Il
diavolo custode
A Max Thomas Quel bastardo ce l’aveva fatta, era riuscito a dileguarsi un’altra volta. Nel canyon non si vedeva nessun segno di presenza umana e per terra nessuna traccia. Anche questa volta Jack il Coyote gli era sfuggito. Probabilmente aveva già raggiunto il confine del Messico e lui non poteva farci proprio più niente. Tanto valeva che si rassegnasse. Lo sceriffo Max T. Stain era furibondo con se stesso, per essersi lasciato scappare quel figlio di puttana: Jack avrebbe continuato a seminare cadaveri in tutta l’Arizona e lui non era riuscito a fermarlo. Era stato sicuro di beccarlo, questa volta: lui e Dan, il suo vice-sceriffo, si erano separati per seguire le uniche due piste che portavano verso il confine, ma Jack li aveva beffati. Doveva essere passato per un’altra via, quella carogna conosceva la regione come nessun altro. Per un attimo Max si disse che forse Dan poteva averlo raggiunto, ma era difficile. Non era probabile che Jack prendesse la pista seguita da Dan. Max lanciò un’ultima occhiata alle rocce rossastre, ai pochi alberi che crescevano sul fondo del canyon, alle antiche abitazioni indiane che si vedevano alla curva del fiume. Girò il cavallo e riprese la strada per Redstone. In un’ora fu al punto in cui lui e Dan si erano separati. Nessuna traccia del suo vice. Osservando le orme, Max vide che Dan non era ancora tornato indietro, a meno naturalmente che non fosse passato da un’altra parte. Max ripensò al suo vice, ne rivide il corpo massiccio, l’eterno sigaro in bocca, la camicia a quadri con le larghe bretelle e le maniche arrotolate, a mostrare le braccia coperte da una peluria rossa. Come sempre, il pensiero di Dan lo turbò. Non aveva mai analizzato che cosa provava per il suo vice, ma sapeva benissimo che non c’era solo il profondo affetto per l’uomo che lo aveva affiancato quando aveva dovuto affrontare i Parsons, l’unico che aveva avuto il fegato di combattere con lui quando quella banda di bastardi era arrivata a Redstone. C’erano altre cose, nel loro rapporto, o almeno nella testa di Max, sensazioni confuse e una tensione che spesso si traduceva in una violenta erezione. Max si rese conto che anche in quel momento gli stava venendo duro. Prima Jack il Coyote che gli era sfuggito e ora anche il cazzo duro al pensiero del suo vice! Max era furibondo con se stesso. Spronò il cavallo e per un buon momento lo mantenne in corsa, come se stesse inseguendo un bandito in fuga, poi si diede dell’idiota e rallentò. Era al bivio per Bad Waters, ora. Gli venne in mente che non lontano di lì c’era una pozza d’acqua di cui quasi nessuno conosceva l’esistenza. Max l’aveva scoperta per caso e non ne aveva parlato a nessuno, ad eccezione di Dan: ci andavano a bagnarsi, qualche volta. Rivide, nitidissima, l’immagine di Dan alla pozza, il grosso corpo coperto da una peluria rossa, il sesso vigoroso. Merda! Di nuovo! Di nuovo con il cazzo duro al pensiero di Dan! Cercò di scacciare Dan dalla sua testa e si disse che sarebbe stato bello rinfrescarsi un po’ in acqua, sì, era una buona idea. Era in un bagno di sudore, con quel caldo fottuto, e sguazzare nella pozza sarebbe stato una meraviglia. Percorse il sentiero tra le rocce, fino a che raggiunse il punto in cui bisognava smontare e proseguire a piedi. Legò il cavallo a un albero e scese verso la pozza, incuneandosi tra due rocce che bloccavano quasi completamente il passaggio: in breve arrivò in vista dello specchio d’acqua. Aveva un colore intensissimo, un azzurro quasi blu, che contrastava con il rosso della roccia. Sulle pareti circostanti, dove l’acqua, nei periodi di piena, aveva eroso la roccia, correva una striscia più chiara, appena rosata. Dal lato in cui si trovava Max, il terreno era quasi in piano, ma gran parte della pozza era circondata da una parete verticale, alta almeno cinquanta piedi. C’era un unico sentiero per raggiungerla, a meno di non tuffarsi dall’alto. Max l’aveva fatto una volta, ma l’acqua non era molto profonda e bisognava trovare il punto giusto. La visione dell’acqua, perfettamente immobile, rasserenò Max. Cacciò dalla testa i suoi pensieri, lo Sciacallo e Dan, e incominciò a spogliarsi. Avanzò, immergendo i piedi e poi le gambe e assaporando la sensazione di frescura. Poi, quando l’acqua gli arrivò alla vita, si immerse e incominciò a nuotare. Man mano che il suo corpo si rilassava, si sentì invadere da un benessere tanto intenso da stordirlo. Sarebbe voluto rimanere per sempre lì. Non sapeva quanto tempo era trascorso, ma ormai era ora di ritornare: il sole si era abbassato e le ombre si allungavano. Si diresse verso riva. Quando mise i piedi fuori dall’acqua, una figura si staccò dalla roccia dietro a cui si era nascosta. Max capì che la sua vita sarebbe finita quel giorno stesso, di lì a pochi minuti. Non avrebbe mai spiegato a Dan che cosa provava per lui, non avrebbe mai stretto quel corpo, né nessun altro. La pistola che Jack gli puntava contro avrebbe sparato presto, mettendo fine alla sua attività di sceriffo e alla sua esistenza. - Bene, sceriffo dei miei coglioni, hai finito di starmi dietro al culo, una volta per tutte. Sì, Jack aveva ragione, Max aveva finito di inseguire criminali e di fare qualunque altra cosa. Meccanicamente Max cercò con gli occhi gli abiti e le pistole, ma erano fuori dalla sua portata. Jack seguì il suo sguardo e scoppiò a ridere. - Vuoi provare a prendere una pistola, stronzo? Max non disse nulla. Che senso aveva parlare? Jack lo fissava, con un ghigno stampato in faccia. - È un peccato doverti ammazzare, sceriffo, un bel ragazzo come te. Max sapeva benissimo di essere un bell’uomo: anche se non glielo avesse detto lo specchio, lo leggeva nello sguardo di tutte le donne e di moltissimi uomini. A volte gli era sembrato di leggerlo anche negli occhi di Dan, ma non ne era sicuro e in ogni caso ormai non aveva più importanza. Qualunque cosa Dan potesse aver desiderato o pensato di lui, ormai non contava più nulla, sarebbe rimasto per sempre un sogno impossibile, al massimo un rimpianto. Jack si diresse verso gli abiti di Max. Senza abbassare la pistola e tenendolo sotto tiro, frugò con la sinistra nelle tasche e ne estrasse un paio di manette. Si avvicinò a Max. - Stenditi sulla roccia, a pancia in giù, e metti le mani dietro la schiena. Max non capiva che cosa Jack volesse fare. Non aveva nessuna possibilità di salvarsi, ma non aveva fretta di crepare. Se ubbidire gli dava ancora qualche minuto da vivere, tanto meglio. Eseguì l’ordine. Jack gli passò le manette ai polsi, bloccandoglieli dietro la schiena. - Sai che hai proprio un bel culo, sceriffo? Un bel culo. La risata di Jack gli sembrò una lama di coltello che gli graffiava la pelle. Ora aveva capito le intenzioni del fuorilegge. Sentì la rabbia invaderlo, per l’umiliazione che lo aspettava, ma avvertì anche una tensione nuova. Più volte, guardando Dan, lì alla pozza, o pensando a lui, aveva immaginato che il suo vice lo prendesse, lo stringesse, lo… - Sai che cosa ti succederà ora, vero? Ti fotterò in culo e poi, quando verrò, ti sparerò. Creperai mentre ti fotto. Max tacque. Che cosa avrebbe potuto rispondere? Aveva la testa leggermente girata di lato e con la coda dell’occhio poteva vedere Jack. Si stava slacciando i pantaloni e li abbassava, mettendo in mostra un arnese già mezzo rigido. Jack posò la pistola di fianco a Max, poi con la mano destra incominciò ad accarezzarsi, fino a che non fu pronto. - Ho sempre sognato di inculare uno sceriffo e non c’è un culo più bello del tuo tra tutti gli sceriffi dell’Arizona. Jack rise ancora. Poi Max sentì il peso del corpo del bandito sul suo. Si irrigidì, aspettando il momento ormai inevitabile. Jack gli mise le mani sul culo, divaricandolo e Max avvertì la pressione contro l’apertura, fino ad allora mai violata. Pensò a Dan e si disse, per la prima volta chiaramente, che avrebbe voluto che fosse Dan a farlo, ma ormai era troppo tardi. Provò una rabbia feroce nei confronti di Jack, ma non poteva resistere. La mazza ferrata che premeva contro il suo culo trovò infine la strada e forzò l’ingresso. In Max la rabbia lasciò il posto all’umiliazione. Si rassegnò all’avanzata, prepotente e trionfale, dell’invasore. Si stupì di avvertire così poco dolore, di fronte a quell’arma che guadagnava terreno ed entrava sempre più a fondo dentro di lui. Con un senso di smarrimento si rese conto che quella sensazione di essere riempito non provocava solo dolore: il suo corpo stava reagendo in un modo inatteso. Pensò a Dan e per un momento immaginò che fosse lui a penetrarlo. Comprese che il sangue stava affluendo al suo uccello e provò vergogna, ma che senso aveva? Stava per morire e nulla aveva importanza. Jack aveva raggiunto la meta. Ci fu un attimo di tregua e Max avvertì un senso di benessere: il peso del corpo di Jack sopra di lui e l’uccello di Jack dentro di lui lo infiammavano. Jack ritirò l’uccello fin quasi a uscire dal culo di Max, poi spinse a fondo, con forza. Ripeté l’operazione quattro volte e ad ogni spinta Max avvertiva un dolore crescente ed una tensione sempre più forte. Sapeva di avere l’uccello duro. Pensò a Dan e cercò di cancellare dalla mente l’immagine di Jack che lo fotteva e di sostituirvi quella di Dan. Sì, Dan lo stava fottendo ed era bellissimo. L’eccitazione crebbe. Il freddo della canna contro la nuca gli rese la coscienza della situazione. Era stato tutto rapidissimo, in due minuti Jack aveva già finito. - Sto per venire e tu adesso crepi. Voglio venire nel tuo cadavere, sceriffo. Max guardò la pozza d’acqua davanti a sé, pensò a Dan, a… Lo sparo lo assordò. Si stupì di non avvertire dolore, nulla. Poi un urto alla testa qualche cosa che gli colava in faccia. Sangue. Eppure non avvertiva nessun dolore. - Merda, Max, vuoi alzarti o ti piace tanto startene con il cazzo di un morto in culo? La voce di Dan lo fece sobbalzare. Si scrollò di dosso Jack, il corpo di Jack, che era ormai solo più un cadavere. Un buco nella testa. Il colpo gli aveva trapassato il cervello ed era uscito dalla fronte. Il sangue che bagnava Max era quello di Jack. Max si alzò e guardò Dan, che lo fissava, la pistola ancora in mano. Solo in quel momento si rese conto che Dan poteva vedere la sua erezione. Fissò Dan. Aveva un’espressione dura in viso. - Ti piaceva farti fottere, eh? Che cosa poteva dirgli? Che gli era venuto duro perché stava pensando a lui? - Merda, Dan, pensi mica che l’abbia scelto io? Dan guardò il cadavere di Jack, riverso sulla schiena, i pantaloni abbassati, e gli assestò un tremendo calcio sulle palle. - Questo figlio di puttana si è divertito, lui! Dan era furente e Max non capiva quella rabbia. A prendersela con Jack avrebbe dovuto essere lui, al massimo. A Dan, Jack non aveva fatto nulla. - Ha pagato caro il suo divertimento. Grazie a te. Stava per ammazzarmi, Dan, sei arrivato giusto in tempo. - Giusto in tempo, eh? Così ti ha potuto fottere per bene. - Ma che cazzo ti prende, Dan? Ti ha morso un serpente a sonagli? - Forse era meglio se mi mordeva. - Se ti mordeva, a quest’ora ero morto anch’io. Dan non disse niente, ma mollò un altro calcio a Jack, nello stesso punto. - Senti Dan, potresti togliermi le manette, ora, invece di prendere a calci un cadavere? - Ci tieni tanto a questo cadavere? Ti è piaciuto, eh? Ti è persino venuto duro. Max non sapeva come arginare la furia di Dan. - Toglimi le manette, per favore, Dan. Dan annuì, mollò un terzo calcio al cadavere e si diresse al punto in cui Max aveva lasciato i suoi vestiti. Lo sceriffo lo seguì. - Nella tasca destra. Dan prese le chiavi e passò dietro di lui. Non tolse subito le manette e Max si chiese che cosa cazzo stesse facendo. Finalmente Dan lo liberò. Max si voltò a guardarlo. C’era tristezza, negli occhi di Dan, un mare di tristezza, che aveva preso il posto della rabbia. - Grazie, Dan, ti devo la vita, un’altra volta. Dan lo fissò senza aprire bocca. Poi si voltò e si diresse verso il cadavere, dicendo: - Trovati un altro vice, Max. Io ho chiuso. Max si era appena chinato per raccogliere la camicia e infilarsela, ma la lasciò cadere. Raggiunse Dan. - Senti, Dan, sei libero di fare quello che cazzo ti pare, ma puoi spiegarmi perché sei così nero? Dan non disse nulla, mentre sistemava i vestiti del cadavere. Solo quando ebbe finito sibilò, senza guardare Max in faccia: - Lascia perdere, Max, lascia perdere. È meglio. Dan prese il corpo per le gambe e incominciò a trascinarlo verso il sentiero, senza voltarsi in direzione di Max. Max lo guardò allontanarsi. Una figura massiccia, potente. Si disse che a Dan sarebbe passata. In serata si sarebbero parlati. Dan non se ne sarebbe andato così, non era possibile. Max si rivestì e si avviò lungo il sentiero. Raggiunse Dan mentre questi stava già legando il corpo di Jack al cavallo. Lo fissò, ma Dan gli dava ostentatamente la schiena. Sudava abbondantemente per lo sforzo che aveva compiuto, aveva la camicia completamente inzuppata. Dan prese le briglie del cavallo di Jack, salì sul proprio e si avviò, senza dire una parola. Max lo affiancò. Voleva parlargli, ma era meglio non affrontare direttamente l’argomento. - Come hai fatto a capire che ero alla pozza? Dan grugnì qualche cosa di indistinto, poi rispose: - Ho visto che le tracce di Jack tornavano indietro e poi sembravano seguire le tue. Allora vi sono venuto dietro. Quando ho visto che vicino al tuo cavallo c’era quello di Jack, ho capito che voleva prenderti di sorpresa… Ci fu un attimo di pausa, poi Dan aggiunse: - In effetti, ti aveva preso… La voce di Dan era cupa, di nuovo rabbiosa. Spronò il cavallo, scostandosi da Max. Max si disse che avrebbero parlato con calma a Redstone. Non ne parlarono. Mentre Max si occupava di far seppellire Jack, Dan raccolse i suoi quattro stracci e scomparve nel nulla. Max si disse che non era possibile, che non poteva essersene andato così. Per settimane ogni giorno si aspettò di rivedere Dan. Poi la speranza si affievolì e si spense, lasciando in Max un gusto di cenere in bocca ed un vuoto dentro. C’erano ancora dei momenti in cui si diceva che Dan sarebbe tornato. Ma Dan non tornava, si era dileguato, ormai doveva essere a migliaia di miglia, perché nessuno sembrava sapere niente di lui, nessuno lo aveva mai visto o aveva sentito sue notizie. Sei mesi dopo Max era seduto nel suo ufficio. Cercava di valutare la situazione. Mike Gladpol e i suoi uomini stavano per arrivare a Redstone. Dovevano essere in tre o quattro. Se avesse avuto Dan al suo fianco, Max non si sarebbe preoccupato. Gladpol era un figlio di puttana, ma la sua banda non era pericolosa come i Parsons. Come sempre, al pensiero di Dan, Max sentì la ferita riaprirsi. Aveva riflettuto molto, aveva capito, o almeno pensava di aver compreso, i motivi della rabbia di Dan quel giorno. Su un punto si era chiarito completamente le idee: quello che provava lui. Sapeva benissimo di desiderare Dan. Un desiderio prepotente, perché al solo pensiero di Dan l’uccello gli si irrigidiva. Ma non voleva solo il corpo di Dan, voleva Dan, Dan con il suo sigaro e la sua aria tranquilla, Dan con il suo sorriso beffardo, Dan con il suo coraggio, Dan con la sua ironia. Dan e basta. Cercò di ritornare con la testa ai problemi che lo aspettavano. L’indomani con sé avrebbe avuto tre uomini. Non molto, perché non erano esperti, ma certamente un bell’aiuto. Sarebbero bastati? Probabilmente no.
La porta si aprì in quel momento. Max alzò lo sguardo e smise di respirare. Dan entrò tranquillamente e si mise a sedere sulla sedia davanti alla scrivania di Max, come se fosse uscito dall’ufficio due ore prima. Alzò le gambe, poggiando gli stivali sul ripiano, tirò una boccata dal suo immancabile sigaro e disse, con un ghigno beffardo. - Mi hanno detto che c’è un posto di sceriffo libero, qui. Max cercò di dominare il desiderio violento di alzarsi e buttarsi tra le braccia di Dan. Sorrise, nascondendo a fatica la burrasca che aveva dentro, e disse: - Sei arrivato troppo presto. Si libera domani. - Oh, beh, posso aspettare un giorno. Max attese un momento, aveva bisogno di riprendere fiato. Poi si alzò e passò dall’altra parte della scrivania, sedendosi sul bordo, di fianco alle gambe di Dan. Posò una mano sulla coscia del suo (ex-)vice. - Sono contento che tu sia qui, Dan. Mi sei mancato, da morire. Dan lo guardò. Aveva ancora il ghigno stampato in faccia, ma gli occhi non ridevano più. C’era una domanda, in quegli occhi, e Max intendeva fornire una risposta. Spostò la mano dalla coscia di Dan al promettente rigonfio dei pantaloni e sentì, con soddisfazione, che qualche cosa si muoveva, acquistando volume e rigidità, al contatto della sua mano. Il movimento continuò per un buon momento e il risultato finale fu una protuberanza di dimensioni davvero ragguardevoli. Che Dan ce l’avesse grosso, Max lo sapeva benissimo, glielo aveva visto fuori quando pisciava e lo aveva visto nudo alla pozza. Ma non gliel’aveva mai visto duro. Max si mise a cavalcioni sulle gambe distese di Dan e poi scivolò fino a sedersi esattamente sulla collina (o forse sarebbe più esatto dire montagna, viste le dimensioni). Fissò Dan negli occhi. Dan si tolse il sigaro dalla bocca e lo spense sulla stella dello sceriffo. Lo posò sulla scrivania. Poi bofonchiò, con un tono ostile: - Sei proprio una troia, sceriffo. Non ti ha chiavato nessuno, in questi ultimi tempi, che sei così infoiato? Max incassò, piegando leggermente il capo. Guardò il viso imperturbabile di Dan. Doveva dire una cosa e doveva dirla adesso. E poi che Dan facesse quello che cazzo voleva. Ma doveva dirgli la verità. - Nessuno mi ha mai chiavato, a parte Jack, e lui mi prese con la forza. Non c’è mai stato nessun altro, né prima, né dopo. Ma vorrei che lo facessi tu, questo l’ho sempre voluto. Se desiderarti vuol dire essere una troia, va bene, allora lo sono. Ma non c’è nessun altro che desidero. E quel giorno, alla pozza, quando Jack mi inculò, io pensavo a te. Per quello ce l’avevo duro. Aveva detto quello che aveva da dire. Aveva passato la mano. Ora toccava a Dan. Dan lo prese per la camicia e lo attirò verso di sé, fino a che le loro teste furono vicinissime. A quel punto gli mise le mani sulle guance e lo baciò sulla bocca. Poi si staccò e disse: - Forse è meglio che tu chiuda la porta, Max. Magari entra qualcuno e scopre che lo mettono in culo allo sceriffo. Max annuì, ma la testa gli girava e il cuore batteva all’impazzata. Riluttante, abbandonò la sua posizione e si avvicinò alla porta. La chiuse a chiave. La finestra aveva le ante accostate, per difendersi dal calore, e nessuno avrebbe potuto spiare dentro. - Dan… Non sapeva che cosa dire, ma forse non servivano più parole. Dan non ne usò, di parole. Lo baciò di nuovo sulla bocca, gli infilò la lingua tra le labbra e gli afferrò il culo, stringendolo in una morsa di ferro. Poi si scostò, lo guardò nella penombra, sorrise e lo baciò di nuovo. Max si lasciò baciare, accarezzare, stringere, pizzicare, abbracciare. Le sue mani scorrevano sul corpo di Dan, avide ma confuse. Quelle di Dan, più decise, gli sfilarono il gilè e poi gli aprirono la camicia, infilandosi sotto il tessuto per accarezzargli il petto e stringergli i capezzoli, dopo un po’ risalirono, facendogli scivolare la camicia dalle spalle ed infine ridiscesero lungo la schiena. Max gemette e le sue mani aprirono a forza la camicia di Dan, le sue dita si immersero nel vello piuttosto fitto che circondava i capezzoli, poi si distesero per accarezzare la pelle. Dan armeggiava con la cintura di Max ed ebbe presto ragione della resistenza opposta dalla fibbia. I pantaloni e le mutande finirono a terra e Max rimase nudo, con gli stivali ai piedi ed i pantaloni alle caviglie, mentre le mani di Dan percorrevano frenetiche il suo corpo, scorrendo affiancate dal ventre al torace, per poi separarsi e scivolare dietro la schiena, scendendo fino al culo, stringendolo con forza. Max avrebbe voluto finire di spogliare Dan, ma non riusciva ad aprire la cintura, contro cui premeva il ventre sporgente del suo amico. Allora Max con la destra afferrò attraverso la stoffa il massiccio uccello, che tendeva i pantaloni come un palo, e strinse. Dan grugnì, si staccò da lui, si sedette a terra, si sfilò gli stivali, poi si slacciò la fibbia e con un movimento rapido finì di spogliarsi. Max si era appena tolto gli stivali e stava sfilandosi i pantaloni, ma al vedere il grande sesso di Dan emergere, vigorosamente teso verso l’alto, si fermò, incapace di muoversi. Si sentiva la gola secca. Dan si alzò, era davanti a lui ora. Da terra Max guardò quel corpo massiccio che lo sovrastava, coperto da una peluria di un rosso più scuro rispetto alla barba, che sul ventre diventata quasi marrone. Guardò le grandi mani, forti. Poi il suo sguardo venne inesorabilmente attratto dal formidabile sperone che, dal basso, appariva ancora più grande e più minaccioso. Dan gli mise le mani sul capo e gli scompigliò i capelli. Si avvicinò a lui. Ora Max aveva il grande sesso di Dan davanti al viso. Si mise in ginocchio e accostò le labbra alla cappella che emergeva, violacea, dalla pelle. La fissò ancora un attimo, affascinato, poi l’accarezzò con la lingua. - Apri la bocca, che c’è un bel bocconcino caldo per te! Max ubbidì e accolse l’uccello di Dan. La sensazione che gli trasmise quel pezzo di carne fu intensissima. Avrebbe voluto prenderlo tutto, ma era troppo grosso per riuscire a farlo. Max succhiò, prima impacciato, poi più deciso. Le sue mani si appoggiarono sul culo di Dan, scivolarono dietro, stringendo la carne, accarezzando la peluria che copriva i fianchi. Strinse con tanta forza da far male a Dan, ma non se ne rese conto. Più nulla esisteva per lui, se non quell’animale rapace che gli riempiva la bocca e quella carne forte che le sue mani tormentavano. Non si rendeva nemmeno conto dell’erezione che gli batteva sul ventre, del desiderio impetuoso che premeva. - Ora basta, Max. Alzati. Max interruppe a malincuore l’attività a cui si stava dedicando e si alzò. Quando fu in piedi davanti a Dan, lo guardò negli occhi e gli sfuggì: - Ti amo, Dan. Non si pentì di quello che aveva detto, anche se non sapeva come l’avrebbe presa Dan. Dan sorrise, annuì, senza dire niente, gli pose le mani sui fianchi e lo fece girare su se stesso. Poi gli si avvicinò fino a che i loro corpi aderirono completamente e Max sentì l’arma formidabile contro il proprio culo. Gli parve di non riuscire più a reggere. Dan lo spinse fino alla scrivania, lo forzò ad appoggiarsi su di essa e a divaricare le gambe. Poi Dan si inginocchiò e Max sentì la sua lingua che gli percorreva il culo, scivolando lungo il solco, fino all’apertura. Rabbrividì. Mormorò: - Dan… Un morso feroce gli strappò un gemito, poi nuovamente la lingua accarezzò ed indugiò a lungo intorno alla sua meta. Dan si rialzò. Max avvertì la pressione contro il suo culo. Sapeva che sarebbe stato doloroso, che non avrebbe facilmente ricevuto quel palo dentro di sé, ma non avrebbe voluto sottrarsi, a nessun costo. Dan spinse piano e lentamente l’apertura si dilatò ad accogliere la mazza che premeva. Dan si fermò, lasciò a Max il tempo di abituarsi al dolore, di desiderare altro dolore, di sentire il piacere che nasceva da quel dolore, lasciò all’anello di carne il tempo di dilatarsi all’estremo, poi spinse ancora, lentamente, forzando oltre il limite, infliggendo nuovo dolore, suscitando nuovo piacere. Si arrestò ancora. Max scivolava in un gorgo, incapace di reagire. La sofferenza era violenta, quel palo nella carne intollerabile, eppure Max desiderava solo che quello strazio non avesse mai fine ed in lui cresceva una tensione che gonfiava di sangue l’uccello e diveniva tanto forte da stordirlo. Mormorò ancora: - Dan… Dan riprese a muovere la sua arma, con un movimento inesorabile, che dilaniava le viscere di Max, moltiplicando il suo dolore e il suo piacere. Max si disse che era arrivato al limite, che non avrebbe potuto accogliere oltre quel tizzone ardente, ma l’avanzata non si arrestò. Lentamente, molto lentamente, nuove posizioni venivano raggiunte. Max sentì una fitta violenta e soffocò un gemito. Infine Max avvertì che il corpo di Dan aderiva completamente al suo. Il palo era saldamente infisso nella sua carne. Dan gli concesse un momento di pausa. Lentamente il corpo di Max si abituò a quella presenza massiccia. Dan gli accarezzò ancora la testa con la destra, mentre con la sinistra gli pizzicava il culo. Gli morse leggermente la nuca, poi gli passò la lingua dietro l’orecchio. Max gemette. Dan gli morse il lobo dell’orecchio, poi estrasse quasi completamente la sua arma e, senza fretta, la spinse di nuovo fino in fondo. Max ebbe la sensazione che la terra gli mancasse sotto i piedi. Dan ripeté l’operazione altre due volte, con molta lentezza, poi prese a muoversi con maggiore decisione. Ad ogni nuova spinta Max sentiva un’onda di sofferenza e di piacere sommergerlo completamente, mentre la tensione saliva in lui. Con Jack era stato tutto molto breve, ma Dan proseguì a lungo, molto a lungo e Max perse ogni nozione del tempo e dello spazio. Non sapeva dov’era, che giorno era, chi era. Sapeva soltanto che la picca di Dan scavava dentro di lui, raggiungendo un territorio inviolato, mentre una vertigine di piacere, dolore, desiderio, appagamento, lo travolgeva. Le spinte di Dan divennero più decise e a ogni nuovo affondo Max gemeva, incapace di controllarsi. Dan gli passò la mano sui coglioni, raggiunse l’asta tesa allo spasimo e i suoi colpi divennero ancora più violenti. Max stava urlando, ormai, ma Dan gli mise l’altra mano davanti alla bocca e con un’ultima serie di spinte venne dentro di lui, riempiendogli le viscere di seme, mentre Max veniva nella sua mano. Max si abbandonò esausto, sudato, privo di ogni volontà ed energia. Dan gli passò un braccio intorno alla vita e, sollevandolo di peso, si mise di nuovo sulla sedia, tenendo Max su di sé. Le mani di Dan incominciarono a percorrere il corpo di Max. Dalla destra colava il seme di Max, che Dan spalmava sul petto e sul ventre dello sceriffo. Poi la destra ritornò al sesso e lo coprì, mentre la sinistra saliva verso i capezzoli e le dita giocherellavano, stuzzicandoli. Max riemergeva lentamente. Non desiderava altro che rimanere così, sul corpo di Dan, stretto dal vigoroso braccio di Dan, la picca di Dan in culo, meno grande e rigida, ma ancora massiccia. Se quello non era il paradiso, che cazzo era il paradiso? Guardò la pendola. Gli uomini che dovevano affiancarlo il giorno successivo dovevano venire nel suo ufficio, ma mancavano ancora due ore. E altro non gli interessava, in quelle due ore, che restare così. Poi Max incominciò ad avvertire che la presenza estranea dentro di lui acquistava consistenza e volume. Il leone alzava nuovamente la testa, affamato, e al suo ruggito anche la belva di Max guizzava verso l’alto, pronta a lanciarsi ancora una volta all’attacco. Max chiuse gli occhi, mentre sprofondava nel gorgo da cui era appena riemerso. Le mani di Dan scesero sul suo culo e lo sollevarono lentamente, per poi lasciarlo ricadere. Max assecondò il movimento delle mani e il suo corpo iniziò a sollevarsi, alleggerendo la pressione del palo che gli trapassava le viscere, per poi ridiscendere, infilzandosi completamente. Il palo aveva rapidamente raggiunto le sue dimensioni massime: ormai il movimento richiedeva un certo sforzo e moltiplicava il dolore, ma Max non sarebbe riuscito a smettere. Le forti mani di Dan accompagnavano il movimento e ogni fibra di Max bruciava in un incendio che si alimentava in continuazione. Max non avrebbe saputo dire quanto era dolore e quanto piacere, ma altro non desiderava che continuare quel movimento, in eterno, aiutato dalle mani di Dan che gli stringevano i fianchi. Ogni volta che scendeva nuovamente, il fiato gli mancava, ma anche la fitta era piacere, un piacere lancinante e feroce. Proseguirono a lungo. Max era in un bagno di sudore. Goccioline gli scendevano sulla fronte e piccoli rivoli gli si formavano sul petto e colavano verso il ventre. L’uccello era teso allo spasimo. Il tempo si era cancellato completamente, null’altro esisteva che quel palo da cui Max sfuggiva, per ricercarlo avidamente ogni volta, infinite volte. Il dolore e la tensione crescevano, fino a diventare intollerabili. Max si mordeva il labbro, ma non poteva smettere. Nella penombra che avvolgeva la stanza, gli oggetti sembravano ondeggiare e perdere i contorni. Max si chiese se stesse per svenire. In quel momento Dan lo sollevò con forza e con un movimento rapido lo infilzò nuovamente, mentre la sua mano afferrava, brutalmente, l’uccello di Max. Ancora una volta vennero insieme. Max ebbe una visione di lampi accecanti e squarci di nero e si afflosciò, esausto, sul corpo di Dan. Dan lo accarezzava con la mano bagnata del seme di Max. Gli mise entrambe le mani sulle guance, poi scese sul torace, sul ventre. Max si abbandonò completamente a quelle carezze. Guardò l’orologio e vide che mancava solo più una mezz’ora all’appuntamento con i tre uomini. Riuscì a ritrovare la voce e lo disse a Dan. Si staccarono e salirono al piano di sopra, dove Max dormiva. Max faceva fatica a salire le scale, perché il culo gli faceva male. Eppure non si era mai, in tutta la sua vita, sentito così bene come in quel momento. Quando furono nella stanza illuminata, entrambi socchiusero gli occhi per abituarsi alla luce. Poi Max prese la brocca con l’acqua. Guardò Dan, gli sorrise, guardò il suo magnifico uccello, non più in tiro, ma ancora turgido. Vide che c’erano tracce di sangue e non si stupì. Dan seguì il suo sguardo ed ebbe un attimo di smarrimento. Max gli sorrise. Dopo essersi lavati e puliti, scesero.
Mike, Bart e Louis arrivarono poco dopo. Sapevano già dell’arrivo di Dan e la notizia li aveva resi euforici. Gladpol ed i suoi scagnozzi non avevano molte possibilità, ora. Si organizzarono per andare incontro ai banditi ed evitare una sparatoria in città. Il loro arrivo era previsto in mattinata, dalla strada di Dayton, come riferì Louis: lui aveva dei contatti a Ridge, dove si trovavano quei figli di puttana. Dan disse che si sarebbe fermato a dormire da Max, nella camera sopra l’ufficio dello sceriffo, per essere pronto il mattino dopo. Quando i tre uomini furono usciti, Max e Dan andarono a mangiare e poi rientrarono. Salirono in camera senza perdere tempo. Era ormai buio, per cui si spogliarono rapidamente e spensero la lanterna. C’era la luna, la cui luce entrava dalla finestra aperta, illuminando la stanza. Dan si mise esattamente al centro dell’area illuminata dal raggio e Max lo guardò. Era bello guardare Dan, la figura massiccia, un po’ tozza. Era bello guardare il sesso che si stagliava imponente, messo in rilievo dall’ombra che proiettava sul ventre. Dan allungò un braccio verso di lui e Max si avvicinò. Si baciarono ancora, poi Dan lo sollevò e lo scagliò sul letto. Max scoppiò a ridere, ma Dan era già sul letto di fianco a lui, con la testa all’altezza delle ginocchia di Max. Max si trovò di fronte l’albero maestro e, senza riflettere, avvicinò le labbra a quel magnifico boccone di carne. Prima ancora di sfiorarlo, sentì la lingua di Dan che gli lambiva la cappella e poi vi indugiava. Sussultò, come se lo avessero colpito. La bocca di Dan gli inghiottì il sesso e Max si sentì mancare il fiato. Gli ci volle un attimo per riprendersi e concentrarsi nuovamente sul magnifico palo che aveva davanti agli occhi. Posò le sue labbra sulla punta, le aprì e lentamente procedette, inghiottendo quanto più gli era possibile. Era bello sentirne il calore. La bocca di Dan lavorava la cappella di Max. La lingua e le labbra di Dan trasmettevano allo sceriffo brividi di piacere. Mai nessun uomo gli aveva succhiato l’uccello e la sensazione era fortissima. Quasi altrettanto intenso era il piacere che gli dava sentire nella propria bocca il sesso di Dan, leccarlo, succhiarlo, accarezzarlo con le labbra, mentre le sue mani, dapprima inerti, si avventuravano in terreni inesplorati, sfiorando la peluria che copriva le palle di Dan, percorrendo con le dita la coscia e poi la gamba, posandosi delicatamente sul ventre. Il piacere crebbe fino a diventare insostenibile: allora Max sentì il getto che dai propri coglioni prorompeva. Non avvisò Dan, perché istintivamente sapeva che non si sarebbe ritratto. Dan bevve, ripulì con cura l’uccello di Max e solo quando questi sussultò, ormai incapace di reggere ancora quel contatto, lasciò la presa, limitandosi ad accarezzare il corpo di Max. Dan venne più tardi e Max accolse avidamente nella sua bocca quel seme che già aveva dentro di sé. Continuarono a lungo ad accarezzarsi e si parlarono, raccontandosi quello che volevano dirsi, chiedendo ciò che volevano sapere, Dan nel suo modo brusco e conciso, Max con maggiori dettagli. Poi parlarono di quello che li aspettava, dello scontro con la banda di Gladpol. Dan accarezzava il corpo di Max, scorrendo con la mano dal fianco alla testa. - Credo che sia ora di prepararci per la notte. Lo sceriffo e il vice avrebbero dovuto essere a letto già da parecchio tempo. Non ti concentri nel lavoro. - Da che pulpito viene la predica… Prepararono tutto. Dan si avvicinò alla finestra e guardò fuori. La luna era alta in cielo e il raggio non entrava più nella stanza. Mezz’ora dopo quattro ombre salirono le scale camminando con estrema cautela. Avevano le pistole spianate. Arrivati davanti alla porta della stanza, chiusa, uno degli uomini accese la lanterna e la tenne in alto con la sinistra. A un cenno di Gladpol, un altro uomo mollò un violento calcio alla porta, spalancandola e i quattro irruppero nella stanza. Alla luce della lanterna le due sagome nel letto, avvolte dal lenzuolo, erano perfettamente visibili. Prima che ci fosse un qualunque movimento, i quattro incominciarono a sparare: proiettili su proiettili si conficcarono nelle due sagome, che i colpi facevano sussultare appena. Euforici per non aver incontrato difficoltà, gli uomini continuarono a sparare anche quando era ormai evidente che non poteva esserci più traccia di vita in quei due corpi. - Li abbiamo fottuti proprio bene! La voce di Gladpol era trionfante: l’impresa era riuscita molto più facilmente di quanto avesse sperato. Lo sceriffo e il suo vice non dovevano essersi resi conto di nulla, passando dal sonno alla morte. I colpi ripresero. Per un istante ognuno dei quattro uomini pensò che a sparare fosse uno dei compagni, ma poi tutti sentirono nella propria carne il fuoco dei proiettili. In un attimo ci furono quattro corpi a terra. La lanterna cadde, spegnendosi e lasciando la stanza nel buio. Dan e Max si avvicinarono ai quattro corpi. Due degli uomini di Gladpol erano morti. Un altro stava agonizzando. Quando Dan accese nuovamente la lanterna, scoprirono che era Louis, che li aveva traditi. Dan scosse la testa, senza dire nulla. - Mi avevano promesso… Louis non riuscì a completare la frase. Un fiotto di sangue dai polmoni lo soffocò. Gladpol era ancora vivo. Aveva due ferite, una al braccio e una alla gamba. Lo misero in prigione, senza stare a chiamare il medico: tanto lo avrebbero impiccato il giorno dopo. Dopo che i corpi furono portati via, Max e Dan recuperarono i cuscini e gli stivali di Dan, che avevano messo sotto il lenzuolo, perché i banditi credessero che loro due erano nel letto, addormentati. Erano stati crivellati di buchi. Gli stivali erano ormai completamente inutilizzabili. Dan si accese il sigaro e bestemmiò, ma Max si rese conto che faceva solo un po’ di scena. - Meno male che hai capito che avrebbero cercato di farci secchi nella notte, Dan. Altrimenti eravamo fottuti. Ancora una volta mi hai salvato la pelle. Dan sorrise: - Eh sì, sono tornato perché sapevo che ti serviva un angelo custode. Senza non te la cavi. Max scoppiò a ridere: - Un angelo? Come angelo non ti vedo molto. Forse come diavolo. Dan sbuffò, guardò i suoi stivali scotendo la testa, poi aspirò una boccata di fumo, lo soffiò fuori e disse: - Un diavolo custode? Incominciò a spogliarsi. - Sì, un diavolo con le corna, il tridente e la coda, che manda all’inferno quelli che vogliono farmi fuori. Dan aveva finito di spogliarsi. Il sesso era a riposo, o quasi. A Max parve però di notare un certo turgore. Dan si mise a letto, stendendosi sulla schiena. Max si mise vicino a lui e appoggiò la testa sul petto di Dan. - Dormi, sceriffo, che il tuo diavolo custode fa la guardia. - Dan, io… Max si bloccò. - Me l’hai già detto, Max. Non occorre che tu ripeta. - E tu? Dan sbuffò. - Anch’io Max. E adesso dormi. 2009 |