Il regalo di compleanno

ovvero

Le disavventure di Ferdinando Neri (quello sbagliato)

da un’idea di Monica B.

 

Il regalo di compleanno 

 

a Monica

 

      - E lui mi dice: “Ma sei fuori di testa? A me piacciono le donne!” Ed io gli rispondo: “Non l’hai mai fatto con un uomo?”. E quello: “Figurati, io?!”. “Beh, non sai che cosa ti sei perso, amico. Ma non è troppo tardi per rimediare.” Lui rimane a bocca aperta, ma ormai era chiaro che l’idea gli sfagiolava…

      Erano davanti alla macchina del caffè, nei gabinetti maschili: da loro, Dio solo sapeva perché, il distributore automatico era nel bagno degli uomini. Ferdinando seguiva il discorso di Pietro, come sempre in bilico tra il divertimento che gli procuravano le peripezie del suo amico, perché ormai tale considerava Pietro, e la paura che qualcuno li sorprendesse immersi in quei discorsi. Nei primi tempi, quando Pietro aveva incominciato a raccontargli le sue avventure (e disavventure) erotiche, a Ferdinando sembrava di morire di imbarazzo.

      Le avventure di Pietro gli piacevano, eccome: da tempo Ferdinando aveva capito che gli interessavano gli uomini. Ma dopo aver preso atto di questo, Ferdinando aveva deciso che non era pronto per una vita sessuale-erotica-sentimentale o che altro. Sul sesso si era fatto un’idea chiarissima: il sesso era una porta chiusa che lui non aveva nessuna intenzione di aprire. Con questo anche l’argomento era chiuso, esattamente come la porta. E poi per il sesso c’era tempo, in fondo Ferdinando aveva appena ventisette anni.

Agli amici diceva sempre che ci avrebbe pensato poi, dopo la pensione, adesso aveva troppo lavoro. Ci sono molti vantaggi nel dedicarsi al sesso dopo i settanta (perché tanto in pensione prima dei settanta non ci sarebbe andato: ormai era chiaro che per quelli della sua generazione la pensione non era prevista prima): uno ha molto più tempo a disposizione e si sa che le cose fatte con calma vengono meglio; e se lo stimolo è un po’ diminuito, meglio, non si rischia di diventare schiavi del sesso; senza dimenticare l’uso del viagra, acquistabile anche via internet.

      Intanto Pietro continuava con la sua narrazione:

      - “E insomma”, gli dico, “venerdì è il mio compleanno, potremmo festeggiare in anticipo.”

      Il cervello di Ferdinando registrò la notizia. Il giorno dopo Pietro compiva gli anni. Quanti? Più o meno quelli che aveva lui, di certo neppure trenta, ma Pietro sembrava avere cent’anni in più di esperienza.  

      Quando ritornarono in ufficio, Ferdinando si mise a riflettere su un’idea che gli era venuta in mente ascoltando il suo amico. Pietro era davvero simpatico e Ferdinando aveva pensato di fargli un regalo. Ma che cosa? Un libro? Sì, Pietro leggeva molto, ma Ferdinando conosceva poco i suoi gusti. Un CD? Peggio che andar di notte. Una cravatta? Tanto valeva confessare che non sapeva che cosa regalargli.

      Ma come si fa a fare un regalo a uno che non si conosce per niente? Che cosa si può regalare ad uno di cui si sa solo che è gay, che è simpatico, che scopa un sacco, che è espansivo, che ha un bel sorriso ed una bella barba… ma che cazzo stava pensando?

      - Neri, è pronto il fascicolo dell’ArtCob?

      Poco ci mancò che alla domanda del suo capo Ferdinando arrossisse come un dodicenne sorpreso dalla mamma a girare sui siti porno in internet. Fortunatamente il capo non poteva leggergli in testa.

      Il fascicolo era pronto: il ragioniere Ferdinando Neri era un impiegato attento e preciso, sul cui lavoro si poteva sempre contare. I superiori erano molto soddisfatti di lui.

      Consegnato il fascicolo, Ferdinando riprese a lavorare. Ma ogni tanto si fermava a pensare.

      Se voleva comprare un regalo a Pietro, non aveva molto tempo. Doveva comprarlo in giornata, cioè nelle due ore scarse che gli restavano dopo l’uscita dall’ufficio. Diciamo pure un’ora, considerando il caos totale del traffico milanese dopo le cinque. Perciò doveva partire sapendo già che cosa comprare, ma non conosceva abbastanza Pietro. Sapeva solo che era gay.

      L’idea gli attraversò il cervello per un attimo e fu rigorosamente respinta. No, quello no. Ferdinando passò di nuovo in rivista le quattro non-idee che gli erano venute in mente (tre, per essere precisi: libro-CD-cravatta) e quando ebbe finito la rapida lista, la ripercorse ancora, sperando di aver dimenticato qualche cosa. Al fondo della lista rispuntò l’idea. Per uno che è gay, si può cercare qualche cosa in un negozio per gay… Pietro parlava ogni tanto della Libreria di Babilonia e Ferdinando sapeva che era a quattro passi dalla stazione Cederna, no, Cadorna, faceva sempre confusione, lui non era di Milano, ci viveva e lavorava da appena un anno.

      L’idea di entrare in una libreria gay lo fece rabbrividire. Chiaramente impensabile. Doveva trovare qualche altra idea. Libro, no, CD, no, cravatta, no. Cravatta, no, libro, no, CD, no. Comunque si dispongano gli addendi, il risultato dell’addizione non cambia e se è zero, rimane zero.

      Purtroppo la matematica non è un’opinione, di questo il ragioniere Ferdinando Neri era perfettamente consapevole.

      In fondo, che cosa avrebbe trovato alla Libreria di Babilonia? Qualche libro gay. Per un attimo Ferdinando si vide intento a sfogliare un libro fotografico con immagini di uomini nudi e gli sembrò che gli mancasse il respiro.

      Dunque, libro, no, CD, no, cravatta, no, regalo no. Pietro compiva gli anni e lui non gli faceva neanche un regalo? Che cosa c’era di strano? Loro due non si erano mai scambiati regali. Sì, ma Pietro era simpatico e lui aveva scoperto che domani era il suo compleanno. Sì, ma… libro, no, cravatta, no, CD, no.

      In fondo se uno entra in una libreria gay non appare mica la sua foto sul giornale, no?

 

      Alla stazione Cadorna c’era la solita confusione delle cinque e mezzo. In base alla piantina (che Ferdinando aveva reperito su Internet, dopo essersi assicurato che tutti i suoi colleghi fossero ben lontani), la libreria doveva trovarsi in una via…, sulla destra, sì… doveva essere quella. Ferdinando aveva un ottimo senso dell’orientamento e infatti la strada era quella giusta.

      Ferdinando percorse la via, cercando di sembrare uno che va a spasso. Camminava piano e non gli venne in mente che questo era certamente il modo migliore per farsi notare, tra i passanti sempre di corsa di Milano. Facendo finta di niente, guardava i numeri. Doveva essere tra poco, sì, quel negozio, certamente.

      Diede un’occhiata apparentemente distratta al contenuto delle vetrine. Si era vagamente immaginato di vedere esposti nudi maschili, erezioni prepotenti, amplessi multipli, pratiche innominabili, ma non c’era nulla di così scandaloso. Ferdinando si sentì sollevato. Tirò diritto e stava per oltrepassare l’ultima vetrina (non se la sentiva di entrare subito, così, ci vuole un poco di preparazione per entrare in una libreria gay, insomma) quando realizzò che fare dietrofront dopo cento metri e ripassare davanti “casualmente” non sarebbe stato molto naturale.

      Allora si fermò davanti all’ultima vetrina, come se avesse visto un libro particolarmente affascinante, e, facendosi forza, si voltò ed entrò. Era talmente agitato che poco mancò che ruzzolasse per gli scalini, ma non c’era nessuno con il telefonino in azione pronto a riprenderlo e mandarlo a YouTube. Ferdinando respirò sollevato e passò immediatamente nella seconda stanza, meno vicina all’ingresso e quindi meno esposta.

      Diede un’occhiata, molto impersonale, a un manifesto, poi si concentrò sui libri. Pensando al compito da risolvere, incominciò a sentirsi più tranquillo.

      Guardò qua e là. C’era qualche titolo un po’ troppo osé per i suoi gusti, che evidentemente non andava bene. Un libro gay per Pietro andava bene, ma non un libro porno!

      Come scegliere? Non poteva mica mettersi a sfogliare i libri, come faceva quando andava in libreria! Ferdinando era in una libreria, ma trattandosi di una libreria gay, non sapeva bene come comportarsi. Sfogliare libri in una libreria è una cosa, in una libreria gay è un’altra. Che cosa avrebbero pensato di lui, se si fosse messo a sfogliare i libri esposti?

      Ferdinando aveva le idee un po’ confuse.

      Guardava i nomi degli autori, che non conosceva, e i titoli, anche quelli del tutto sconosciuti. Di libri ce n’erano tanti, come sceglierne uno adatto? Poteva chiedere al tizio alla cassa di indicargli qualche novità, ma non è che la cosa gli andasse tanto a genio: preferiva farsi notare il meno possibile. Non si sa mai, uno chiacchiera un po’ in una libreria gay e magari il giorno dopo si sente chiamare dall’altra parte della strada: “Ehi, tu, non ci siamo visti ieri alla libreria gay?”

      Ferdinando aveva le idee molto confuse.

      Non sapeva come destreggiarsi e continuava a scorrere titoli e nomi di autore in modo meccanico, quando sentì che il cuore gli si fermava. Aveva letto…, che cosa aveva letto?

      Sì, quel libro con la copertina rossa. “Ferdinando Neri”. Sì, c’era scritto Ferdinando Neri.

      Di Neri ce n’erano tanti, anche dove lavorava ne aveva conosciuto uno. Ma non si chiamava Ferdinando. Quello aveva proprio il suo nome e il suo cognome? E che razza di libro era quello?

      Prese il volume in mano, dimenticando tutti i suoi buoni propositi. Aprì una pagina ed incominciò a leggere a caso:

      Sentiva la barba fitta e dura di Daniel che gli vellicava il membro, poi il calore che gli avvolse la cappella gli rivelò che quella bocca era giunta alla meta. Per un attimo la bocca inghiottì per intero l’uccello, poi lo liberò, ma la lingua cominciò a percorrerlo, dalla base alla punta. A tratti la bocca si apriva nuovamente per accogliere il suo felice ospite, poi lasciava che fosse la lingua a percorrerlo, centimetro per centimetro. Poi la bocca scendeva ed erano le palle a trovare ospitalità in quella sacca umida o a ricevere le carezze della lingua.

      Ferdinando si sentì mancare il respiro, chiuse il libro di scatto e alzò la testa. In quel momento vide, a due spanne, la faccia di Pietro, che ghignava.

      - Ma guarda un po’ chi trovo qui. Ed io che ti ritenevo una persona per bene. E che cosa leggi?

      Prima che Ferdinando avesse fatto in tempo a capire – o forse sarebbe più esatto dire: prima che la mente di Ferdinando si rassegnasse a capire – Pietro gli aveva già preso il libro di mano e stava guardando il titolo.

      - “I quattro re” di … Ferdinando Neri! Questa poi! Scrivi romanzi gay erotici, per di più. Chi l’avrebbe mai detto, con quell’aria da santerellino…

      Se Ferdinando avesse ancora posseduto il dono della parola, avrebbe cercato di spiegare. Se almeno avesse avuto il bene dell’intelletto, avrebbe cercato di ragionare, di trovare gli argomenti. Ma Ferdinando era la dimostrazione vivente di come un Homo Sapiens Sapiens del XXI secolo poteva benissimo regredire allo stadio di Australopitecus Afarensis in circa dieci secondi. Peccato che nelle vicinanze non ci fosse nessun albero fronzuto su cui arrampicarsi o almeno un cespuglio dietro cui nascondersi. C’era solo un homo ghignans, anzi, ormai ridens.

      Pietro infatti era scoppiato a ridere. La risata di Pietro era contagiosa e faceva sempre sorridere Ferdinando, ma in quel momento il suo senso dell’umorismo era finito nello stesso posto del dono della parola e del bene dell’intelletto.

      - Non è come tu pensi.

      La parola era ritornata, l’intelletto no, come dimostrava chiaramente la frase.

      - Pietro, io…

      Pietro rideva e Ferdinando annaspava. La verità era la soluzione migliore, anche perché Ferdinando non amava raccontare storie (né scriverle, peraltro: non aveva mai scritto nulla dopo i temi scolastici, a parte ciò che richiedeva il suo lavoro e qualche sms).

      - … io cercavo un regalo per il tuo compleanno!

      - Che pensiero gentile! E mentre lo cercavi, hai fatto che dare un’occhiata al tuo romanzo, tanto per vedere se saltava fuori qualche errore sfuggito al correttore… Sei un bel maialino, però! E di che cosa tratta il tuo romanzo?

      - Non è il mio romanzo! Non l’ho scritto io!

      La voce di Ferdinando era diventata quasi stridula ed il tono era chiaramente troppo alto. Due clienti si voltarono a guardarli e Ferdinando avrebbe voluto scomparire.

      Pietro aggrottò la fronte:

      - Un romanzo di Ferdinando Neri in mano a Ferdinando Neri non è di Ferdinando Neri?

      Sulla logica aristotelica Ferdinando non era ferrato come in matematica e provò l’impulso di scappare via, ma Pietro, esattamente davanti a lui, sbarrava la strada. Ferdinando era di nuovo a corto di parole e Pietro riprese:

      - Avevi pensato di regalarmi una copia del tuo libro? Che bella idea! Così mi fai anche la dedica! Bellissimo! Un bel romanzo sporcaccione con dedica dell’autore, questo sì che è un regalo di superlusso.

      Ferdinando avrebbe dovuto essere felice di aver trovato un regalo così gradito, ma, chissà perché, Ferdinando non era per niente soddisfatto, anzi: era particolarmente infelice. Si sa, c’è gente che non è mai contenta, ottiene quello che vuole e poi è lì che si lamenta che non gli va bene per questo e per quello.

      Ferdinando aprì la bocca, poi la chiuse, incapace di dare un contributo alla conversazione, che scivolava pericolosamente verso il monologo.

      - Su, dobbiamo festeggiare, visto che mi fai il regalo. Domani sera gli amici mi hanno organizzato una festa a sorpresa, di cui io non dovrei sapere nulla, ma si sono traditi. Questa sera però sono libero ed adesso io e te ce ne andiamo a festeggiare e mi racconti tutto di come hai fatto a scrivere il libro. Il serioso Ferdinando Neri che scrive romanzi erotici gay, chi l’avrebbe mai detto?

      Davvero, chi l’avrebbe mai detto? Non certo il povero Ferdinando. Lui sarebbe stato l’ultimo al mondo a dirlo o anche solo a pensarlo.

      - Ma io…

      - Non mi dire che sei occupato questa sera. Domani è il mio compleanno, non accetto un rifiuto.

      Le obiezioni di Ferdinando non riguardavano l’invito, ma l’attribuzione del libro. Ferdinando si disse che nel corso della serata avrebbe potuto spiegare a Pietro che quella faccenda del romanzo era un colossale malinteso. Sì, Ferdinando avrebbe cercato di cambiare argomento e poi, dopo aver chiacchierato un po’ d’altro, sarebbe tornato alla carica per spiegare a Pietro che lui non era certo il tipo che scriveva testi erotici. Chiarito lo spiacevole equivoco, la serata sarebbe proseguita piacevolmente: Pietro era proprio simpatico e Ferdinando era contento di passare qualche ora con lui.

      In realtà, mentre si diceva tutto questo, c’era da qualche parte del cervello di Ferdinando un pensiero disturbante che cercava di prendere forma, ma ogni volta che si affacciava, Ferdinando faceva finta di ignorarlo. Dopo un po’ il pensiero faceva capolino di nuovo, sempre un po’ indistinto. Era qualche cosa che aveva a che fare con le serate di Pietro e il passare la serata con Pietro. Ferdinando si rifiutava di prendere in considerazione quel pensiero, tanto lui era un collega, mica uno di quegli uomini raccattati qua e là, magari, che so, in una libreria gay Si raccattavano uomini nelle librerie gay? Pietro non gli aveva mai parlato di

      Ferdinando aveva le idee molto confuse.

      Ferdinando si disse che doveva smetterla di farsi venire strani pensieri. Sarebbe stata una serata piacevole, in cui avrebbero potuto chiacchierare senza il timore che qualche collega li sentisse.

         Tirò fuori un sorriso (poco convincente, ma in quel momento non è che si potesse pretendere molto):

         - Volentieri. Dove andiamo?

     Ferdinando pensava ad una pizzeria, senza considerare che alle sei di sera è un po’ presto per andare a cenare.

      - Andiamo da me, preparo da mangiare io. Intanto chiacchieriamo un po’ e tu mi racconti della tua attività di scrittore.

      Il sorriso di Ferdinando divenne ancora più tirato di prima, ma avrebbe presto chiarito a Pietro in quale spiacevole equivoco era incorso. Pietro si sarebbe scusato e la serata sarebbe proseguita su un altro tono, più consono a… Ferdinando non sapeva bene a che cosa, ma non aveva importanza.  

      - Su, adesso paga il libro, che per preparare una buona cena c’è bisogno di un po’ di tempo.

      Ferdinando rimase nuovamente paralizzato, con in mano il libro che Pietro gli aveva ridato. Pagare il libro? Presentarsi alla cassa con un libro di quel genere in mano, come se lui fosse stato il tipo che acquista libri… così!

      Pietro stava già avvicinandosi alla cassa e Ferdinando non sapeva bene che fare. Posare il libro ed uscire senza niente? Sarebbe stato poco carino nei confronti di Pietro, che era stato così gentile da invitarlo: poteva presentarsi a cena a casa sua senza neanche un regalo? Impensabile. Che cos’altro poteva comprargli? Libro (scartando certa roba)-CD-cravatta?

      Ferdinando respirò a fondo, come se fosse stato sul punto di tuffarsi per stabilire il nuovo record di immersione in profondità in apnea, poi si avviò risolutamente alla cassa. Fortunatamente il bancone era a pochi metri, perché quando Ferdinando arrivò davanti al cassiere, della sua eroica determinazione rimanevano poche gocce, che già stavano scivolando via.

      Il tipo aveva già battuto il prezzo, si vede che se lo ricordava, e glielo stava dicendo. Ferdinando lo guardò come se gli avesse parlato in giapponese, con la pronuncia della prefettura di Fukuoka, poi un neurone decise di fare il suo dovere e Ferdinando prese il portafogli, pagò cercando di non guardare l’uomo alla cassa (con la vaga idea che se lui non lo avesse fissato, l’altro non si sarebbe ricordato di lui: il neurone funzionante era uno solo, non si può pretendere molto!) e uscì.

         Pietro disse:

         - Ciao, Gianni!

     Ferdinando si sentì gelare. Pietro conosceva il tipo alla cassa. Allora anche il tipo alla cassa conosceva Pietro (sulla logica aristotelica Ferdinando stava facendo progressi). Il tipo sapeva che Pietro era gay. Lui era con Pietro. Quindi magari il tipo alla cassa pensava che anche lui era gay.

     A Ferdinando ci volle un buon momento per riprendersi e raggiungere Pietro, che lo aveva preceduto e lo aspettava davanti ad una vetrina.

     Ferdinando pensò che non si era neanche fatto dare un sacchetto e di colpo realizzò che era lì, sul marciapiede di una pubblica strada di Milano, con in mano un libro ad alto contenuto erotico.

     Se fosse stato in grado di arrossire, sarebbe arrossito, ma ormai arrossiva di rado. Porse il libro a Pietro, come si cerca di passare la classica patata bollente, ma Pietro scosse la testa:

         - Eh no! Me lo dai dopo cena.

      Ferdinando annuì, meccanicamente, poi prese coscienza della risposta e fece sparire il libro in tasca (fortunatamente si trattava di un libro di piccole dimensioni) con la stessa rapidità con cui un killer professionista avrebbe fatto sparire la pistola all’arrivo di una pattuglia di polizia.

      Con la metropolitana ci volevano solo venti minuti per arrivare a casa di Pietro, ma furono venti minuti particolarmente lunghi. Ferdinando si sentì a disagio per tutto il tragitto, tormentato da paure forse leggermente irrazionali: un ladro poteva prendergli dalla tasca il libro, pensando che fosse di valore, guardarlo e gridare a tutti i passeggeri: “Ehi, questo è frocio!”; oppure un agente poteva perquisirlo e trovare il libro; oppure nella ressa l’ombrello di una vecchia signora – non pioveva, ma si sa, le vecchie signore hanno sempre l’ombrello dietro - poteva agganciarsi alla sua tasca, facendone cadere il libro e magari una bambina innocente poteva raccoglierlo e sfogliarlo prima che lui riuscisse… Insomma, Ferdinando fu ben contento di arrivare.

      L’appartamento di Pietro non era molto grande: sull’ingresso si affacciavano quattro porte, dipinte ognuna di un colore diverso. Bagno, cucina, salotto, camera da letto, si disse Ferdinando, ed all’ultima parola dell’elenco avvertì di nuovo un po’ di disagio. Quello era il teatro delle avventure di Pietro. Almeno, la scena dell’ultimo atto, perché gli atti precedenti si svolgevano in molti posti diversi. Saune, giardini pubblici, ma anche cinema, palestre, magari, che so, librerie…

      Ferdinando si tolse rapidamente il libro di tasca e lo posò sul cassettone che faceva bella mostra di sé nell’ingresso. Si sentì immediatamente più leggero e riuscì perfino a formulare un commento dotato di senso:

      - Bello, questo cassettone. L’hai comprato o viene dalla casa dei tuoi?

      - È un mobile della casa dei miei nonni, a Monza. Avrà cent’anni o giù di lì.

      - La tua famiglia è di Monza? Non me l’avevi detto.

      Ferdinando era molto contento di aver trovato un terreno neutro per la conversazione e proseguì volentieri lungo quella strada. Del libro avrebbero parlato dopo, c’era tempo. Sarebbe stata una serata piacevole e Ferdinando non voleva rovinarla. Più tardi sarebbe ritornato sull’argomento, avrebbe spiegato in poche parole a Pietro la situazione e l’equivoco si sarebbe chiarito.

      In realtà la conversazione prese subito una strada imprevista: Pietro incominciò a parlare delle sue esperienze a Monza.

      - Era un casino. Sempre a fare attenzione che non ti vedessero. Diresti che in provincia la gente non ha altro da fare che occuparsi dei cazzi altrui. E soprattutto di dove lo metti, il cazzo!

      Pietro rise. Aveva una risata allegra, che a Ferdinando piaceva moltissimo. Ma adesso si sentiva un po’ a disagio. Non che non fosse abituato a sentire Pietro raccontare le sue esperienze, era un tema che ritornava periodicamente, ma parlarne nei bagni maschili della ditta era un faccenda ben diversa dall’affrontare l’argomento in casa di Pietro. Certo, nessun altro poteva sentire, e questo era un bel sollievo, ma c’era, come dire, una certa …, come dire, intimità, in quella situazione, che rendeva quei discorsi un po’ troppo carichi. Di che cosa, Ferdinando preferiva non definirlo.

         Non era solo quello, come Ferdinando realizzò quando Pietro disse:

         - Non so tu, ma io non l’ho raccontato ai miei. Mia madre…

      Pietro continuava a parlare, ma l’attenzione di Ferdinando si era fermata su quel “Non so tu”, che gli sembrava alquanto inquietante. Non so tu, che cosa? Che cosa avrebbe dovuto raccontare ai suoi? Che cosa era chiarissimo, anche nello stato di confusione mentale di Ferdinando. Ma Pietro stava dando per scontato qualche cosa che lui, Ferdinando, non aveva mai detto. E certo, suggerì un neurone più rapido degli altri, se pensa che tu scriva libri erotici gay, allora pensa anche che tu sia gay.

      Forse Ferdinando avrebbe dovuto pensare che se Pietro gli raccontava le sue avventure a caccia di uomini, era perché aveva già le idee chiare in proposito, ma non bisogna pretendere troppo dai neuroni che abitano in un’area poco visitata: sono più lenti e hanno bisogno di un certo tempo per riprendere a funzionare quando arriva il momento.

      La conversazione, sempre fastidiosamente legata agli orientamenti sessuali e al modo di esprimerli, arrancava un po’, perché Ferdinando contribuiva poco, anche se era evidente che Pietro cercava di lasciargli spazio. Ferdinando cercava qualche altro argomento da proporre, che so, l’arte dell’ikebana o le migrazioni dei lemming, ma non sapeva come introdurli. Insomma, Pietro diceva una frase del tipo:

      - Io l’ho capito a quindici anni, quando ho incominciato a fare pallacanestro e negli spogliatoi mi veniva sempre duro a guardare i compagni che facevano la doccia.

      Ferdinando temeva che non fosse appropriato rispondere:

      - Ho visto un documentario molto interessante sulla filologia romanza, non sapevo che fosse un tema così appassionante. Tu che esperienze hai avuto in proposito?

      E poi, Dio solo sa perché, pensava che Pietro potesse non essere interessato a nessuno di questi argomenti affascinanti (neanche Ferdinando, ma non gliene venivano in mente altri).

      Per cui Ferdinando annaspava, con fatica sempre maggiore, cercando di nasconderlo. Non ci riusciva molto bene, perché ad un certo punto Pietro gli disse:

      - Mi sembri un po’ a disagio, Ferdinando. C’è qualche cosa che non va?

      - No, figurati. Va tutto benissimo, ma… non è ora che tu ti metta ai fornelli? Ci vuole tempo a preparare una buona cenetta.

      Ferdinando era tutto contento: aveva trovato un argomento in grado di dare una nuova rotta alla conversazione. Pietro rise e la sua risata vitale trasmise una sensazione piacevolissima a Ferdinando.

      - Vedo che sei esigente. È una cenetta improvvisata.

      Ferdinando era tutto ringalluzzito dal successo ottenuto. Aveva lasciato il campo minato ed ora si muoveva più liberamente.

      - Proprio per questo bisogna darsi da fare: devi verificare di avere tutto l’occorrente. Non vorrai mica rifilarmi una cena di terz’ordine.

      Pietro rise di nuovo, ma non si alzò dalla poltrona.

      - Schiavista! Mi vorresti far lavorare anche la sera del venerdì.

      - Sei stato tu a invitarmi a cena!

      - Pensavo che un piatto di spaghetti fosse sufficiente.

      In realtà Ferdinando non aveva nessuna intenzione di rimpinzarsi, ma lo divertiva l’idea di mettere un po’ in difficoltà Pietro.

      - No, voglio anche qualche cos’altro, dopo!

      Il ghigno di Pietro diede a Ferdinando l’impressione di aver messo il piede in fallo.

      - Certo, non ci limitiamo agli spaghetti.

      La risposta era quanto mai neutra, ma Ferdinando avvertì immediatamente una sensazione di disagio. Pietro proseguì:

      - E comunque in questi casi è meglio non essere troppo appesantiti, per cui una cenetta leggera va benissimo. Spaghetti aglio ed olio, che ne dici? L’aglio è afrodisiaco. O ti dà fastidio?

      C’erano diverse cose che a Ferdinando davano fastidio in quel momento, ma l’aglio era l’ultima delle sue preoccupazioni. Gli spaghetti poi gli piacevano molto.

      - No, no, l’aglio mi piace. Sei un bravo cuoco?

      Pietro rispose e la conversazione passò su terreni meno infidi. Ferdinando rimaneva sul chi va là, ma, a parte qualche frase che si sarebbe potuta intendere in diversi modi, tutto filò liscio. Arrivò così l’ora di cena e Ferdinando si sentiva un po’ più tranquillo, anche se non del tutto a proprio agio. Quando la tavola fu apparecchiata, Pietro osservò:

      - Metto anche le candele? Fanno atmosfera.

      Pietro sorrideva, mentre lo diceva, e Ferdinando non avrebbe saputo dire se era un sorriso ironico.

      - No, no, che dici? Non sono mica necessarie.

      Pietro annuì, ma Ferdinando ebbe l’impressione di cogliere un ghigno sulla sua faccia apparentemente seria:

      - Hai ragione, possiamo farne a meno. Niente romanticismi inutili. Andiamo al sodo.

      Sentendo la replica di Pietro, Ferdinando si chiese se aveva dato la risposta giusta, ma quella sera le cose che diceva suonavano spesso male: aveva l’impressione che le parole, nel momento in cui gli uscivano dalla bocca, assumessero una forma diversa da quella che lui aveva dato, che suscitassero strani echi.

      Gli spaghetti erano buonissimi e la razione abbondante.

      - Soddisfatto?     

      Ferdinando annuì.

      - Sì, avevi ragione. Un piatto di spaghetti va benissimo.

      Dopo gli spaghetti Pietro offrì un po’ di insalata e poi la frutta.

      - Spero che ti basti.

      Ferdinando annuì:

      - Sì, certo. L’importante tanto è stare insieme.

      Di nuovo la stessa impressione di aver detto qualche cosa che non esprimeva i suoi pensieri, no, in fondo il suo pensiero lo esprimeva, di aver detto qualche cosa che...

      Non completò il pensiero, perché Pietro lo interruppe.

      - Sì, sono d’accordo. L’importante è stare insieme.

      Perché in bocca a Pietro la sua frase assumeva un suono così diverso, piuttosto inquietante?

      - Su, sediamoci sul divano.

      Non appena si furono seduti, uno di fianco all’altro, Ferdinando incominciò a cercare disperatamente un argomento di conversazione. Pietro gli venne inaspettatamente in aiuto.

      - Dimmi un po’, da dove nasce il tuo interesse per la rivoluzione francese?

      Questa della rivoluzione era una faccenda vecchia. In una delle prime volte in cui si erano parlati, Pietro aveva citato la rivoluzione francese. Ferdinando non ricordava assolutamente come fossero arrivati all’argomento, Pietro non parlava abitualmente di storia, parlava spesso di storie, delle sue storie, ma anche quando narrava episodi di qualche anno prima, non si arrivava alla fine del Settecento, Pietro era troppo giovane, una storia con Luigi XVI non era possibile. Eppure una volta Pietro gli aveva chiesto se gli interessava quel periodo.

      Ferdinando non aveva un grande interesse per la storia, ma la rivoluzione francese lo appassionava: aveva letto qualche libro, aveva divorato diversi romanzi e non si perdeva un film sull’argomento (non che ci volesse un grande sforzo, di film di quel genere ne uscivano proprio pochi).

      Ferdinando si lanciò volentieri in un rapido excursus sul tema, felice di potersi muovere su un terreno sicuro. Cercò di spiegare a Pietro i motivi del suo interesse, gli suggerì persino un romanzo francese che aveva appena finito di leggere. Pietro lo interruppe per chiedergli.

      - E dei tentativi controrivoluzionari in Bretagna, che mi dici?

      Ferdinando non capiva assolutamente dove intendesse andare a parare Pietro, ma fu ben lieto di raccontargli quello che sapeva. Non era moltissimo, perché il suo interesse si era sempre concentrato sugli avvenimenti di Parigi, ma qualche informazione ovviamente l’aveva e visto che Pietro dimostrava inaspettati interessi storici proprio in uno dei pochi settori in cui Ferdinando aveva qualche competenza, il nostro eroe era ben felice di assecondarlo.

      In questo clima rilassato e felice, la domanda di Pietro lo colse come il classico fulmine a cielo sereno e poco mancò che non lo incenerisse:

      - È per questo che hai deciso di scrivere un libro sull’argomento?

      Ferdinando stava per replicare che lui non aveva scritto nessun libro sull’argomento, che lui si interessava alla rivoluzione francese, ma non era mica uno storico, che per scrivere libri storici ci voleva ben altra competenza, quando un neurone più pronto degli altri gli fece intuire ciò a cui faceva riferimento Pietro.

      - Vuoi di-di-di-re

      Ferdinando, che non era balbuziente, scoprì di colpo che certe parole non vogliono saperne di uscire dalla bocca, per quanto uno si sforzi.

      Pietro si era già alzato, era andato a prendere il famigerato libro e glielo stava porgendo.

      - Direi che è ora di scrivere la dedica, no? Sono nato poco dopo mezzanotte, perciò tra poche ore compio gli anni.

      Il momento era giunto, Ferdinando doveva chiarire la situazione, spiegare a Pietro, con fermezza e cortesia, che si stava sbagliando, che era tutto un colossale equivoco, perché lui, Ferdinando Neri, serissimo ragioniere impiegato in un grande gruppo editoriale milanese, mai e poi mai avrebbe scritto un romanzo erotico. Simili porcherie le lasciava a qualcun altro, a quell’immondo Ferdinando Neri che scriveva sconcezze e le pubblicava anche.

      - Pietro, io…

      L’inizio con lunga pausa non era molto promettente, ma il seguito senz’altro fu più efficace:

      - … non scriverei mai un testo del genere.

      Più che sufficiente, no?

      - E perché mai?    

      Come, perché? Che razza di domande! Un libro erotico è un libro erotico, insomma, non si scrive un libro erotico. Evidente, no?

      - Pietro, io non leggo nemmeno libri erotici, figurati scriverli!

      Semplice, chiaro, perfetto! Ferdinando era proprio contento di essersela cavata in modo così brillante.

      - Non leggi libri erotici? Nemmeno uno ogni tanto? Tanto per stuzzicare l’appetito…

      - No.

      Ferdinando non sapeva come proseguire: non poteva mica dire che leggere libri erotici era una porcheria, quando era evidente che Pietro li leggeva. Ci fu un momento di silenzio, poi Ferdinando riuscì a dire:

      - Pietro, non ho scritto io questo libro.

      Pietro annuì. Non sembrava molto colpito, neppure particolarmente stupito. Non insistette e Ferdinando gliene fu grato, almeno per i tre minuti successivi.

      - Non è un problema. Comunque è il mio regalo di compleanno, la dedica non puoi non farmela.

      Se si trattava solo di una faccenda di dedica, non era un grande problema: Ferdinando poteva benissimo scriverne una. Prese la penna che Pietro gli porgeva.

      - Va bene, che cosa vuoi che scriva?

      La domanda era bruttina, Ferdinando se ne rese benissimo conto: uno scrive una dedica, non se la fa dettare dall’interessato, come se non gli venissero le parole, aveva detto una cosa proprio poco gentile. Ma tra tutta la tensione per il libro e i discorsi di Pietro, insomma, era un po’ frastornato. Adesso però doveva correggersi e dire a Pietro che l’avrebbe scritta da solo. Prima che Ferdinando avesse fatto in tempo ad aprire bocca, Pietro aveva già incominciato a parlare:

      - Vediamo un po’, ti detto… A Pietro…

      Non poteva certo tirarsi indietro, ora, no? Non sarebbe stato cortese: prima gli aveva chiesto di dettargli la dedica, non poteva mica dirgli che adesso voleva farla da solo! Comunque quell’inizio, “A Pietro” gli sembrava freddo. Scrisse invece:

      “Al mio caro Pietro”

      A vederlo scritto così, non andava tanto bene, ma ormai era fatta. Pietro stava proseguendo:

      - … per il suo compleanno, con la speranza che gli venga qualche nuova idea… no, così non va bene… con l’augurio che il libro gli suggerisca qualche nuova idea…

      Ferdinando era un po’ perplesso, ma come al solito non voleva apparire sgarbato. E poi non c’era nulla di male a scrivere sotto dettatura, no? Se uno scrive quello che un altro gli detta, il responsabile del testo è quello che detta.

      - … che magari possiamo…

      Ferdinando scrisse diligentemente.

      - … provare insieme.

      Ferdinando scrisse ancora “provare”, ma poi si fermò. Alzò la testa ed il ghigno di Pietro fu la conferma, peraltro ormai superflua, che la situazione era fuori controllo. La gratitudine che aveva provato per Pietro pochi minuti prima svanì (la gratitudine umana ha una durata molto limitata, come illustri pensatori del passato hanno spesso osservato).

      - Con simpatia, Ferdinando.

      Ferdinando guardò Pietro come se avesse parlato in giapponese (pronuncia della campagna intorno a Sapporo). La sua testa, sovraffaticata da una serata di eccessive richieste, si rifiutava di compiere il suo dovere.

      Era evidente che Pietro faceva fatica a trattenere una risata.

      - Non me lo firmi? Una dedica senza firma, ma non ti vergogni?

      Quanto a vergognarsi, Ferdinando si vergognava. Ma non per non aver firmato la dedica.

      - Su, non essere così mogio.

      Pietro si spostò sul divano in modo da avvicinarglisi, gli passò due dita sotto il mento, sollevandogli la testa china in avanti, e lo baciò sulla bocca.

      Il movimento era stato del tutto naturale e Ferdinando non realizzò bene quello che era successo, perché nel suo cervello si creò un vuoto assoluto.

      Pietro aveva allontanato leggermente il viso, ma, vedendo che non c’era nessuna reazione da parte di Ferdinando, lo riavvicinò e ripeté l’operazione, solo che questa volta, invece di limitarsi ad accostare la sua bocca a quella del nostro eroe, gli infilò con decisione la lingua tra le labbra, mentre gli teneva la testa tra le mani.

      Ferdinando avrebbe voluto dire a Pietro che non doveva fare così, che lui non era uno di quelli che Pietro raccattava a destra e a manca nei locali o in sauna, che lui era una persona seria, che non aveva mai…

      La lingua di Pietro non gli permetteva di parlare e le mani di Pietro, che scendevano lungo il suo corpo, gli confondevano le idee (se ne era rimasta qualcuna). Quando la lingua si ritirò e infine Ferdinando poté parlare, disse:

      - Pietro…

      La frase era chiarissima e Pietro l’interpretò a modo suo, baciando nuovamente Ferdinando ed incominciando a sbottonargli la camicia. Poi la fece scivolare via e passò ad accarezzargli con un dito i capezzoli.

      Ferdinando guardava Pietro che avvicinava la bocca ad uno dei suoi capezzoli, lo sfiorava con la lingua, facendolo sussultare, poi lo mordicchiava leggermente (nuovo, più forte, sussulto), poi incominciava a succhiarlo.

      - Pietro…

      Mentre le labbra (e i denti, ahi!) si davano da fare su un capezzolo e poi sull’altro, le mani di Pietro non rimanevano inattive. Una, sfacciata, si stava infilando nei jeans alla ricerca di qualche cosa che non ci mise molto a trovare. L’altra stava già armeggiando con la cintura e quando ebbe svolto la sua opera, le due svergognate si misero a lavorare in coppia e in un attimo Ferdinando si trovò con i jeans completamente aperti ed abbassati.

      Tanto Pietro era ricco di iniziative, quanto Ferdinando era inerte, paralizzato da un misto di vergogna, paura ed altre sensazioni che non avrebbe saputo definire. E d’altronde la sua testa aveva tutt’altro da fare che definire che cosa stava provando.

      Rimase lì, teso sul divano. Non steso, teso: era rigidissimo. L’unico a non essere per niente teso era quello che nella circostanza avrebbe dovuto mostrare una certa rigidità, ma si sa, c’è chi non collabora ed al momento buono si tira indietro. Ferdinando avrebbe dovuto lamentarsi per la scarsa collaborazione ai piani inferiori, ma dato che anche ai piani superiori battevano la fiacca, non poteva che prendere atto della totale disfatta. L’avversario aveva armi terribili, che avrebbero dovuto essere vietate dalla Convenzione di Ginevra: la lingua, i denti, le labbra, le mani. Armi letali, che Pietro usava senza pietà contro un nemico ormai sconfitto.

      In breve Ferdinando si ritrovò steso sul divano, completamente nudo (Pietro gli aveva anche sfilato i mocassini e le calze), con Pietro sopra di lui che lo baciava, ancora vestito (ma alquanto in disordine e chiaramente indirizzato anche lui verso un costume adamitico).

      A scuoterlo fu la comparsa di un’altra arma, ancora più pericolosa delle precedenti, che ora emergeva dagli abiti sempre più scomposti di Pietro: l’avversario era pronto ad un combattimento a fondo, mentre l’arma di Ferdinando non era utilizzabile. La situazione stava precipitando e Ferdinando si rendeva perfettamente conto che avrebbe dovuto darsi da fare: poteva allontanare Pietro con fermezza (ma come si fa, quando uno non riesce nemmeno ad alzare il braccio?), poteva mettersi a spogliarlo (prospettiva più interessante, ma non c’era l’energia necessaria e poi tanto Pietro stava già facendo tutto da solo), poteva lasciare che Pietro prendesse l’iniziativa (cosa che Pietro aveva già fatto e non sembrava a corto di risorse per continuare lungo la strada intrapresa).

      Ferdinando decise che era ora di intervenire e disse:

      - Pietro…

      Pietro avvicinò la faccia (che un momento prima era contro il ventre di Ferdinando, perché la lingua titillava l’ombelico del nostro eroe) al viso del suo (gradito) ospite e lo baciò sulla bocca, rispondendo per le rime:

      - Ferdinando…

      Il dialogo, ricco e variato, avrebbe potuto proseguire all’infinito, ma ormai anche i neuroni poco attivi di Ferdinando stavano realizzando che la situazione era sfuggita di mano e che non era più il tempo di rifiutare la paternità del libro o di cercare argomenti di conversazione.

      Quando Pietro gli passò una mano sotto il culo, facendogli scorrere un dito nel solco tra le natiche, Ferdinando ebbe la netta sensazione che la battaglia fosse perduta, perché gli sfuggì un gemito dalle labbra e se anche la sua bocca lo tradiva, che speranza c’era?

      Quando arriva il momento della disfatta, si sa, è tutto un si salvi chi può, un inchinarsi davanti al nemico ed accoglierlo trionfalmente, come fosse un liberatore. E così avvenne. L’inerzia che aveva bloccato ogni movimento di Ferdinando svanì e le mani di Ferdinando incominciarono a muoversi, accarezzando la schiena di Pietro, scoprirono felici che nella parte bassa di quella schiena c’era un bel culo robusto, pizzicarono senza pietà. La lingua intanto raggiunse ciò che aveva a portata: un orecchio, visto che Pietro gli stava passando la lingua sul collo. E, per completare il quadro di una resa senza dignità, anche l’arma fino ad allora inattiva di Ferdinando incominciò a drizzarsi e raggiunse rapidamente una posizione di tiro.

      Avvertendo una nuova pressione, Pietro mutò tattica e la sua lingua scese rapidamente dal collo, sostando un attimo prima su un capezzolo, poi sull’altro e più a lungo sull’ombelico, fino a che raggiunse la meta e incominciò ad accarezzare con delicatezza l’asta, percorrendola dalla base alla punta. Poi la lingua abbandonò il nuovo terreno di caccia (lasciando molti rimpianti, come succede spesso quando il conquistatore sa muoversi con destrezza) e scese più sotto, stuzzicando le due sfere gemelle (quella di sinistra in realtà stava di solito un po’ più in basso, ma in quel momento non si vedeva). Ferdinando mugolò, mentre le sue mani accarezzavano con forza la testa di Pietro.

      Pietro si mise a sedere sul corpo di Ferdinando, gli sorrise e gli disse:

      - Passiamo al letto? Stiamo più comodi.

      Ormai ogni volontà di resistenza era da tempo annichilita e Ferdinando annuì. Pietro si alzò e Ferdinando stava per imitarlo, quando successe una cosa inaspettata. Pietro lo prese tra le braccia e lo sollevò, portandolo trionfalmente in camera da letto come lo sposo teoricamente fa con la sposa.

      Poi Pietro fissò Ferdinando negli occhi, gli sorrise e… lo lanciò sul letto. Prima che Ferdinando potesse riprendersi, Pietro gli fu sopra e approfittò della risata che scuoteva il suo avversario (ormai sarebbe più esatto dire il suo complice), per voltarlo a pancia in giù ed assestare un deciso morso ad una parte tondeggiante che si trovò, del tutto casualmente, beninteso, proprio a portata di denti.

      Ferdinando emise un gemito, ma stava ancora ridendo e le sue difese (quali difese?) erano alquanto abbassate.

      Pietro ripeté l’operazione e attaccò con una serie di morsi, ben calibrati, in crescendo ed in diminuendo (ecco un argomento di cui Ferdinando avrebbe potuto parlare con Pietro: la musica classica, ma forse ormai era un po’ tardi. Poteva conservarlo per la volta successiva).

      Poi le mani di Pietro si impadronirono delle natiche di Ferdinando, le strizzarono, le pizzicarono. Due dita sfrontate si infilarono nel solco e lo percorsero, poi fu la volta di un pollice sfacciato che si mise a tormentare un punto preciso. Il pollice scomparve e un pizzicotto più forte strappò un gemito a Ferdinando. Poi il pollice ritornò alla carica, un po’ umido, e quello svergognato si introdusse con delicatezza, ma senza esitazioni, là dove non era entrato mai nulla.

      Ferdinando sussultò. Ora aveva una certa paura. Il suo cervello aveva ripreso a funzionare ed ormai era chiaro che cosa sarebbe successo nella puntata successiva. Ma era tardi per correre ai ripari e Ferdinando non aveva davvero voglia di intervenire. In fondo se avesse incominciato la sua vita sessuale a 27 anni invece di 72, sarebbe stato solo uno scambio di numeri. Che importanza aveva? Nessuno avrebbe avuto niente da ridire. E tutto sommato 72-27=45 anni di vita sessuale in più potevano non essere per niente male, se la faccenda era come quel pollice che avanzava e che ormai doveva essere per intero dentro. Le altre dita di quella mano svergognata accarezzavano, grattavano, stuzzicavano l’area sottostante e il tutto aveva un effetto piacevole.

      Ferdinando sentì la voce di Pietro, appena un sussurro:

      - Che ne dici, ci mettiamo qualche cos’altro?

      Ferdinando si vergognava a dire sì, ma che cos’altro poteva dire? Un commento relativo alla musica classica, del tipo “A me piace molto L’uccello di fuoco, ma la Toccata e fuga no, non mi va bene” non era pertinente, avrebbe potuto essere frainteso. Perciò si limitò ad emettere una specie di sospiro, che Pietro interpretò liberamente (e correttamente) come una resa definitiva ed incondizionata.

      Il cassetto del comodino di Pietro si aprì (non per un telecomando nascosto, ma perché Pietro protese la mano), Ferdinando intravide una confezione di preservativi (ma chissà come mai Pietro teneva nel cassetto una confezione di preservativi? I medicinali non si tengono nell’apposito armadietto?), ci fu un rapidissimo movimento (Pietro sembrava essere molto allenato), una busta cadde a terra e poco dopo Ferdinando si sentì mordere una spalla, poi la lingua di Pietro gli passò sul collo, poi le mani di Pietro gli accarezzarono i fianchi, gli strinsero le natiche, gliele divaricarono, poi una mazza ferrata si fece avanti, trovò la porta d’ingresso (fino ad allora usata come porta di uscita, ma a ventisette anni uno può rinnovarsi un po’, no?), entrò senza bussare, si spinse fino al limite massimo e si fermò. 

      Ferdinando non avrebbe saputo esprimere quello che provava a sentire dentro di sé quell’arma calda. Un po’ di fastidio, ma anche una piacevolissima sensazione di pienezza. Pietro gli passò le braccia intorno al corpo, lo strinse, poi le sue mani lo accarezzarono a lungo, la testa, il collo, le braccia, i fianchi (lì non accarezzavano solo: pizzicavano, stringevano), le spalle.

      Poi Pietro ritrasse l’arma e la spinse di nuovo in avanti. L’attenzione di Ferdinando si concentrò di nuovo su ciò che avveniva in quell’area. Avanzata, ritirata strategica, nuova avanzata. Le manovre diversive (morso all’orecchio, lingua che scivola sulla nuca, pizzicotto alla natica destra, carezza sulla guancia) non lo ingannavano più: il cuore dell’azione era altrove, in quell’area in cui l’arma spadroneggiava, in piena attività.

      La sensazione si essere infilzato come un pollo allo spiedo non era per nulla spiacevole. Tutta l’area percorsa dallo spiedo si stava riscaldando e a Ferdinando sembrava effettivamente di stare raggiungendo il punto di cottura giusto. Il calore era più forte del dolore che emergeva a tratti, quando le spinte diventavano più decise.

      I colpi proseguirono a lungo, poi incominciò un crescendo, un po’ doloroso, ma alquanto stimolante, che raggiunse rapidamente il culmine. Pietro emise una specie di grugnito e si abbandonò su di lui, accarezzandolo con forza. Ferdinando sentì che la pressione al suo interno diminuiva, attenuando il dolore, ma gli spiacque il venir meno di quello spiedo.

      Poi Pietro, cingendolo con le braccia, lo forzò a voltarsi di lato e le sue mani incominciarono a stuzzicare l’arma di Ferdinando, che era già sull’attenti, ma reagì alla provocazione, tendendosi al massimo. La tensione crebbe rapidamente, sotto le carezze vigorose di Pietro, fino a diventare intollerabile. Poi Ferdinando sentì che il suo corpo era percorso da un’ondata violenta, che lo travolgeva. Gemette, tre volte, sempre più forte, mentre il suo seme saliva in alto.

 

      Prima che Pietro compisse gli anni, i due guerrieri si affrontarono altre due volte, cambiando tattiche e posizioni. Ferdinando non si limitò più a subire gli attacchi dell’avversario, ma prese alcune lodevoli iniziative, cercando di mettere subito a frutto quanto aveva appena appreso. Il risultato fu soddisfacente per entrambi.

      Quando infine fu l’ora del compleanno, Pietro e Ferdinando stavano abbracciati sul letto, dopo che Pietro aveva ripercorso una strada aperta da poco tempo.

      Ferdinando sorrise a Pietro e, pensando all’accaduto, disse:

      - Tutto grazie a quel libro!

      Scosse la testa, ancora incapace di realizzare quanto era successo, poi aggiunse:

      - Spero che almeno ti piaccia.

      - Oh, sì, mi è piaciuto parecchio.

      Ferdinando lo guardò senza parole (di nuovo), come se avesse parlato in giapponese (pronuncia dei pescatori di Okinawa). Poi riuscì a dire:

      - Vuoi dire che… l’hai già letto?!

      - Certo, è un po’ che è uscito. Quando mi hanno assunto e ti ho incontrato, ho pensato che fossi tu l’autore.

      - Cosa?

      Pietro annuì, ridacchiando.

      - Certo. Ero proprio convinto che l’avessi scritto tu. Mi sono detto: “Neri è un cognome comune, anche Ferdinando non è un nome raro, ci saranno un sacco di Ferdinando Neri, avrà pensato che era inutile cambiare nome, tanto solo uno che è gay può scoprire che esiste un romanzo erotico gay scritto da Ferdinando Neri ed anche in quel caso, chi può dire che è proprio lui il Ferdinando Neri in questione?” Allora un giorno ti ho chiesto della rivoluzione francese e quando hai detto che era un argomento che ti appassionava, mi sono detto: è lui!

      Ferdinando, i cui neuroni avevano ripreso a funzionare a pieno ritmo, comprese i motivi dell’improvviso interesse di Pietro per la rivoluzione francese, quel giorno di qualche mese prima.

      - Ma hai pensato…

      Non riuscì a formulare in modo chiaro un pensiero che nella sua testa era molto confuso. Pietro interpretò a modo suo e spiegò:

      - Ho pensato che dovevi essere un tipo molto interessante e che certamente valeva la pena di provarci. Per preparare il terreno ho incominciato a raccontarti delle mie avventure, ma la tua reazione non mi convinceva. Ho incominciato ad avere dei dubbi. Intanto però, frequentandoti e parlando con te, mi sono reso conto che mi piacevi, ti trovavo simpatico, anche piuttosto attraente. Ma tu non sembravi minimamente interessato a me e questo non riuscivo proprio a capirlo… insomma, come si fa a non interessarsi ad uno affascinante come me?

      Pietro ridacchiava, mentre lo diceva. Ferdinando era perfettamente d’accordo con Pietro, ma preferì non dirglielo. Si limitò a inarcare le sopracciglia con aria alquanto dubbiosa.

      Pietro gli diede un buffetto sulla guancia e proseguì:

     - Poi questa sera, quando ti ho visto con il libro in mano, mi sono detto che era ora di lanciarsi. E direi che ho fatto bene, no?

      Ferdinando rise.

      - Direi proprio di sì.

      - Quindi ora puoi completare la dedica.

      Ferdinando riprese il libro ed eseguì: dopo “provare” scrisse “insieme, molte volte, con” e qui si fermò un attimo. “Amore” gli sembrava troppo, per il momento almeno, per cui optò per “affetto” e firmò.

      Dando il libro a Pietro, che scorse la dedica con un sorriso molto dolce, rifletté ad alta voce:

      - Quindi ti ho regalato un libro che avevi già. Che razza di regalo di compleanno!

      Pietro rise, poi la sua mano scese lungo la schiena di Ferdinando e gli accarezzò il culo, mentre un dito stuzzicava l’apertura.

      - Mi hai regalato qualche cosa di molto più interessante di un libro che ho già letto. E conto proprio di farne un uso frequente e regolare. Non vorrai mica riprenderti il tuo regalo di compleanno, vero?

 

2007

 

 

 

 

 

 

 

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