Domande pericolose

 

Domande

 

Appoggiato al muro del cesso, tengo gli occhi chiusi e cerco di calmarmi. Non è facile. Non è facile. Ho fatto una cazzata e ora mi sento morire.

E dire che questa mattina ero così contento all’idea che finalmente è arrivata l’estate: tra tre giorni la scuola finisce ed incominciano le vacanze. Tutti gli anni questo è il momento più bello, quando mi si aprono davanti mesi e mesi di libertà assoluta.

Eppure, quest’anno non è così, quest’anno ci sono altre cose per aria. E ci sono almeno tre giorni la settimana in cui a scuola sono sempre venuto volentieri. Non posso dirlo a nessuno, nemmeno a Dario, che pure è il mio migliore amico. Non mi capirebbe.

A dire la verità, non mi capisco neanch’io. O forse mi capisco benissimo, ma non ho nessuna voglia di capirmi.

Il professore di storia e filosofia non è un bell’uomo. Ha una faccia dura, alla Jean Reno dell’Impero dei lupi, il naso schiacciato, due occhi gelidi. Ha un fisico robusto, ma è sovrappeso. Patisce il caldo e in questa stagione gli vedo spesso le macchie di sudore sulla camicia, sotto le ascelle.

I miei compagni lo prendono in giro perché suda così tanto, ma lo fanno solo quando lui non sente, ovviamente, perché non è il tipo che si lascia prendere per il culo ed ho l’impressione che con un solo pugno potrebbe mandare K.O. anche Roberto, che è uno e 87. Lo chiamano il buttafuori, perché è di modi spicci e sa farsi rispettare. Dicono che una volta abbia menato due ladruncoli che stavano aggredendo una vecchietta e ne abbia mandato uno all’ospedale. Non so se è vero, ne dicono tante. Ma quell’uomo mi fa paura.

Quando lo guardo, mi sento la gola asciutta. Non ho più un goccio di saliva. Mi mancano le forze ed ho paura, una paura fisica, come se lui potesse alzarsi dalla cattedra, avvicinarsi, mollarmi un pugno allo stomaco e poi…

Poi il mio cervello si rifiuta di continuare, ma tutto il mio corpo è in tensione, l’uccello ha alzato la testa e un desiderio feroce mi sale dentro. Desiderio di che cosa, non lo so. Desiderio e paura di quelle mani forti, che mi afferrano, mi strappano la maglietta, desiderio di vederlo spogliarsi, di… Non lo so, non voglio saperlo.

Quando mi interroga, non lo guardo mai. Se lo guardassi, smetterei di ragionare. Rispondo sempre tenendo gli occhi bassi. Ma quando sono al posto, non gli stacco gli occhi di dosso. Sono in una buona posizione, defilata, seminascosto da Roberto, che mi copre alla vista degli altri. Fisso il professore tutto il tempo, tranne quando lui gira lo sguardo dalla mia parte. Allora abbasso gli occhi, subito. Non oso incontrare quegli occhi grigi. Ho l’impressione che mi leggerebbe dentro.

Fino a dieci minuti fa, quando ho fatto la cazzata. Non so perché l’ho fatta. Forse perché la scuola sta per finire, c’è ancora un’unica lezione di storia. So solo che mentre lui stava spiegando e guardava ora da una parte, ora dall’altra, io mi sentivo teso, continuavo a dirmi che tra pochi giorni non lo rivedrò più. E allora, quando lui ha voltato la faccia nella mia direzione, ho fatto una cosa assurda. Mi sono passato la lingua sulle labbra, prima sotto, poi sopra, lentamente, senza distogliere lo sguardo. L’ho fissato in quegli occhi grigi, di ghiaccio, che non mi perdevano di vista e che non si sono allontanati un attimo, anche se lui ha continuato a parlare.

Quando mi sono reso conto di quello che avevo fatto, mi sono sentito male. Per fortuna è suonata la campana, a quella di inglese ho detto che non stavo bene e sono uscito. Adesso, qui da solo nel cesso, mi sento morire. Mi chiedo che cosa mi è passato per la mente. Sono stato pazzo. Poi mi dico che non se n’è neanche accorto, ma è una cazzata, non mi ha tolto gli occhi di dosso nemmeno per un minuto. Ma probabilmente ha solo pensato che avessi le labbra secche, non può avere capito…

Dio, in che casino mi sono cacciato. Mi tremano le gambe.

Devo rientrare. Per fortuna questa mattina non lo vedo più. Giovedì non vengo a scuola. Non me la sento di averlo di nuovo un’ora davanti agli occhi.

     

*

 

Fausto Andreis, professore di storia e filosofia, ha un’ora buca. Esce in cortile a fumare il suo sigaro. Lo faceva già prima del divieto di fumo nei locali pubblici, perché sa che l’aroma dei suoi toscani non è apprezzato da tutti.

Fuma e pensa. Pensa che il ragazzo, Enzo Bondi, è una troietta. Non se l’aspettava. La timidezza assurda di cui Enzo ha sempre dato prova con lui (e solo con lui, perché con i colleghi Enzo è normalissimo) è una manfrina e nasconde solo una troia in calore? Gli è difficile crederlo. È dall’inizio dell’anno che è così. Se è stata tutta una manovra per risvegliare il suo interesse e farselo mettere in culo, che senso aveva trascinarla per un intero anno scolastico? Andreis non sa che cosa pensare. Quell’improvviso fissarlo negli occhi, quella lingua che indugiava sulle labbra… troppo esplicito per lasciare spazio a dubbi. È una provocazione, questo è evidente. Una provocazione che trova il terreno giusto.

Fausto ha quarantaquattro anni e da tempo si è accorto che le donne lo interessano sempre di meno. Se il suo matrimonio è fallito non è solo per i suoi sigari. Se con sua moglie scopava poco, per non dire niente, non è perché gli mancasse l’appetito, che è sempre stato forte, quasi vorace. Se gira su internet e curiosa sui siti gay, non è per una delle sue ricerche storiche. Se legge i racconti porno gay, non è per conoscere le nuove tendenze della letteratura. Se…, se…, se…

 Fausto potrebbe continuare con i se a lungo, ma sarebbe un gioco fine a se stesso. Le idee le ha ormai chiare. Gli uomini lo interessano, soprattutto quelli giovani. Soprattutto quelli dell’età di Enzo Bondi. Quanti anni ha Bondi? Fa quarta, quindi è nell’anno dei diciotto. Magari non li ha ancora compiuti e lui rischia di finire dentro, dato che è anche il suo insegnante.

Alle domande, bisogna rispondere. Andreis entra in segreteria e va all’armadio. Tira fuori la cartella della IV B e cerca il fascicolo di Bondi. Sa benissimo che lo stanno guardando storto, gli insegnanti non devono entrare in segreteria fuori orario, gli insegnanti non devono prendere le cartelle personali dei ragazzi, c’è la legge sulla privacy. Possono andare tutti a farsi fottere, tanto Andreis sa anche benissimo che tutti sono un po’ in soggezione davanti a lui e nessuno gli dirà niente. Si rende conto che ha anche il sigaro in bocca, ancora peggio, ma tanto esce subito.

Eccolo qui, Bondi, Enzo, nato … aprile, 17 aprile. I diciott’anni li ha. E adesso, che se ne fa il professor Andreis di questa bella informazione?

Mentre esce di nuovo nel cortile, Andreis si interroga.

Vuole davvero portarsi Bondi a letto? Non lo sa neanche lui. Lui, che certamente non è mai stato un indeciso, non sa varcare il Rubicone. Bondi lo attrae. È un bel ragazzo, un viso gradevole, occhi di un bell’azzurro intenso e folti capelli neri. È intelligente e questo non guasta, anche se a letto non è la cosa più importante. Se è una troia, è l’ideale per incominciare, può fargli da nave scuola.

Fausto ride, ma ride amaro. Se davvero Bondi è una troia, sarà solo una scopata. Glielo ficca in culo, magari si fa fare anche un pompino e tutto finisce lì. Perché, che cosa si aspetta? Un grande amore? Fausto butta il sigaro a terra e lo spegne con il tacco. È nervoso, scocciato con se stesso per questa indecisione assurda.

È ora di rientrare, per l’ultima ora di lezione. A mezzogiorno può uscire. O magari potrebbe fermarsi per fare le medie della seconda e della terza, tanto lì ha finito con le interrogazioni. Potrebbe uscire un po’ dopo, a casa non lo aspetta nessuno. E se uscisse quando suona ed escono anche i ragazzi? Che faccia farebbe Bondi?

 

*

 

La giornata è finita. Mi sono ripreso, anche se al pensiero di Andreis, mi viene ancora male. Oggi non rischio di incontrarlo, esce un’ora prima. So il suo orario a memoria ed i giorni in cui so che esce all’ultima ora, faccio in modo di scendere in fretta e poi aspettare che esca, tra gli altri. Non lo guardo mai in faccia, ma quando si allontana lo seguo con gli occhi.

Scendo le scale e improvvisamente mi sembra di affondare, barcollo. Lui è lì, ai piedi dell’ultima rampa. Guarda le scale. Mi guarda, con quegli occhi grigi che mi raggelano il sangue. Mi fermo di colpo. Luca, che è dietro di me, mi viene addosso e per poco non rotoliamo tutti e due.

 - Che cazzo ti è preso?

- Scusa, ho dimenticato la penna in classe.

Senza lanciare più uno sguardo in basso, mi volto e risalgo le scale. Faccio un po’ fatica, perché sono in tanti a scendere, e mi sembra di sentire nella schiena gli occhi di Andreis. Mi sembra che mi perforino la maglietta.

Arrivo alla classe, mi dirigo al mio banco e mi fermo. Non mi siedo, appoggio appena le mani sul banco, cercando di calmarmi. È meglio che non venga a scuola neanche domani, tanto non ho più interrogazioni. Non ce la farei a incrociare Andreis un’altra volta.

Mi sto calmando, ma sono ancora teso. Ho fatto una cazzata a salire in classe, adesso mi tocca scendere da solo e magari lui è ancora là.

Solo quando la porta si apre, capisco perché sono venuto in classe. Non lo sapevo un attimo fa, ma ora lo so benissimo. Sono venuto in classe, perché Andreis mi potesse raggiungere. Ed eccolo entrare, con quel viso duro, quegli occhi grigi e una smorfia che potrebbe essere un sorriso sulle labbra, ma non è un sorriso cordiale, è un ghigno malefico, in cui leggo disprezzo.

Si avvicina a me ed io sento che le gambe non mi reggono. Mi appoggio al banco, ma la testa mi gira. Andreis non mi toglie gli occhi di dosso, ma il suo sguardo è cambiato, sembra perplesso.

Con uno sforzo mi drizzo. Vorrei parlare, ma non sono in grado di spiccicare una parola.

- Non so che cazzo vuoi, ma io abito in via Peyron, al 18. Oggi sono a casa. Se hai qualche cosa da dirmi…

Si volta e se ne va senza darmi il tempo di replicare. Ma non riuscirei a replicare nemmeno se ne andasse della mia vita. Mi siedo, incapace di rimanere in piedi.

 

*

 

Voleva insultarlo, magari dargli della troia, voleva chiedergli che cazzo voleva da lui, voleva baciarlo, Fausto Andreis non sa che cosa voleva fare, ma il ragazzo era bianco come un cencio e non stava in piedi. Si può fingere di stare male, ma quel pallore non poteva essere finto.

Fausto non sa che cosa pensare. Se quel ragazzo voleva attirare la sua attenzione, ce l’ha fatta, in pieno. E non solo la sua attenzione. Fausto è tanto eccitato che cerca di tirare indietro la pancia per nascondere l’erezione, ma non è facile: è sempre stato piuttosto dotato (troppo, si lamentava sua moglie) ed il palo che tende quei pantaloni estivi è troppo grosso per non essere chiaramente visibile.

Fausto evita la sala insegnanti, dove sicuramente c’è ancora qualcuno, e si rifugia nel gabinetto degli uomini, dove rimane un buon momento, aspettando che la febbre del suo corpo si calmi.

I minuti passano, ma non c’è niente da fare. È sempre stato così: tanto rapido ad accendersi, quanto lento a spegnersi.

Quando l’eccitazione sale, c’è un solo modo per farla calare. E allora tanto vale non perdere altro tempo.

Fausto apre la cinghia, abbassa la cerniera e lascia che i pantaloni calino da soli. Poi, con un gesto secco, si abbassa le mutande, facendole scendere oltre le grosse natiche. Guarda il cazzo che emerge dalla camicia, la cappella violacea gonfia di sangue. Fausto si sbottona la camicia e rimane un attimo così, la camicia tutta aperta, il cazzo massiccio teso verso l’alto, pantaloni e mutande calati. Se lo vedessero i colleghi o gli allievi!

Ma non gliene fotte un cazzo di colleghi e studenti, ora. La porta è chiusa a chiave ed il desiderio preme, impaziente, feroce, sembra una mano che gli strizza i coglioni.

Ora è la sua mano, grande e forte, che scende verso l’animale che gli batte contro il ventre, teso allo spasimo, lo afferra con decisione, il pollice davanti e le altre quattro dita dietro, chiuse intorno a quel palo di carne ardente.

L’immagine di Enzo è davanti ai suoi occhi, la lingua di Enzo che passa sulle labbra, gli occhi di Enzo che lo fissano, il corpo di Enzo appoggiato al banco,

Fausto immagina il ragazzo che si accascia sul banco, lui gli sfila i pantaloni con un gesto rapido ed ora ha di fronte a sé il bel culo del ragazzo.

Vede il proprio cazzo premere contro l’apertura per entrare, lo vede forzare l’ingresso ed affondare nella carne come una lama di coltello nel burro.

- Prenditelo tutto, troia -, sibila tra i denti, mentre la sua mano chiusa intorno alla belva affamata scorre verso l’alto e verso il basso, incendiandogli i sensi.

Sente i gemiti di Enzo, che mugola di piacere, di dolore, non lo sa, non gliene fotte un cazzo, sente solo il calore di quella carne in cui la sua spada affonda. E poi viene – ed è una fitta tanto acuta da mozzargli il fiato -, mentre il suo seme si scaglia in avanti, incontra il palmo della sinistra che Andreis ha messo in posizione, per evitare di inondare il gabinetto, e si spande sulla mano, ricade sul cazzo ancora teso allo spasimo.

Andreis assapora a fondo le ultime gocce di piacere, poi rimane un momento fermo, gli occhi chiusi, la destra ancora stretta intorno all’animale caldo, la sinistra contro la cappella, l’immagine di Enzo, di quel culo che non ha mai visto, negli occhi. Infine si riscuote, prende la carta igienica, si pulisce le mani, controlla che non ci siano schizzi in giro. Ce ne sono, diversi. Andreis li ripulisce, poi controlla i vestiti. Tutto a posto, per fortuna.

Dà ancora un’occhiata, si pulisce bene la cappella con la carta igienica, si riveste, tira l’acqua ed esce. Si lava accuratamente le mani. Non c’è più nessuno in sala insegnanti. Meglio così.

Fausto Andreis si dirige verso casa. Mentre entra si chiede se Enzo verrà nel pomeriggio. Il solo pensiero ha di nuovo un effetto dirompente, ma per fortuna non scende nessuno per le scale.

Deve togliersi quel ragazzo dalla testa. O metterglielo in culo. Una delle due.

Andreis sorride. Se può scegliere, preferisce la seconda.

 

*

 

Via Peyron, 18, una bella casa liberty. Si tratta bene il prof.

La mia testa fa commenti idioti, come se non sapesse che cosa sta succedendo al mio corpo, come se lei vivesse in un altro pianeta. La mia testa osserva la via, una vecchia con il cane che passa, un bidone dell’immondizia più in là. La mia testa sta da un’altra parte, beata lei.

Perché il mio corpo sta qui, da almeno dieci minuti, davanti a questo portone dove le mie gambe mi hanno portato senza che la mia testa volesse saperne niente. E il mio cuore sta correndo tanto veloce che da un momento all’altro se ne uscirà fuori, lasciandomi qui. E il mio uccello è una spranga di ferro.

Non posso presentarmi così dal prof. E in che modo dovrei presentarmi? Che cosa sono venuto a fare, se non…

Se la mia testa fosse qui con me, le chiederei di ragionare un attimo, di studiare una linea d’azione, un piano d’intervento, preferibilmente una ritirata strategica. Ma la mia testa continua a farsi i cazzi suoi, ora sta osservando gli eleganti motivi decorativi del portone e, approfittando della disattenzione del cervello, la mia mano ha premuto il campanello con il nome Andreis.

C’è un attimo di lucidità, un attimo solo, e il desiderio di fuga ha immediatamente la meglio. Mi volto, sto già per scomparire, ma il ronzio e lo scatto del portone che si apre mi inchiodano. Non ha risposto, non ha chiesto chi è. Ha semplicemente aperto. Sa benissimo chi è.

So come si sente il condannato a morte quando gli dicono che la sua domanda di grazia è stata respinta. È esattamente quello che provo io e l’androne, immerso in una fresca penombra, è il corridoio del braccio della morte. Ma vallo a dire al mio uccello, che ormai è al secondo piano senza che io abbia ancora messo piede sul primo gradino.

Salgo le scale. È il secondo piano, ma vorrei che fosse il centesimo. Ogni passo mi pesa, eppure le mie gambe salgono i gradini rapide, quasi di corsa. Invano cerco di rallentare. Ho paura.

La porta è aperta. Non c’è nessuno sulla soglia, ma quello è sicuramente il suo appartamento.

Il prof. appare. Non sorride, non saluta, non dice nulla. Fa appena un passo indietro per lasciarmi entrare, ma non si toglie. Sono entrato, ma non posso procedere, perché Andreis è davanti a me, blocca il passaggio. La sua mano chiude la porta alle mie spalle. Il suo corpo mi spinge contro l’uscio, preme su di me e le sua mani mi prendono la testa, la sua bocca è sulla mia, la sua lingua si infila tra le mie labbra, la mia bocca si apre da sola, mentre la testa incomincia a vorticare e mi dico che, se non avessi la porta dietro ed Andreis davanti, finirei di sicuro per terra.

La pressione del corpo di Andreis su di me mi toglie il fiato o forse è la sua lingua che esplora la mia bocca a togliermi il respiro. Sento una scarica elettrica che mi percorre tutto, dalla bocca lungo la colonna vertebrale, fino ai piedi e poi risale davanti. Quando la scarica raggiunge il mio uccello, la tensione, ormai insostenibile, esplode, ed io vengo in un parossismo di piacere, che mi farebbe urlare se potessi farlo. Le mie mani si sono attaccate al petto di Andreis e stringono, mentre scarica dopo scarica, il piacere sale ed io mi affloscio completamente.

Quando Andreis si stacca da me e fa un passo indietro, forse stupito della mia reazione, vede immediatamente la macchia fresca sui pantaloni e scoppia a ridere.

- Vai di fretta, tu, eh?

Mi sento morire dalla vergogna e allora faccio un passo avanti, lo stringo tra le braccia e lo bacio, lo bacio come lui ha fatto prima con me, spingendogli la lingua tra i denti, oltre i denti, fino ad incontrare la sua.

 

*

 

Questa mossa Fausto Andreis non se l’aspettava. Ma è un’ottima mossa. Accoglie calorosamente la gradita ospite, la lascia muoversi come se fosse a casa sua, poi stacca la sua bocca da quella di Enzo, si abbassa un po’, gli passa le braccia sotto il culo e lo solleva, senza nessuno sforzo.

Trionfante porta il suo prigioniero lungo tutto il corridoio fino alla propria camera e lo lancia sul letto. Enzo ora ride e poi dice:

- Anche lei non perde tempo, professore! Ugh!

La frase finisce con un gemito, perché Fausto Andreis si butta su Enzo e Fausto Andreis non è un peso piuma, lo sa benissimo. Ora i loro due corpi aderiscono completamente e le loro bocche riprendono l’attività interrotta.

È bello baciare un ragazzo, c’è nella bocca di un uomo, nelle labbra, nella leggera peluria sopra il labbro superiore, una ruvidezza che la rende molto diversa dalla bocca di una donna.

Fausto si stacca dal corpo steso sotto di lui, si mette in ginocchio, le gambe a lato di quel corpo che ora vuole vedere. Le sue mani sfilano rapide la maglietta ed Enzo agevola il movimento alzando le braccia.

Fausto osserva il petto di Enzo. Una carne morbida, qualche pelo appena intorno ai capezzoli. Sono belli quei capezzoli scuri, quelle curve appena segnate, quel gioco di muscoli che affiorano sotto la pelle. C’è la delicatezza dell’adolescenza e la forza della virilità, un miscuglio appetitoso.

Fausto si siede sul ventre di Enzo e le sue mani incominciano ad accarezzare quel corpo che ora è prigioniero del suo. Scivolano sul torace, accarezzano con una certa brutalità i capezzoli, li stuzzicano. Sì, è bello poter toccare quella carne, anche in modo brusco, senza cautele.

Enzo è bloccato dal peso di Fausto, ma è un prigioniero decisamente orientato verso il collaborazionismo spinto. Perché non solo non oppone resistenza, ma dopo un po’ le mani del ragazzo si sollevano e, incerte, raggiungono le braccia di Fausto, le percorrono, le accarezzano lievi.

Fausto ride, un riso di gioia, e le sue mani slacciano la cintura dei pantaloni di Enzo. Poi, con un movimento brusco, Fausto scende a terra, sfila le scarpe del ragazzo, senza slacciarle e tira con violenza i pantaloni. Rimane solo l’ultima difesa, quelle mutande bagnate che non nascondono, ma quasi mettono in evidenza, il sesso ancora un po’ turgido.

Fausto accarezza le gambe, gambe agili, ma forti, risale fino ai fianchi ed è quasi per caso che le sue dita si impigliano nell’elastico delle mutande, è con dolcezza che le sfilano, lasciando emergere il desiderio di Enzo.

È la prima volta che il professor Fausto Andreis spoglia un uomo ed è la prima volta che la sua mano avanza, prima leggermente incerta, poi decisa, verso un cazzo, la prima volta che ne accarezza uno, che scorre un dito sulla cappella, facendo sussultare Enzo, la prima volta che la mano ripercorre in senso inverso la strada fatta, che raggiunge la pelle umida e coperta di una leggera peluria dello scroto, che afferra la sacca, forse un po’ troppo bruscamente, a giudicare dal sussulto di Enzo.

 

*

 

Voglio vederlo nudo, cazzo, voglio vederlo nudo! Dovessi morire qui, ora, subito, voglio vederlo nudo. Io sono nudo, non ho più nulla addosso – e che me ne farei di qualche cosa, adesso? E lui è vestito che potrebbe tranquillamente andare ad aprire la porta e dire: - Stavo leggendo un libro di storia.

Sì, un libro di storia sulle scopate attraverso i secoli, perché ce l’ha duro che ancora un po’ gli buca i pantaloni. E deve avercelo grosso come non ne ho mai visto uno. Voglio vederlo nudo, non ce la faccio più, ma come faccio a dirlo al mio professore di storia e filosofia?

Inutile che glielo dica. Meglio passare all’azione.

Mi metto a sedere, mentre lui si tiene le mie palle in quella zampa da orso. Lui continua a sorridere ed io avanzo le dita fino al primo bottone della camicia. Il suo sorriso si allarga.

Non è facile sbottonare questa camicia, le mani mi tremano un po’ e la sua faccia è vicinissima alla mia. Troppo vicina. Le nostre labbra si sfiorano, poi si appiccicano e siamo di nuovo distesi lui che mi avvolge, mi schiaccia, Dio, se pesa, Dio, se è bello sentire questo peso, la sua bocca, la sua lingua, Dio, che bello.

Si rimette a sedere su di me e mi guarda. A giudicare da come mi guarda,

Comunque siamo più o meno al punto di prima, io nudo come un verme e lui, piccolo passo avanti, con due bottoni sbottonati, da cui emerge appena una bella quantità di pelo. Questa volta le mie mani (lo giuro, senza nessun ordine da parte del mio cervello) vanno per le spicce e afferrano la cintura dei suoi pantaloni, la slacciano, poi esitano un momento e, con una certa fatica, cercano di sganciare il bottone della patta, ma non è facile, sia per la pressione della pancia, sia per un’altra, ben più forte, pressione. Le mie dita sfiorano, attraverso la stoffa, quel bel pane appena sfornato, ancora caldo caldo e la mia mente ha smesso di ragionare.

Il professore mi dà una mano, slacciandosi quel benedetto bottone e abbassando la cerniera. I pantaloni scivolano verso il basso, ma la camicia si allarga, nascondendo quello che vorrei vedere.

Impaziente, esasperato, riprendo a sbottonare la camicia, finché essa si apre completamente ed io rimango senza fiato.

Ha un torace da lottatore, con diversi chili di troppo, forse, ma imponente. Ha una quantità di peli che farebbe morire di invidia la testa di Berlusconi e soprattutto, dalle mutande emerge, massiccia ed inquietante, una cappella violacea.

Ho la bocca secca.

 

*

 

Chissà che gusto ha? La domanda Fausto se la sta ponendo da un pezzo. Se un’ora fa gli avessero detto che si sarebbe chiesto che gusto ha il cazzo di un uomo, Andreis si sarebbe messo a ridere. Non si era mai posto una domanda del genere, prima di vedere nudo Enzo, ma quella piccola troia in calore che ora stringe tra le gambe gli fa scoprire nuovi appetiti.

Voleva metterglielo in culo, sì, voleva metterglielo in culo, Ma c’è qualche problema.

Il primo problema è che la piccola troia è in realtà un maialino, inequivocabilmente maschio, e che è esattamente questo che sta incendiandogli i sensi. Il corpo che ha davanti è diverso da quelli che ha sempre accarezzato, posseduto. È simile al suo, eppure completamente diverso.

Il secondo problema è che Fausto Andreis, curioso di natura, è uno che cerca di soddisfare le proprie curiosità. Uno che quando si pone una domanda, si mette a cercare la risposta.

Ed è così che Fausto Andreis si ritrova, senza essersi dato il tempo di pensare, a chinare la testa sul ventre glabro di Enzo, ad aprire la bocca e ad inghiottire un bocconcino di carne, non più (o non ancora) rigido e voluminoso, ma neppure a riposo.

Che gusto ha? No, la prima sensazione è stata un’altra. Che odore ha? Un odore di seme, perché il ragazzo è venuto, un odore di giovane maschio. E questo è bello. E poi sì, che gusto ha? Ha gusto di sborro, una volta Fausto ha assaggiato il proprio, da ragazzo, poi non gli è mai più capitato, ma è un buon gusto. Ma soprattutto è caldo, morbido, anche se sempre meno morbido, diciamo ormai piuttosto rigido, ma ancora delicato, è un piacere farci passare sopra la lingua, accarezzare, succhiare, mordere.

- Ahi!

Fausto Andreis ride, vorrebbe dire a Enzo che ora glielo mangerà, ma non c’è un’intimità sufficiente tra di loro. Come no, gli sta succhiando il cazzo e non c’è un’intimità sufficiente? No, non c’è, Fausto Andreis sa benissimo che l’intimità è una cosa, la scopata un’altra. Riprende a passare la lingua su quel bel boccone caldo, sempre più rigido. Bondi va di fretta, vero è che è appena venuto, ma magari viene di nuovo. E se gli viene in bocca? Che effetto farà, bere un po’ di sborro?

 

*

 

Non è possibile, non è possibile. Non può essere: il professore mi sta facendo un pompino. Non è possibile. Non è possibile, ma è vero e questa lingua che mi accarezza l’uccello, questa lingua, cazzo, che meraviglia, cazzo, che meraviglia. Vorrei gridare dal piacere, ma non oso.

Non oso che cosa? Ho paura di fare brutta figura? Sono qui nudo, lui me lo sta succhiando-leccando-avvolgendo ed io ho paura di fare brutta figura? Ahi! Mi ha morso di nuovo. E se… Ma che cazzo vado a pensare? Mica me lo mangia. Cazzo, se ci sa fare. Inghiotte, sputa fuori, lecca, succhia. Si direbbe che le stia provando tutte, come se volesse farmi passare in rassegna tutto il suo repertorio. E, cazzo!, è un signor repertorio. Ci sa fare con la lingua. È un esperto, il professor Andreis. Chi l’avrebbe mai detto? Professore di scoposofia.

Cazzo, che bello, ha una lingua morbida come velluto. E quella bocca, quella bocca. Non ce la faccio più, non ce la faccio più, è troppo forte, è troppo forte. Non reggo più. Vorrei che non finisse mai, ma ormai non manca più molto.

Sto per venire. Devo avvisarlo, non posso mica venirgli in bocca. Quasi grido:

- Professore, sto per

Troppo tardi, è una scarica elettrica che mi percorre e mi fa vibrare, una scossa che mi brucia la carne. La bocca mi rimane spalancata, il fiato mi manca.

E lui non toglie la bocca, inghiotte, sembra non voler perdere neppure una goccia.

Ancora la sua lingua, ma ora non è più velluto, è carta vetrata.

È troppo, non ce la faccio più.

Non ce la faccio più.

- Basta!

La sua bocca mi lascia. Il professore Andreis, professore di scoposofia e scoposofo di prim’ordine – chissà se ha mai scritto un trattato? Potrebbe farlo, secondo me – mi guarda, in ginocchio su di me, e sorride. Un sorriso un po’ beffardo, ma non cattivo.

Lentamente mi calmo, il cuore riprende un ritmo regolare. Sorrido anch’io.

Vorrei chiedergli se gli è piaciuta la coca-cola che ha appena bevuto, ma il professore deve conoscerle bene, queste bevande. Il professore è un vero esperto, che mi sta insegnando un casino di cose. Altro che Cartesio, questa sì che è filosofia pura! E il professore è davvero un mago, in materia.

 

*

 

L’esperto professor Fausto Andreis, che mai nella sua vita ha gustato un simile boccone di carne e mai ha bevuto a una fonte così gustosa, si sta dicendo che ha sprecato un sacco di anni, ma conta di rimediare.

Quella troietta del Bondi sembra tutto contento, è venuto due volte. Andreis guarda quel corpo steso, completamente abbandonato, e si dice che è bello guardare quel ventre liscio, quel torace ben disegnato.

Ma Andreis non intende continuare a guardare. Ormai la tensione è troppo violenta. Non è più in grado di reggere. Guarda il suo allievo, sorride, si solleva appena, afferra quel bel corpo e lo volta. Ha agito d’istinto, come in tutto questo pomeriggio assurdo. È giunta l’ora di attaccare il nemico alle spalle. Il nemico è disteso, non sembra intenzionato a opporre resistenza. È un bel nemico.

È bello guardarlo da dietro. Forse ancora più bello che da davanti. Quel bel culo stretto, non tondo come quello delle donne, quei fianchi ben modellati, sodi. Andreis li afferra e stringe con forza. È bello affondarci le mani, stringere la carne.

Bondi non reagisce, non si divincola. Bene, la sua condanna a morte è firmata e l’arma dell’esecuzione è perfettamente pronta. Ma prima, anche se la tensione è ormai intollerabile, prima Andreis vuole accarezzare un po’ quel culo.

È fantastico quel culo, non c’è niente di più bello di quel bel culo. E ora, quel bel culo sarà infilzato.

Andreis si rende conto di essere ancora mezzo vestito, ma è proprio solo mezzo. I mocassini (se li era messi per andare ad aprire la porta) sono volati via da tempo, i pantaloni sono abbassati e basta un attimo per farli scivolare oltre le ginocchia, insieme alle mutande, e poi in qualche modo (piedi aiutando) sbatterli via. La camicia, già aperta, segue il resto. Ad Andreis piace starsene lì, tutto biotto, seduto su quel bel culo. Ma il contatto con quella carne calda accende il suo corpo ed ormai Andreis sa che è ora di entrare. Si solleva un po’ e divarica le gambe di Bondi, che non oppone resistenza. Quella troietta deve averne presi un bel po’, di cazzi, in culo.

Per un attimo Bondi pensa all’AIDS e si dà del coglione: non ha neanche un preservativo in casa. Ma a quel culo così caldo non intende proprio rinunciare.

Lo accarezza, divarica le natiche, osserva l’apertura che tra poco allargherà con la sua arma spianata.

Dalla sua frequentazione di siti gay (e soprattutto dalla lettura di racconti gay, come quelli di Ferdinando Neri), Andreis sa benissimo che occorre inumidire l’ingresso posteriore.

Si porta due dita alla bocca, le infila dentro, le lecca ben bene, quasi leccasse qualche cos’altro, che adesso non vede più, perché Bondi è voltato (ma questo va bene, perché così mette in vista qualcosa di altrettanto bello) e poi le sfrega lungo il solco, arriva alla fessura e, senza stare a pensarci, le spinge dentro.

Il ragazzo ha un sussulto, si tende, ma ormai è troppo tardi. E poi dev’esserci abituato. Bondi è una troia, basta vedere come gode. Che faccia farà Bondi, quando lui quando glielo metterà in culo?

 

*

 

 

Perché mi ha voltato la faccia di lato? Vuole vedere che faccia fa uno a prenderselo in culo?

Perché è quello che sta per succedere. Ora. Lo sapevo benissimo che sarebbe successo. È inutile che mi dica che non lo sapevo. Lo sapevo già quando mi sono passato la lingua sui denti, questa mattina. Questa mattina? Era solo questa mattina?

Lo sapevo, ma ho paura. Meno male che lui è esperto, accidenti, se è esperto. Vero è che è un professore. Avrà letto il Kamasutra e… Ma il Kamasutra descrive anche le posizioni di due uomini? Ma che cazzo sto pensando?

Ecco, ha tolto le dita. Non era male, la sensazione di quelle dita. Mi ha fatto male, entrando, ma non è stato così doloroso. Però, se adesso ci mette quel bastone… Di certo non mi ha voltato per il piacere della prospettiva.

Lasciamolo fare, ci sa fare.

Lo sento che mi preme sul culo. Non è male, questa sensazione di calore, non è male, questa pressione leggera. Chiudo gli occhi. Mi concentro sul calore, sulla pressione.

Cazzo! Mi sta trapassando. Non è piacevole, no, per niente. 

- Piano!

Si ferma. Mi sto abituando a questa presenza. Non è doloroso. O forse sì, forse un po’, ma solo un po’. E non è male, davvero, non è male. È la prima volta nella mia vita che qualcuno me lo mette dentro.

Cazzo! Sta avanzando. Mi fa di nuovo male. Si ferma. Non c’è che dire: è esperto il professor Andreis. Avanza ancora.

Si ferma. Apro gli occhi. Con la coda dell’occhio vedo che mi sta guardando.

Si ritrae leggermente, poi avanza. Prima procede piano e la mia carne si abitua a questo girarrosto che mi infilza. Fa male, fa un po’ male, ma è bello sentire dentro questa massa calda che solletica e spinge. È bello, sì, è bello, cazzo, se è bello!

Spinge avanti e indietro, spinge con vigore, a tratti mi fa male, parecchio male, ma non dico nulla, non voglio che smetta, è bello sentirlo dentro, fa male, ma è bello.

Spinge sempre più forte. Con le mani stringo il cuscino, mi fa male, decisamente male, mi sembra che mi voglia infilzare fino allo stomaco.

Grugnisce, spinge ancora, più volte. Sta venendo.

Si affloscia su di me. Quella spranga di ferro acquista dimensioni più umane. Il dolore si attenua. Ora averlo dentro, più piccolo, è bello. È proprio bello.

Rimaniamo un buon momento così. È bello sentirlo su di me, il suo corpo che mi copre, il suo ansimare vicino al mio orecchio, il suo uccello dentro di me.

Poi lo toglie. Mi spiace. Mi spiace sentirlo uscire da me. Mi ero abituato a quell’ospite, brutale, ma benvenuto.

Mi volta e mi guarda. Gli sorrido. È stato bello.

 

*

 

Il professor Andreis guarda in faccia il suo allievo.

Il ragazzo ha un’aria proprio beata.

Certo che gli deve essere piaciuto. E nuovi pensieri frizzano nella testa di Fausto Andreis. Nuovi pensieri, nuove domande. Una domanda, soprattutto. Una.

Ma che effetto fa prenderselo in culo?

 

2010

                                                                     

 

 

 

 

 

 

 

 

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