Partita di caccia

 

Partita7

 

Il sole era alto in cielo e il calore d’agosto schiacciava i prati riarsi. Non soffiava un alito di vento.

Nel bosco gli alberi offrivano un riparo, ma il caldo era intenso. I due uomini procedevano vicini. Il barone Maximilien de F. portava sulle spalle un cervo, un giovane maschio, che i suoi cani avevano stanato e che egli aveva ucciso con un solo colpo. Era un bell’esemplare, anche se il suo trofeo era ancora poco sviluppato. Il barone sembrava portarlo senza sforzo, nonostante il notevole peso dell’animale. La camicia e il giubbotto erano però inzuppati di sudore e sulla fronte, sotto i capelli neri, si formavano goccioline che scendevano lungo il viso, perdendosi nella massa nera della barba.

I cani lo accompagnavano. Ogni tanto uno di essi scattava in avanti, per seguire una nuova traccia, ma presto ritornava nel branco. Gli animali spesso guardavano avidamente la preda, come se avessero voluto saltare e azzannarla, ma si tenevano sempre ad una certa distanza: erano addestrati ad ubbidire ciecamente al loro padrone e non avrebbero osato mordere l’animale prima che il barone desse il segnale.

Il conte Robert de T. seguiva il suo amico a pochi passi, lo sguardo fisso sul giovane cervo, la mente altrove.

Il barone era soddisfatto della mattinata ed era grato a Robert che gli aveva proposto quella partita di caccia. Amava cacciare, più di qualunque altra attività: né la guerra, né i piaceri del letto esercitavano su di lui la stessa attrattiva. Nulla era così bello come lanciare i cani sulle tracce di un animale, sentire i latrati che annunciano il ritrovamento della preda, lanciarsi all’inseguimento, individuare la posizione dell’animale nascosto in una macchia, appostarsi in attesa di un disperato tentativo di fuga. Amava soprattutto il momento in cui la preda, folle di paura, guizzava per sfuggire alla morte, e il colpo del suo fucile spezzava l’ultimo scatto. Amava vedere l’animale abbattersi al suolo, guardarne le ultime contorsioni: era un piacere selvaggio, che gli accendeva il sangue.

Gli piaceva sparare e ancora di più uccidere con il coltello. Sapeva che molti lo consideravano un folle, perché affrontava anche lupi e cinghiali con il coltello, ma la lotta corpo a corpo gli procurava un piacere intensissimo: sentire il calore dell’animale che si dibatteva, cercando di liberarsi e di colpire, il coltello che affondava nella carne con un rumore secco, il sangue che zampillava dalla ferita e gli bagnava la mano. Poi il venire meno della resistenza e l’afflosciarsi del corpo sotto i suoi colpi. E infine vedere i cani che dilaniavano la preda che egli abbandonava loro. Amava quella lotta mortale, amava il sangue. E non aveva paura di versare il proprio: più volte aveva rischiato la vita ed il suo grande corpo portava le cicatrici delle sue lotte. Ne era orgoglioso.

 

Benché quella proprietà fosse isolata dalle altre sue terre, il barone conosceva bene quel bosco, in cui tante volte era venuto a cacciare. Era una regione umida, ricca di laghi e stagni, e non lontano dal sentiero che stavano percorrendo c’era uno specchio d’acqua. L’ideale per rinfrescarsi: in quel mezzogiorno infuocato neppure le ombre del bosco offrivano un po’ di refrigerio.

      Maximilien prese un altro sentiero, senza dire nulla, e in pochi minuti giunsero alla pozza, circondata da alberi. Solo nel punto in cui arrivava il sentiero si apriva una piccola radura, illuminata dal sole.

      - Un bel bagno è quello che ci vuole. Fa un caldo porco e questo fottuto animale mi ha fatto sudare un bel po’, da vivo e da morto.

      Rise. Un riso aspro. Robert non disse nulla.

      Si spogliarono entrambi, lasciando i loro abiti sulle rocce. Maximilien guardò Robert, che gli dava la schiena. Aveva un bel culo, stretto, il culo di un ventenne, anche se ormai aveva raggiunto i trenta. In guerra Maximilien s’era preso più di un giovane soldato. Si era sempre detto che in mancanza di una fica, un culo andava benissimo e spesso aveva goduto con quei giovani più che con le donne. Ma mai aveva preso Robert. Robert era amico suo, l’aveva sempre rispettato, anche se durante le campagne militari aveva spesso avvertito, e non solo nei periodi di astinenza forzata, il desiderio di quel corpo steso vicino al suo. Anche se a volte l’immagine di Robert gli accendeva i sensi, come gli accadeva in quel momento. Niente di strano: la caccia lo eccitava sempre e dopo la caccia aveva bisogno di scopare. In quel momento aveva il cazzo turgido, anche se non completamente eretto. Non se ne preoccupò: non era la prima volta che Robert lo accompagnava nella caccia e tra loro non c’erano segreti. Con nessun altro essere umano aveva mai raggiunto il grado di intimità che esisteva tra lui e Robert.

La pozza era profonda e l’acqua fresca. Maximilien si tuffò e si immerse completamente, poi riemerse e cominciò a nuotare vigorosamente. Robert rimase sulla riva a guardarlo, poi, ad un cenno dell’amico, entrò nella pozza, camminando. Il contatto con l’acqua fresca gli trasmise un brivido. Solo allora si immerse e nuotò.

      Rimasero in acqua a lungo, poi uscirono dalla pozza. Maximilien si distese sull’erba e Robert si sedette al suo fianco. Lasciarono che il sole li asciugasse. L’eccitazione si era un po’ calmata, ma il cazzo non era ancora tornato a riposo: troneggiava ancora gonfio di sangue sul pelame denso che copriva il ventre del barone.

      Maximilien guardava Robert. Aveva davvero un bel corpo, snello ed elegante.

      - Hai avuto una buona idea, Robert. Avevo proprio bisogno di svagarmi un po’.

      Il pensiero di Adèle affiorò nuovamente, soffocando nell’amarezza la gioia della partita di caccia.

      - Almeno per questa giornata non ho pensato ad Adèle. Fino ad ora.

      Robert lo guardò. Poi distolse lo sguardo e, come se non si rivolgesse a lui, parlò a voce bassa, appena percepibile.

      - Soffri molto?

      Adèle, la giovane moglie di Maximilien, era fuggita tre settimane prima con un nobile spagnolo e la coppia era partita per l’America meridionale, dove Maximilien non avrebbe certo potuto raggiungerli.

      Maximilien non amava Adèle: il matrimonio era stato combinato dalle loro famiglie. Maximilien aveva fatto a meno di una moglie fino a quarant’anni e aveva accettato quel matrimonio per dare alla famiglia un erede.

      Adèle era stata una moglie in apparenza docile e ubbidiente, anche se certo non lo amava. Nessuno lo aveva veramente amato: sapeva di non essere certamente un bell’uomo, a differenza del suo amico Robert, che aveva molto successo con le donne. Il viso butterato dal vaiolo, la corporatura erculea, il vello che  gli copriva il corpo, le maniere brusche, tutto allontanava da lui le donne, quelle della sua classe almeno.

      Non gliene importava molto. Aveva appetiti vigorosi, ma non era difficile soddisfarli, per un uomo nobile e ricco: non mancavano serve e puttane, talvolta un giovane. Non aveva nessuna voglia di mettersi a corteggiare le nobildonne, che custodivano la loro virtù come un gioiello: la loro conquista richiedeva lunghe manovre, per cui non si sentiva portato. Sapeva che inginocchiato ai piedi di una gran dama avrebbe fatto una figura ridicola e non aveva mai permesso a nessuna donna di farsi beffe di lui.

      In società veniva considerato un bruto, scarsamente capace di provare sentimenti. Forse era vero. L’unica persona a cui fosse veramente attaccato era Robert.

Certo Maximilien non soffriva della perdita di una donna che era stata sua moglie per due anni. E sapeva di esserne responsabile: non era capace di farsi amare, né di accontentare le esigenze di una dama dell’alta società. Come tutte le donne, Adèle amava il teatro, l’opera e i balli. Maximilien si addormentava a teatro, la musica dell’opera era un rumore fastidioso e gli unici balli che amava erano quelli popolari. Non gli piaceva l’idea che Adèle andasse da sola a un ballo o a teatro. Ai balli l’accompagnava sempre e le stava vicino: la sua presenza minacciosa scoraggiava però i cavalieri che ronzavano intorno ad Adèle e li spingeva a cercare altre conquiste. Adèle si lamentava che non riusciva a ballare, anche perché Maximilien non aveva nessuna intenzione di lanciarsi in danze tanto insulse quanto complicate, in cui avrebbe fatto la figura di un orso ammaestrato. Allora Robert si offriva come cavaliere, con gran gioia di Adèle. Ed era Robert ad accompagnarla a teatro. Era l’unico uomo in cui Maximilien aveva piena fiducia. L’unico che vedeva volentieri al fianco di sua moglie.

      A farlo soffrire non era il dolore per la perdita della moglie, ma l’orgoglio. Anche se nessuno si sarebbe mai permesso un’allusione o una battuta nei suoi confronti, sapeva che per tutti era il marito cornuto e non era certo un ruolo in cui si calava volentieri.

      Cercò di spiegare a Robert che cosa provava:

      - Non soffro certo d’amore, al massimo d’amor proprio.

      - Non l’amavi, vero?

      Maximilien rise, ma era una risata amara.

      - Credo di essere incapace di amare, di legarmi, solo…

      Si interruppe. Avrebbe voluto dire a Robert che teneva davvero solo a lui, ma come al solito non era capace di esprimere i propri sentimenti.

      - È meglio così, molto meglio. Amare significa solo soffrire.

      Il dolore che vibrava in quella voce stupì Maximilien. Conosceva Robert da dieci anni, un’amicizia nata durante la ritirata di Russia, quando Maximilien gli aveva salvato la vita. Quando era riuscito a strapparlo alla morte, al passaggio della Beresina, Robert aveva appena vent’anni: era un giovane sereno, che gli aveva raccontato la sua breve vita, ma non gli aveva mai parlato di un grande amore. Negli anni successivi si erano frequentati molto: Robert era il suo unico amico.

Eppure, malgrado si fossero visti regolarmente in quei dieci anni, malgrado le numerose occasioni in cui, come in quei giorni, Robert era stato ospite nel castello di Maximilien, l’amico non gli aveva mai parlato di un suo amore infelice. Spesso Robert gli parlava delle donne che corteggiava, dei suoi successi e dei suoi smacchi, e ogni volta in cuor suo Maximilien rideva pensando a quanti sforzi faceva il suo amico per procurarsi ciò che un qualunque bordello offriva per due soldi. O che avrebbe potuto avere facilmente gratis, se non avesse mirato così in alto: come se la fica di una duchessa fosse diversa da quella di un’attrice o di una sartina.

      Maximilien chiese:

      - Hai sofferto molto per amore? Hai perso una donna che amavi?

      Robert lo guardò un buon momento, senza rispondere. Maximilien ebbe l’impressione che non lo vedesse neppure, perso in altri pensieri. Pensò che non avesse sentito la domanda. Ma dopo un po’ Robert rispose.

      - Sì, ho sofferto molto. Ho amato un’unica volta nella mia vita, intendo amato davvero. Ho amato perdutamente, come si può amare per la prima volta, con tutta l’anima.

      - Non me ne hai mai parlato.

      Robert rimase in silenzio per un buon momento.

      Maximilien si sentiva ferito dal riserbo che Robert aveva mantenuto su quel suo grande amore. Si sentiva ingannato: perché gli parlava delle sue avventure galanti, quando non avevano per lui nessuna importanza? Ma forse Robert aveva ragione, lui non era l’ascoltatore adatto, era una bestia, come pensavano tutti. Eppure quella mancanza di confidenza gli faceva male. 

      - Non potevo parlartene. Non a te.    

      Maximilien si mise a sedere. Per un attimo si chiese se Robert non fosse stato innamorato di Adèle. Della lealtà di Robert non dubitava, tra lui e Adèle non poteva esserci stato nulla. Ma se era così, quanto doveva aver sofferto, prima a vederla sposata con lui, poi a saperla fuggita via! 

Fissò Robert in viso, ma Robert guardava lontano, oltre lo specchio d’acqua, nell’ombra tra le querce, in cui giocavano i raggi del sole.

      - Robert...

      Maximilien cercava le parole. Lui non era bravo con le parole. Proseguì:

      - … so di non essere…

      Si bloccò di nuovo. Non riusciva a esprimersi. Avrebbe voluto dire a Robert che se aveva amato Adèle, non aveva importanza, che teneva a lui molto più che ad Adèle.

      Ci fu una pausa. Robert non distolse lo sguardo dall’altra riva della pozza e Maximilien continuò a fissare il volto del suo amico.

      Maximilien non capiva e si sentiva inquieto. Robert si alzò e si mise in piedi davanti a lui.

      Si guardarono negli occhi, poi Robert disse, senza distogliere lo sguardo.

      - Ti chiedo una cosa, Maximilien, in nome della nostra amicizia, un’amicizia che per me è sempre stata la cosa più cara che avessi al mondo, che ho sempre onorato. Farai quello che ti chiedo, Maximilien?

      Robert tacque, senza smettere di fissarlo.

      Maximilien non rispose subito. In altre circostanze avrebbe risposto di sì senza esitare, perché per Robert era disposto a fare tutto. Ma ora aveva paura di quello che Robert gli avrebbe chiesto.

      - Lo farai, Maximilien?   

      Maximilien annuì e rispose:

      - Lo farò.

      Robert lo fissò e disse:

      - Prendi il fucile e sparami, Maximilien. Un colpo al cuore e finalmente avrò pace.

Maximilien si alzò. Raccolse da terra il fucile.

Non si era stupito della richiesta, in fondo se l’aspettava. Non aveva molto intuito, non aveva sospettato minimamente il tradimento di Adèle. Ma nei confronti di Robert era più sensibile.

- Robert, se è quello che tu vuoi, lo farò. E poi mi ucciderò.

Robert scosse la testa, sbigottito, ma Maximilien non lo lasciò parlare.

- Ti chiedo solo… vorrei che tu mi dicessi perché devo darti la morte.

- È meglio che tu non lo sappia. Mi disprezzeresti. Ma

Maximilien lo interruppe.

- Qualunque cosa tu abbia fatto, Robert, non potrei disprezzarti.

Rimasero a guardarsi, immobili.

Robert scosse la testa. Maximilien si morse il labbro e riprese a parlare:

- Va bene, Robert, rispetto la tua volontà. Morirò senza sapere perché ho ucciso l’unica persona a cui veramente tengo. Addio, Robert, ti raggiungerò subito.

Sollevò il fucile e lo appoggiò sul cuore di Robert. Era un azzardo, perché non voleva uccidere Robert. Aveva ripetuto che sarebbe morto, perché contava che Robert lo fermasse.

- Maximilien, prima di premere il grilletto, devi giurare di non ucciderti.

Maximilien lo fissò cupo.

- Mi hai già chiesto una cosa, la più terribile che potevi chiedermi. Mille volte avrei preferito che mi ordinassi di uccidermi: l’avrei fatto a cuor leggero. Farò quello che ti ho promesso e poi farò quello che ho detto. Se a questo prezzo vuoi la morte, te la darò.

Robert respirò a fondo.

- Vorrei poterti dire di sì. Pensare che tra poco saremo morti tutti e due mi darebbe pace. Ma non posso accettare l’idea di provocare la tua morte.

Maximilien abbassò il fucile, sollevato. Aveva vinto la prima mano.

- Robert, non puoi dirmi quello che hai dentro? Hai così poca fiducia in me?

Robert scosse il capo.

- Non voglio che tu mi disprezzi.

- Robert, come mi conosci poco… Sono una bestia, lo so, non sono raffinato, non ho buone maniere.

Sorrise, un sorriso amaro, poi proseguì:

- Considerami come uno di quei cani. Puoi prendermi a calci, Robert, ma io ti voglio bene. E niente di quello che puoi dire o fare cambierà ciò che provo.

      Robert annuì:

      - Anch’io ti voglio bene, Maximilien, anch’io. Ed è per questo che adesso alzerai la canna del fucile e la punterai qui.

      Indicò con un dito il petto, all’altezza del cuore.

      Maximilien alzò il fucile e lo lanciò in aria, come fosse un ramo secco. Il fucile cadde in mezzo al laghetto. Era un fucile a cui teneva molto, ma in quel momento non gliene importava niente.

      - Dovrei ucciderti perché mi vuoi bene, come io te ne voglio?

      - No, non come tu me ne vuoi. Molto di più, Maximilien, molto di più.

      Maximilien rimase paralizzato. Aveva capito, di colpo, anche se ancora aspettava una conferma. Robert proseguì:

      - Per questo è meglio che tu mi uccida. Perché dopo che te l’ho detto, non posso più…

      Non proseguì, perché Maximilien aveva fatto un passo avanti. Ora erano vicinissimi, a nemmeno una spanna. Nella testa di Maximilien c’era una burrasca di pensieri, ma le sue mani si poggiarono sulle guance di Robert. Poi la sua bocca cercò quella di Robert e le loro labbra si incontrarono. Non aveva mai baciato un uomo, non aveva mai desiderato baciare un uomo.

      Eppure ora quel bacio infuocava il suo corpo come di rado gli era capitato e il cazzo gli si stava gonfiando. Spinse con forza la sua lingua tra le labbra di Robert e sentì la bocca dell’amico cedere e aprirsi per accoglierla.       

      Le sue mani scesero al culo di Robert, lo strinsero con forza. Il desiderio ormai divampava e tutto il suo corpo era in fiamme, il cazzo, turgido e ritto, premeva contro il ventre di Robert.

      Staccò le labbra da quelle di Robert e disse:

      - Robert, io…

      Non sapeva come proseguire. Lo baciò di nuovo, con forza, avvolse quel corpo tra le braccia, lo accarezzò. Erano carezze forti, brutali, ma sentì che Robert si abbandonava completamente ad esse.

      Quando le loro bocche si staccarono, Robert riuscì a mormorare:

      - Maximilien, non è possibile, tu…

      - Ti desidero, Robert, ti ho sempre desiderato, ma non sapevo… quante volte… Robert.

      Lo baciò di nuovo, ancora gli strinse il culo a piene mani e sentì l’ondata del desiderio salire violenta dentro di lui. Non era più in grado di reggere.

      - Robert, vuoi…    

      La domanda era inutile, il desiderio di Robert era evidente nei suoi gesti, nelle mani che lo accarezzavano e lo stringevano, nelle dita che affondavano nella carne, nel cazzo teso.

      Robert annuì. Poi scoppiò a ridere e disse:

      - Prima però devi prendermi.

      Robert si voltò e scattò in una rapida corsa, che lasciò Maximilien disorientato. Poi il barone rise, un riso che era quasi un ruggito di trionfo, e si lanciò all’inseguimento.

      I cani, stupiti di quanto accadeva, seguirono il loro padrone nella corsa e subito lo superarono, fermandosi però e voltandosi a guardarlo, ancora incerti.

      Sembrava una caccia, una di quelle cacce che tanto piacevano a Maximilien. Il barone si disse che Robert gli stava offrendo quello che desiderava. Ed anche un modo per superare le remore che entrambi potevano avere.

      Robert correva veloce, era nettamente più veloce di Maximilien, che però aveva maggiore resistenza. Per un buon tratto Maximilien riuscì a non perderlo d’occhio, poi però Robert svanì. Maximilien giunse al punto in cui aveva visto poco prima Robert e si guardò intorno. Nessun rumore, nulla. Robert si era nascosto. Dov’era la sua preda?

      Rise nuovamente, perché non poteva contenere la gioia che aveva dentro.

      Due dei suoi cani gli giravano intorno.

      - Avanti, annusate, seguite le tracce.

      I cani incominciarono a fiutare e in un attimo si slanciarono verso un’area in cui la vegetazione era più fitta, un intrico di cespugli in cui era impossibile vedere.

      Robert doveva essersi nascosto lì. Il cuore di Maximilien batteva forte. C’era la gioia della caccia, la certezza che la preda non gli sarebbe sfuggita, il desiderio ardente che gli tendeva il cazzo. Pensò che quella era l’arma con cui avrebbe infilzato la preda, che ancora una volta avrebbe sentito un corpo guizzare sotto il suo.

      Non avrebbe versato sangue, questa volta, ma sborro, imprimendo nella carne della preda il suo segno.

      I cani abbaiavano, puntando verso la vegetazione più fitta. Ogni tanto guardavano il padrone, quasi a chiedere conferma che quello fosse davvero ciò che si richiedeva da loro.

      Maximilien avanzò con irruenza e quando ebbe fatto due passi, vide la preda scattare, nell’ultima corsa, senza speranze.

      Troppo breve era la distanza che li separava: appena Robert ebbe messo piede nella radura che si apriva alle spalle della macchia, prima che riuscisse a distaccarlo, Maximilien saltò su di lui e insieme caddero al suolo.

      Maximilien premeva contro il corpo di Robert, che ansimava e si dibatteva, come se avesse voluto sfuggirli. Sapevano entrambi che desideravano la stessa cosa, che la preda non aveva più nessuna possibilità di sfuggire al cacciatore e non lo voleva.

Il desiderio era troppo forte e la lotto lo esaltava. E proprio questo spingeva entrambi a proseguire in quello scontro ormai concluso.

Infine Maximilien bloccò Robert completamente tra le sue braccia. Il suo cazzo teso smaniava per immergersi subito in quella carne calda. 

      - Sei fottuto. Adesso te lo metto in culo.

      Robert cercò di divincolarsi, ma le braccia di Maximilien erano catene che non poteva spezzare. Per un attimo Maximilien pensò che Robert avesse cambiato idea. Chiese, in un sussurro:

      - Robert, non vuoi

      Robert rise, mentre ancora si dimenava.

      - La preda aspetta solo il tuo coltello. Così si conclude la caccia.

      Maximilien rispose alla risata di Robert con la propria, quasi un tuono.

      - Un coltello ti farebbe meno male…

      Non voleva fare male a Robert, tutt’altro, anche se il desiderio era ormai intollerabile. Premette la faccia dell’amico contro l’erba, si sputò sulle dita della destra e cercò l’apertura. Sapeva, con certezza, che era la prima volta e la resistenza della carne glielo confermò.

      Per tre volte inumidì l’apertura e sempre il corpo di Robert ebbe un guizzo. Poi Maximilien si sputò sul palmo della mano, inumidì la cappella e la premette contro il buco del culo di Robert.

      Controllò il desiderio impetuoso di entrare di scatto e affondò lentamente il cazzo nel culo di Robert. Sentì il corpo su cui premeva guizzare e un’ondata di piacere lo investì, tanto forte che dovette fermarsi per evitare di venire subito.

      Attese un momento, poi riprese ad avanzare. Gli pareva che tutto il suo corpo vibrasse insieme a quello di Robert ed era una sensazione violentissima, che gli mozzava il fiato.

      - Lo senti il coltello nelle viscere? Lo senti?

      La voce gli era uscita roca, quasi irriconoscibile.

      - Colpisci a fondo, dilania.

      Anche la voce di Robert era alterata.

      Infine Maximilien diede un’ultima spinta e la sua arma penetrò completamente nella carne di Robert, che diede un nuovo sobbalzo. Maximilien gli lasciò libera la testa e cinse l’amico con le braccia, in una presa tanto forte da togliere il fiato, ma Robert non si lamentò.

      Allora Maximilien avviò un movimento lento, ma continuo, arretrando la sua picca e poi affondandola di nuovo e ad ogni spinta in avanti Robert sussultava. Le braccia di Maximilien stringevano quel corpo ed il suo cazzo scavava a fondo, dilaniando.

      Mai aveva provato un piacere così intenso, né nella caccia, né nell’amore, né con uomini, né con donne.

      I movimenti di Maximilien divennero più violenti e il piacere crebbe ancora, tanto da non poter più essere contenuto. Maximilien emise un suono sordo, quasi un grugnito, a cui rispose un gemito di Robert. Una seconda ondata di piacere gli strappò nuovamente un verso animale. Era troppo forte, troppo intenso.

      Poi la tensione che si accumulava nei coglioni si sciolse in una serie di spinte violente che portarono il piacere al parossismo. Venne in un grido, selvaggio e incontenibile, un grido di godimento e di vittoria, a cui rispose il grido della preda.

      Si abbatté sul corpo che stringeva e gli parve che il mondo svanisse.

      Dopo un buon momento, quando riaffiorò, estrasse la sua arma e scivolò di fianco a Robert, la schiena sull’erba. Chiuse gli occhi, ancora confuso.

      Dopo un buon momento li riaprì e fissò Robert. Anche lui si era girato e ora aveva la schiena contro il suolo. Guardava in alto.

      Maximilien percorse con gli occhi quel corpo che gli era appartenuto. C’erano le tracce lasciate dagli arbusti, sul ventre anche un graffio da cui era colato un po’ di sangue. Il cazzo era ancora gonfio e la chiazza umida non lasciava dubbi sul piacere che Robert aveva provato. Maximilien ne fu contento.

      Esitò un attimo.

      - Robert… è stata la prima volta?

      Robert si girò per guardarlo negli occhi.

      - Non avrei potuto darmi a nessun altro.

      Maximilien annuì.

      - Robert, ti ho fatto male?

      Robert sorrise.

      - Non poco. Ed è stato splendido.

      - Dio, sono dieci anni che ci conosciamo, dieci anni E non mi avevi mai detto, mai…

      - Non lo sapevo neanch’io Maximilien. Per me eri la persona più importante della mia vita, stavo bene con te, sapevo di desiderarti, ma non avevo capito di amarti. È stato quando ti sei sposato che ho capito. Ho pensato più volte di uccidermi, non ce la facevo più. E quando Adèle se n’è andata, mi sono reso conto che non avrei potuto reggere senza dirtelo, ti desideravo troppo.

      Maximilien scosse la testa.

      - E volevi farti ammazzare! Da me, per di più! Sei una testa di cazzo, Robert.

      Lo disse sorridendo. Guardò il corpo dell’amico e sentì il desiderio riaccendersi. Tese un braccio e la mano accarezzò il torace di Robert, scese sul ventre, strinse il cazzo, che a quel contatto vibrò, scese sui coglioni.

      Maximilien sentì il cazzo tenderglisi.

       - Non ho colpito bene. La preda è ancora viva. Devo affondare di nuovo il coltello.

      Robert rise, ma Maximilien gli lesse il desiderio negli occhi.

      Maximilien si mosse, ma Robert si alzò di scatto e fece per scappare via, dicendo:

      - Vediamo se questa volta…

      Non completò la frase, perché Maximilien gli aveva afferrato il piede e Robert cadde. Maximilien fu su di lui, sulle sue gambe e affondò i denti in quel culo che gli si offriva, che tra poco avrebbe nuovamente violato. Morse con forza e Robert ebbe un guizzo. Maximilien morse ancora, poi guardò quel culo che stava per prendere. La preda era impaziente di sentire di nuovo il coltello. Maximilien morse una terza volta, poi, cedendo a un impulso, passò la lingua tra le natiche, fino all’apertura. Per un momento si chiese che cosa avrebbe pensato Robert, ma sapeva che ormai erano oltre, non c’era più spazio per il pudore.

      Ripassò la lingua e la sensazione fu fortissima. Robert gemette. Maximilien morse ancora, leccò l’apertura, poi strisciò fino a coprire il corpo di Robert con il proprio.

      - È giunta la tua ora. Credevi di scappare? Adesso senti il coltello. Questa volta sei davvero fottuto.

      Entrò senza cerimonie e quell’ingresso violento gli trasmise lo stesso brivido di quando affondava il coltello nella preda, ma moltiplicato all’infinito. Di nuovo non riuscì a contenersi e lanciò un grugnito sordo, di puro piacere.

      Incominciò subito a spingere, con forza, senza lasciare tregua alla preda, che invano si dibatteva. I gemiti di Robert ed i suoi movimenti attizzavano il fuoco che divorava Maximilien, ad ogni spinta più forte, più caldo, più feroce. Un fuoco che non si saziava, ma continuava a crescere. Maximilien non pensava più a Robert, non si chiedeva più se provasse dolore, sentiva solo il corpo della preda che si divincolava e affondava senza pietà il cazzo, come un coltello, per dilaniare e spegnere ogni resistenza.

      A lungo cavalcò e quando il piacere esplose di nuovo, in una serie di lampi che lo accecarono, urlò ancora: non un solo grido, ma una serie, un ruggito ripetuto che infine si spense in un gemito.

      Gli parve di perdere i sensi e si afflosciò sul corpo di Robert.

      Era stato ancora più intenso della volta precedente.

      Gli ci volle più tempo per riemergere alla realtà. Accarezzò i capelli di Robert e gli baciò la nuca.

          - Robert, tutto bene? Non sono stato…

      - È stato perfetto. 

      Robert rise, poi aggiunse:

      - Non credo che riuscirò a camminare. Dovrai portarmi a spalle, ma è così che si fa con la selvaggina, no?

 

2005/2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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