far scomparire l’uomo che lo sfiorava.

- Fammi vedere la ferita.

Gabriele incominciò a togliergli la giacca. Si muoveva con cautela, per non fargli male, ma Nicola non si accorgeva neanche del dolore, troppo sbigottito per accettare ciò che stava vedendo. Gabriele gli sfilò anche la camicia ed osservò la ferita. Prese una fiaschetta che portava nella bisaccia e ne versò il contenuto sul foro della pallottola. Nicola avvertì un bruciore intenso.

- Non sembra molto grave. Non sono riuscito ad arrivare prima, mi spiace. La bendo, poi è meglio che ce ne andiamo. Te la senti di camminare?

Nicola fece cenno di sì.

Gabriele fasciò la ferita, poi prese il corpo di Matese e lo gettò nella gola. Raccolse il fucile di Nicola e se lo mise in spalla.

Nicola si rialzò e, con l’aiuto di Gabriele si infilò la camicia e la giacca.

Gabriele raccolse il fagotto di Nicola e si caricò in spalla anche quello. Si avviarono.

Gabriele camminava rapido, ma ogni qual volta Nicola rimaneva indietro, rallentava. Per quasi un’ora procedettero a passo abbastanza spedito, ma poi Nicola incominciò a sentire una stanchezza che lo pervadeva. Camminava sempre più a fatica.

Gabriele gli si mise di fianco e lo sostenne. Anche così raggiungere il passo gli costò uno sforzo immenso e quando furono infine sul crinale, si rese conto che non era più in grado di reggere. Non cadde al suolo solo perché le braccia di Gabriele lo tenevano.

Gabriele lo prese in braccio ed incominciò a scendere. Nicola si abbandonò completamente a quella stretta. Le immagini fluttuavano ed aveva una sensazione di nausea. Chiuse gli occhi. Così gli sembrava di stare meglio. Avvertiva il calore del corpo di Gabriele ed era una sensazione bellissima. Sentiva l’odore del suo sudore. Gli pareva di avvertire i battiti del cuore di Gabriele. Poi le sensazioni divennero sempre più lontane e scomparvero completamente.

 

A svegliarlo fu il dolore violento alla spalla. Per un momento non riuscì a mettere a fuoco, poi vide il volto di Gabriele chino su di lui e di fianco un altro viso.

- Come ti senti, Nicola?

Nicola annuì.

- Va, va abbastanza.

La spalla gli faceva male, un male feroce, come se gli avessero nuovamente sparato, ma era in grado di tollerarlo.

Voltò la testa verso la ferita, che sanguinava. L’uomo che non conosceva stava spalmando un liquido, poi fasciò la ferita.

- Adesso che abbiamo tolto la pallottola, non dovrebbero esserci problemi. Non è una brutta ferita.

L’uomo, che evidentemente era un dottore, lo bendò, poi scambiò due parole con Gabriele, lo salutò e uscì.

Nicola guardò la stanza in cui si trovava. Non era molto grande ed era spoglia, ma c’era un camino, in cui ora ardeva un fuoco. Doveva essere l’abitazione di Gabriele.

Gabriele gli si avvicinò e si sedette accanto a lui.

Nicola lo fissò un buon momento, senza parlare. Gabriele gli sorrideva. C’era molto affetto nel suo sguardo. E Nicola finalmente riuscì a dire quello che si portava dentro:

- Gabriele, tu sei vivo!

 Gabriele scoppiò a ridere.

- Non penserai che sia un fantasma?

- Allora, quando la notte venivi

- Sì, in questi anni ho vegliato su di te. Ero sicuro che anche tu fossi uno di noi e sapevo che saresti stato in pericolo. Quando ti ho visto con il cucciolo di lupo, ho avuto la conferma.

- Mi hai visto, quando ero con lui…

- Parecchie volte, Nicola. Sono ritornato molto spesso nella valle, a parte il primo anno, dopo che Morutri mi sparò.

- Non ti uccise… Credemmo tutti che ti avesse ucciso. Raccontava che eri caduto nella gola.

- Mi lasciai cadere, ma non mi aveva colpito. Mi nascosi in un anfratto della parete e aspettai che se ne fosse andato.

Sì, era naturale che fosse avvenuto così.

- Questa è la tua casa?

- No, questo è solo un rifugio che mi è servito in questi anni quando venivo nella valle. L’ho usato molto da quando hai trovato il lupo, perché sapevo che eri in pericolo. Io abito più lontano, qui siamo troppo vicino alla valle, conoscono la storia degli uomini-lupo e diffidano di loro, anche se non li ammazzano. A casa mia andremo quando ti sarai rimesso, Nicola.

Gabriele fece una pausa, poi aggiunse:

- Se vorrai.

Nicola non chiedeva di meglio, anche se l’idea di abitare con Gabriele lo turbava. C’erano gli altri sogni, quelli che erano davvero solo sogni

Nicola cercò di distogliere la mente da quel pensiero. Chiese ancora:

- Ma nessuno si è mai accorto che tu eri ancora vivo? Non ti hanno mai visto?

- Badavo a non farmi vedere. Qualcuno mi avrà anche visto, in questi anni, ma ha pensato a un fantasma. Come te…

Di nuovo Gabriele rise. Aveva una risata forte, vitale.

Poi gli accarezzò il viso con la mano aperta.

- Ora sei al sicuro, Nicola. Cerca di dormire. Devi riposarti, per riprenderti.

Nicola annuì e chiuse gli occhi, ma non riusciva a prendere sonno. Nella sua testa i pensieri correvano veloci. Episodi del passato si mescolavano a dubbi sul futuro e la sensazione della carezza di Gabriele era sempre sulla sua pelle. Realizzò, con stupore, che il suo desiderio si stava accendendo. Sotto la coperta Gabriele non poteva notarlo, per fortuna.

Aprì gli occhi. Gabriele stava spegnendo il fuoco, per mettersi a dormire anche lui. Nicola guardò la figura accovacciata davanti al camino e si sentì invadere da un senso di benessere.

Chiuse gli occhi, lasciò che i suoi pensieri corressero ancora un po’, poi si addormentò. Sognò di dormire tra le braccia di Gabriele ed era un sogno bellissimo.

 

Trascorsero i cinque giorni seguenti nella baita. Nicola stava recuperando rapidamente le forze, ma li aspettava una lunga marcia e Gabriele non voleva che partissero prima che Nicola si fosse ripreso completamente.

Già il secondo giorno Nicola uscì dal loro rifugio. C’era il sole, ma la notte precedente era nevicato, la prima neve dell’autunno. Uno strato sottile.

Nicola si sedette davanti alla baita. Fu allora che vide la lupa. Era a un centinaio di metri che lo guardava. Nicola fece un gesto e la lupa corse verso di lui. Gli poggiò la testa sulle ginocchia. Nicola l’accarezzò.

Gabriele arrivò in quel momento. L’animale non si allontanò e Gabriele gli accarezzò il dorso. La lupa non si sarebbe fatta toccare da nessun altro, ma Gabriele era un uomo-lupo, come Nicola.

C’era qualche cosa di vero nelle leggende sugli uomini-lupo. Quanto di vero?

- Che ne è del tuo lupo?

Gabriele aggrottò la fronte.

- Non l’ho più visto, è scomparso due anni fa. Senz’altro è morto. Incontro spesso i suoi figli.

- Come fai a sapere che sono i suoi figli?

- Mi si avvicinano, si lasciano accarezzare. Fanno buona guardia quando ne ho bisogno.

- Che cosa c’è di vero in quello che si dice sugli uomini-lupo?

Gabriele rise.

- Non ho mai visto il diavolo e non mi curo di lui più che dei preti. Nel villaggio dove vivo non ci sono state disgrazie dopo il mio arrivo. I bambini mi piacciono e non ne ucciderei mai uno. Non ho mai ucciso nessuno, a parte Matese, e l’ho fatto solo perché non c’era altro modo per impedirgli di sparare. E non ho mai scopato con il mio lupo. Direi che né io, né lui ne abbiamo mai avuto voglia.

Nicola avrebbe voluto chiedere altro, ma non se la sentiva. Si vergognava, quasi Gabriele potesse leggergli in testa. Si limitò a domandare:

- Ti sei sposato?

La risata fragorosa di Gabriele riempì l’aria.

- No, questo no!

Nicola si sentì arrossire e abbassò il capo.

     

Il quinto giorno Nicola si sentiva pienamente in forze e decisero che sarebbero partiti il mattino seguente, molto presto.

Ci vollero undici ore di cammino per raggiungere la valle dove viveva Gabriele. Si fermarono tre volte, perché Gabriele voleva che Nicola si riposasse, e arrivarono che era notte. La lupa li seguì per tutto il percorso, apparendo e scomparendo tra gli alberi, ora molto vicina, ora più lontana. Quando entrarono in casa, rimase a guardarli fino a che Gabriele chiuse la porta.

Gabriele viveva in una casa isolata, non lontana dal paese.

Appena entrarono Gabriele accese il fuoco e costrinse Nicola a mettersi a letto. Nicola era stremato. Benché la ferita si stesse rimarginando, la marcia era stata molto impegnativa per lui.

Si addormentò subito e dormì molto a lungo. Era pieno giorno quando si svegliò e Gabriele gli portò la colazione a letto. Dopo essersi alzato, Nicola diede un’occhiata all’interno della casa: la sera prima era troppo stanco per badare a quello che aveva intorno.

Era un’abitazione piccola, di due piani, con un’unica stanza per piano. Sotto c’era la cucina, sopra la camera da letto. C’era un unico letto, ma era ampio, il classico letto che ospitava l’intera famiglia.

- Dove hai dormito?

- Di fianco a te, ma non te ne sei nemmeno accorto. Eri troppo stanco. Non c’è un altro letto. Volevi mica che dormissi per terra?

Nicola sorrise:

- No, certamente!

Ma al pensiero di aver dormito nello stesso letto di Gabriele e soprattutto che avrebbero dormito nuovamente insieme, si sentì le guance in fiamme.

Per tutto il giorno, mentre faceva conoscenza con la sua nuova casa e la vallata in cui sarebbe vissuto, Nicola si sentì irrequieto. Pensava al momento in cui lui e Gabriele si sarebbero messi a letto. Era preoccupato, perché il pensiero gli provocava ogni volta un’erezione incontrollabile. Che cosa avrebbe pensato Gabriele di lui?

     

Era sera. Gabriele incominciò a spogliarsi. Lo guardava e sorrideva, ma in un modo strano. Quando Nicola lo vide senza camicia, il forte torace coperto da una peluria nera, capì che in nessun modo avrebbe potuto controllare le reazioni del suo corpo.

Cercò di guadagnare tempo, pur essendo perfettamente conscio che non sarebbe servito a nulla.

- A volte mi sembra ancora incredibile che tu sia vivo. Mi viene da chiedermi se non sei un fantasma.

La prima parte dell’affermazione era vera, la seconda no. Nicola sapeva benissimo che Gabriele era perfettamente concreto.

Gabriele non smise di sorridere. Si era tolto le scarpe e con un gesto deciso si calò pantaloni e mutande. Nicola rimase senza fiato, perché sul ventre di Gabriele batteva, solido e vigoroso, un formidabile sperone.

Gabriele indicò l’arma con la mano e disse, ridendo:

- Secondo te, ai fantasmi viene duro?

Nicola si appoggiò alla parete. Non era in grado di parlare.

Gabriele aggrottò la fronte.

- C’è qualche cosa che non va, Nicola? Ti dà fastidio? Pensavo…

Nicola scosse la testa.

Gabriele si avvicinò:

- Nicola, preferisci che dorma in cucina? Mi basta stendere una coperta…

Nicola ripeté il cenno di diniego, stordito. Vedere Gabriele nudo ed eccitato davanti a lui lo paralizzava.

Gabriele lo guardò un momento, poi gli volse le spalle e si rivestì, senza che Nicola trovasse la forza di dire una parola. Prese una coperta dalla cassapanca. Si rivolse a lui e gli sorrise.

- Scusami, Nicola, avevo pensato… Mi sembrava che anche tu… Scusami, Nicola, mi spiace, davvero. Ho fatto una cazzata. È meglio che dorma sotto.

Scese rapidamente la scala che conduceva in cucina.

Nicola rimase un buon momento appoggiato contro la parete. Neanche lui capiva la sua reazione. Desiderava Gabriele con tutto se stesso e da quello che Gabriele aveva detto, anche lui doveva desiderarlo. Forse. Nicola cercò di ricordare le parole di Gabriele. Significavano davvero quello che aveva in testa lui? 

Respirò a fondo e scese la scala che portava nella cucina. Aveva lasciato la lanterna sopra e la stanza era immersa nel buio. Si intravedevano appena le sagome scure dei mobili, ma Nicola capì che Gabriele era seduto al tavolo. Si avvicinò e si sedette dall’altra parte. Tacque un momento, mentre i suoi occhi si abituavano all’oscurità.

Stava per parlare quando Gabriele aprì la bocca.

- Mi spiace, Nicola. Sono stato un coglione, un perfetto coglione. Sono davvero una bestia. Io… Sono alcuni anni che ti desidero, da quando ti sei fatto uomo. Ti ho guardato più di una volta bagnarti nei ruscelli… Sì, non avrei dovuto farlo, ma… Quando venivo a parlarti, in estate, se c’era abbastanza luce e potevo vederti, avevi il letto proprio vicino alla finestra, quando eri nudo dovevo chiamarti subito, per controllarmi, mi veniva la tentazione di avvicinarmi, di accarezzarti... Poi in questi giorni, mi è sembrato che anche tu desiderassi quello che desideravo io. Tutti noi amiamo altri uomini, di solito uomini come noi, a volte anche altri. Ho capito male, è che lo desideravo troppo. Pensavo che questa sera avremmo… Non credevo… Nicola, puoi scordare questa fottuta sera e facciamo finta di niente?

Nicola non voleva interrompere Gabriele, ma ormai aveva sentito tutto quanto voleva sentire e non aveva senso che lo lasciasse soffrire.

- No, non ho nessuna intenzione di dimenticare questa serata, conto che sia la più bella della mia vita, almeno di quella che ho vissuto fino ad ora. Non lo desidero meno di te, Gabriele, ti ho sognato, sognato davvero, in sogni che non oserei raccontarti. Ti ho desiderato in tutti questi giorni, ma mi vergognavo. Solo che quando ti ho visto così, nudo… Non lo so, Gabriele… Non so spiegarti. Torniamo di sopra e riprendiamo da capo?

Gabriele si alzò. Nicola lo imitò.

Gabriele girò intorno al tavolo e si mise di fronte a lui.

- Posso baciarti, Nicola? Sono anni che desidero baciarti.

Nicola avvicinò il viso a quello di Gabriele. Quando le loro bocche si incontrarono, Gabriele lo strinse con forza. Nicola si abbandonò felice a quella stretta.

Risalirono nella camera da letto. Gabriele disse:

- È meglio che ti spogli tu prima, questa volta.

Nicola rise.

- Va bene. Perché non mi spogli tu?

- Mi sembra una bellissima idea.

Le mani di Gabriele incominciarono a muoversi decise, tolsero la giacca e la camicia, ma quando Nicola fu a torso nudo, Gabriele si fermò, contemplandolo.

Gli passò la mano sul petto, accarezzando la peluria leggera, più densa intorno ai capezzoli.

- Sei bellissimo, lupacchiotto.

La voce di Gabriele era roca.

Nicola cercò di scherzare, per nascondere il suo turbamento.

- Allora è vero che facciamo l’amore con i lupi…

- Sì, in un certo senso sì. Io sto per metterlo in culo al più bel lupo che ho mai visto. Il mio lupacchiotto.

Le parole di Gabriele stordirono Nicola, come prima lo aveva stordito il vederlo nudo. Gli sembrava di non essere capace di reggersi in piedi. Appoggiò entrambe le mani sul petto di Gabriele e attraverso la camicia sentì il calore della carne. Allora, con un gesto maldestro, aprì la camicia di Gabriele, che lo afferrò e lo strinse a sé, baciandolo ancora sulla bocca e poi mordendogli un orecchio e scendendo con le labbra fino ad un capezzolo e poi all’altro.

Nicola lo lasciava fare, con la sensazione che la sua mente si fosse svuotata di ogni pensiero, mentre il suo corpo ardeva. Gli sembrava di avere la febbre.

Gabriele era in ginocchio davanti a lui e, mentre Nicola gli accarezzava i capelli, incominciò a slacciargli la cintura. Poi gli calò i pantaloni, gli accarezzò le gambe, prima scendendo dalla parte esterna, poi risalendo dalla parte interna, fino a che le sue mani non raggiunsero le mutande. Si infilarono sotto il tessuto, scorrendo sulla pelle del ventre, sfiorando l’asta tesa, che al contatto si riempì ancora più di sangue.

Poi le mani si staccarono appena dalla pelle, premendo dall’interno contro il tessuto, e ripresero a scendere, trascinando con sé la loro preda.

Nicola ora era nudo, con i pantaloni e le mutande intorno alle caviglie.

Gabriele lo guardò ancora un attimo, senza alzarsi, poi avvicinò il viso al sesso di Nicola e lo prese in bocca.

Nicola sussultò al contatto di quella cavità umida ed ardente che avvolgeva la sua virilità. Non aveva mai avuto rapporti, il piacere che gli regalava la sua mano (o qualcuno dei sogni in cui abbracciava Gabriele) non aveva niente a che fare con questa tensione quasi dolorosa che dal sesso saliva fino alla sua testa.

Le sue mani che accarezzavano il capo di Gabriele si contrassero e Nicola ebbe l’impressione che il suo corpo ondeggiasse, ma le mani di Gabriele, strette intorno al suo culo, lo sorreggevano. Quelle mani accarezzavano e stringevano, suscitando nuove, violente sensazioni. Le dita scesero lungo il solco, fino al fondo, per poi risalire. E allora un dito si fermò e con lentezza si insinuò nell’apertura mai violata.

Nicola barcollò, vinto da un insieme di sensazioni troppo forti.

Il dito entrava più in profondità, intruso ruvido e curioso, ma non inviso a quella carne calda che, piacevolmente tormentata, si apriva per lui.

La sensazione che saliva dall’asta turgida diventava sempre più forte e dai testicoli si sprigionò una nuova tensione, che gli riempì il ventre e poi lo travolse.

Nicola singhiozzò, poi urlò, senza ritegno, il nome di Gabriele, tre volte, mentre il fiotto si spandeva nella bocca che lo accoglieva avidamente. Le ondate di piacere si susseguivano, rapide ed intensissime, e ad ognuna di esse Nicola si sentiva squassare: gli pareva di non poter più reggere, ma una nuova ondata ancora lo travolgeva, meno forte della precedente, ma ancora tanto violenta da lasciarlo spossato.

Infine la tempesta si placò. La carezza della lingua e delle labbra di Gabriele era ormai insostenibile e Nicola cercò di allontanare quella bocca, che ancora raccoglieva le ultime gocce.

Nicola aveva le lacrime agli occhi, mentre un tremito gli percorreva il corpo. Il dito di Gabriele era ancora dentro di lui.

Gabriele gli appoggiò una guancia sul ventre e rimase immobile.

- Gabriele…

Gabriele non disse nulla. La mano libera accarezzava il culo di Nicola.

Questo era il piacere, qualche cosa che da solo non aveva mai provato. Questo.

E Gabriele? Lui non aveva goduto. Non ancora. Avrebbe goduto dentro di lui.

Il pensiero fece rabbrividire Nicola, ma non aveva paura. Era un fremito di desiderio, perché Nicola voleva che si compisse la sua disfatta, che il suo corpo venisse penetrato, posseduto. Un confuso anelito di sottomissione, una vertigine che nuovamente gli ottundeva i sensi. Il mondo sembrava svanire, ma la testa di Gabriele contro il suo ventre e il dito di Gabriele nel suo culo erano sensazioni nitidissime.

Avrebbe potuto rimanere per sempre così, ma Gabriele si staccò da lui ed anche il dito lasciò la sua nuova casa, vivamente rimpianto. Nicola provò un senso di abbandono.

Gabriele si alzò e finì di spogliarsi.

Nel camino c’erano ormai solo le braci. Nella luce rossastra, la grande arma di Gabriele svettava, imponente e gagliarda. Nicola sapeva che il suo corpo non avrebbe accolto facilmente quell’invasore, ma per nulla al mondo avrebbe voluto sottrarsi a quanto lo attendeva.

Gabriele lo avvolse tra le braccia e Nicola si abbandonò a quella stretta, poi si girò, senza sciogliersi dal laccio che lo stringeva, in modo da sentire contro il culo la mazza rovente. Ebbe nuovamente un fremito di desiderio.

- Lo vuoi, Nicola?

Era una domanda superflua ed entrambi lo sapevano. Era solo l’ultima remora di Gabriele, tanto timoroso di far male a Nicola, da riuscire ancora a frenare il desiderio che ruggiva dentro di lui. Non per molto ancora.

- Sì.

Gabriele gli passò la lingua dietro l’orecchio, gli morsicchiò un lobo. Poi sussurrò:

- Mettiti a quattro zampe.

E mentre lo diceva, lo guidava a piegarsi. Nicola lo lasciò fare, poggiando le mani a terra. Sentiva la pressione del corpo di Gabriele sul suo, ma quel peso svanì.

Un morso al culo, un secondo, un terzo e poi baci, baci leggeri, baci roventi, baci sulle natiche, baci sul solco.

- Il culo al diavolo non l’ho mai baciato, ma al mio lupacchiotto lo bacio volentieri.

Nicola sentiva salire in sé un’ansia, un desiderio di essere posseduto, ma Gabriele sembrava non avere fretta. Le sue mani gli accarezzavano le cosce, poi risalivano lungo i fianchi, fino ai capezzoli, che stringevano; i suoi denti affondavano nella carne di Nicola, strappandogli piccoli gemiti; la sua lingua percorreva il solco e Nicola gemette più forte, senza ritegno, mentre una nuova ondata di piacere saliva dentro di lui.

Poi Gabriele si stese su di lui ed infine Nicola avvertì la pressione contro l’apertura, forte. L’ingresso gli strappò un gemito. Gabriele si ritrasse, le sue mani accarezzarono il torace ed il ventre di Nicola, scesero fino ai testicoli, all’uccello che nuovamente si librava in volo. Poi nuovamente la mazza ferrata si aprì la strada nella carne di Nicola.

Quando l’apertura fu forzata. Gabriele si arrestò e Nicola assaporò la sensazione devastante e splendida di quel corpo che si impadroniva del suo. Gabriele lo cingeva con le braccia e non c’era nulla di più bello che quella schiavitù totale.

Gabriele riprese ad avanzare, con lentezza, fermandosi e poi proseguendo ed ogni volta a Nicola sembrava che il suo corpo non fosse più in grado di accogliere oltre quel palo, eppure la sua carne cedeva, complice di quell’invasione dolorosa e desiderata. 

Infine Nicola sentì che i loro due corpi aderivano completamente. L’arma lo aveva trapassato e Gabriele aveva preso possesso del suo corpo.

Sentì la voce di Gabriele sussurrargli:

- Lupacchiotto, amore mio.

E poi, quasi a smentire la tenerezza di quelle parole, della carezza sulla nuca, del bacio sulla testa, le spinte. Potenti, continue, in un crescendo di intensità. Un dolore che saliva e si moltiplicava, un piacere che mozzava il fiato.

Gabriele si muoveva avanti e indietro, senza smettere mai, e Nicola era nuovamente confuso, incapace di ragionare, di sentire altro che quelle spinte maschie che lo dominavano.

Una mano di Gabriele, brusca, senza traccia della tenerezza con cui l’aveva accarezzato poco prima, passò sul suo uccello e solo allora Nicola si rese conto che era teso allo spasimo. E mentre il dolore nel suo culo saliva fino a diventare intollerabile, anche il piacere saliva, un unico piacere che li travolse insieme. Nicola avvertì il getto che si spandeva dentro di lui e nello stesso tempo dai testicoli, avvolti nella ruvida stretta della mano di Gabriele, un nuovo piacere detonò dentro di lui.

Ancora una volta urlò.

Le braccia e le gambe cedettero e i due uomini-lupo scivolarono avvinti sul pavimento freddo. Nicola non se ne rese neppure conto.

Quando il battito dei loro cuori ebbe ripreso un ritmo più regolare, Nicola sentì Gabriele sussurrargli alle orecchie:

- Allora, ti ho convinto che non sono un fantasma?

Nicola rise.

- Non direi, non ne sono così sicuro. Dimostramelo ancora una volta.

 

2008

 

 

        

 

 

 

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