Lettera copiaH copia

 

Godefroi osserva la prateria che si stende davanti a lui. Dalla collina su cui si trova, il suo sguardo scorre fino al fiume, che serpeggia non lontano, ancora coperto dalla nebbia mattutina. Oltre il fiume si innalzano le immense montagne che corrono lungo i confini meridionali del ducato. Il sole sta sorgendo, troppo presto perché Godefroi abbia la minima speranza di salvezza.

I cacciatori si sono di certo mossi dal castello prima dell’alba e ora sono sulle sue tracce. A cavallo, guidati dai cani, non ci metteranno molto a percorrere la strada che lui ha seguito nella notte e a ogni minuto che passa la distanza che lo separa dai suoi assassini diminuisce. Molto prima che la giornata sia giunta alla metà, Godefroi incontrerà la morte.

Godefroi ha cercato di confondere le proprie tracce, ritornando sui suoi passi e camminando in due ruscelli, ma sa benissimo che è stato uno sforzo inutile: anche se fosse davvero riuscito a seminarli, anche se avesse guadagnato un giorno, come sicuramente non è, a che servirebbe? Non ha un posto deve andare, non può rifugiarsi in una casa amica: chi lo accogliesse, subirebbe una morte atroce, monito terribile per tutti coloro che non sono disposti a ubbidire ciecamente al nuovo signore. Forse ci sono alcuni contadini che correrebbero il rischio, ma che senso ha portare loro rovina e morte, in cambio di poche ore di vita?

Perciò Godefroi ha preso i sentieri che attraverso la foresta conducono verso le grandi montagne. Avrebbe potuto nascondersi nella foresta: ma anche se i cani non l’avessero scovato, che cosa avrebbe potuto fare? Vivere cacciando a mani nude? Sopravvivere qualche giorno di stenti, prolungando la caccia e il divertimento dei suoi inseguitori? La sua vita è finita, Godefroi lo sa benissimo. Suo cugino, il nuovo duca, ha scelto di sbarazzarsi di lui in un modo che gli appare assai piacevole: una bella caccia all’uomo. Lo ha portato in quel maniero isolato, a quattro giorni di cammino dalla capitale. E ieri sera lo ha liberato, lasciandolo nudo e inerme sulla strada. Avrebbe potuto farlo sgozzare nel castello, ma il nuovo duca ama divertirsi, ama cacciare.

      Godefroi conosce bene il nuovo duca, è stato uno dei suoi compagni in battaglia. Ne ammira la forza e il coraggio, ma ne conosce la ferocia, il piacere crudele che prova nell’umiliare e far soffrire. Non a caso il loro zio aveva designato Godefroi come erede. Ma lo zio è morto e il cugino Gui, con l’appoggio di alcuni nobili, si è impadronito del trono ed ha messo in prigione Godefroi. Non ci sono state reazioni nel popolo, abituato a ubbidire a chi ha il potere. Un cugino al posto di un altro: solo un affare di famiglia. E tra poco, quando Godefroi sarà un cadavere sconciato dagli uomini e dai cani, Gui non avrà più nessuno che possa contendergli il titolo di duca.

Godefroi ha raggiunto il fiume. Che cosa può fare? Non può salvarsi e la fine che l’aspetta non sarà indolore, né rapida. Entra nel fiume. L’acqua, che proviene dalle vicine montagne, è molto fredda, benché sia estate.

Godefroi cammina, risalendo il corso del fiume. Probabilmente lo cercheranno prima verso valle, perché verso monte non ci sono insediamenti, a parte un piccolo paese e la casa di caccia del conte Herbert di Hautlieu, uno dei traditori che ha aiutato Gui a prendere il potere.

Godefroi ha venticinque anni e il suo corpo rifiuta lo scempio che il cugino vuole fare di lui. In tutti i modi cerca di ritardare l’agonia inevitabile, pur sapendo che, anche se riuscisse a seminare i suoi inseguitori – e questo è impossibile –, morirebbe di fame e di freddo, sulle montagne.

Godefroi cammina per oltre due ore, nell’acqua che spesso gli arriva fino al ventre. Evita con cura di toccare la terra o i sassi, per non lasciare una traccia che i cani potrebbero seguire. Man mano che procede, il percorso diventa più difficile, perché la valle risale e la corrente del fiume è sempre più impetuosa. Godefroi è stanco, non ha chiuso occhio per tutta la notte, non si è fermato un attimo, edora gli pare di non sentire più le gambe, immerse nell’acqua fredda.

      Non è lontano dalla casa di caccia. Ora dovrà lasciare il fiume e passare nel bosco, perché dalla casa o dal villaggio potrebbero vederlo. Se le poche miglia che ha percorso saranno sufficienti a garantirgli qualche ora di respiro, bene, altrimenti la fine arriverà molto presto.

     Godefroi esce dall’acqua. Le gambe non lo reggono. Si nasconde tra gli alberi. Deve riposare un momento. Si stende. Una stanchezza infinita lo assale. Non deve dormire, perché se si addormentasse…

      Godefroi sobbalza. L’uomo è davanti a lui. Si è avvicinato in perfetto silenzio, probabilmente lo ha visto mentre usciva dal fiume. Godefroi sa chi è: il guardiano della casa di caccia, un uomo del conte Herbert. Lo ha conosciuto quando è venuto a cacciare sulle montagne. È armato. La fuga di Godefroi è conclusa.

      - Duca, che cosa fate?

      Anche l’uomo lo ha riconosciuto. Non c’è nessuna speranza.

      Godefroi si mette a sedere. Non risponde, ma l’uomo ha capito.

      - Siete riuscito a fuggire?

      Godefroi scuote la testa.

      - No, mi hanno liberato. Per una caccia all’uomo. Come quelle che piacciono al nuovo duca.

      A che servirebbe mentire?

      L’uomo annuisce.

      - Sapete a che distanza sono?

      Godefroi alza le spalle.

      - Non so, ho camminato a lungo nel fiume, per far perdere le mie tracce. Ma è questione di poco. Prima o poi mi troveranno.

      L’uomo riflette un attimo.

      - Ho bisogno di un po’ di tempo per preparare tutto. Vi porto io fino a un luogo nascosto, non lontano da qui. Così, anche se arrivano, i cani non vi trovano subito.

      L’uomo lo solleva e lo prende in braccio, senza fatica. Godefroi lo guarda incredulo, ma lo lascia fare. Che senso avrebbe opporsi? L’uomo incomincia a muoversi lungo il fianco della montagna. Godefroi lo osserva: ha qualche anno in più di lui, un viso dai lineamenti forti, un naso aquilino e una folta barba castana, come i capelli e gli occhi.

      L’uomo lo posa a terra, tra la vegetazione fitta.

      - Rimanete qui, senza farvi vedere e senza parlare. Preparo tutto l’occorrente e sono da voi.

      Godefroi rompe il silenzio:

      - È una follia. Se davvero intendi aiutarmi, morirai. Conosci il nuovo duca e il tuo signore non è da meno. Bada a quello che fai. È meglio che mi consegni a loro. Oppure, se vuoi farmi un favore, uccidimi subito.

      L’uomo scuote la testa energicamente.

      - Se riusciremo ad allontanarci prima del loro arrivo, nessuno vi prenderà. A presto.

      Godefroi rimane solo. L’uomo intende davvero aiutarlo? Non è possibile, è al servizio del conte Herbert. Eppure sembra un uomo franco. Ed era armato, se avesse voluto catturarlo, non avrebbe avuto nessuna difficoltà. Ma perché mai quell’uomo dovrebbe preferire la morte ad una ricompensa?

      Godefroi si stende e mentre la sua testa ancora pone domande, già scivola nel sonno.

      Qualcuno lo scuote. È l’uomo, chino su di lui. Gli porge un abito, degli stivali.

      - Vestitevi e partiamo. Non sono ancora arrivati. Possiamo farcela.

      Godefroi si veste. L’uomo ha quattro cavalli, legati due a due. Sui due legati dietro agli altri ci sono grandi bisacce. Provviste ed armi. L’uomo gli porge una spada e un pugnale. Poi entrambi salgono a cavallo e l’uomo sprona il suo verso il fiume; lo attraversano ed incominciano a risalire lungo il fianco della montagna, in mezzo al fitto bosco.

      Godefroi si chiede incredulo se ciò che accade è vero. Poco tempo fa, lui era nudo, senza nessuna possibilità di sfuggire ai cani ed ai suoi inseguitori. Ora è vestito, a cavallo, armato, con una guida esperta e provviste.

      Cavalcano a lungo, al trotto e poi al passo. A un certo punto l’uomo si ferma e smonta.

      - Vado a vedere qual è la situazione. Nella bisaccia accanto alla vostra sella c’è acqua e c’è da mangiare. È meglio che approfittiate di questo momento per rinfrancarvi un po’.

      L’uomo sale su una roccia che costituisce un buon punto di osservazione. Torna poco dopo. Godefroi ha mangiato e bevuto. Si sente meglio.

          - Tutto tranquillo, per ora.

      Una seconda volta l’operazione viene ripetuta, ma è solo alla terza, che l’uomo dice:

      - Sono arrivati alla casa. Abbiamo un buon vantaggio. Non ci raggiungeranno facilmente.

      Godefroi lo guarda e la domanda gli viene alle labbra:

      - Come ti chiami?

      - Charles, mio signore.

      - Grazie, Charles. Hai fatto una follia, ma io ti ringrazio.

      Il viaggio riprende ed il bosco incomincia a diventare meno fitto. Ora procedono tra alberi sparsi, penetrando in un valloncello che sembra addentrarsi nel cuore delle montagne. Sono diverse ore che viaggiano, il sole sta calando ad ovest. Charles sprona i cavalli, ha in mente un punto preciso dove intende arrivare.

      Quando giungono al colle, Godefroi vede aprirsi un’altra valle, poco profonda, ma Charles non scende verso il torrente che scorre sul fondo. Guida il cavallo per uno stretto sentiero che si inerpica lungo la parete.

      Man mano che si sale la parete diventa più scoscesa e il sentiero è solo più un taglio nella roccia. Ai loro piedi si spalanca un abisso. L’aria è sempre più fredda, perché ormai sono ad alta quota e il sole è scomparso, anche se il cielo è ancora chiaro. Godefroi si mette il mantello che Charles gli porge.

      Proseguono ancora, mentre diventa sempre più buio. Tra un po’ dovranno per forza fermarsi e di certo nessuno li inseguirà lungo quel sentiero di notte.

      Si vede appena quando giungono a un punto in cui si apre una caverna.

      - Aspettate qui duca, ma scendete a terra e tenete le armi pronte. Vado a controllare. Qualche orso potrebbe aver fatto la sua tana nella grotta. 

      Charles accende una torcia e si inoltra nell’antro. Riappare qualche minuto dopo.

      - Tutto a posto, possiamo entrare.

      Portano dentro i cavalli. È una caverna ampia e Godefroi si stupisce di vedere una gran quantità di legna accumulata lungo una parete.

      - La usiamo durante le cacce ad alta quota, duca. Qui vicino c’è una sorgente, è un ottimo posto per fermarsi.

      - Perché mi chiami ancora duca? Il duca è mio cugino. E perché mi vuoi salvare, rischiando la vita?

      - Perché il defunto duca aveva scelto voi come suo erede. E voi per me siete il duca.

      Charles non dice altro. Prepara un fuoco e cuoce un po’ di carne. Dalle bisacce escono due focacce. Mangiano e bevono, poi Charles dice:

      - Mettetevi a dormire. Io manterrò il fuoco acceso. Qui ci sono bestie feroci.

      Godefroi annuisce.

      - Chiamami per il mio turno di guardia.

      Si stende. Tutto gli sembra irreale, come se stesse vivendo un sogno. Guarda il profilo forte di Charles contro il fuoco. Sorride e si addormenta.

 

      - Svegliatevi, duca.

      Godefroi apre gli occhi. Il fuoco è spento, ma c’è una debole luce che viene dall’ingresso.

      - Non mi hai chiamato! Hai vegliato tutta la notte?!

      - Avevate bisogno di dormire, duca. Mangiate. Dobbiamo partire subito.

      Godefroi mangia rapidamente quello che Charles ha preparato e sono subito fuori. Il sentiero appare sempre più stretto e devono smontare da cavallo e guidare gli animali, passo a passo, fino a che arrivano ad una cresta. Di qui Charles osserva con attenzione la valle alle loro spalle, ma non c’è traccia dei loro inseguitori.

      Scendono rapidamente lungo il pendio, per poi risalire sull’altro. Passano l’intera giornata spostandosi tra creste e valli e guadagnando quota. Più volte calpestano la neve. Spesso, prima di superare un colle, Charles guarda indietro, ma i loro inseguitori sembrano scomparsi.

      Una volta Godefroi interviene:

      - Non si rassegneranno così facilmente. Il duca non è tipo da mollare.

      Charles sorride.

      - Né lo è il conte Herbert. Ma tra due giorni siamo nel principato di Bernons, non ci seguiranno là.

      - Non pensi che possano raggiungerci prima?

      - No, a meno che non tentino il tutto per tutto alla bocca del ghiacciaio. Ma sarebbe follia.

      La notte Godefroi fa il primo turno di guardia. Charles è sicuro che i loro inseguitori non possono raggiungerli finché sarà buio, ma quelle montagne inospitali sono piene di bestie feroci. È meglio che uno rimanga a vegliare.

      Godefroi pensa. Nella giornata ha meditato molto. Charles è di poche parole e comunque non ci sono molte occasioni per parlare, perché sono sempre in movimento: una preda non può fermarsi quando ha il cacciatore alle calcagna. E spesso non è neppure possibile procedere affiancati.

      Godefroi ricorda la mattina del giorno prima, quando era sicuro di essere giunto alla fine. Pensa a Charles, quest’uomo forte e silenzioso che l’ha visto due volte in tutta la sua esistenza ed ora sta rischiando la vita per salvarlo.

      Il giorno dopo trascorre allo stesso modo, ma verso sera, dall’alto di un colle, Charles vede i loro inseguitori. I cacciatori sono ancora molto distanti, ma non hanno rinunciato.

      Charles annuisce, senza dire nulla.

      Quella sera, tra i massi dove si sono fermati, Godefroi osserva Charles. Sente il bisogno di parlargli. Domani potrebbero raggiungerli, domani potrebbero essere morti e lui vuole dirgli grazie.

      - Grazie per quello che stai facendo, Charles.

      Charles lo fissa.

      - La lealtà al sovrano viene prima di ogni altra cosa.

      - Io non sono più un sovrano, sono solo una preda inseguita dai cacciatori. E ora lo sei anche tu.

      Charles sorride.

      - Ci sono prede che è molto pericoloso cacciare.

      Godefroi, d’impulso, gli poggia una mano sul braccio.

      - Grazie, Charles.

      Rimangono un attimo a guardarsi. Fissando Charles negli occhi, la mano posata sul braccio della sua guida, Godefroi si sente turbato, non saprebbe dire perché. O forse lo sa, ma preferisce non ammetterlo. Non è il momento ora. Forse il momento non arriverà mai.

 

      Il duca Gui è seduto vicino al fuoco. Pregusta la conclusione della caccia. La scena si svolge davanti ai suoi occhi, nitida in ogni dettaglio.

      Dalla cresta la vista spazia nella valle sottostante. Godefroi è poco lontano. La preda è in trappola ormai e non sfuggirà una seconda volta. I cani si lanciano all’attacco. Il duca Gui, alla testa dei suoi uomini, li segue ed il suo urlo di gioia quasi sovrasta il latrare furioso degli animali.

      I cani hanno raggiunto l’uomo di cui hanno seguito le tracce per giorni e mostrano le zanne, pronte ad affondare nella sua carne. Ringhiano. Il duca vede che Godefroi rimane perfettamente immobile: sa che se si muovesse lo sbranerebbero e non vuole finire come una bestia macellata dai cani. Il duca sorride e guarda la sua preda, immobile, le gambe leggermente divaricate. Il corpo di Godefroi si irrigidisce, nell’attesa di ciò che sta per accadere. 

      Ora è a pochi passi da lui. Gli altri cavalieri sono rimasti indietro, sanno che devono rimanere al proprio posto. Godefroi lo fissa negli occhi.

      Il duca estrae la lancia. Per un attimo i due si guardano ancora negli occhi, l’uomo nudo e disarmato, il duca a cavallo e con la lancia in mano. Due uomini forti, il cui destino si incrocia per l’ultima volta. Tra non molto uno dei due sarà un cadavere sconciato, l’altro sarà il cacciatore trionfante.

      Il duca alza il braccio con la lancia e vede che Godefroi si tende in ogni fibra del suo corpo. Il duca porta il braccio indietro, poi c’è un brusco movimento. La lancia, scagliata con forza, vola verso il ventre di Godefroi e lo trafigge, con tanto impeto, da sollevare il corpo e scagliarlo indietro.

      Godefroi ha sentito il dolore nel suo ventre esplodere, ma la violenza dell’urto contro il suolo lo stordisce, per un attimo persino il dolore inumano sembra ottundersi, poi la coscienza ritorna e il dolore urla di nuovo feroce, gli azzanna le viscere. Il duca è su di lui e lo guarda, sorridendo.

      Il duca alza la gamba e poggia il piede sul ventre della sua preda. Afferra con la mano la lancia e, premendo il piede sul corpo di Godefroi per tenerlo fermo, tira con forza. Godefroi si irrigidisce, inarca la testa, tendendo i muscoli del collo, nel tentativo di frenare l’urlo che gli cresce dentro, riesce a trattenerlo, ma il dolore lo travolge, un’ondata gelida lo investe, mentre gli sembra che le viscere accompagnino la lancia che abbandona il suo corpo. Il mondo vacilla. A Godefroi sembra di precipitare e poi risalire e poi nuovamente precipitare. Tutto diviene confuso, una nebbia gli è calata sugli occhi e solo lentamente l’immagine del duca, la lancia in mano, riacquista tratti precisi. Dalla lancia il sangue cola ancora sul suo corpo.

      - Bene, troia in calore, adesso gusterai il cazzo di un vero maschio.

      Un calcio rovescia Godefroi sul ventre, rinnovando ancora il dolore. Un braccio gli è rimasto piegato sotto il torace ed il corpo è leggermente inclinato. Godefroi avverte che il duca gli sta allargando le gambe e per un attimo un impulso di ribellione ha la meglio sullo spasimo delle sue viscere, sull’accettazione della morte, cerca di rigirarsi sulla schiena. Ma è solo un attimo ed il corpo del duca che preme sul suo lo blocca e gli ricorda che ogni sforzo di resistere è vano. Quando le mani del duca gli divaricano le natiche e la grossa massa incomincia a premere tra i suoi fianchi, dilatando lo sfintere ben oltre le sue possibilità, non c’è più nessuna volontà di resistenza. L’arma che forza l’ingresso è temibile ed il dolore è tanto violento da riuscire a farsi sentire, nitido e preciso, nonostante l’incendio che gli divora il ventre.

      Godefroi geme. Non è riuscito a frenare il gemito. È la vittoria che il duca aspettava, che gli provoca un piacere non inferiore a quello che gli sale dal grande membro che squassa le viscere di Godefroi. Il duca preme con impeto, vuole lacerare, dilatare il dolore fino a farlo esplodere, come, sotto le sue spinte vigorose, si dilata fino a rompersi il canale che accoglie il sesso del duca.

      Le spinte diventano più rapide, più rabbiose, la carne si lacera ancora e infine il duca viene, in un parossismo di piacere, mentre un fiotto caldo inonda le viscere dilaniate di Godefroi.

      Il duca si rialza ed il momento in cui il membro, ancora turgido, anche se meno rigido, esce dallo sfintere è nuovamente una fitta violenta. Schiacciato contro il suolo, la bava che gli cola dalla bocca aperta, il sangue e il seme che gli colano dall’apertura violata, Godefroi spera con tutte le sue forze che un colpo metta fine alla sua agonia, ma la voce del duca risuona chiara:

      - Forza, ragazzi, questa troia era vergine, ma adesso che ha gustato un vero cazzo, ne vuole ancora.

      Uno dopo l’altro, sei uomini forti, sei maschi vittoriosi ed ebbri di sangue, in gara a chi scaverà più a fondo, chi riuscirà ad infliggere più dolore, chi si alzerà con il membro più sporco di sangue, chi lo farà gemere di più.

      Godefroi non geme, quanto rimane della sua volontà è tutta concentrata nello sforzo di non urlare il dolore. La bocca contratta, i muscoli del collo e della faccia tesi allo spasimo, una smorfia che gli deforma i tratti, il viso sull’erba, Godefroi cerca di trattenere ogni suono. La saliva che gli scivola dalla bocca ha tracce di sangue, ora, e ad un tratto Godefroi è preso da un conato di vomito. Dalla bocca gli esce il sangue accumulato nello stomaco.

 

      Il duca Gui sorride, ma tutto il suo corpo è in tensione. Il pensiero di ciò che farà a Godefroi, quando l’avrà catturato, gli ha acceso il sangue, che affluisce al sesso. Il duca accarezza il suo cane, Sanguinario.

      - Domani, dobbiamo prenderli domani, prima che ci scappino.

      Il conte Herbert di Hautlieu concorda. Anche lui ha un conto in sospeso con l’uomo che lo ha tradito. Saprà punirlo in modo da dare un esempio che nessuno dimenticherà. E il duca lo ricompenserà del sostegno che gli ha dato nella conquista del ducato e nella caccia a Godefroi. Herbert non si sbaglia: il conte di Hautlieu diventerà l’uomo di fiducia del duca e il nobile più potente del ducato.

      Gli altri nobili che hanno accompagnato il duca nella caccia, quelli che lo hanno appoggiato nella conquista della corona ducale, sono meno entusiasti. Il divertimento della caccia all’uomo si è trasformato in un inseguimento sfibrante e condotto in condizioni non ottimali. Il duca ha voluto mettersi subito alla ricerca dei due fuggitivi, prima che accumulassero un vantaggio incolmabile, ma loro non sono equipaggiati per affrontare quelle montagne senza infiniti disagi: freddo, cibo scarso, poco riposo. Nessuno però si tira indietro, conoscono il duca.

      Il duca accarezza ancora il cane.

      - Domani mangerai un boccone da re, Sanguinario. Il cazzo e i coglioni di un nobile.

      Il duca ride. La sua preda sarà sbranata dai cani, dopo che tutti loro si saranno divertiti con lui. Quella lunga caccia ha soltanto acuito il desiderio di vendetta nei confronti di quell’uomo che lo zio gli ha preferito, benché più giovane e meno esperto.

      Tutti si stendono per dormire. Il duca chiama uno dei servitori, il più giovane: è troppo eccitato per riuscire a riposare. Deve sfogarsi.

      - Mettiti a terra. Ho voglia di fottere.

      Il ragazzo si stende a pancia in giù. Il duca gli abbassa i pantaloni e lo prende con forza. Il giovane geme, anche se è abituato ad essere penetrato durante le cacce: sa che al suo signore piace credere che lo sta facendo soffrire.

      Il duca spinge un buon momento, poi viene. Si tira su i pantaloni e si mette a dormire. Il servitore si alza e torna con gli altri.

 

      Godefroi e Charles sono nella valle. Il sole è alto in cielo, ma il fondovalle è in ombra. La parete alla loro destra è quasi verticale, mentre la sinistra, meno inclinata, è coperta da uno spesso strato di neve. Il freddo è intenso e man mano che procedono, la neve appare sempre più alta e compatta. Non è più neve, sono blocchi di ghiaccio, il fronte di un immenso ghiacciaio di cui non possono vedere l’estensione. Tra la parete alla loro destra e il ghiaccio corre una gola, sul cui fondo si trovano spesso lastre di ghiaccio. Il cammino è faticoso.

      Si muovono in silenzio, Charles ha raccomandato di non aprire bocca. A un certo punto sulla destra si vede un sentiero che taglia la parete. Charles lo imbocca e incominciano a salire. È un’ascesa vertiginosa, il passaggio è stretto e avanzano con estrema prudenza, conducendo i cavalli per le briglie.

      Chi ha tagliato quei sentieri? Per secoli gli uomini hanno percorso queste montagne e, fino a che i pirati saraceni non sono stati scacciati dalla costa, le loro scorrerie rendevano impraticabili le strade costiere. Probabilmente in quei tempi sono state scavate queste vie, più esposte ai pericoli della natura, ma non raggiungibili dai pirati e quindi più sicure di quelle che correvano lungo il mare.

      Man mano che procedono e guadagnano quota, il ghiacciaio si svela. Il fronte è molto alto e sembra non finire mai, ma dietro si estende una massa immensa di ghiaccio, che copre tutto il fianco della montagna.

      È uno spettacolo terribile e splendido e a tratti Godefroi lo contempla affascinato, ma non osa distogliere a lungo lo sguardo dallo stretto sentiero, dove un passo falso sarebbe fatale.

      L’ascesa è interminabile e non possono procedere rapidamente. Solo dopo tre ore di marcia concludono la salita. Ora la loro strada procede quasi in piano e a tratti è più ampia. Davanti a loro, alla stessa altezza, la parte superiore del fronte del ghiacciaio. Sotto di loro, al fondo del precipizio, la gola.

      È allora che li vedono. Devono essersi messi in cammino durante la notte, per raggiungerli. Sono nella gola, ancora parecchio indietro. Tra poco prenderanno il sentiero che sale.

      Ma i loro inseguitori proseguono lungo il fondo della gola.

      - Non salgono!

      Charles scuote la testa.

      - No, vogliono raggiungere l’altra estremità della gola, in modo da aspettarci quando dovremo scendere.

      Godefroi si sente gelare il sangue.

      - Vuoi dire che dobbiamo scendere? Non c’è un’altra strada?

      Godefroi non capisce. Charles sa quello che fa. Perché li ha portati per quel sentiero da capre, anziché passare per il fondo della gola, disagevole, certo, ma meno pericoloso e soprattutto molto più rapido? Che cosa ha in mente?

      Charles non dice nulla, non appare spaventato. Ma non è un uomo da mostrare paura. Godefroi non sa che cosa abbia in mente, ma si fida ciecamente di lui. Non può aver sbagliato i calcoli.

      Arrivano infine a un punto dove si apre una fenditura tra le rocce ed il sentiero passa tra grandi massi.

      - Ci fermiamo qui.  

      Godefroi annuisce. Non chiede. Charles sa quello che fa.

      Charles lega i cavalli nella fenditura, in un punto arretrato rispetto al sentiero. Poi si mette di vedetta su un masso. Godefroi è vicino a lui. Vedono i cacciatori avanzare lentamente lungo il fondo della gola. È una lunga attesa, ma infine arrivano sotto di loro.

      Allora Charles scende dal masso e ritorna poco dopo con un corno. Godefroi si chiede perché mai si sia portato un corno.

      - Attenzione, duca, state al riparo dietro le rocce. Tra poco sarà l’inferno.

      Godefroi non capisce. Anche se li vedessero, i cacciatori non potrebbero colpirli con frecce o lance, a quella distanza. Si mette dietro le rocce, continuando però a seguire quanto avviene.

      Charles sale sul punto più alto e suona il corno. Soffia con forza ed il suono si innalza, potente, urta contro il bordo della parete di ghiaccio e rimbomba. L’intera montagna sembra ripetere quel suono, che si ingigantisce.

      Il suono è sempre più forte, ma non è più un suono, è un fragore immane e Godefroi capisce di colpo che non è più il corno che suona. Charles è di fianco a lui, acquattato tra i massi.

      Godefroi guarda. E davanti ai suoi occhi attoniti l’immensa parete di ghiaccio freme convulsa, come scossa da un terremoto, e poi si spezza e cade nella gola. Davanti ai loro occhi è una nube bianca, che li avvolge, mentre neve e ghiaccio coprono anche il sentiero.

      Charles copre il capo di Godefroi con il suo mantello. Godefroi non vede più nulla, sente solo il rumore assordante che sembra ripercuotersi all’infinito. Charles toglie il mantello. La nube si sta dissolvendo e il rombo diventa una successione di rumori sempre meno forti.

      Infine di nuovo silenzio.

      Godefroi e Charles si alzano. I loro abiti sono coperti da un velo bianco ed hanno schegge di ghiaccio sul corpo.

     Davanti a loro c’è il ghiacciaio, immenso e non diverso da come appariva prima, ma Godefroi può scorgere i punti in cui il fronte è crollato. Sotto di loro tutta la parte centrale della gola è ostruita da un immenso accumulo di ghiaccio e neve. Nessuno è ancora vivo, laggiù.

      - L’inseguimento è concluso, duca.

      Godefroi annuisce, senza distogliere lo sguardo da quella che è ormai la tomba dei suoi nemici. Sì, l’inseguimento è concluso. I cacciatori sono diventati prede. Charles aveva ragione: ci sono prede che è pericoloso cacciare. Charles è una di queste.

      Il duca è morto e con lui i suoi fedeli, quelli che intendeva premiare con una bella caccia all’uomo. Godefroi può tornare indietro, ormai. Nessuno più gli si opporrà.

      Mentre Godefroi riflette, Charles parla:

         - Che cosa vuole fare, duca? Torniamo indietro?    

      Godefroi si volta verso Charles. Gli sorride.

      - Grazie, Charles. Avevi pensato a tutto, per quello hai preso il corno.

      Non è una domanda, ma Charles risponde.

      - Sì, duca. Nel caso non ci fosse stata un’altra via.

      Non c’era un’altra via, in effetti. Percorrere la gola era troppo pericoloso. Quello che Charles ha provocato con il corno poteva prodursi in qualunque momento, per cause naturali. Sarebbe bastato anche un singolo lastrone di ghiaccio per ucciderli.

      - Torniamo indietro, Charles, grazie.

      Charles calma i cavalli, che il rumore e la nuvola di neve hanno innervosito. Poi li slega, dà le redini di due a Godefroi, prende gli altri due e incomincia a scendere per la strada lungo cui sono venuti.

         Quando infine arrivano sul fondo della gola, percorrono in silenzio il tratto che li separa dall’ingresso.

     

      Il viaggio di ritorno si svolge lungo gli stessi sentieri. Procedono rapidi, quando il terreno lo consente. Trovano le tracce dei bivacchi dei loro inseguitori e Godefroi più volte pensa a quanto è successo.

      Ora che la caccia è conclusa, Godefroi non è più teso come nei giorni precedenti. Si guarda intorno, contempla i paesaggi selvaggi e splendidi di quelle montagne impervie. Quando la strada permette di cavalcare affiancati, chiede informazioni a Charles, che di quei monti conosce ogni cima, ogni baratro, ogni storia.

      - Quanti anni hai, Charles?

      - Trenta, mio signore.

      - Come fai a conoscere così bene questi monti?

      Charles sorride.

      - Avevo cinque anni quando mio padre mi portò per la prima volta con sé, per una settimana di caccia. E ne avevo quattordici quando mi lasciò da solo, per quindici giorni, alla caverna dove ci siamo fermati il primo giorno. Avevo soltanto una coperta e le armi, dovevo procurarmi da mangiare, difendermi dagli animali, sopravvivere per due settimane. Ho imparato presto a conoscere queste terre.

      - Da solo? Ma la notte, con gli animali, come facevi?

      - Ho imparato a dormire stando all’erta, a cogliere ogni segnale, ogni rumore, anche nel sonno, a svegliarmi per alimentare il fuoco. Si impara.

      Si impara. Charles ha imparato.

      Proseguono in silenzio, perché il sentiero ora è ritornato stretto e non possono avanzare appaiati. Godefroi osserva il paesaggio intorno a sé, ma il suo sguardo si ferma spesso, sempre più spesso, su Charles.

      Una domanda preme, tanto forte ormai che Godefroi è costretto a formularla. Che cosa prova per Charles, per l’uomo che gli ha salvato la vita, rischiando la propria?

      Non è solo riconoscenza, Godefroi lo sa benissimo. È qualche cosa di molto più forte, un desiderio che cresce. Ha spesso desiderato uomini, ma mai con la stessa intensità con cui desidera Charles. Ma non può dirglielo. Non può? No, non ora; quando saranno alla casa di caccia, allora sì. Godefroi dirà quello che prova e se Charles lo respingerà, Godefroi tornerà alla capitale da solo, tanto non è più una preda. Ricompenserà Charles per la sua fedeltà e se ne andrà. Ma adesso sarebbe imbarazzante per tutti e due, dormire vicini, trascorrere insieme tutto il giorno, dopo un no. Pensa alle frasi che potrà dire, perché la sua richiesta non sembri un ordine, non vuole forzare Charles in nessun modo.

      Godefroi ha fatto male i conti, senza l’oste. Alla casa di caccia non ci sarà nessuna rivelazione, le parole che cerca non gli serviranno.

      È pomeriggio avanzato quando arrivano alla caverna dove si sono fermati la prima notte. È tardi per scendere fino alla casa, ma il sentiero non presenta pericoli, se Godefroi vuole, Charles è in grado di condurlo anche la notte.

      Godefroi sa che è opportuno lasciar riposare i cavalli e non gli spiace trascorrere ancora una notte sulle montagne, con Charles.

      Sono vicino all’ingresso della caverna. Come la volta scorsa Charles prende la lancia e va a controllare che nella caverna non ci sia qualche ospite indesiderato.

      L’ospite c’è e non aspetta l’arrivo di Charles. Esce dalla caverna, un grande orso minaccioso, che si avventa su Charles. A Godefroi si gela il sangue nelle vene, mentre i cavalli tirano le redini, spaventati. Il brusco movimento dei cavalli sbilancia Godefroi, che per un attimo perde di vista Charles.

      L’orso sovrasta Charles, cade su di lui. Charles è a terra, l’orso sopra di lui. Godefroi lancia un urlo di disperazione, mentre con la spada sguainata si lancia verso i due corpi.

      Il viso di Charles è coperto dal petto dell’orso. Charles si muove, ma il suo corpo è coperto di sangue. Un lago di sangue si allarga.

      Godefroi immerge la spada nel fianco dell’orso, ma la bestia si muove appena. Solo allora Godefroi vede che la punta della lancia di Charles esce dalla gola dell’animale.

      Charles cerca di liberarsi, è ancora vivo. Spingendo con tutte le sue forze, Godefroi riesce a scostare il corpo dell’orso, che scivola lungo il dirupo.

      Charles è in un bagno di sangue e Godefroi urla. Non può perderlo ora, non ora, quando ormai sono quasi arrivati, quando nessuno più li insegue.

      - Charles, Dio mio, Charles!

      Charles si rialza, intontito. Per Godefroi è un miracolo vederlo muoversi. È ancora vivo. Per quanto?

      - Charles, dove sei ferito?

      Charles scuote la testa.

      - Niente, duca. Solo un graffio al braccio. Ma mi è crollato addosso e mi ha stordito.

      Godefroi lo guarda. È vero, l’abito non è lacerato, è intriso di sangue, ma è il sangue dell’orso. Charles non sta morendo.

      - Fammi vedere il braccio.

      - È solo un graffio.

      - Togliti la giubba.

      Charles è in piedi, si spoglia e rimane a torso nudo. La ferita è poco più di un graffio. Charles dice che è meglio medicarla, ma lo farà più tardi. Godefroi gli impone di farlo subito.

      Recuperano i cavalli, che si sono allontanati ed entrano nella caverna. Charles accende il fuoco e prepara un decotto da mettere sulla ferita. Esce per lavarsi alla sorgente. Rientra ancora gocciolante.

      Ora che il sangue è stato lavato via si vede che la ferita al braccio non è niente di grave. Godefroi osserva il torace muscoloso dell’uomo, la peluria leggera intorno ai larghi capezzoli scuri. Deglutisce. Ha la gola secca.

      Quando il decotto è pronto, Godefroi lo versa sulla ferita, seguendo le istruzioni di Charles, poi gli benda il braccio e si siede. Adesso che l’angoscia si è dissolta, si accorge che le gambe non lo reggono.

      - Charles, Dio mio, ho creduto che l’orso ti avesse ucciso.

      Charles sorride.

      - L’ho ucciso io. Ma quel bestione mi ha quasi soffocato.

      Godefroi annuisce. Sono seduti l’uno vicino all’altro. Godefroi guarda Charles, che ancora sorride. Non ha mai sorriso nei giorni in cui erano braccati. Si guardano negli occhi. Anche Godefroi sorride. Charles si sposta, in modo da essere di fianco a Godefroi. Non occorrono parole. Charles gli prende il viso tra le mani e lo avvicina al proprio. Lo bacia sulla bocca. Godefroi ricambia quel bacio con trasporto, le sue mani accarezzano le guance di Charles.

      Charles lo spinge a terra e si stende di fianco a lui. Si baciano ancora e questa volta la lingua di Charles si insinua tra i denti di Godefroi, lo costringe ad aprire la bocca. È una sensazione forte, che Godefroi non ha mai provato. Ora una mano di Charles scorre lungo il suo corpo. La pelle è ruvida, ma quel contatto è una scintilla che in ogni punto sfiorato provoca un incendio. La mano si ferma sul sesso, che reagisce e si tende. Charles lo sta spogliando ed ora Godefroi è nudo, di fianco al fuoco, il corpo che freme. Guarda Charles, che ancora indossa i pantaloni. Esita, poi appoggia le sue mani sui fianchi di Charles e gli cala le brache, mettendo in vista un sesso non meno teso del suo. Charles guarda affascinato. Gli sembra grande, la cappella di un rosso quasi violaceo svetta dalla pelle più chiara, contro la peluria che sul ventre è più fitta e scura.

      Godefroi vorrebbe dirgli che è bellissimo, ma non riesce a parlare. Charles si libera dei pantaloni e si stende su di lui. Ora i loro corpi aderiscono e il peso di quel corpo che grava sul suo è una sensazione violenta, il contatto di quella carne calda contro la propria è inebriante. Le loro bocche si incontrano di nuovo, le loro lingue si muovono, Godefroi appoggia le mani sul culo di Charles, lo accarezza, lo stringe, lo pizzica. È bello sentire quella carne calda, affondare le dita nel pelame che copre le natiche. Contro il ventre preme l’asta tesa di Charles, proprio di fianco a quella di Godefroi.

      Charles solleva un po’ la testa e lo guarda, accarezzandogli i capelli.

      Godefroi ricambia lo sguardo. Gli sembra di leggere una domanda in quegli occhi che il fuoco fa scintillare. Risponde:

       - Prendimi, Charles.

      Charles lo bacia sulla bocca, scivola di lato e lascia che sia Godefroi a girarsi, offrendogli il culo. Si siede sulle gambe di Godefroi e incomincia ad accarezzargli il culo, a stringerlo tra le dita. L’indice destro percorre il solco, quasi a tracciare una strada. Godefroi freme, di un desiderio che brucia.

      Il dito raggiunge l’apertura e la stuzzica con delicatezza. Poi si stacca, per ritornare poco dopo umido. Allora, con molta lentezza, il dito preme sull’ingresso e lo forza ad accogliere l’intruso, mentre l’altra mano pizzica una natica. Godefroi sussulta.

      Il dito esce, Charles si stende su Godefroi, il suo membro si appoggia sul solco. Poi Charles si solleva un po’ e Godefroi avverte la pressione della cappella contro l’apertura. Le forze gli mancano, il suo corpo si abbandona completamente a quell’altro corpo che ne prende possesso e l’arma si introduce, lentamente, senza incontrare resistenza. Ad ogni spinta Godefroi sente un’ondata di piacere salire dal suo culo e percorrergli tutto il corpo. Una mano di Charles gli accarezza i capelli, poi gli scende sul viso.

      Ora Charles è dentro di lui, la sua asta fermamente piantata in culo a Godefroi. È una sensazione bellissima. Godefroi vorrebbe rimanere per sempre così, il peso del corpo di Charles che lo schiaccia, la picca che lo infilza, le mani che lo accarezzano. Nessun piacere è mai stato così forte, mai si è sentito così appagato.

      Lentamente Charles incomincia a muoversi dentro di lui, ritirando il membro e poi spingendolo nuovamente a fondo. E tutto il corpo di Godefroi è percorso da un fremito. C’è una tale sensazione di pienezza in quel contatto, che la sofferenza che lo accompagna non ha nessuna importanza, Godefroi nemmeno la percepisce. Ora sembra solo contribuire al piacere, un piacere che dal fuoco che ha in culo si propaga a tutto il corpo, gli preme selvaggio in gola, forza una via d’uscita in un gemito scomposto, poi deborda in un suono inarticolato, un urlo. E contro la stuoia stesa sul suolo della grotta, il suo sesso vibra in una tensione che è tanto forte da essere intollerabile, fino ad esplodere in puro piacere. Lampi accecanti gli riempiono gli occhi e per un momento nulla esiste se non l’intensità di un godimento quale non ha mai provato, che gli sale dai coglioni, dall’asta tesa, dal culo che il membro di Charles riempie, dalle dita di Charles, dal peso del corpo di Charles. Piacere e nient’altro che piacere.

      Godefroi ha l’impressione di essere svenuto, per un attimo ha davvero perso coscienza e mentre riemerge sente le spinte vigorose di Charles, il dolore al culo, una sensazione di pienezza, di appagamento totale. Charles sta venendo dentro di lui, il suo seme gli riempie le viscere. Anche per lui la sensazione deve essere stata fortissima, perché si abbatte sul suo corpo, respirando affannosamente.

      È bello sentire il corpo di Charles che preme, il suo membro ancora in culo, anche se meno grande di prima, le sue mani che lo stringono.

      Charles si solleva, lo accarezza, a lungo, senza uscire da lui. Godefroi si sente in paradiso, e nella pienezza di quel momento non riesce a trovare parole. Ma non sono necessarie. Lentamente, mentre le carezze di Charles accendono un nuovo fuoco dentro Godefroi, anche la mazza che gli riempie il culo riprende a crescere, premendo con forza. Le carezze di Charles non si interrompono, ma ormai entrambi sono nuovamente preda di un desiderio violento.

      Charles smette di accarezzare Godefroi e di nuovo il suo corpo preme su quello del duca, le sue spinte gagliarde strappano gemiti a Godefroi, che ora urla il suo nome:

      - Charles!

      Come se quell’urlo fosse un segnale, Charles raddoppia l’impeto ed i suoi colpi squassano il corpo di Godefroi, finché entrambi vengono di nuovo, insieme.

      Esausti ed appagati, rimangono stesi un buon momento, fino a che Charles si alza per alimentare il fuoco. Per Godefroi è un dolore, un vuoto che si apre dentro di lui. Si mette a sedere e fissa Charles che aggiunge legna. Ne guarda il corpo sudato che luccica alla luce del fuoco, il sesso ancora gonfio.

      Un desiderio preme confuso.

      - Avvicinati.

      Charles finisce di sistemare il fuoco e si mette davanti a Godefroi. Fa per chinarsi, ma le mani del duca lo bloccano, si fermano sui suoi fianchi, pizzicano il culo e la bocca di Godefroi si apre ad accogliere il sesso del suo servitore.

      Charles gli accarezza i capelli e Godefroi sfiora con la lingua il sesso, finché non riprende ad irrigidirsi. Allora le sue labbra si muovono veloci, inventando movimenti che non conoscevano, finché non sente la voce strozzata di Charles:

         - Mio signore, sto per venire.

      Godefroi non ritira la bocca. Beve le poche gocce di sperma che escono dal membro. Ne sente il gusto, un po’ acidulo.

      Lascia il sesso, nasconde la faccia tra i peli del pube di Charles, gli stringe forte le natiche.

      Charles gli accarezza la testa e quando infine Godefroi si stacca da lui, si inginocchia e lo bacia sulla bocca.

      Godefroi riceve il bacio, poi lo fissa negli occhi.

      - Rimarrai con me, Charles.

      Charles sorride e dice:

      - È tutto quello che desidero, mio signore.

     

      Il duca è tornato sul trono. Non ci sono state punizioni esemplari, i principali responsabili erano già morti. Il duca si è limitato a scegliere come capo delle sue guardie personali il nuovo conte di Hautlieu: l’uomo che gli ha salvato la vita, quando i congiurati volevano ucciderlo, ha ricevuto il titolo che era stato del suo signore.

      Dicono che il duca è diventato diffidente, anche se nessuno trama contro di lui: non si separa mai dal capo delle guardie, che dorme in una camera vicina, collegata a quella del duca da una porta. Quando non è nel suo castello, il duca pretende che il capo delle guardie dorma ai piedi del suo letto. Ha piena fiducia nel conte di Hautlieu, che lo ripaga con una fedeltà assoluta.

 

2010

 

 

 

 

 

 

 

 

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