Missione
ad Abu Hadar Lucien guardava la pista davanti a sé. Stavano salendo ed
entro un’ora sarebbero giunti al passo. Di lì la discesa fino ad Al-Khatam, la capitale, avrebbe richiesto solo una
mezz’ora. Aveva meno di due ore da vivere. No,
non era così. Sarebbe stato meglio, se fosse stato così: ammazzato
immediatamente, con una pallottola alla testa. Quello che lo aspettava era peggio, molto peggio. Conosceva bene i gusti dello
sceicco. Quel lurido figlio di puttana si divertiva a far torturare i propri
nemici, per giorni e giorni, prima di ammazzarli. Lucien sapeva che avrebbe desiderato di morire molte
volte, prima che il suo desiderio si avverasse. E si sarebbe avverato in
qualche forma spettacolare e terribile, che preferiva non immaginare.
Probabilmente lo sceicco lo avrebbe fatto impalare: i turchi erano stati a
lungo lì e tutto quello che c’era da imparare, lo sceicco lo aveva imparato. L’Europa era troppo lontana e ad Abu Hadar c’era troppo petrolio, perché qualcuno si
indignasse della fine orribile di un avventuriero francese, un ladro di
gioielli. Lucien non aveva paura di morire. Sapeva benissimo che
rischi correva, quando aveva deciso di rubare il pugnale con i rubini. Ma era
convinto di riuscire a fuggire con il bottino e comunque era ben deciso a non
farsi prendere vivo. Aveva sbagliato i calcoli. Ne aveva sbagliati molti, in
quell’impresa, nell’ultima impresa della sua vita. E
giustamente stava per pagare caro. Il
primo errore era seduto alla sua destra e guidava quel maledetto fuoristrada
inglese che lo stava portando verso una morte atroce. Girò la testa e lo
guardò. Era una bella vista, proprio una bella
vista. E quello era stato il primo elemento che lo aveva ingannato. Ingannato
forse no, soltanto un po’ distratto. Un viso d’angelo, gli occhi grigi sotto
quei capelli di un biondo grano, un corpo… Gli
veniva duro persino in quel momento, solo a guardare quel corpo a una spanna
dal suo. Quando David (se si chiamava davvero David, probabilmente era un
nome falso) si era messo a ronzargli intorno, era stato ben contento di
credere che quel giovane fosse attratto da lui. E
in fondo, perché no? Qualche cosa gli diceva che era davvero così, anche se
ovviamente l’interesse manifestato da David nascondeva una manovra ben
congegnata. Lucien sapeva di essere attraente.
Certo, era calvo, a nemmeno trentacinque anni, ma aveva un corpo atletico, un
viso interessante, incorniciato da una folta barba nera, e altre attrattive
meno evidenti, ma alquanto apprezzate quando si arrivava al dunque. Piaceva, parecchio, lo sapeva benissimo. Piaceva
soprattutto ai giovani. E quel figlio di puttana seduto alla sua sinistra non
aveva più di diciott’anni. Quella
era stata la fregatura, l’elemento che lo aveva spiazzato. Come avrebbe
potuto pensare che quell’adolescente fosse un temibile agente segreto
britannico, messo alle sue costole per recuperare il pugnale e restituirlo
allo sceicco, legandolo ancora di più all’Inghilterra? E
che agente! Esperto, questo era evidente dal modo in cui si era mosso. Un
attore consumato, in grado di ingannare anche uno come lui, Lucien, che certamente non era un pivellino e aveva messo
nel sacco parecchi agenti nella sua vita. Un tiratore eccellente, in grado di
freddare Omar con un solo colpo: Omar se l’era voluta, a cercare di
lanciargli il coltello alle spalle, ma David aveva
capito, si era girato e l’aveva fatto secco con un solo colpo. Prima che Lucien avesse avuto il tempo di fare un passo, David lo
teneva di nuovo sotto tiro. Aveva
pensato di portarselo a letto, lui, e quella era stata comunque un’idiozia,
perché quando si è al lavoro, è più saggio non distrarsi e non imbarcarsi in
altre faccende. Ma Lucien sapeva benissimo di non
essere mai stato molto saggio: gli piaceva troppo vivere per farlo con il
contagocce. Non era abbastanza distaccato per fare
il ladro, amava l’avventura, amava ridere, amava giocare, amava amare, amava
scopare. Amava rischiare e non gli importava troppo di cadere e farsi male.
Questa volta era caduto davvero e non si sarebbe più rialzato. Pazienza.
Faceva parte del rischio. Non poteva dire di non aver vissuto intensamente la
sua vita. Avrebbe preferito finire come Omar, per mano di quel ragazzo,
perché no? Non era una brutta fine. Ma non era stato così fortunato. Tra
non molto sarebbero giunti al passo. Lucien guardò
David. Un pensiero gli attraversò il cervello. Si chiese se avesse senso.
Cercò di leggere nell’espressione di quel viso che vedeva di profilo: non
sembrava un viso duro, ma Lucien
era diventato diffidente. Si era già sbagliato una volta, alla grande. Meglio
non rischiare di nuovo. Cazzate. Non aveva niente da perdere,
assolutamente niente.
- David, se davvero ti chiami così… David
voltò la testa verso di lui e gli sorrise un attimo.
Quel sorriso radioso, che aveva usato come un’arma per arrivare al suo scopo.
Un’arma letale, che avrebbe dovuto essere proibita
dalla convenzione di Ginevra. -
Mi chiamo davvero David. Solo il cognome è fasullo. Lucien respirò a fondo e si tuffò. -
David, hai recuperato il pugnale. Lo sceicco sarà contento e rafforzerà la
sua alleanza con l’Inghilterra. I tuoi superiori saranno contenti di te.
Tutti contenti e felici. Potresti far contento anche me. David
aggrottò la fronte. -
Che cosa intendi dire? -
Sai benissimo i gusti dello sceicco in materia di torture ed esecuzioni. Li
sapevo anch’io ed ho rischiato, lo so. Ma che tu mi consegni vivo o morto non cambia niente per te, per i servizi segreti e
per il tuo buon re. -
È una regina, si chiama Elisabetta. Elisabetta II. Giorgio VI è appena morto. A parte questo, che cosa vuoi dire? Aveva
capito benissimo, ma evidentemente voleva che lui lo dicesse chiaramente. -
Fallo, tu. Un buon colpo di pistola. O ci tieni a vedermi castrato come un
bue, crepare con il palo in culo, ore e ore a
contorcermi sotto il sole? David
sorrise. -
Ma, ora che me lo dici, lo spettacolo potrebbe non essere male… Lucien rabbrividì. Quel ragazzo era davvero il tipo da
divertirsi a vedere la sua agonia? Se così era, non c’era nulla da fare. Era
solo fiato sprecato. Tacque. David
lo guardò e ora non sorrideva più. -
Non ho questi gusti, li lascio allo sceicco. Che cosa proponi? C’era
una nota diversa nella sua voce e Lucien fu sicuro
che quello era il vero David. -
Al passo scendiamo dall’auto. Puoi dire che ho cercato di scappare. Ho visto
che sai sparare. Non sbaglierai il colpo. -
Quanto a questo, puoi contarci! David
esitò un attimo, poi aggiunse: -
Sì, va bene. Lucien avvertì il sollievo per essere sfuggito alla morte
atroce che lo aspettava e nello stesso tempo lo sgomento al pensiero che
ormai non aveva più di dieci minuti da vivere. Dieci minuti, un quarto d’ora
al massimo. E poi la fine. Sollievo
e sgomento lasciarono il posto a un leggero senso di vertigine. Chiuse gli
occhi e poi li riaprì, guardando il paesaggio davanti a sé. Lì, sulle
montagne, il clima era meno caldo e soprattutto meno arido, rispetto a
quell’inferno incandescente della pianura costiera. Su quel versante i boschi
non erano stati completamente sostituiti dalle coltivazioni. Ora che il breve
periodo delle piogge era finito da poche settimane, gli alberi erano
rigogliosi. Quando la macchina superò un nuovo tornante, Lucien
ebbe modo di vedere la grande catena che si estendeva davanti a loro. In
cielo si trascinava qualche stanca nuvola, ma ormai era difficile che
piovesse, per i mesi successivi ci sarebbero state solo brevi piogge
sporadiche. Lui non avrebbe visto i mesi successivi, nemmeno le ore successive. Lui sarebbe morto tra pochi minuti. Al
tornante seguente, vide il passo. Pochi minuti. Bene, era giunto il momento.
Sentì la tensione in tutto il suo corpo. Guardò di nuovo David e ne ammirò
ancora una volta la bellezza incredibile. Sorrise. La paura sembrava svanita.
Si sentiva teso, ma non spaventato.
Arrivarono al colle e David fermò la macchina. Scese e passò dalla sua
parte. Gli aprì la portiera.
- Scendi e appoggiati con lo stomaco sull’auto, a gambe aperte. Lucien non capì bene il senso di quella manovra. Voleva
ucciderlo così, contro l’auto? Si appoggiò con la pancia contro la portiera
posteriore, allargando le gambe. Aspettò di sentire la canna contro la nuca.
O forse avrebbe sparato a distanza? Sentì
invece che David armeggiava con le sue mani e capì che stava tagliando la
corda. -
Se ti sparo mentre sei legato, capiranno che è stata un’esecuzione. Adesso
puoi alzarti e voltarti. Lucien si alzò e si girò. David era davanti a lui, a
pochi metri, la pistola puntata esattamente in direzione del suo cuore. Lucien si massaggiò i polsi indolenziti, poi si disse che
era stupido, che stava solo dando l’impressione di voler guadagnare tempo.
Abbassò le mani e disse: -
Grazie. Poi
annuì, in attesa del colpo. -
Dirigiti verso il bordo del bosco. Ti sparerò prima che tu ci arrivi. Se no,
che razza di fuga è? Lucien annuì di nuovo, senza parlare. David proseguì: -
Puoi camminare o correre, per me non cambia niente. Ti centrerò comunque. Lucien si avviò, lentamente, verso il bosco. Guardò i
grandi cedri e i pochi arbusti al suolo, lanciò un’occhiata sulla destra alla
distesa di terrazzamenti che degradavano fin quasi alla capitale. Dentro gli
sembrava di non sentire nulla, di non provare nulla, solo una grande calma e un
senso di attesa. Tra poco sarebbe arrivato il colpo. Tra poco. Ormai era al
margine del bosco. Si disse che sarebbe potuto scattare, mettersi a correre a
zigzag tra gli alberi, ma sapeva che David lo avrebbe comunque colpito. E poi
sarebbe stato meschino. Non era vissuto da vile. Non voleva morire da vile. Era
giunto tra il primo grande cedro e alcuni cespugli. Si fermò e attese. David
doveva colpire ora, poi lui si sarebbe inoltrato nel bosco. Perché non
sparava? Lentamente
si voltò e guardò verso la macchina. David
lo stava osservando a braccia conserte, appoggiato all’auto. Nessuna traccia
della pistola. Lo vide alzare una mano, fare un cenno di saluto e risalire al
posto di guida. Sentì il rumore del motore e l’auto si mise in moto,
avviandosi per la discesa verso la capitale. Lucien scosse la testa, incredulo,
e mormorò tra i denti: -
Quel figlio di puttana… Poi
scoppiò a ridere, una risata tonante, che lo squassava tutto, tanto forte da
farlo cadere in ginocchio. Si accorse che gli occhi gli lacrimavano per il
gran ridere e si asciugò le lacrime con il dorso della mano destra.
Finalmente la risata si calmò. Alzò lo sguardo sulla strada,
ma David e l’auto erano scomparsi da tempo. Abbassò lo sguardo e si
accorse di avere i pantaloni bagnati: non se n’era accorto, ma la tensione
gli aveva fatto perdere il controllo della vescica. Quel figlio di puttana
avrebbe pagato anche per questo. Ormai
completamente serio, si alzò rapidamente e si infilò nel bosco. La sua mente
stava già abbozzando un piano d’azione per il ritorno alla capitale e per
tutto quello che sarebbe venuto dopo. Riprese a sorridere… * David
sorrideva, mentre guidava lungo i tornanti che scendevano verso la capitale.
Aveva assolto egregiamente il suo compito, recuperando il pugnale con i
rubini. Ora lo sceicco avrebbe certamente firmato l’accordo con la compagnia
inglese per le ricerche petrolifere nel deserto del Nafud. In
quel lavoro si era anche divertito, non poco, a prendersi gioco di
quell’avventuriero. Era un tipo in gamba, su questo non c’era dubbio, e David
non era riuscito a capire come avesse fatto a entrare nella camera del tesoro
e rubare il più prezioso dei gioielli. Se non fosse stato per quell’Omar, lui
non sarebbe mai riuscito a mettersi sulle tracce di Lucien.
Una volta raggiunto, era stato facile. In primo luogo, grazie ad un’arma che
aveva spesso usato: la sua giovane età. Aveva appena compiuto diciott’anni
e ne dimostrava due di meno. Chi poteva sospettare che suo padre era un
agente segreto di Sua Maestà e che David aveva incominciato a collaborare con
lui a otto anni? Certo, a otto anni non conduceva le indagini da solo, ma suo padre gli aveva lasciato uno spazio sempre
maggiore e lui aveva imparato in fretta. Prima aveva imparato a giocare sulla
sua giovane età: nessuno sospetta di un ragazzino.
Poi aveva appreso a servirsi della propria bellezza, come aveva fatto con Lucien. Ma invece di lasciare che quel francese lo
portasse a letto, ne aveva approfittato per scoprire dov’era nascosto il
pugnale. Il finale era stato davvero divertente: Lucien si aspettava che lui lo ammazzasse. No, non aveva
senso. Doveva recuperare il pugnale per lo sceicco, perché questo era
l’obiettivo della missione ad Abu Hadar, ma
consegnare quell’uomo in mano ai carnefici dello sceicco, no, non se ne
parlava neanche, e anche ammazzarlo, perché mai? Se fosse stato necessario,
l’avrebbe fatto: non sarebbe stata né la prima, né l’ultima volta. Ma non era
necessario e fin da quando l’aveva catturato aveva deciso di lasciarlo
scappare. Oltretutto il tipo gli stava davvero simpatico. Solo
simpatico? Questa era una domanda difficile. Erano stati sul punto di finire
a letto. Lui non era mai stato a letto con un uomo, ma quel francese lo
attraeva, come non gli era mai capitato. Ci sarebbe finito a letto
volentieri, ma doveva pensare alla missione. Ed era inutile correre rischi.
Concentrarsi sul proprio compito, quello era stato uno degli insegnamenti di
suo padre: il sesso, l’alcol, i cavalli o qualunque altra cosa può aspettare, c’è sempre tempo quando la missione è
finita. Quando si è al lavoro, nessuna distrazione. Ormai
era giunto alla città. Guidare per le strade di Al-Khatam
era un’impresa: erano strette e sempre percorse da una folla debordante, in
cui non mancavano dromedari e capre. Le automobili erano così rare, che
nessuno se ne preoccupava e David si trovò a procedere a passo d’uomo.
Fortunatamente il palazzo dello sceicco, costruito nel Seicento da un
architetto francese, si trovava ai margini della città vecchia, in cima a
un’altura a strapiombo sul mare. David abbandonò quasi subito la strada
principale, che attraversava la città, e prese quella che saliva al palazzo. Lo
fecero passare immediatamente e pochi minuti dopo il suo arrivo poté
consegnare il pugnale allo sceicco. Guardò
le mani adunche dello sceicco, dalle lunghe unghie affilate, aprire la
preziosa stoffa dorata che racchiudeva il pugnale. Apparve il fodero, un
capolavoro d’arte, che da solo valeva una fortuna. E poi lo sceicco estrasse
il pugnale e lo tenne sul palmo delle mani, rimirandolo. Era un oggetto di
inestimabile valore, certamente il dono magnifico di qualche sultano del
passato, ma quello che colpì David fu la sua bellezza. La lama luccicante
portava incisa una finissima decorazione, probabilmente qualche verso del
Corano. Ma l’elsa, d’oro e pietre preziose, era un capolavoro assoluto.
Raffigurava un animale fantastico: i due grandi rubini erano gli occhi,
smisurati e inquietanti, mentre dieci smeraldi formavano gli artigli
dell’animale. Lo
sceicco guardò a lungo il pugnale, poi lo rimise nel fodero e lo avvolse
nella stoffa che lo ricopriva. Lo porse a un servitore e sorvegliò
personalmente che venisse riposto nella sala del tesoro, dove quell’avventuriero
francese era riuscito a introdursi, Dio solo sapeva come, per rubarlo.
Lo sceicco invitò David a rimanere suo ospite per tutto il tempo che
avesse voluto. David mediò tra l’esigenza di non offendere lo sceicco e il
desiderio di non rimanere a lungo in quella località poco ospitale: la
partenza fu fissata da lì a due settimane, quando la King George
avrebbe attraccato al porto, diretta in Inghilterra. Lo sceicco incaricò i
suoi uomini di procurare a David un posto sulla nave e decise che avrebbe pagato
il viaggio. Per David non cambiava molto, perché il viaggio comunque gli
sarebbe stato pagato dai servizi segreti inglesi. L’unico dubbio che gli
rimase è come lo sceicco gli avrebbe procurato sulla nave un posto “degno di
lui”, come gli aveva promesso: avrebbe fatto strangolare un passeggero per
liberare una cabina di lusso? Capace di farlo.
Il mattino seguente lo sceicco firmò il trattato che era il vero
motivo della missione di David. Con quel trattato lo sceicco permetteva alla
compagnia inglese di effettuare prospezioni alla ricerca di petrolio, in una
zona che sembrava molto promettente.
E quel pomeriggio, dirigendosi in città, David ebbe modo di osservare
il cadavere di Omar al-Hufuf, il ladro a cui lui
aveva sparato, per evitare di venire ucciso. Lo sceicco lo aveva fatto
decapitare, castrare e impalare alla porta della città. Chi entrava ad Al-Khatam poteva vedere il corpo del ladro su un palo, la
testa con in bocca i suoi attributi su un altro
palo. David fu molto contento di non aver consegnato Lucien
allo sceicco.
David trascorse i giorni seguenti girando per la città ed esplorando
il vasto suk. Conservava una vaga speranza di incontrare Lucien
e a un certo punto gli parve di riconoscerne il viso sotto un copricapo
arabo, ma l’uomo scomparve in un vicolo prima che David riuscisse a
raggiungerlo.
Tre giorni prima della sua partenza, lo sceicco lo invitò ad assistere
alla fustigazione di un europeo. David ne rimase alquanto sorpreso. Anche se
Abu Hadar conservava le tradizionali leggi
musulmane, che prevedevano pene quali la lapidazione e il taglio delle mani,
esse non venivano quasi mai applicate agli europei, a parte casi molto gravi,
come sarebbe stato il furto del pugnale: i pochi occidentali, perlopiù
commercianti, tecnici e diplomatici, venivano di
solito trattati con rispetto ed al massimo allontanati dal Paese, se
violavano troppo palesemente le regole. -
Chi è quest’uomo? -
Un francese, un certo Lucien Saint-Jean. David
sentì il fiato mancargli. Non conosceva il cognome di Lucien,
ma era assolutamente sicuro che fosse lui.
- Che cosa ha fatto? -
Si è ubriacato e poi ha tenuto comportamenti disonorevoli in strada. È la
seconda volta che succede. La prima, un mese fa, è stato
tenuto in prigione una notte, ma questa volta saranno due notti di prigione e
venti frustate. David
annuì. Venti frustate non erano troppe, non lo avrebbero ucciso. Per un uomo
forte come Lucien, non sarebbero state granché. Lo
sceicco non aveva nessuna intenzione di inimicarsi la Francia.
Bene, avrebbe rivisto Lucien, legato e
fustigato. L’idea gli fece un certo effetto, ma gli ampi pantaloni e
soprattutto la tunica che portava, seguendo le usanze del posto, gli
permisero di nasconderlo. Abitualmente
queste cerimonie avvenivano nella piazza davanti alla prigione della capitale
e vi assisteva una folla numerosa: era uno spettacolo che radunava un gran
numero di curiosi. Questa volta però, trattandosi di un europeo, lo sceicco
preferiva evitare un’eccessiva pubblicità e la fustigazione sarebbe avvenuta
in uno dei cortili del palazzo, dove si trovavano anche le prigioni per i
detenuti importanti. D’altronde nessun europeo sarebbe stato tenuto nella
prigione della città, dove anche trenta o quaranta persone si affollavano, in
condizioni indescrivibili, in un unico stanzone. Il
pubblico sarebbe stato limitato allo sceicco, alcuni uomini della corte e
David, quale ospite d’onore: lo sceicco pensava che, in quanto inglese, David
si sarebbe divertito alla fustigazione di un francese, vista la rivalità che
da tempo opponeva Francia e Inghilterra per il controllo delle risorse della
regione. Al
pensiero di rivedere Lucien, David si sentiva
inquieto. Era strano che quell’uomo si fosse fatto arrestare per una cosa così
stupida. Ubriacarsi in una situazione in cui la sua vita era in pericolo,
farsi persino arrestare: che bestialità! Probabilmente Lucien
era tranquillo perché non era ricercato, dato che nessuno sapeva della sua
partecipazione al furto: David aveva detto di non aver visto il complice
dell’uomo che aveva ucciso, di non sapere chi fosse. Però era comunque
un’imprudenza: qualcuno avrebbe potuto riconoscerlo, lì, nel palazzo dove
aveva commesso il furto. Un’idiozia simile, non era
da lui! L’aveva sopravvalutato. Il
mattino del giorno dopo, il pubblico era su una terrazza, pochi metri sopra
lo spiazzo in cui sarebbe avvenuta la fustigazione. David si accorse di
sudare parecchio, più di quello che il caldo torrido di quei giorni
giustificava. Una
porta si aprì e nel cortile entrarono due uomini: il carceriere e Lucien. Questi era a torso nudo e indossava soltanto un
paio di pantaloni arabi, che erano scivolati piuttosto in basso. David ne
ammirò il corpo atletico; le spalle larghe; il torace muscoloso; i peli che
formavano una croce, più densi sotto i pettorali e nella parte centrale del
torace, più radi altrove; le braccia vigorose, legate
davanti. Il suo sguardo scese fino al ventre, dove la peluria diveniva
più fitta. Si sentì la gola secca. Lucien guardava
indifferente davanti a sé, poi fece scorrere lo sguardo sul pubblico, ma
anche quando i loro sguardi si incrociarono, non diede nessun segno di
riconoscerlo. Un attimo dopo però, mentre lo sguardo tornava a perdersi nel
vuoto, David vide aleggiare sulle sue labbra un sorriso. Il
carceriere fece inginocchiare Lucien, che venne
messo di profilo rispetto al punto in cui si
trovavano loro. Poi l’uomo alzò il braccio e calò un colpo secco sulla
schiena di Lucien. Uno dopo l’altro i colpi
scesero, mentre la schiena si copriva di righe rossastre. Il viso di Lucien era teso, rigido, ma la sua bocca rimaneva chiusa. Al
decimo colpo, la pelle si lacerò e il sangue colò. Lo sceicco fece un gesto.
Il carceriere continuò a colpire, ma i colpi divennero meno forti. Lo sceicco
non voleva troppo sangue, anche se certamente gli sarebbe piaciuto. Se avesse
saputo che quell’uomo aveva rubato il pugnale… Al
termine della cerimonia, il carceriere si mise a fianco dell’uomo, gli fece
un cenno con la testa e Lucien si alzò. Poi i due
si diressero verso la porta del carcere. Lucien
procedeva con passo fermo, la schiena diritta coperta di segni rossi e del
sangue colato dalla lacerazione.
David ritornò nella sua camera. Non era più in grado di reggere ed aveva assolutamente bisogno di servirsi della sua
destra per alleggerire la tensione, ormai dolorosa, provocata dalla
cerimonia. Chiuse bene la porta e socchiuse gli scuri della finestra.
Poi si spogliò completamente e si distese sul letto. Socchiuse gli occhi. La
destra incominciò ad accarezzare l’uccello già teso. Immaginò Lucien, le mani legate dietro la schiena, nudo, che
veniva fatto salire su una piattaforma, in una piazza piena all’inverosimile
di arabi che urlavano e inveivano contro di lui. Immaginò il boia, lo stesso
che lo aveva fustigato, forzarlo a distendersi sulla piattaforma. Poi due
uomini gli legavano le caviglie e tirando le gambe verso l’esterno, lo
costringevano ad allargarle bene. Il boia avvicinava la punta del palo aguzzo
all’apertura, l’infilava appena, poi, con un grande martello, colpiva il palo
con forza, facendolo penetrare nel culo. Lucien
lanciava un urlo strozzato, la sua testa si sollevava e tutto il suo corpo si
tendeva, per poi afflosciarsi. Prima che un secondo colpo
facesse penetrare più a fondo il palo, David venne, investito da un’onda di
piacere violento, che lo lasciò stremato. Rimase
a lungo nella penombra della camera, la mano appoggiata sul ventre, dove
lentamente il suo sesso chinava la testa. * Mansur spalmava l’unguento sulla schiena di Lucien. Il contatto ruvido della mano sulla schiena
martoriata rinnovava il dolore, ma quella mano forte suscitava anche altre
sensazioni. Mansur non poteva vedere il risultato
di quello sfregamento, perché Lucien era disteso a
pancia in giù, ma i suoni che ogni tanto emetteva Lucien erano sospiri di piacere più che gemiti di dolore.
La schiena faceva male, ma la fustigazione non era stata troppo violenta:
come avevano concordato, Mansur si era limitato a
pochi colpi forti, di cui due sulla stessa area, in modo da aprire una
ferita: il sangue aveva nascosto i segni poco
marcati degli altri colpi e, come previsto, aveva indotto lo sceicco ad
intervenire. Lucien non aveva messo in conto di essere fustigato, ma
non era un problema. Non gli avrebbe impedito di portare a termine il suo
piano. Prima
però, si sarebbe divertito un po’ con Mansur.
Sapeva benissimo che era una sciocchezza, che in quella storia si era già
fatto fregare dal piacere, ma non gliene importava nulla. Mansur
aveva chiuso la cella e comunque nessuno sarebbe arrivato. Mansur procedeva con la medicazione o forse aveva finito,
perché Lucien sentiva le sue mani muoversi in
libertà, spingersi in basso, verso aree in cui la frusta non aveva colpito.
Peccato, perché a Lucien non sarebbe spiaciuto
qualche colpo sul culo. Perché, se doveva confessarlo, a Lucien
non era spiaciuto farsi fustigare da Mansur. Lucien sorrise e si disse che era proprio incorreggibile. Sapevano
tutti e due come sarebbe finita la medicazione. Si conoscevano abbastanza. Lucien sapeva benissimo che anche Mansur,
a forza di sfregargli la schiena, doveva ormai essere bell’e pronto a passare
ad un’altra fase. E infatti le mani
afferrarono i pantaloni che Lucien aveva ancora
addosso e li abbassarono senza tanti complimenti e ovviamente senza che Lucien opponesse resistenza. L’unica resistenza la oppose
il palo d’acciaio in cui la stoffa si incagliò, ma una mano di Mansur si infilò sotto il ventre di Lucien,
districò il tessuto dal palo e lo abbassò, con un’altra ruvida carezza che
fece male ai coglioni, ma fu molto apprezzata da Lucien
e soprattutto dal palo. Mansur allargò le gambe di Lucien.
Poi si stese su di lui, inumidì appena l’ingresso posteriore e, senza tante
cerimonie, introdusse un palo d’acciaio forse leggermente meno voluminoso, ma
non meno lungo di quello di Lucien. Spinse in
avanti, si ritirò leggermente, lasciando allo sfintere di Lucien
il tempo di adattarsi a quella brusca incursione, spinse di nuovo, una, due, tre volte, fino a che fu interamente dentro ed i
coglioni batterono contro il culo di Lucien. C’era
in Mansur un’irruenza che a Lucien
non spiaceva. Sapeva apprezzare i giochi lenti e sottili, l’esasperazione del
desiderio e il dilatarsi dell’attesa, ma amava anche la schietta vitalità di
un’urgenza che come un torrente impetuoso va diritto verso la meta. Era
bello sentire quel palo di carne dentro di lui, la forza di quel desiderio
che non si poneva limiti, ma inseguiva il proprio
scopo. Era
bello anche sentire le mani di Mansur che
stringevano la sua schiena, rinnovando il dolore. Ed
era bello sentire quel corpo pieno, possente, pesante, premere sul suo. Mansur incominciò il suo movimento, tenace e
instancabile, avanti e indietro, ogni volta estraendo quasi completamente
l’uccello, per poi inserirlo di nuovo a fondo, con un colpo secco che
strappava un gemito a Lucien.
Lucien sentiva il dolore al culo crescere,
ma il piacere cresceva di più, copriva lo strazio
della carne, lo rendeva irrilevante. Le mani di Mansur
ora erano passate davanti, gli accarezzavano il torace, gli stringevano i
capezzoli, pizzicandoli, martoriandoli, poi scendevano in basso, verso il
ventre, dove l’uccello era tanto gonfio di sangue che l’erezione era quasi
dolorosa. Le
mani di Mansur ritornarono sul culo, stringendolo,
pizzicandolo, graffiandolo, poi risalirono lungo la schiena, lacerando ancora
la pelle, mentre l’uccello proseguiva instancabile la sua azione e a Lucien sembrava che a ogni colpo penetrasse più a fondo. La
cavalcata continuò a lungo e dolore e piacere salivano, ma il dolore era un elemento del piacere, lo moltiplicava, lo
esaltava, mentre Lucien sentiva ondate di calore
salirgli dalle viscere, diffondendosi nel suo corpo e accendendolo. Non
avrebbe retto più molto, ma le spinte di Mansur divennero più rapide e violente, il dolore crebbe
ed il piacere esplose, stordendo Lucien. Sentì la
scarica di Mansur nel suo culo, interminabile come
le spinte. Poi Mansur lo girò sulla schiena e con
la destra incominciò ad accarezzare l’uccello e i coglioni di Lucien. Erano carezze brutali, che indolenzivano, ma
pochi colpi furono sufficienti perché Lucien
sentisse il seme proiettarsi fuori, con un getto tanto violento che alcune
gocce gli arrivarono sulla barba e sulla bocca. Stordito,
dolorante, appagato, Lucien rimase a lungo
immobile, felice di sentire ancora l’uccello di Mansur,
meno grande, meno rigido, ma ben presente, nel proprio culo, e la mano di Mansur, forte e salda, sul proprio uccello. Avrebbe
voluto dare il cambio a Mansur, ma sapeva che il
suo carceriere non avrebbe accettato: come molti arabi, non avrebbe
considerato onorevole farsi penetrare. Era un peccato, perché il culo di Mansur, piuttosto peloso e alquanto robusto, a Lucien piaceva parecchio. Ma che cos’era che non gli
piaceva? Dell’universo maschile, c’era davvero poco che non apprezzasse, ogni
taglia, consistenza, gusto, grado di villosità aveva il suo fascino, anche se
vi erano livelli superiori, come David, e livelli
inferiori (Mansur era abbastanza in alto nella
graduatoria). Dalla sessualità esuberante di Lucien
non era escluso neppure il gentil sesso, anche se in una posizione
chiaramente subordinata (bisogna sapersi accontentare…).
Si
è mai vista una simile mancanza di discernimento? * La
sera della partenza David fu ben contento di salire
sulla nave ed andarsene: Al-Khatam aveva ben poche
attrattive per un uomo attivo come lui e David era stufo di girare per la
città e di banchettare con lo sceicco.
Non aveva più rivisto Lucien dopo la
fustigazione, anche se l’aveva cercato: aveva facilmente ottenuto sia
l’indirizzo dell’albergo in cui Lucien era
alloggiato, una locanda da quattro soldi dove di rado si incontravano
europei, sia il nome della bettola in cui si era ubriacato. In qualche modo
voleva rivederlo, anche se non sapeva assolutamente che cosa avrebbe fatto
quando se lo fosse trovato davanti. Ma quando si era recato alla locanda,
aveva scoperto che Lucien non vi aveva fatto
ritorno, se non per ritirare il suo, esiguo, bagaglio. Anche alla bettola,
dove risultò essere un cliente abituale, non l’avevano più rivisto. David
si disse che era meglio così: che cosa avrebbe potuto dire ancora a
quell’uomo? In fondo, però, gli dispiaceva. Mentre entrava nella cabina, si
disse che avrebbe fatto meglio a scordarsi di Lucien,
che tanto non l’avrebbe più rivisto. Le
dimensioni della cabina lo sorpresero: non aveva nulla della cabina di una
nave, era piuttosto un appartamento che comprendeva una vasta camera da letto, uno spazio salotto-studio ed una stanza
da bagno. David ne fu contento: era abituato a sopportare i disagi, ma non
gli spiaceva l’idea di viaggiare comodo, tanto più che la traversata fino in
Inghilterra non era brevissima. Lasciò
che l’inserviente inviato dallo sceicco gli sistemasse gli abiti nell’armadio
e, quando infine fu solo, chiuse la porta, si spogliò e si fece un bel bagno.
Aveva proprio bisogno di rinfrescarsi un po’. Si
asciugò, ma non si rivestì: contava di stendersi un momento sul letto e
riposare, godendosi la piacevole sensazione di frescura lasciatagli dal
bagno. Era appena entrato nella camera da letto,
quando una mano gli tappò la bocca e contro la gola sentì la leggera
pressione di una lama acuminata. La
voce che risuonò vicinissima al suo orecchio era chiara e decisa: -
Se cerchi di chiamare, di urlare, ti taglio la gola. Quella
voce, che aveva sentito poche volte, ma che avrebbe riconosciuto tra mille,
gli mozzò il respiro, ma a togliergli ogni capacità di ragionare, di capire,
di agire, fu il contatto del suo corpo con un altro corpo,
più forte del suo e ugualmente nudo. La schiena aderiva completamente a un
torace che David aveva visto, largo e possente, e il culo poggiava contro un
ventre su cui si tendeva, caldo e vigoroso, qualche cosa che David non aveva
ancora visto, ma che presto avrebbe conosciuto. -
Rinunci a ogni resistenza? La
pressione della lama sul collo di David aumentò leggermente, poi diminuì e
David annuì. Allora la mano che gli chiudeva la bocca si allontanò. David
abbassò lo sguardo sul pugnale e, benché la mano celasse una parte dell’elsa,
ammirò il raffinato lavoro dell’orafo e i due grandi rubini che costituivano
gli occhi dell’animale favoloso. Non
si stupì di vedere il pugnale in mano a Lucien, si
stupì piuttosto del proprio torpore mentale, di aver rinunciato a cercare di
capire, collegare, ragionare. Ora la sua mente stava recuperando,
rapidamente. La seconda prigionia di Lucien si era
conclusa il giorno precedente, la prima era avvenuta un mese prima,
esattamente quando il pugnale era stato rubato. La prigione per i personaggi
importanti e gli europei era nel palazzo, nella
stessa ala della camera del tesoro. Non doveva esserci nessuna comunicazione
diretta, per quello che ne sapeva David, ma la distanza in linea d’aria era
minima. In qualche modo Lucien sapeva come
superarla. Per due volte Lucien era uscito dalla
prigione con il pugnale nascosto sul corpo. Non era stato tanto stupido da
farsi arrestare per ubriachezza, si era fatto
imprigionare per raggiungere il suo scopo. L’unico stupido era lui, David, a
non averlo capito prima. Come Lucien fosse riuscito
a passare dalla sua cella alla camera del tesoro, questo non poteva saperlo,
probabilmente con la complicità di…
-
Stenditi sul letto, pancia in giù, gambe larghe. Le
parole di Lucien cancellarono ogni pensiero. Una
vertigine di smarrimento lo prese, svuotandolo di ogni forza. Smarrimento? O
desiderio? Perché il suo corpo, stremato e ansimante, come se avesse compiuto
uno sforzo immane, si stava accendendo. Il
momento era giunto. David intuiva che nulla avrebbe potuto fermare Lucien. E sapeva che non desiderava fermarlo.
Barcollando, eseguì l’ordine. E mentre si abbandonava sul letto, spossato,
David si accorse di non riuscire a formulare un pensiero. Soltanto ritornava
nella sua mente, ossessiva, la parola: “Adesso”. Non
poteva vedere Lucien, ma lo sentì salire sul letto,
dalla parte opposta a quella verso cui era rivolta la sua faccia. Sentì
la bocca di Lucien sul suo collo, il morso leggero,
la carezza della lingua, che scorreva fino alla linea dei capelli, poi
scivolava verso un orecchio, si incuneava dentro, passava all’esterno,
scompariva, per lasciare il posto ai denti che mordicchiavano il lobo, solo
allora David pensò: “Sta per incularmi ed io non l’ho nemmeno visto nudo, non
so com’è il suo cazzo.” Cercava parole dure, per restituire realtà a ciò che
gli stava avvenendo, ma tutto sembrava galleggiare nel vuoto. Ora che non
c’era più nessun contatto tra i loro corpi, le parole erano solo parole, prive di ogni concretezza. Allora
girò la testa di lato, verso Lucien, per guardarlo.
Lucien era seduto sull’orlo del letto e lo contemplava.
Sorrideva con gli occhi e con la bocca, mentre allungava il braccio. La sua
mano incominciò a percorrere la curva della schiena di David, incendiandogli
la pelle. Lo
sguardo di David si spostò verso il ventre di Lucien
e si fermò sul membro voluminoso. Guardò la cappella rossastra, la pelle più
scura dell’asta. Pensò
soltanto: “Sì, quello è il suo cazzo, quello che mi metterà in culo”. Ma
le parole rimanevano solo parole, prive di contatto
con la realtà. Nuovamente la sua testa sembrò svuotarsi di ogni pensiero e il
momento presente svanire. Girò il capo e si abbandonò sul letto. Il
morso alla natica sinistra lo fece sussultare, ma a strappargli un gemito fu
la lingua, che ora scorreva decisa nell’incavo tra le natiche, premeva
sull’apertura segreta, sembrava davvero volerla forzare, si spostava verso
l’alto, scendeva nuovamente, ma quasi ignorava il luogo in cui prima aveva
indugiato, per raggiungere un’area più in basso, dove accarezzava e sfiorava,
poi erano nuovamente i denti in azione, che mordevano decisi. David
non avrebbe saputo descrivere le sue sensazioni, troppo forti, troppo
inusuali. Mai, prima di allora, il suo corpo era stato nelle mani di un altro
essere umano. Aveva fatto l’amore, più volte, con diverse donne. Ma non aveva
mai conosciuto quell’abbandono, quel senso di completa sottomissione, che
stava crescendo in lui. Il suo corpo aveva un padrone, che avrebbe fatto di
lui quello che voleva, tutto quello che voleva.
Qualsiasi cosa avesse voluto quel padrone, David sapeva che il suo corpo non
avrebbe opposto resistenza. * Il
desiderio premeva, violento, ma Lucien
non voleva cedere: voleva gustare ogni attimo di quel rapporto. Sapeva che
stava per cogliere un frutto che nessuno aveva mai colto: glielo diceva il
suo istinto e in questo era infallibile. E voleva che anche per David quel
momento fosse indimenticabile. Leggeva, nell’abbandono completo di David, che
il ragazzo provava un desiderio non inferiore al suo, ma era un desiderio che
ancora non conosceva se stesso. Lucien si era detto che avrebbe preso David comunque,
quel giorno, che era pronto a violarlo, se avesse opposto resistenza: voleva
vendicarsi per il modo in cui David si era servito della seduzione per
batterlo, beffandolo.
Ma mai nella sua vita aveva violato un corpo: un frutto colto a forza
gli sarebbe apparso privo di gusto.
Ora che lo vedeva così completamente disarmato, incapace di lottare,
ogni desiderio di rivalsa svaniva e nasceva in lui una sensazione nuova, un
desiderio di proteggere quel corpo. Il giovane non era più il temibile agente
segreto che lo aveva beffato, ma un ragazzo che scopriva i propri desideri,
che si confrontava con il piacere. A
lungo le sue mani, la sua lingua, le sue labbra, i suoi denti accarezzarono,
strinsero, solleticarono. Lucien tenne a freno il
desiderio impetuoso di entrare in David, mentre i suoi attacchi travolgevano
ogni difesa, incendiavano ogni postazione, facevano esplodere ogni mina. Non
c’era più nessuna resistenza, nessuna remora,
neppure la naturale ritrosia di un corpo che non è mai stato violato. Lucien riconosceva in David solo il desiderio sconfinato
di aprirsi, di essere posseduto. Stringendo
forte il culo del ragazzo con le dita, avvicinò la cappella allo sfintere.
Ammirò la perfezione di quella piccola apertura che stava per forzare,
l’anello di carne vergine che attendeva impaziente il supplizio. Appoggiò
appena la punta del membro sull’apertura e con un movimento lentissimo, ma inesorabile, introdusse la punta. Il corpo
di David non si tese, sembrò invece afflosciarsi ancora di più, in un
abbandono totale. Lentamente
Lucien avanzò, spingendosi oltre, sentendo la carne
che cedeva a fatica. Poi arrestò il movimento. Lucien
passò un’unghia sulla schiena di David, tracciando un leggero segno rosso
sulla pelle, poi morse con violenza la spalla e, mentre il corpo di David
sussultava, spinse a fondo. Ci
fu un gemito, mentre il palo avanzava. La carne cedeva al dominatore che
prendeva possesso dei suoi territori. Ed
allora Lucien tornò indietro, estrasse quasi
completamente la sua arma dalla guaina di carne che l’avvolgeva, per poi
proiettarla in avanti, di nuovo con lentezza. Tornò ancora indietro, mentre
David gemeva, più forte, incapace di contenere un piacere che debordava.
Spinse ancora più forte, penetrando più a fondo, in territori mai raggiunti,
dove il suo arrivo era spasmodicamente atteso. Ancora
una volta ritornò indietro, con lentezza, suscitando nuovi gemiti, poi la
lancia trapassò la carne senza pietà, spingendosi fino all’estremo limite.
Sentì David singhiozzare. Ora
che aveva conquistato la postazione e annientato il nemico, le sue mani
ripresero la loro opera, infilandosi sotto il corpo di David, tormentando i
capezzoli, accarezzando il ventre, solleticando i coglioni, vellicando
l’uccello, teso e fremente. A
lungo rimasero così, poi Lucien si girò su un lato,
guidando David a fare altrettanto. Incominciò
a muovere il palo avanti e indietro nella carne che cedeva, mentre la sua
mano accarezzava l’uccello di David, in modo rude. Sentì che la tensione nel
corpo di David cresceva e regolò i suoi movimenti in modo che i loro corpi
raggiungessero insieme la meta finale. Quando
sentì che David aveva superato il punto di non ritorno, spinse con forza,
strappandogli un nuovo gemito e insieme versarono il loro seme, Lucien nelle viscere di David, David sul proprio corpo. Lucien si rovesciò sul dorso, tenendo David stretto a sé,
e aspettò che i battiti frenetici dei loro cuori si calmassero. La
sua arma rimase dentro David e la sensazione dell’anello di carne calda lo
accese nuovamente. Il
gioco era appena agli inizi. * Era
molto tardi quando infine Lucien parlò. Non aveva
più pronunciato una parola, dopo l’ordine impartito a David di stendersi. Tre
volte lo aveva posseduto, senza mai uscire da lui. Ora
erano nuovamente stesi a letto, avvinghiati l’uno all’altro, sporchi di seme
e madidi di sudore. -
E ora, David, voglio una promessa. Con
fatica, David riemerse dal gorgo in cui era
sprofondato ore prima. Era ormai vicino alla superficie, ma
prese contatto con la realtà controvoglia. -
Dimmi. -
Prometti che di qui all’arrivo a Londra non farai nessun tentativo di
denunciarmi o di impadronirti del pugnale. David
avrebbe promesso qualunque cosa. Sapeva di non avere più una volontà propria.
Ma ebbe ancora un guizzo del David di alcune ore prima. -
E se non prometto? -
Se non prometti, mi spiace dirlo, ma dovrò tagliarti la gola e poi getterò il
tuo cadavere in mare. Prima di ucciderti, comunque, ti inculerò un’altra
volta, così il dolore del venire sgozzato sarà in parte compensato dal
piacere dell’essere inculato. David
sapeva benissimo che Lucien non l’avrebbe fatto, ma
non aveva più nessun interesse nei confronti di tutto ciò che non era il
corpo che lo stringeva. Il pugnale, i servizi segreti di Sua Maestà, le
prospezioni petrolifere, e chi più ne ha, più ne metta, tutto poteva
scomparire. Perché a lui in quel momento interessava soltanto quel corpo a
contatto con il suo, dietro il suo, dentro il suo. -
Tutto sommato, credo che prometterò. -
Mi sembra una scelta ragionevole. Quella
notte David dormì prigioniero in solide catene di carne: due braccia
muscolose che lo avvolsero e, per maggiore sicurezza, un palo che
periodicamente entrava dentro di lui. A dire la
verità David dormì molto poco, soprattutto per colpa di quel palo. E se vogliamo
dire tutta la verità, non gli passò per la testa,
nemmeno per un momento, di cercare di evadere dalla sua prigione. * Risvegliarsi
con un corpo caldo tra le braccia, è un bel risveglio. A Lucien
piaceva sempre e, se era possibile, amava trascorrere la notte con l’uomo, il
ragazzo o la donna con cui aveva goduto: scelta che poteva essere alquanto
rischiosa, come sapeva anche per esperienza, visto che era già stato sorpreso
a letto dal fratello di un ragazzo (situazione risolta brillantemente, trasformando
un duetto in un terzetto, molto soddisfacente), da una moglie (fortunatamente
disarmata, altrimenti l’uscita di scena di Lucien
avrebbe potuto essere meno dignitosa e soprattutto cruenta) e da una
fidanzata (in quel caso Lucien era stato sicuro di
aver provocato una rottura di fidanzamento, che però poi non aveva avuto
luogo). Lucien assaporò quel momento. Era bello sentire il
respiro leggero di David, che ancora dormiva. Avevano
parecchi giorni davanti a sé e Lucien, anche se non
aveva un programma preciso, era sicuro che sarebbe stato un
periodo intenso e ricco di soddisfazioni. Non c’era nulla di più bello
che guidare un giovane esploratore in un territorio per lui sconosciuto,
fargli scoprire le meraviglie e i pericoli di una nuova terra, aiutarlo a
inventare i propri percorsi ed a trovare i mezzi per
soddisfare le sue esigenze più profonde. Lucien
amava dare piacere, era una sensazione spesso più inebriante del piacere
stesso. Sapeva che a David avrebbe potuto insegnare molto. E David avrebbe
imparato tanto, non solo perché aveva un buon maestro a disposizione
(modestia a parte, Lucien poteva dirsi tale e molti
lo avrebbero definito eccellente), ma anche perché era un allievo volenteroso
e dotato. Lucien si disse che per quel mattino
avrebbero potuto esplorare il territorio di lingua, labbra e denti, un’area
interessante, ricca di risorse, che valeva la pena di conoscere a fondo. Quel
giorno, e i seguenti, David si dimostrò un ottimo allievo, grazie anche
all’esperienza della sua guida. Insieme percorsero molte strade e David
scoprì un paese immenso, che gli appariva sempre più vasto, man mano che vi
si addentrava. * Avevano
ormai quasi raggiunto Malta e ogni nuovo giorno aveva un dono in serbo per
David: un sentiero sconosciuto, un paesaggio di cui a volte aveva appena
sospettato l’esistenza, un’oasi le cui acque fresche lo allettavano, una cima
elevata da conquistare.
E dopo ogni esplorazione, i loro corpi rimanevano vicini, mai sazi di
quel contatto. Quel
pomeriggio, le mani di David accarezzavano la schiena di Lucien,
percorrendo i segni delle frustate, ormai appena visibili. -
Sai una cosa, Lucien? -
Dimmi. -
Quando ti hanno frustato… -
Sì? David
esitò, quasi vergognandosi. C’erano momenti in cui si scopriva
insicurezze e timori che non aveva mai avuto, altri in cui non aveva più
nessun pudore. Fu
Lucien a riprendere. -
Ti sei divertito un mondo. David
sorrise e annuì, anche se Lucien, che gli dava la
schiena, non poteva vederlo. Lucien proseguì: -
Scommetto che ti è venuto duro e poi ti sei fatto una bella sega pensando a
me. David
scoppiò a ridere. -
Esatto! Ma non sai come… -
Vediamo, posso indovinare. Immaginando che mi frustavi. -
No. Peggio. -
Che mi sgozzavi? -
Che ti impalavano. -
Carino, come pensiero. Io invece mi sono divertito con Mansur.
Preferisco i giochi a due, anche se, all’occorrenza, ci si arrangia come si
può. -
Mansur? -
Il carceriere, quello che mi ha fustigato. Un bel pezzo d’uomo, con un grosso
cazzo e molta energia. Il
pensiero di Mansur che inculava Lucien
gli seccò la gola. Non aveva mai posseduto Lucien,
anche se la bocca di Lucien lo aveva portato al
piacere, più volte, e aveva accolto il suo seme.
- Ma non eri a pezzi?! Voglio dire, dopo le frustate… -
Dopo le frustate ce l’avevo duro come il pugnale
dello sceicco. Niente di meglio di qualche frustata per stimolare un po’… David
deglutì, senza riuscire a formulare il pensiero che si affacciava alla sua
testa. Ma lo stesso pensiero doveva essere entrato nella testa di Lucien, che si voltò e lo guardò. -
Direi che adesso ti faccio provare. Forse,
se l’uccello di Lucien non fosse stato così
voluminoso e rigido, se i peli del suo ventre non fossero stati così
rigogliosi, se la sua barba non fosse stata così nera, se i suoi occhi non
fossero stati così scuri, forse, David avrebbe cercato di reagire, di dire
no. Ma Lucien non aveva fatto una domanda e David
non aveva voce per dire un no. David non aveva nessuna intenzione di dire no. Mentre
Lucien gli legava le mani, David lo fissava. Il
sorriso di Lucien lo rasserenava, teneva a bada la
vaga inquietudine che serpeggiava in lui.
Lucien lo fece stendere con il torace e il ventre sul
letto, le ginocchia a terra. Ci fu un lungo momento di attesa, poi Lucien avvicinò al viso di David la cinghia. David la
guardò, pensò che quella cinghia si sarebbe abbattuta sulla sua carne,
ferendola. Non aveva paura, o forse, più semplicemente, la paura
era meno forte del desiderio che incominciava ad ardere. Il
primo colpo fu appena una carezza ruvida sul culo. Il secondo, sulla schiena,
fu anch’esso leggero. David si rese conto che il suo uccello era già in tiro. Il
terzo colpo, al culo, fu una sferzata che gli strappò un gemito, quasi un
urlo.
Si pentì subito di non aver trattenuto il lamento, ma si era
abbandonato completamente a quel nuovo gioco, senza pensare a controllare le
reazioni del proprio corpo. -
Ti pensavo più resistente. Le
parole di Lucien pungolarono il suo orgoglio. Lucien aveva ragione, lungo quella strada su cui ora si
avventuravano, l’autocontrollo era essenziale. Parlò con voce ferma: -
Ogni volta che gemo, dammene due in più. Mentre
lo diceva sentì il suo desiderio irrigidirsi fino al limite. Le
due sferzate successive furono forse ancora più violente e gli incendiarono
il culo, ma David non emise nessun suono. Se
l’avesse fatto, sarebbe stato per il piacere che quel bruciore al culo gli
trasmetteva. Ancora
due colpi leggeri sulla schiena, che solleticarono appena la pelle. David avrebbe
voluto chiedere colpi più forti, ma non era lui a condurre il gioco: doveva
solo obbedire.
Qualche altro colpo più deciso sul culo, che ormai ardeva, moltiplicarono dolore e piacere.
Poi, improvviso, inatteso, o forse previsto e desiderato con ansia, il
grande uccello di Lucien forzò l’ingresso, mentre
le mani di Lucien irritavano le ferite. Quasi
immediatamente David sentì il seme di Lucien che si
spandeva dentro di lui: Lucien era entrato quando
ormai non era più in grado di reggere. Neanche
David era più in grado di reggere. Sentì la mano sinistra di Lucien che percorreva i segni delle frustate sul suo
culo, rinnovando il dolore. E la destra di Lucien
che scorreva lungo la sua asta, tesa allo spasimo. Un piacere che sembrava
salire dal dolore, fondersi con esso, annullarlo, moltiplicarlo, lo abbatté,
mentre le mani di Lucien raccoglievano il seme e
poi, con dolcezza e violenza, lo spargevano sul suo viso, sulle sue labbra. Ed
ancora le mani di Lucien, che scioglievano le corde
e le braccia di David, che lo guidavano a rintanarsi nel nido caldo
costituito da quel corpo. * In
piedi nella cabina, le mani legate dietro la schiena, gli occhi bendati, un
bavaglio in bocca, Lucien sapeva che era giunto il
suo turno. David glielo aveva chiesto e Lucien
aveva accettato di mettersi del tutto nelle sue mani.
Era un rischio, Lucien ne era consapevole,
assai più grosso di quello che David aveva corso affidandosi a lui. Perché Lucien conosceva i propri desideri e la propria forza, i
limiti del piacere e del dolore. David invece stava scoprendo un mondo nuovo.
Lucien non sapeva se il ragazzo sarebbe stato in
grado di fermarsi al momento giusto, se il gioco non l’avrebbe trascinato
oltre il limite. Ma non gli importava. Poteva sopportare una buona quantità
di dolore. E in quel momento il piacere di David era più importante del
proprio.
Le mani di David, che percorrevano il suo corpo, strizzandogli i
capezzoli, tirandogli i peli, pizzicandogli il culo, erano solo un assaggio,
nulla di più di quanto avevano fatto infinite volte. Il gioco sarebbe stato
un altro. Ci
fu un momento di pausa. Ora stava per incominciare il gioco vero e proprio.
Quando sentì nell’aria il fumo del sigaro, capì immediatamente le
intenzioni di David. Per un attimo si tese. Il gioco poteva essere molto
pericoloso. La punta incandescente di un sigaro ustiona e, se applicata nei
punti sbagliati, può essere devastante. Eppure Lucien
non sarebbe voluto tornare indietro. E aveva fiducia in David: il ragazzo era
inesperto nei giochi amorosi tra uomini, ed in
particolare in quelli in cui il confine tra piacere e dolore è molto sottile,
ma sapeva quello che faceva. Si
rilassò. David non aveva nessuna intenzione di ferirlo a morte. Sicuramente
voleva fargli male, sicuramente avrebbe goduto nel fargli
male, come lui aveva goduto a frustarlo, ma entro certi limiti. E il pensiero
che David gli avrebbe inferto dolore, destò il suo desiderio. Desiderio di
quel dolore, desiderio di nuovi piaceri. Dentro
di lui, una voce gli diceva che, qualunque limite David avesse fissato, per
lui sarebbe andato bene, anche se il limite fosse stata
la morte. -
Potrei spegnertelo su un capezzolo. La
carezza ardente tra i peli del torace fu molto leggera, ma era solo un
assaggio. Quando la carezza scese verso il ventre, nuovamente Lucien si tese. Ma anche il suo uccello si tese, ancora
di più. -
Oppure anche sul cazzo, sulla cappella, magari è la volta che abbassa la
testa.
Neppure quelle parole riuscirono a frenare l’erezione, né il dolore,
leggero, come leggera era stata la pressione, che avvertì al ventre, di
fianco all’asta tesa, dove David aveva avvicinato di più il sigaro alla
pelle. Una prima, piccola, bruciatura. Il
sigaro passava sul suo culo e la punta si avvicinò ancora, una piccola linea
di fuoco che percorreva la pelle, un solletico, più che un dolore. -
Oppure nel buco del culo, magari spingendo dentro.
La punta indugiò un attimo nell’incavo tra le natiche e Lucien ebbe un leggero sussulto quando si avvicinò
nuovamente, lasciando un altro segno dove l’incavo iniziava. Una
bruciatura leggera, appena appena dolorosa. Ma il
gioco non era finito. Il gioco era appena incominciato. Per
un momento non ci fu nessun contatto, poi Lucien
avvertì nuovamente il calore, questa volta al collo. Le
braccia di David lo strinsero in quel momento e un’ondata di piacere lo
avvolse. -
Anche sui coglioni, è un buon punto. La
punta del sigaro si avvicinò molto, tanto da lasciare nuovamente un segno e
questa volta il dolore fu reale, concreto: anche se il tocco era stato
leggero, la sensibilità della pelle aveva moltiplicato la sofferenza. Lucien cercò di controllarsi. Aveva scelto di
abbandonarsi nelle mani di David. E la sua resa era totale. Non avrebbe
fermato David. Sentiva
contro il suo culo lo sperone di David, pronto
all’uso. Aveva previsto anche questo e sapeva che doveva accadere, desiderava
che accadesse. E non solo per il piacere fisico che
questo gli avrebbe procurato, ma perché voleva che David si impadronisse del
suo corpo. David
si staccò da lui, poi Lucien sentì una mano che
premeva sulla sua schiena e lo forzava ad avanzare. Fece due passi. Ora
sapeva di avere di fronte il letto, David lo spinse e Lucien
si ritrovò disteso a pancia in giù sul letto, come David lo era stato qualche
giorno prima. Pensò
che David sarebbe entrato con violenza, ma avvertì la pressione, leggera, che
solo molto lentamente diventava più decisa. Solo
alla fine, quando il getto di David proruppe, inondandogli le viscere, e il
suo incominciò a spargersi sul letto, Lucien sentì
la bruciatura del sigaro che per un attimo si appoggiava, questa volta fino
in fondo, sulla sua natica destra. Per tutta la vita avrebbe
conservato quella piccola cicatrice. * Erano
ormai alla fine del viaggio: a Londra sarebbero arrivati entro poche ore.
I loro giochi erano proseguiti per tutto il tempo, senza che nessuno
dei due si sentisse sazio. Avevano imparato a prendere le misure dei loro
desideri e dei loro eccessi e i giochi erano divenuti più intensi, a volte
più violenti, a volte più teneri, sempre più
intimi. Non
era solo una questione di affiatamento dei loro corpi. David sentiva che
c’era altro, qualche cosa che lo spaventava. Ma di questo non parlavano. Parlavano
del loro passato, raccontandosi frammenti di vita e lasciando nel buio ciò
che non volevano dire. Non parlavano mai del futuro.
David si decise a interrogare Lucien. Era l’unico
che poteva fornirgli il tassello mancante per ricostruire il furto del
pugnale. Non stette a girarci intorno, né a
raccontargli tutto quello che aveva compreso. Lucien
era troppo intelligente per non capire subito quanto lui aveva intuito e
quanto voleva sapere. -
Ma dimmi, come hai fatto a entrare nella camera del tesoro? Senza dubbio con
la complicità del carceriere, ma la camera è perennemente sorvegliata. -
Vediamo se indovini. -
Qualche passaggio segreto? -
Esatto. -
Chi te lo ha fatto conoscere? -
Il signor Adrien Laverbène. -
E chi sarebbe costui? -
L’architetto che costruì il palazzo. -
Ma quel palazzo ha quattro secoli! -
Sì, e i progetti del palazzo sono conservati in un archivio di Nantes, dove
l’architetto Laverbène li depositò e dove
l’architetto Saint-Just li ha consultati. -
Tu sei architetto come io sono un angelo. Lucien lo strinse forte. -
Esatto, mio caro diavoletto, ma un documento falso per consultare antichi
progetti non è difficile ottenerlo. E non devo spiegarlo a te, anche se tu i
documenti falsi li ottieni gratis. -
Ma se questa seconda volta il furto fosse stato scoperto prima della tua partenza… Io… -
Sì, tu avresti fatto il tuo dovere, avresti cercato di recuperare il pugnale
e, se necessario, mi avresti denunciato. Il rischio era grosso. Ma quel
pugnale viene tolto dalla camera del tesoro solo in rare occasioni. Solo per
una serie di circostanze sfortunate la volta scorsa non riuscii
a partire prima che il furto venisse scoperto. Colpa soprattutto di quella
testa di cazzo di Omar. Perciò questa volta ho provveduto a rubare il pugnale
subito prima della partenza della nave. David
non chiese più nulla. Ormai era tutto chiaro e i dettagli non avevano
importanza. Non sapeva se Lucien aveva avuto prima
l’idea di rubare il pugnale e poi aveva cercato i piani del castello o se,
più facilmente, qualcuno gli aveva parlato di quel castello costruito da un
architetto francese e partendo di lì, Lucien aveva
organizzato il piano. Partire così, senza nessuna certezza che il palazzo non
fosse stato modificato nel corso dei secoli, era alquanto azzardato, ma
rientrava nel carattere di Lucien. E David,
razionale e attento a soppesare i pro e i contro, apprezzava Lucien anche per questo. Oltre che per quello che aveva
tra le gambe (e per come sapeva usarlo) e per quello che aveva tra le natiche
e per vari altri dettagli… * Dopo
aver raccolto il suo ridotto bagaglio, Lucien
guardò David che dormiva.
Sapeva benissimo che la cosa più assennata sarebbe stata scomparire
per sempre. Una relazione con David, un agente dei servizi segreti, per lui,
che con i servizi segreti aveva diversi conti in sospeso, era una follia. Una
relazione con David, con un uomo (perché di ragazzo David aveva solo l’età
anagrafica) così diverso da lui, con una volontà di ferro e un’intelligenza
fenomenale, sarebbe stata difficilissima. Lucien sapeva che avrebbe dovuto comportarsi in modo
responsabile e dare un taglio. Quella era la scelta più ragionevole, anche se
non era quella che gli suggerivano né il suo corpo (che rare volte Lucien costringeva a ubbidire), né il suo cuore (che Lucien non forzava mai). E
tutto si poteva dire di Lucien, ma non che fosse
assennato. * David
si svegliò con un senso di pesantezza alla testa e una sensazione strana, che
per un buon momento rimase indefinita. Poi, di colpo, comprese: la nave era
praticamente immobile, non c’era più rollio; doveva essere in porto. Erano
arrivati a Londra. E Lucien non era con lui. Si
alzò di scatto e controllò in bagno e nel locale attiguo. Nulla. Anche il
bagaglio di Lucien era scomparso. Avvertì
un senso di vuoto, un dolore sordo, che cercò di ricacciare. Lucien se n’era andato e il sonno profondo in cui era caduto qualche ora prima non era certamente un sonno naturale,
ma l’effetto di qualche narcotico che Lucien gli
aveva somministrato. Lucien aveva voluto assicurarsi che lui non gli impedisse
di scendere a terra e scomparire con il pugnale: voleva essere sicuro che
David non gli rendesse la pariglia. Ma era assurdo! Fin dai primi giorni di
viaggio, David aveva perso ogni interesse per il pugnale.
Eppure Lucien non si era fidato di lui.
O forse, più semplicemente, aveva preferito evitare gli addii. A quel
pensiero, un senso di vuoto lo avvolse. Meccanicamente si mise a sistemare il
bagaglio, un gusto amaro in bocca, un senso di spossatezza. Solo
quando aprì l’armadio vide la busta posata sulla vestaglia. Il cuore diede un
tuffo e le dita gli sembrarono troppo lente e maldestre nell’estrarre il
foglio. Devo
consegnare a un amico il souvenir che ho portato da Abu Hadar,
mi ci vorrà qualche giorno. Passerò a trovarti una di queste sere. 6,
Edmonton Street, no? L. Come
Lucien fosse riuscito a scoprire il suo indirizzo,
David non lo sapeva, anche se poteva formulare qualche ipotesi. Comunque, non
aveva nessuna importanza. Sapeva che una delle prossime sere, ritornando a
casa, avrebbe trovato Lucien seduto in poltrona, ad
ascoltare la sua radio, e magari con il suo accappatoio (gli sarebbe stato
stretto), dopo aver preso un bel bagno nella sua vasca: perché che Lucien suonasse il campanello mentre lui era in casa e
aspettasse che gli venisse aperta la porta, non se ne parlava neanche.
Avrebbe fatto bene a comprargli un bell’accappatoio, della misura
giusta, magari con una L ricamata sopra, e a
lasciarglielo in bagno. Sperava proprio che Lucien
avesse spesso occasione di usarlo. 2007 |