La
camicia rossa a
Monica e Giuseppe Sono
in otto a perlustrare la collina. Pare che nell’area ci siano alcuni soldati
borbonici: li hanno mandati per spiare i movimenti dei garibaldini, sbarcati
pochi giorni fa a Marsala. Il sergente divide i suoi uomini in coppie e li
manda in direzioni diverse. Nino
ed Emanuele sentono delle voci e si dirigono correndo verso un casolare che
sembra abbandonato. Un primo colpo raggiunge Emanuele alla gamba: il ragazzo cade.
Nino sente un secondo sparo. Si butta a terra. Dalla
casa escono due figure, fuggono verso il bosco. Nino si alza, si avvicina a
Emanuele, si sincera che la ferita non sia grave e poi si lancia a inseguire
i due uomini. I suoi compagni, che di certo hanno sentito gli spari,
arriveranno tra poco e Nino vuole poter dire dove si sono diretti i
nemici. Nino
corre, raggiunge il bosco, fa in tempo a intravedere qualcuno che si muove
più avanti, sul margine di una scarpata, e prosegue in quella direzione.
Corre veloce, ha vent’anni, non gli mancano né fiato, né gambe. A un certo
punto fa uno scarto per evitare una radice sporgente e
proprio in quel momento risuona lo sparo. Nino sente il dolore acuto
alla tempia, barcolla e poi cade. Rotola lungo la scarpata, fino a fermarsi
tra i cespugli vicino al torrente. I
compagni arrivano e trovano Emanuele ferito. Mentre due di loro si occupano
di lui, il sergente e gli altri si mettono a correre verso il bosco, dove
Emanuele ha visto scomparire Nino. Non
si vede nessuno, il bosco è silenzioso, gli spari hanno spaventato persino
gli uccelli. Il
sergente e i soldati perlustrano a lungo l’area, ma non trovano traccia di
Nino. Emanuele ha detto che c’è stato un secondo sparo. Il sergente teme che
Nino sia stato ucciso, ma non si trova traccia del corpo. Tornano
all’accampamento e riferiscono quanto è successo. La
notizia preoccupa molto il giovane ufficiale Federico Bonaiuti, che aspettava
all’accampamento il ritorno degli uomini inviati in perlustrazione. Federico
si sente responsabile per Nino. È stato il suo entusiasmo per la spedizione
che si progettava ad accendere in Nino un’esaltazione ancora maggiore. Il
patriottismo di Nino è stato alimentato dai loro lunghi dialoghi alla tenuta,
dove Nino è stato il compagno d’infanzia prediletto di Federico, nonostante
l’abisso sociale che separava il figlio del conte dall’orfano del
guardacaccia. Federico
decide di tornare a cercare Nino e diversi uomini si uniscono a lui. Nino è
benvoluto da tutti: già durante il viaggio in mare il suo carattere solare,
la sua bellezza, la sua allegria, il suo altruismo, il suo entusiasmo
patriottico ne hanno fatto il beniamino di coloro
che lo conoscono. Gli
uomini esplorano con cura l’area, passano più volte sul bordo della scarpata,
si affacciano, ma il corpo di Nino è completamente celato dai cespugli e
nessuno riesce a scorgerlo. Verso
sera tornano all’accampamento. Federico è angosciato. Si chiede come
comunicherà alla madre di Nino la scomparsa, probabilmente la morte, del figlio.
Quella donna, rimasta vedova tre mesi dopo le nozze, non ha altri figli.
Federico si maledice per aver trascinato Nino in quell’avventura, anche se sa
benissimo che non sarebbe riuscito a trattenerlo: Nino è un idealista,
sarebbe partito anche da solo. Carmine
cammina silenzioso. Ha imparato a muoversi senza fare rumore: la sua vita,
per il poco che potrà ancora durare, dipende dalla sua capacità di muoversi
in assoluto silenzio. La giustizia lo cerca, gli sgherri del barone lo
inseguono e da quando i D’Eria hanno messo una
grossa taglia sulla sua testa, parecchi altri si sono messi sulle sue tracce.
Carmine sa che quella caccia avrà fine presto, nell’unico modo in cui può
concludersi. Non ha paura, non grida contro l’ingiustizia del mondo di cui è
vittima: se non avesse ucciso il barone D’Eria, che
stava per violentare sua sorella, sarebbe stato il barone a ucciderlo, aveva già preso il fucile per sparargli. Ma nessuno gli
crederà mai. E Carmine è ormai rassegnato a una mala sorte che sembra perseguitarlo,
fin da quando dovette interrompere gli studi per la morte del padre e
mettersi a lavorare, ancora ragazzino, per portare a casa il pane; poi c’era
stata la morte della madre, portata via dal colera in due giorni; ed infine il barone, che voleva prendersi Agata con la
forza. Mentre
procede spedito lungo il torrente, Carmine scorge un corpo disteso a terra.
Ha una camicia rossa, è certamente un garibaldino, Carmine ha visto alcuni di
loro non lontano. Il giovane si guarda intorno, ma non si vede nessuno. Si
avvicina al corpo. Ha
il viso imbrattato di sangue, ma respira ancora. Carmine guarda la ferita, ma
c’è troppo sangue per riuscire a vedere se è profonda. Carmine
esita, poi prende un po’ d’acqua dal torrente e la versa sulla testa
dell’uomo, lavando la ferita. Il giovane geme, ma non riprende conoscenza.
Carmine lo guarda. È un ragazzo, non deve avere nemmeno vent’anni. Carmine ne
ha solo tre di più, ma gli sembra di essere vecchissimo. Sa di aver vissuto
la sua vita, ormai gli resta solo da aspettare la morte. La
ferita non è grave, è una ferita di striscio, la
pallottola non è entrata nella carne, ma il ragazzo ha perso molto sangue.
Carmine prende una pezza di stoffa che ha nella
bisaccia, la immerge in acqua e benda la testa del giovane, che nuovamente
geme. Carmine
non sa che fare. Se il giovane si fosse risvegliato, se fosse in grado di
camminare, Carmine lo aiuterebbe a risalire la scarpata e di lì il ferito
potrebbe raggiungere i suoi compagni, ma se lo lascia in quelle condizioni,
rischia di morire. Se lo trova qualche contadino, magari lo uccide, per
acquistare merito davanti alle autorità. Carmine
non può fermarsi, è una follia. Molti lo cercano e se si ferma, lo
troveranno. Ma non può lasciare morire quel giovane. Si
dice che tanto lui morirà presto: se almeno sarà riuscito a salvare una vita,
ben venga. Scuote la testa, con un sorriso amaro: ha già ucciso tre persone,
il barone e due dei suoi sgherri che gli avevano teso un agguato, e adesso
pensa a salvare vite. Carmine
si carica sulle spalle il giovane, che nuovamente si lamenta, e si avvia. È
notte fonda quando si ferma in un posto riparato. Stende
il mantello a terra, vi poggia sopra il corpo esanime e si siede contro un albero.
Il ragazzo respira in modo regolare. Non è una ferita grave. Vivrà e
ritroverà i suoi compagni. E se quella gente riuscirà a cambiare quel mondo
di ingiustizie in cui tutti loro vivono, ben venga! È
l’alba quando Nino emerge da un sonno profondo. Apre gli occhi, chiedendosi
dove si trova e vede davanti a sé un uomo che non conosce. Non è uno dei suoi
compagni, non è un garibaldino. Nino si alza a sedere di scatto, ma la testa
gli gira. -
Piano, muoviti piano. Sei stato ferito. Non è niente di grave, ma devi fare
piano. L’uomo
parla in un italiano stentato, con un fortissimo accento,
ma Nino capisce ed annuisce. Si porta una mano alla tempia, le sue
dita toccano la benda. -
Chi sei? L’uomo
alza le spalle. -
Mi chiamo Carmine... La
risposta rimane in sospeso. Nino capisce che Carmine tace qualche cosa, ma
rispetta la sua scelta. -
Io sono Nino. Che cosa è successo? Come mai sono qui? Ricordo che correvo,
inseguivo i soldati, poi ho sentito un dolore… -
Sei stato ferito. Io ti ho trovato e ti ho bendato. Carmine
ha fatto anche altre cose: gli ha dato da bere quando Nino nel delirio si
lamentava per la sete, ha vegliato sul suo sonno per tutta la notte. Carmine
è abituato a dormire poco. -
Grazie. Nino
sorride. Ha un sorriso dolcissimo. Poi nei suoi occhi passa un dubbio. -
Non sei uno… Nino
non trova il termine. -
No, non sono un soldato, non sono un nemico. Voglio solo aiutarti. Il
sorriso di Nino si allarga. -
Grazie. Devo raggiungere i miei compagni. Sai dove sono? Carmine
si rabbuia. Non sa dove siano i garibaldini e non può certo chiedere. Né può
informarsi Nino, perché, anche se si togliesse la camicia rossa, basterebbero
l’aspetto e l’accento a tradirlo. È vero che non c’è una grande simpatia per
i napoletani e che molti si stanno già unendo alla spedizione di Garibaldi,
ma un garibaldino isolato è in pericolo. -
Posso accompagnarti dove ti ho trovato. Di lì puoi raggiungere
l’accampamento, se non si sono già spostati. Nino
annuisce. -
Sono certo andati via, ma in qualche modo li troveremo. Fa
per alzarsi, ma Carmine lo ferma con un gesto. -
Prima è meglio che tu beva e mangi qualche cosa. Non ho molto da offrirti, ma
quello che ho è tuo. Mentre
Nino addenta avidamente il pane e il formaggio che ha ricevuto da Carmine,
questi si chiede se parlare a Nino della sua situazione. Teme che Nino perda
fiducia in lui. Ma prima o poi dovrà spiegare. Nino
ha finito di mangiare. Beve dalla fiasca che Carmine gli porge. Si alza, con
una certa cautela. Riesce a stare in piedi. Carmine
guarda Nino e parla. -
Nino, io sono un bandito. Mi cercano per ammazzarmi. Non posso farmi vedere.
Perciò dovremo muoverci di nascosto. Nino
lo fissa, senza parlare. Non c’è condanna nel suo
sguardo, solo stupore. Carmine non vuole rispondere alla domanda inespressa.
Dice solo: -
Anche se sono un bandito, puoi avere fiducia in me. Nino
annuisce, risponde: -
Lo so. Non
saprebbe neanche lui dire perché ha risposto così, ma è quello che sente. Carmine
guida Nino fino al punto in cui l’ha trovato e di lì raggiungono il luogo
dove erano accampati i garibaldini. Non ci sono più, come Nino aveva
previsto, ma per nessuno dei due è difficile trovare le tracce di un esercito
di oltre mille persone in marcia. Nino
cammina spedito, ma nel pomeriggio incomincia a sentirsi stanco. Vorrebbe
proseguire, ma Carmine lo forza a fermarsi. Sceglie un posto molto riparato,
poi va in cerca di cibo. Nino dorme due ore e al suo risveglio trova accanto
a sé Carmine. Gli sembra di avere un angelo custode, che veglia sul suo sonno,
anche se Carmine, con quegli occhi scuri, la barba nera e i capelli lunghi e neri, sembra più un diavolo che un angelo. Camminano
ancora, ma quando scende la notte, si fermano. Mangiano
qualche cosa. Poi rimangono in silenzio, la schiena appoggiata contro gli
alberi. La sera diventa più buia ed il viso di
Carmine si trasforma in una macchia leggermente più chiara contro il tronco
scuro degli alberi. Allora Nino trova il coraggio di parlare. -
Carmine, come mai sei… un bandito? Che cosa ti è
successo? È
una domanda ben strana, si sono conosciuti solo questa mattina, hanno parlato
poco in tutta la giornata e Nino chiede conto a Carmine di quello che lui è.
Ma a Nino non manca la sensibilità. Gli sembra di conoscere Carmine e
l’immagine che si è formata di lui poco si concilia con quella di un bandito. Carmine
fissa Nino, anche se vede solo un’ombra, e nel buio incomincia a raccontare:
della morte di suo padre, degli studi interrotti, della morte della madre,
della sorella da crescere, del barone che la insidiava, del tentativo di
violenza, del suo intervento, della fuga, dei due sgherri, di due rapine per
riuscire a sopravvivere. All’inizio
a Carmine sembra di togliersi un fardello, raccontando. È contento di poter
narrare la sua storia a qualcuno, che ha fiducia in lui, perché della fiducia di Nino, Carmine non dubita. Ma poi quel
raccontare diventa un peso, sempre più forte, e a Carmine pare di avvertire
nel silenzio di Nino un’accusa, uno sprezzo. Quando
Carmine ha concluso, Nino non dice nulla. Allora Carmine aggiunge: -
Se adesso te ne vuoi andare, Nino, puoi farlo. Non farai fatica a trovare la
strada e forse corri più rischi con me che da solo. -
Carmine! Come puoi dirlo?! C’è
una tale indignazione nella voce di Nino, che Carmine sorride. Nino
si avvicina, gli prende una mano e gliela stringe. E Carmine quasi ha le
lacrime agli occhi per quella stretta. -
Grazie, Nino. E
poi succede qualche cosa che Carmine non si aspettava, che Nino stesso non
pensava potesse accadere. Nino avvicina il suo viso a quello di Carmine e
nell’oscurità le loro bocche si incontrano. Il
bacio di Nino è leggero, solo uno sfiorarsi delle labbra, ma a quel bacio il
corpo di Carmine si accende, le sue mani stringono la testa di Nino, il bacio
si prolunga, la lingua di Carmine accarezza le labbra di Nino, si introduce
nella sua bocca, passa leggera tra i denti, incontra l’altra lingua. Ora
sono a terra, anche se nessuno dei due saprebbe dire chi ha spinto o tirato
l’altro al suolo. Carmine è steso su Nino, lo bacia appassionatamente, mentre
le sue mani gli accarezzano le guance, gli scompigliano i capelli. Il
desiderio pulsa violento in entrambi e non potrebbero negarlo neanche
volendo, perché i loro corpi lo rivelano. Le mani di Carmine scendono lungo
il corpo di Nino, tracciano il profilo delle sue spalle, dei suoi fianchi. La
voce di Carmine, arrochita dal desiderio, sussurra: -
Lo vuoi, Nino? Ma
è una domanda inutile, come è inutile il sì che Nino sussurra
o forse grida. E
allora le mani di Carmine incominciano a spogliare Nino e quelle di Nino
cercano di fare altrettanto con Carmine, intralciandosi a vicenda, maldestre
in un compito nuovo, impacciate dall’urgenza del desiderio, che a tratti le
allontana dagli abiti per accarezzare la carne scoperta. E il tocco di quelle
mani, che sfiorano e stringono, è altra legna che si aggiunge al grande
fuoco. Ora
sono nudi fino alle cosce, le gambe ancora ostacolate dai pantaloni appena
abbassati, e il contatto con la pelle dell’altro è una sensazione inebriante.
Nino sente contro il proprio ventre l’asta tesa di
Carmine e la sua, non meno gonfia di sangue, che preme contro la carne di
Carmine. Le
loro bocche si baciano ancora, incapaci di saziarsi, ma quei baci alimentano
la febbre che brucia i loro corpi. Carmine
fa scivolare i propri pantaloni fin quasi ai polpacci e fa lo stesso con
quelli di Nino. Poi si solleva ginocchioni, le gambe
ai lati di Nino, e guarda l’ombra stesa sotto di sé. Le sue mani percorrono
quel corpo, giungono all’uccello, lo accarezzano. Se Carmine fosse lucido, si
chiederebbe che cosa sta facendo, ma la sua mente brucia della stessa fiamma
che divora il suo corpo. Carmine
si alza con uno scatto, si libera completamente dei vestiti, spoglia anche
Nino. Poi si stende ancora su di lui, gli sussurra: -
Nino, Nino, Nino… Continua
a ripetere quel nome, come fosse una formula magica, un talismano contro la
solitudine, le sofferenze, le ingiustizie subite, la morte in agguato, ma è
solo una dichiarazione d’amore che le sue labbra non sanno formulare. Le
sue mani non sono più delicate, sono brusche, le sue carezze sono brutali,
quasi a celare un sentimento che ha superato ogni argine e deborda. -
Nino? Ora
è una domanda, precisa, anche inespressa. Nino risponde: -
Quello che vuoi, Carmine. Nino
non ha mai amato e ora che il suo cuore si è arreso, il suo corpo non può
fare altro che cedere a chi si è impossessato della sua anima. Carmine
lo volta e ancora accarezza quella schiena, quel culo, quelle cosce. Un turbamento
lo assale. In un attimo di lucidità si rende conto di quello che sta per
fare, ma anche in lui sentimento e desiderio hanno tutta la forza dirompente
della prima volta. La
mano di Carmine che accarezza una natica di Nino scende fino alla fenditura
dove si apre l’ingresso celato. Carmine sa che sarà il primo a entrarvi e il
pensiero lo stordisce. Si
mette due dita in bocca, le inumidisce bene con la
saliva, e le infila nell’apertura, con delicatezza. Non vuole far soffrire
Nino e solo questo pensiero lo trattiene ancora. Ma sa che non sarà più in
grado di trattenersi a lungo. Nino
geme, ma c’è più piacere che dolore in quel gemito. E allora Carmine si sputa
nel palmo dell’altra mano, inumidisce la cappella, con delicatezza, per
evitare di venire toccandosi, toglie le due dita ed entra, ospite ben
accolto, all’interno del fodero di carne che si apre per la prima volta ad una spada. -
Carmine! Carmine
bacia il collo di Nino, la nuca, la spalla. Carmine spinge con lentezza, non
vuole fare male a Nino. Il desiderio si allarga in onde che dal sesso e dai
testicoli si diffondono in tutto il corpo. -
Nino, Nino! A
ogni spinta Carmine sente il suo corpo dissolversi in un piacere puro, fino a
che non ha più coscienza di nulla, se non del piacere che lo inonda, che
trabocca, sommergendo anche Nino. Il gemito di Nino dice a Carmine che
entrambi hanno goduto. Ancora
si abbracciano, ancora si baciano, le loro bocche si cercano, le loro mani
percorrono il corpo dell’altro, non più impacciate, ed
altre due volte il piacere li trascina via, più forte di tutto. -
Nino, Nino, Nino… Carmine
stringe tra le sue braccia Nino, lo avvolge, quasi a proteggerlo. Teme che
sul suolo Nino abbia freddo e si gira sulla schiena,
trascinando Nino con sé, in modo che Nino poggi su di lui. Rimangono a lungo
così. Carmine bacia Nino sul collo, sulle orecchie, sulla spalla, lo
mordicchia leggermente, lo accarezza. Le sue mani scorrono senza ritegno,
spesso scendono fino all’asta che nuovamente si tende. Ma
è molto tardi e Carmine si dice che Nino deve dormire. Lascia Nino, gli dice
di rivestirsi e stende a terra il mantello. Nino si sdraia e Carmine si mette
di fianco a lui e aspetta che il suo amico scivoli nel sonno. Anche
questa notte veglierà, dormendo solo ogni tanto, un breve sonno vigile. E il
cuore è tanto pieno da traboccare. Arriva
l’alba. Carmine sveglia Nino con un bacio. Vorrebbero entrambi riprendere i
giochi della notte, ma devono raggiungere i garibaldini, Carmine vuole essere
sicuro che Nino riesca a ritrovare i suoi compagni, anche se il pensiero di
una separazione è troppo doloroso perché la sua mente possa formularlo. Mangiano
insieme. Carmine ripensa alla sera prima. Si dice che dovrebbe disprezzare
Nino, perché gli si è dato, perché ha rinunciato alla sua virilità. Carmine
guarda Nino e gli sorride. Sa che non lo disprezza, lo desidera ancora di
più. Lo ama. È difficile accettare questo, ma è la verità. Lo ama e per lui
farebbe qualsiasi cosa. Camminano
quasi tutto il giorno, riposandosi solo per due ore intorno a mezzogiorno. Già
nel tardo pomeriggio incontrano alcuni garibaldini. Gli altri non sono
lontani ed a sera Carmine e Nino giungono ai margini
di un bosco, da cui possono vedere l’accampamento. Nino
è raggiante. Carmine sente una mano gelida che gli stringe il cuore. Al
pensiero di separarsi da Nino un desiderio violento di piangere lo assale.
Vorrebbe morire, qui, ora. -
Dai, Carmine, andiamo. Carmine
cerca di controllare l’angoscia che gli sale dentro. Ricaccia indietro le
lacrime. Cerca di dare alla sua voce un tono neutro. - Va’ tu,
Nino. Io me ne vado. Nino
si volta e i suoi occhi sono pieni di lacrime. Non riesce quasi a parlare. -
Tu non vieni… Io… Carmine… Non
dice altro, non è necessario dire altro. Carmine lo
ha già preso tra le sue braccia, lo sta baciando, gli asciuga le lacrime con
le labbra, con la mano. Nino
piange ancora e quasi balbettando dice: -
Tu devi venire con noi, Carmine. Non possiamo separarci. Carmine! Carmine
annuisce. Sa di non avere scelta. È una follia, come è lo stato soccorrere
Nino, ma lasciarlo non è più possibile. Lo
accompagnerà, combatterà anche lui con questi uomini venuti a costruire un
mondo migliore. Se sarà fortunato, troverà la morte in battaglia, altrimenti
sarà scoperto e fucilato. Carmine sa che non sarà fortunato. Non lo è mai
stato nella sua vita. Carmine
prende il coltello, si bagna la barba e incomincia a radersi. Poi accorcia
anche i capelli. Non è sufficiente per evitare di essere riconosciuto, ma
forse aiuterà. Raggiungono
i garibaldini e in breve Nino ritrova i suoi compagni. Federico Bonaiuti
abbraccia Nino con calore e per un attimo Carmine sente una fitta di gelosia.
Anche i compagni manifestano la loro gioia nel rivedere Nino sano e salvo, lo
stringono tra le braccia. Quando Nino racconta che è stato Carmine a
salvarlo, tutti lo ringraziano. Nino annuncia che Carmine intende unirsi ai
garibaldini e l’entusiasmo del gruppo raddoppia. Sono
in tanti ormai a unirsi ai garibaldini, soprattutto contadini, alcuni a
piedi, altri a cavallo, chi vestito con una pelle di pecora, chi in giacca di
velluto. Quasi tutti non hanno nemmeno vent’anni. Carmine non può unirsi a
loro, perché rischierebbe di essere scoperto, e poi non vuole separarsi da
Nino. Ottiene di essere arruolato agli ordini del sergente Bonaiuti, anche se
per lui non c’è una camicia rossa. Quella
notte Nino e Carmine dormono vicini, tra tanti soldati. Solo le loro mani si
toccano, anche se il desiderio arde in entrambi. Il
giorno dopo c’è uno scontro con i borbonici. Non è un vero e proprio
combattimento, anche se passerà alla storia come la prima grande battaglia
della spedizione dei Mille. Carmine e Nino combattono vicino a Garibaldi,
rischiando la vita a ogni momento. Sono in prima fila nell’assalto finale ed insieme risalgono di corsa la scarpata in cima alla
quale sono appostati i borbonici. Carmine è il primo a raggiungere le
postazioni nemiche, ma quando arriva, i soldati si sono già dati alla fuga. Tutti
si stringono intorno a Garibaldi, che li loda, poi appoggia una mano sulla
spalla di Carmine e gli dice: -
Bravo, picciotto. Sei un valoroso. Di
nuovo Carmine sente le lacrime salirgli agli occhi, ma le ricaccia indietro. La
spedizione procede e ben presto la Sicilia è liberata. Nino e Carmine sono
sempre insieme, anche se solo Federico intuisce la vera natura del loro
legame.
In gruppo, Carmine parla pochissimo, ma ascolta con molta attenzione
gli altri. Il suo entusiasmo si accende, ogni giorno di più. Ormai si sente
uno di loro, gli sembra quasi di aver atteso con ansia l’arrivo di Garibaldi
per unirsi a lui ed il suo unico rimpianto è quello
di non avere la camicia rossa.
C’è poco spazio per i loro giochi d’amore. Dormono in camerate o in
accampamenti, in mezzo agli altri. Ma il desiderio selvaggio che brucia in
loro li guida a trovare il modo di appartarsi un momento, di rispondere al
grido della carne, magari nel bosco, contro un albero. Oppure la notte le
loro mani si muovono furtive sotto le coperte. Una
notte infine alloggiano in un vecchio convento
abbandonato ed hanno a disposizione una minuscola cella, loro due soli. C’è
spazio appena per due giacigli, ma loro non farebbero cambio neppure con la
camera del re. Nino
ha appena chiuso la porta, che già Carmine gli è addosso, lo spinge contro la
parete, lo bacia, lo stringe, incapace di contenere il fuoco che divampa.
Ripete all’infinito il nome di Nino, come nella prima notte che si sono
amati, e si interrompe solo per baciare la bocca di Nino, il collo di Nino, i
capezzoli di Nino, il ventre di Nino, mentre Nino affonda le sue mani nei
capelli dell’amico, il respiro che diventa affannoso, il desiderio che
martella nelle tempie. Carmine
si alza di scatto, volta Nino, si bagna le dita e nuovamente cerca l’apertura
che ogni notte desidera. Si
fa avanti con sicurezza e sentire nuovamente l’anello di carne che si apre
per accogliere la sua arma gli trasmette un brivido di piacere tanto forte
che fa fatica a non urlare. Carmine
stringe il corpo di Nino, le sue mani tormentano quel culo splendido che si
apre per lui, la sua bocca morde l’incavo della spalla. Le spinte vigorose
schiacciano Nino contro la parete, una mano di Carmine afferra i capelli di
Nino, l’altra ancora gli stringe il culo. Il
piacere cresce, si moltiplica, fino a occupare ogni lembo della pelle di
Carmine, fino a riempire ogni fibra della sua carne, ed
ancora si dilata, tanto che non può più essere contenuto ed allora dilaga,
impetuoso, travolgendo il corpo di Carmine, riversandosi nel culo di Nino ed
invadendolo. Carmine
scivola in ginocchio, incapace di reggersi in piedi. Le sue mani scorrono
lungo il corpo di Nino, dal torace fino alle natiche e poi alle gambe, i suoi
denti affondano nella carne soda di quel culo che gli si offre ed i morsi, che provocano piccoli gemiti in Nino,
diventano baci, carezze umide. Carmine bacia, lecca, morde, trascinato da un
desiderio che l’orgasmo non ha spento. Nino
si volta e Carmine osserva il sesso teso dell’amico. La sua bocca è ad una spanna da quella carne calda e, senza nemmeno
rendersi conto di ciò che sta facendo, Carmine prende a baciare,
mordicchiare, leccare. Poi
di colpo, come svuotato di energia, si lascia andare sul pagliericcio, senza
smettere nemmeno un secondo di guardare Nino, il corpo di Nino, l’uccello di
Nino. Nino
si stende su Carmine, lo abbraccia, lo bacia. Carmine sente la durezza del
sesso di Nino contro il proprio ventre e il desiderio si riaccende. -
Carmine, voltati, che voglio farlo io. Carmine
guarda Nino. Per un momento la sua mente si rifiuta di capire. -
Dai, Carmine, non ce la faccio più. Non me l’hai mai dato,
tu, il culo! Nino
sorride e Carmine si domanda se davvero si rende conto di ciò che gli sta
chiedendo. Ma Nino è uno spirito libero, non ha remore, pregiudizi. E Nino
gli sta chiedendo solo quello che gli ha dato. Carmine guarda il sorriso di
Nino, la fiammella di desiderio che brilla nei suoi occhi, la bocca
socchiusa. Gli
prende il viso tra le mani, lo bacia con passione, gli infila la lingua tra i
denti, poi sorride e si stende sulla pancia, mentre Nino si solleva sulle
braccia per permettergli di voltarsi. C’è
una leggera tensione in Carmine, la coscienza che sta per accadere qualche
cosa che non avrebbe mai pensato potesse succedere, lo stupore perché quello
che sta facendo non gli appare neppure un sacrificio. E poi c’è il calore del
corpo che lo copre, dell’arma che preme e il dolore dell’apertura forzata,
della carne penetrata. Non è un dolore violento, è appena una trafittura. E
non è solo dolore, perché la pressione di quella carne calda è gradevole, gli
dà una sensazione di pienezza. Ed infine tensione, dolore, stupore, calore si sciolgono
in un unico, assordante piacere, che sovrasta ogni altra sensazione, che
travolge Carmine e ne lascia il corpo, svuotato e smarrito, come un naufrago
che le onde hanno scagliato sulla spiaggia. Riprende
coscienza del proprio corpo, di quello di Nino steso su di lui, di quanto è
successo.
- Ti amo, Nino.
Non gliel’aveva ancora detto, ma ora ha sentito il bisogno di dirlo.
Conosce la risposta di Nino:
- Anch’io, Carmine, da impazzire.
La spedizione procede, Carmine e Nino sono sempre in prima fila e
Garibaldi esprime più volte il suo apprezzamento per il loro coraggio.
Nell’esaltazione di entrambi c’è un’unica nuvola. Nino ha paura che
qualcuno riconosca Carmine. Carmine sa che questo è inevitabile ed è
rassegnato, ma sa che Nino ne soffrirà atrocemente e questo pensiero lo angoscia. La
spedizione è ormai alla fine, Roma non sarà liberata, il Savoia è in arrivo
con l’esercito piemontese. Ed
è proprio ora, quando ormai l’impresa volge al termine, che due volontari di
Sciacca vedono Carmine e lo riconoscono. Carmine se
ne rende conto. Quanto si aspettava è successo. La
sera ne parla a Nino. Non vorrebbe farlo, per non angosciarlo, ma deve
prepararlo. La loro breve storia è giunta alla fine, la sua breve vita anche. A
Nino sembra di perdere la ragione. Carmine deve fuggire, ormai la spedizione
è quasi conclusa, l’esito della battaglia di domani è
certo, Carmine deve nascondersi. Dopo la battaglia si ricongiungeranno. Carmine
scuote la testa: -
No, domani si combatte. Non me ne vado ora. Nino
cade in ginocchio e scoppia a piangere. Carmine gli si avvicina e gli
accarezza la testa, Il
giorno dopo Carmine cerca la morte, ma quando la battaglia ha termine, è
illeso. La fortuna non è mai stata dalla sua parte. Vengono
a prenderlo due soldati. Carmine viene interrogato sulle accuse che gli vengono rivolte. L’interrogatorio si svolge in presenza
del generale. Carmine
potrebbe negare, dire che si tratta di un equivoco. Ma non vuole mentire, non
a quell’uomo per cui prova un’ammirazione sconfinata. Tace. Il
generale gli chiede di spiegare e allora Carmine racconta. Tutto, senza
omissioni. Anche le due rapine che ha compiuto. La
confessione è completa e la sentenza è scontata: condanna a morte, da
eseguire oggi stesso. Nino
è fuori dalla tenda, non lo hanno lasciato entrare. Quando gli comunicano la
sentenza, barcolla e sviene. Carmine
è da solo in una tenda. All’ingresso c’è una guardia. Lo fucileranno tra un’ora.
Non davanti a tutti, questo almeno gli verrà risparmiato. Non è un traditore,
non deve fornire un esempio. Lo porteranno in un valloncello isolato, vicino
al campo. Carmine
non ha pentimenti. Ha fatto quello che poteva e lo rifarebbe. Non si pente di
aver ucciso il barone, come potrebbe? Né di essersi difeso dai suoi sicari.
Non rimpiange certo di aver salvato Nino: anche se Nino non gli avesse fatto
conoscere la felicità, solo il fatto di averlo sottratto alla morte è fonte
di gioia. Non si pente di non essere fuggito quando ne aveva ancora la possibilità, di non avere indotto Nino a scappare con lui.
Hanno combattuto per la causa giusta. Non
ha rancori. I conti li ha saldati. Adesso salderà
l’ultimo. Il generale ha fatto quanto doveva. Non si può lasciare libero un
assassino e un brigante. Il
generale entra in quel momento. Carmine si alza in piedi. Vorrebbe
ringraziarlo, di tutto, ma non sa come esprimere quello che prova. Il
generale è assorto. Tace un momento, poi dice: -
Era necessario farlo. -
Sì, signor generale. Lo so. -
Posso fare qualche cosa per te? Carmine
rimane incerto, non osa chiedere. Poi si fa coraggio: -
Vorrei poter indossare la camicia rossa. Garibaldi
lo guarda e Carmine ha l’impressione di vedergli un luccichio negli occhi. -
L’avrai. Carmine
prova una sensazione di felicità immensa, quasi il generale gli avesse detto
che avrà salva la vita. Garibaldi
lo abbraccia ed esce. Poco dopo arriva un garibaldino che porta una camicia
rossa. Carmine la accarezza e questa volta lascia che le lacrime scorrano. Ha
appena indossato la camicia rossa quando vengono a prenderlo e lo portano in
una radura poco distante. Carmine
guarda il plotone schierato davanti a lui. Non ha più visto Nino. Avrebbe
voluto salutarlo, ma di certo Federico lo ha tenuto lontano. Ha fatto bene.
Nino non deve vederlo morire. Impazzirebbe. L’ufficiale
che comanda il plotone si avvicina, portando la benda. Carmine scuote la
testa. -
No, non ne ho bisogno. L’ufficiale
gli dice ancora qualche cosa, che per un momento Carmine sembra non capire,
poi l’uomo si mette la benda in tasca e ritorna al suo posto. Rapidamente
impartisce gli ordini. I soldati alzano i fucili, prendono la mira. Gli
spari riempiono l’aria. Carmine cade all’indietro, avvitandosi su se stesso.
Un movimento rapido, che dura un attimo. È stato appena come se quella
divinità maligna che per tutta la vita si è divertita a spese di Carmine,
avesse deciso che era ora di finirla e gli avesse dato un
colpo leggero. Niente di più. Nino
si siede sulla panca di fronte alla casa in cui vive. Lo fa ogni sera, quando
torna dal suo giro di controllo nei terreni di caccia del conte Bonaiuti. Si
siede e guarda il mare davanti a sé, una distesa illimitata, a volta solcata
da qualche barca o da un battello più lontano, a volte vuota. Il sole è ormai
basso all’orizzonte e tra poco si tufferà nelle acque. Nino
ama i boschi in cui vive, ma quel mare sconfinato è di una bellezza che gli
toglie il fiato. Ha sempre amato il mare e contemplarlo gli dà gioia e pace. Ma
non questa sera. Il dolore è troppo violento. Non importa se sono passati
anni, una persona che per noi è stata davvero importante non si dimentica,
anche se non la si vede più per quindici anni. Le lacrime sgorgano di nuovo,
come è già successo più volte nella giornata. Non
sente arrivare il suo collega, che da oltre vent’anni divide con lui la
minuscola casetta. È un uomo che sa muoversi silenziosamente. Quando Nino si
accorge di lui, è già seduto sulla panca. L’uomo
gli passa una mano sulla testa, accarezzandogli i capelli biondi. Non si
scambiano mai gesti di tenerezza all’aperto, ma questa sera Nino ha bisogno
di conforto. L’uomo
gli parla. Si esprime in italiano, ma nella sua voce è ancora possibile
riconoscere l’accento siciliano. -
Non devi piangere, Nino. Ha vissuto la sua vita,
pienamente, e se ne è andato senza rimpianti, amato
da tutti. Nino annuisce. -
Lo so, Carmine, ma… mi sembra impossibile che non
ci sia più. Noi gli dobbiamo tutto, Carmine. Senza di lui… -
Senza di lui non ci saremmo incontrati, mi avrebbero fucilato per davvero e
non per finta. Lo so. E non gli volevo meno bene di quanto gliene volevi tu. Ma neanche Garibaldi poteva vivere in eterno. 2007 |