La gabbia

 

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La festa per il battesimo di Bruce junior sta finendo. Gli ospiti escono per tornare a casa.

Robert Bellisile si avvicina a Bruce. Scambia con lui due battute sulla felicità di Charles e della moglie, sul piccolo che sembra avere polmoni di ferro. Poi Robert gli dice:

- E ora che anche Charles ha un marmocchio, non è tempo di pensare a sposarsi?

Bruce scuote la testa. È abituato a questi suggerimenti. Prima, quando i suoi tre fratelli erano ancora piccoli, gli suggerivano di trovarsi una moglie, perché ci vuole una donna per badare a quattro uomini. Poi, man mano che i suoi fratelli crescevano e si sposavano, gli dicevano che ora poteva pensare a sé, dopo aver sempre pensato a loro.

Risponde con una battuta.

- Ormai sono vecchio, nessuna mi vuole più.

Robert scuote la testa.

- Quanti anni hai?

- Quarantadue.

- Tre in meno di Lester, che si è sposato due mesi fa. Sette in meno di Wylie quando si è sposato. Bruce, il giorno in cui si sa che cerchi moglie, c’è la fila.

- La fila per prendere il treno e scappare via?

- Scherzaci sopra, ma sai che è vero.

- Mi sposano perché sono bello?

Bruce sorride. Sa benissimo di non essere bello. Ma sa anche di essere sano e forte. E che in queste terre di frontiera, non è certo la bellezza a contare.

Robert sbuffa.

- Va bene, va bene, da questo orecchio non ci senti, ma è un peccato. Sei fatto per avere una famiglia, hai già tirato su i tuoi fratelli come un padre.

- Appunto, la mia parte l’ho già fatta. Mi sembra di avere già dato.

- Quanto a dare, hai dato come pochi avrebbero fatto, forse nessuno. Ma è inutile che insista: non c’è peggior sordo… Stammi bene, Bruce. Ah, senti… Verrò da te uno di questi giorni. Non so che cosa fare con il terreno all’ansa del fiume, anche quest’anno la piena ha portato via tutto. Magari mi puoi dare un consiglio.

Bruce ritorna serio.

- Ci penserò, Robert.

- Grazie, Bruce. Su di te si può sempre contare.

Robert se ne va. Bruce lo guarda scomparire e già sta pensando a quel terreno, che un anno su due viene allagato. Eppure è terra fertile ed è un peccato non utilizzarla. Una soluzione ci deve essere e Bruce intende trovarla, come ha fatto un mare di volte, per sé e per tutti quelli che si sono rivolti a lui. Vengono in tanti a chiedergli consiglio, anche se nei primi tempi erano diffidenti nei confronti delle sue scelte. Ma anno dopo anno, quelle scelte si sono rivelate giuste, Bruce e i suoi fratelli sono usciti dalla miseria e sono diventati i proprietari più ricchi della valle. E i più stimati. Adesso gli altri vengono da lui a chiedergli che cosa pianterà, perché Bruce sa quello che fa.

Robert ha ragione, se Bruce decidesse di sposarsi ci sarebbe la fila. Ma Bruce non farà mai un errore del genere, anche se tutti si stupiscono che un uomo come lui non si decida a prendere moglie. A volte Bruce si chiede che cosa succederebbe se davanti a tutti, in chiesa, dicesse la verità.

La verità è semplice, ma è terribile. La verità è che gli piacciono gli uomini, che li desidera, li sogna. Gli uomini. E uno in particolare.

Gli piace Rich, desidera Rich, sogna Rich. E quando sogna Rich, il suo corpo si accende di desiderio e poi arde di piacere. Quasi ogni notte Bruce si sveglia in preda ad un orgasmo, mentre il seme gli si spande sul ventre e l’immagine di Rich gli riempie ancora gli occhi.

Il pensiero di Rich ritorna, bellissimo e lancinante, e Bruce sente che il desiderio di nuovo brucia dentro di lui. Tira un po’ indietro il ventre, per nascondere meglio l’erezione, ma la giacca la copre.

Quel desiderio che divampa, quel desiderio è un peccato innominabile. E tutti i coltivatori della valle, che si rivolgono a lui quando hanno bisogno di un consiglio, di un aiuto, tutti lo guarderebbero con orrore. Bruce Carmichael, il saggio Bruce Carmichael, lo stimato Bruce Carmichael, il buon Bruce Carmichael, di cui tutti tessono le lodi, sarebbe guardato come un individuo abietto, un mostro.

Bruce si sente in gabbia. Nella valle lo portano ad esempio, ma lui non vuole essere un esempio. Lui vorrebbe poter vivere la sua vita. Lui vorrebbe Rich.

Gli ospiti se ne vanno: è estate, periodo di mietitura. Domani ci si alza presto e ci si mette a lavorare sodo, per tutto il giorno. Domani Bruce lavorerà di nuovo al fianco di Rich.

Quando tutti se ne sono andati, Bruce saluta il fratello, poi sale a cavallo e si dirige alla sua fattoria. Sono pochi minuti di strada. Le loro quattro fattorie sono una vicino all’altra. A Bruce fa piacere sapere che i suoi fratelli sono nelle vicinanze, che se hanno bisogno di qualche cosa possono raggiungerlo in pochi minuti.

Ma adesso anche quella vicinanza gli va stretta, è una gabbia anche quella. In qualunque direzione si muova, ci sono i fratelli, gli altri coltivatori, gente che lo conosce, lo stima. Qualunque cosa faccia, è sempre sotto lo sguardo degli altri.

È arrivato alla fattoria. Guarda il grande fienile. Lì dorme Rich, con gli altri braccianti.

Il desiderio si irrigidisce nuovamente, con una violenza che ancora stupisce Bruce. Bruce ferma il cavallo e guarda verso il fienile.

Rich. Chi è Rich?

Rich è un bracciante, uno di quelli che ogni estate Bruce assume per la mietitura. Ma Rich non è un bracciante come gli altri. Rich ha tre anni in meno di lui, un’età in cui uno, se ha voglia di lavorare, non fa più il bracciante. Quelle terre vergini offrono buone possibilità a tutti quelli che hanno due braccia forti e voglia di usarle. Rich due braccia forti le ha e sa usarle: non è certo uno che batte la fiacca. E allora, perché è un bracciante?

La manodopera che Bruce assume è di solito costituita da uomini molto giovani, che provengono da famiglie povere o che vogliono integrare i magri redditi dei loro piccoli appezzamenti. Bruce non prende mai uomini sopra i trenta, a parte qualcuno della valle che ha bisogno di lavorare e a cui Bruce dà volentieri una mano. Quelli che oltre i trenta si offrono ancora come braccianti sono relitti, che spesso creano problemi: ubriaconi, pronti ad attaccare briga; avanzi di galera, che magari per una battuta tirano fuori il coltello; fannulloni, che fanno appena finta di lavorare.

E allora perché Bruce ha assunto Rich? Il perché è evidente: Rich è bellissimo e fin dal primo momento in cui Bruce lo ha visto, qualche cosa si è mosso dentro di lui.

Rich non è un ubriacone: beve volentieri, come tutti gli uomini, ma non si ubriaca. Rich non è un avanzo di galera: ha buoni rapporti con gli altri, anche se sono quasi tutti più giovani, non litiga, si fa gli affari suoi, ma sa stare in compagnia. Non è un fannullone. Chi è Rich?

Bruce ha cercato di conoscerlo meglio. Era curioso. Curioso? No, non solo curioso, voleva stargli vicino, voleva poterlo guardare. In tutte le occasioni in cui era possibile, Bruce ha cercato di parlare con lui. E anche parlare con lui è un piacere. Bruce ha avuto modo di apprezzare il carattere di Rich, le sue idee. Hanno un modo simile di vedere la vita, anche se Rich è più libero, molto più libero. Rich non vive in una gabbia.

Ciò che prova per Rich, Bruce lo sa benissimo. Non è solo un desiderio fisico tanto violento da essere incontrollabile. È molto di più.

E Rich? Rich è interessato a lui? Sì, lo è, fin dall’inizio Rich si è dimostrato disponibile, parla volentieri con lui. E non è una manovra per conquistare il suo favore e poi lavorare di meno, perché quando c’è da lavorare, Rich non si tira indietro.

Ma non è solo quello. Negli ultimi giorni qualche cosa è cambiato. Nei loro discorsi emerge a volte una tensione diversa, che Bruce non saprebbe definire. Gli sembra che Rich lo guardi in modo insistente, che i suoi occhi vogliano dirgli qualche cosa. Forse è solo una fantasia, forse Bruce vuole illudersi. E se non lo è?

Che cosa cerca Rich? Una sistemazione? Forse spera che lui lo assuma in modo definitivo per farla finita con una vita randagia che a quarant’anni non può far piacere a nessuno, anche se lui non se ne lamenta mai. Forse Rich è interessato ai suoi soldi, alla possibilità di un lavoro stabile, non a lui. O forse sono tutte fantasie di Bruce e Rich si fa gli affari suoi, senza pensare a Bruce.

Bruce raggiunge la scuderia, smonta e conduce il cavallo al suo posto, gli toglie la sella ed i finimenti. Poi esce dalla scuderia.

Un’ombra si muove nel cortile. Bruce sussulta. Non perché tema un ladro. Perché sa, con una certezza che gli nasce da dentro e che nessun ragionamento potrebbe smuovere, che quell’ombra è Rich.

È lui, infatti. Gli si avvicina. È buio, ma la luna illumina a sufficienza perché Bruce possa vedere che Rich è a torso nudo.

- Buona sera, mister Carmichael.

- Buona sera, Rich. Come mai ancora sveglio?

- Fa un caldo fottuto. Ho deciso di farmi un bel bagno per rinfrescarmi.

A volte, quando sono solo loro due, Rich si esprime con termini che Bruce non usa. Non corrispondono all’immagine che Bruce ha sempre cercato di dare di sé. Quell’immagine che ora è la gabbia in cui Bruce si sente soffocare.

- Conti di rinfrescarti nell’abbeveratoio?

Rich ride.

- No, sant’Iddio, proprio no. Vado al laghetto.

Il laghetto è a una ventina di minuti di cammino, sul fianco della montagna. È un angolo di paradiso, all’estremità del bosco. Rich si immergerà lì. E Bruce lo vede, nudo, che entra in acqua, il corpo argentato dalla luce lunare. Il desiderio è tanto violento da togliergli la parola, mentre il sangue affluisce impetuoso all’uccello.

- Venga anche lei. Un bel bagno è quello che ci vuole in queste notti.

Tutto il corpo di Bruce grida di sì, con un’intensità che gli irrigidisce i muscoli. Ma mille altri pensieri emergono. Qualcuno può accorgersene. Che cosa penseranno? Che cosa succederà al laghetto? Quello che Bruce vuole? Quello che forse anche Rich vuole? Che cosa vuole Rich da lui?

- Allora, mister Carmichael, non ha voglia di nuotare un po’ nell’acqua fresca? Qui si brucia.

Bruce brucia, sì, brucia di un incendio che mille laghetti non basterebbero a spegnere. Al laghetto non potrebbe nascondere la sua erezione, il suo desiderio. E se Rich lo ricattasse? Forse quello che Rich vuole sono i suoi soldi. O magari domani, parlando con gli altri, potrebbe scappargli qualche cosa, anche senza intenzione. Rich non ha bisogno di fare attenzione a quello che dice, tra pochi giorni se ne andrà, lì magari non tornerà mai più. Ma Bruce vive lì e una parola può essere la sua rovina.

- No, grazie, Rich. Sono stanco e domani c’è molto da fare.   

Rich annuisce. Saluta, si volta e si allontana.

Bruce vorrebbe corrergli dietro, vorrebbe saltargli addosso, stringerlo. Vorrebbe urlare. Vorrebbe piangere. China la testa ed entra in casa.

Bruce si spoglia, spegne la candela e si mette alla finestra. Guarda fuori. Solo quando vede Rich tornare, si stende sul letto, ma rimane a lungo sveglio.

Nella notte è davvero al laghetto con Rich, nuotano, si stringono, si amano e il seme di Bruce si spande ancora una volta.

Quando il piacere lo desta, Bruce non riesce più a prendere sonno.

 

Il giorno dopo, quando interrompono il lavoro per mangiare, Bruce trova un momento per parlare con Rich.

- Allora, com’è andato il bagno notturno?

- Una meraviglia. Ha fatto male a non venire.

- Forse hai ragione.

- Io ci torno questa notte. Venga anche lei. Vedrà, non se ne pentirà.

Di nuovo il sangue che affluisce, di nuovo il respiro che diventa corto. Con fatica annuisce e trova la voce per dire:

- Chissà, magari lo faccio.

Per tutto il giorno non pensa ad altro. La sera si mette alla finestra e guarda la porta del fienile. È più o meno l’ora in cui è arrivato la sera prima, quando vede Rich uscire. Non può distinguerlo, ma è sicuro che è lui.

Bruce aspetta che attraversi il cortile, poi scende. Davanti alla porta si ferma. Tutto il suo corpo preme per muoversi, per uscire, per raggiungere il laghetto. Ma la sua testa rifiuta, gli dice che sarebbe un errore colossale, che si metterebbe nelle mani di Rich, che magari Rich non ha in testa quello che ha in testa lui.

Mette la mano sulla maniglia. Poi la toglie, appoggia la testa contro la porta e sente le lacrime che gli salgono agli occhi.

 

Il giorno dopo Bruce non chiede del bagno notturno e Rich non dice nulla. Ma parlano ancora, parlano della terra e del lavoro, della vita in quella valle e della vita più a nord, dove abita Rich. Bruce vorrebbe saperne di più, chiede, come se fosse curioso di conoscere la vita da quelle parti e non la vita di Rich. Rich racconta aneddoti, spiega, commenta, ma risponde solo alle domande che Bruce formula, non a quelle che gli bruciano dentro. Di sé non dice quasi nulla.

Quei dialoghi li avvicinano, ma il tempo passa, scorre rapido come il ruscello verso la cascata. Mancano pochi giorni. La notte Bruce rimane a lungo sveglio a guardare il fienile, ma Rich non esce più, non va al lago. Ogni giorno di fianco a Rich è una gioia. Gioia non pura, perché ci sono le scorie della paura, del dubbio, della certezza della separazione imminente; c’è il desiderio che arde. Ma è gioia.

È l’ultimo giorno, domani i braccianti partiranno. Alcuni si sposteranno più a nord, dove la mietitura sta per incominciare. Rich è tra questi. A Bruce la terra manca sotto i piedi. Dentro c’è il ribollire di una disperazione sorda.

Mentre si alzano dopo una pausa di riposo, mentre nessun altro li può sentire, Rich gli dice:

- Questa sera torno al laghetto, a festeggiare la fine della mietitura. Venga anche lei. È bellissimo, vedrà, non se ne pentirà.

- Sì, hai ragione. Un bel bagno al laghetto…

Domani, domani mattina Rich se ne andrà. Deve fermarlo, deve dirgli di restare. Questa sera, al laghetto. E se Rich parlasse, se volesse soltanto ricattarlo, se fosse interessato solo ai suoi soldi, se…

Guarda Rich. Non legge sotterfugi, inganno, tradimento, ma è un viso in cui è difficile leggere. Questa sera andrà al laghetto. E poi succederà quello che deve.

La sera a tavola qualcuno scherza, a un certo punto fanno battute su Rich. Uno degli altri braccianti si è accorto che è uscito due notti di fila. Lo prendono in giro, gli chiedono quale bella ha conquistato. Lui dice che è andato al laghetto a fare un bagno, gli altri non ci credono. Al laghetto ci sarà anche andato, ma non ha certo fatto il bagno da solo.

Bruce suda freddo. Questa sera Rich non uscirà. E se uscirà, c’è il rischio che qualcuno lo segua, lo spii. Potrebbero vedere che c’è anche lui, la voce si diffonderebbe. Che cosa penserebbero…

La grande cena conclude il periodo di lavoro intenso. Tutti bevono più del solito, ma non Rich. Bruce lo guarda ogni tanto e si accorge che anche Rich lo guarda.

Giunge infine l’ora di mettersi a dormire. Rich gli dice:

- Allora, tra una mezz’ora esco, tanto questi si addormentano come ciocchi, con quello che hanno bevuto. L’aspetto?

Bruce ha la sensazione che lo stiano squartando: si sente tirare con violenza in due direzioni diverse e ad ogni secondo la tensione cresce. Con uno sforzo scuote la testa.

- No, è meglio di no.

Rich china la testa. Si volta, mentre gli augura buona notte, e Bruce non riesce a vedere il suo viso.

Bruce passa la notte a occhi aperti. Ogni tanto si alza e fissa il fienile.

L’indomani mattina i braccianti fanno colazione e partono. Si stringono la mano. Rich è tra gli altri, il suo viso è inespressivo. Saluta e se ne va.      

Bruce lo guarda diventare sempre più piccolo e infine scomparire dietro la curva della strada. Il dolore è tanto violento che si piega in due, il respiro gli manca. Fa due passi, barcollando, e si appoggia a un albero. Di nuovo le lacrime gli salgono agli occhi. Non riesce a fermarle. 

 

I mesi passano e ogni mese aggiunge un peso sulle spalle di Bruce. Fa fatica a camminare diritto. Fa fatica a respirare ogni giorno. Fa fatica a vivere.

Sogna ancora Rich, spesso, ma sono rare le volte in cui il sogno nasce dal desiderio e porta al piacere. Più spesso, sempre più spesso, il sogno è angoscioso, Bruce si rende conto che Rich sta per andarsene, che non lo rivedrà più, vorrebbe fermarlo, sa che deve fermarlo, perché non ci sarà più un’altra occasione, mai più, vorrebbe, ma non trova le parole, Rich si volta e se ne va, Bruce non può vedergli la faccia, Rich sta allontanandosi e Bruce si sveglia in un lago di sudore, avvolto in un dolore lancinante che non lo lascia. Perché l’incubo è la realtà. E la realtà è un incubo da cui Bruce vorrebbe uscire.

Finché ci sono stati i lavori nei campi, Bruce in qualche modo ha retto, ma l’autunno ha lasciato il posto all’inverno e Bruce è ormai un animale braccato, bloccato in un vicolo cieco, senza via di fuga, senza speranza, gli rimane solo la disperazione di chi non ha più nulla da perdere.

     

Gennaio, la neve copre i campi. La notte è gelida, ma serena: un’infinità di stelle che Bruce non guarda nemmeno.

Cammina tranquillo, non più piegato, non più schiacciato dal macigno che per mesi si è portato addosso. Cammina sulla neve, che il freddo intenso rende compatta. Solo ogni tanto la crosta superficiale cede ed il piede sprofonda.

Infine Bruce è arrivato. La superficie del laghetto è gelata, una lastra compatta. Solo ad un’estremità, dove il torrente esce dal lago, la crosta di ghiaccio è sottile.

Bruce guarda l’acqua che scorre, guarda la superficie gelata del laghetto e si dice che questa sera accetterà l’invito di Rich. Questa sera farà l’amore con Rich, poi si bagnerà.

Si toglie il guanto e lo mette in tasca. Apre il giaccone pesante che ha indosso e si infila una mano nei pantaloni. Lascia che da dentro l’immagine di Rich emerga, con tutta la sua forza. Lascia che il desiderio lo sommerga. Sente il calore del suo uccello proteso verso l’alto.

- Eccomi, Rich.

Con la mano si accarezza, dolcemente, poi, mentre l’immagine di Rich si moltiplica, accelera il ritmo, fino a che il seme prorompe.  

L’immagine di Rich si dissolve. Ora davanti a lui c’è la lastra gelata che copre il laghetto.

Bruce toglie la mano, richiude la giacca. Posa un piede sulla lastra, poi il secondo. Il cuore batte in fretta, ma si fermerà. Presto si fermerà.

La crosta di ghiaccio che ricopre il laghetto è solida, non si rompe sotto il peso. Allora Bruce avanza verso il punto in cui il torrente esce dal lago. Sente che il ghiaccio sta cedendo. Si ferma un attimo. Guarda nel buio intorno a sé. Poi, senza esitare, avanza di due passi. Non appena poggia il piede la seconda volta, il ghiaccio si spezza e Bruce scivola in acqua. Il cuore dà un tuffo.

Bruce finisce sotto, ma riemerge subito: l’acqua gli arriva solo fino al torace. Muovendosi deciso, Bruce si dirige verso il punto dove il torrente esce dal lago e risale sulla riva. La sensazione di gelo che lo sta avvolgendo gli dice che ha ottenuto il suo scopo. Prima che sia riuscito a ritornare a casa, saranno passati venti minuti, forse di più: la neve rallenta il passo. Più che sufficienti. 

Bruce cammina a passo rapido verso casa. Sente il gelo che gli penetra nelle ossa, i vestiti fradici che grondano acqua e che si stanno trasformando in un sudario di ghiaccio.

Bruce apre la porta di casa. Si asciugherà, si metterà a letto ed aspetterà. È appena entrato quando vede Ann che gli viene incontro con la lanterna. Bruce pensava che fosse già a dormire, ma la donna l’ha sentito arrivare. Quando lo vede tutto bagnato, Ann lancia un urlo.

Bruce avrebbe preferito far finta di niente, asciugarsi e mettersi a letto da solo, ma i brividi che lo percorrono gli dicono che ormai è fatta: presto sarà fuori dalla gabbia, per l’unica strada che conosce. Se fosse stato meno vigliacco, magari avrebbe trovato un’altra via di uscita.

Ann ha chiamato Peter. Mentre la serva accende il fuoco, Peter lo spoglia deciso, lo avvolge in una coperta, gli asciuga i capelli, vicino al camino.

Bruce li lascia fare. Non cambierà nulla.

Poi Peter lo accompagna a letto. Ann ha già acceso il fuoco nella camera. Bruce si sente stanco, una stanchezza sempre più forte, a cui si abbandona. Ma un senso di pace lo avvolge.

Il mattino dopo non riesce ad alzarsi, la testa gli gira, respira a fatica, un dolore secco ai polmoni, una sensazione di calore che lo avvolge completamente. Gli sembra di bruciare.

Hanno chiamato il dottore, che lo esamina. Bruce lascia fare, non sarebbe più in grado di opporsi, è troppo debole.

Le ore che seguono sprofondano in un delirio senza tempo. Dal calore che lo avvolge, dal dolore violento che gli brucia i polmoni, emergono il volto di Ann, quelli dei suoi fratelli, soprattutto di Eric. Alla fine gli sembra che ogni volta che si sveglia, ci sia sempre Eric davanti a lui, Eric con le lacrime agli occhi, Eric che gli stringe la mano. 

Vorrebbe dirgli che gli spiace, ma non riesce a parlare. Lo sguardo di Eric gli impedisce di abbandonarsi serenamente alla morte che lo chiama. La mano di Eric non lo lascia. Bruce vorrebbe liberarsi da quella mano, ma Eric non lo molla.

Eric, che ha solo cinque anni meno di lui. Eric, che lo ha sempre aiutato, che ha lavorato come un mulo, che non ha mai chiesto niente. Nei rari momenti di lucidità, Bruce pensa che non può dare questo dolore ad Eric, che non ne ha il diritto. Il delirio riprende, Bruce parla ma non sa che cosa dice, immagini del passato si confondono, immagini di ciò che avrebbe potuto essere, di ciò che non sarà. Rich. Eric. Rich. Eric.

L’immagine di Rich svanisce, il delirio lascia il posto a un intorpidimento senza sogni. 

Un giorno Bruce si sveglia, perfettamente lucido, e guarda davanti a sé Eric. Si chiede se lo ha mai lasciato, se ha mai dormito, mangiato. Gli sorride. Ha ancora male al petto, ma sa che è passata. Ha mancato il suo appuntamento con la morte.

- Quanti giorni sono passati?

La sua voce è debole, ma Eric sussulta.

- Cinque.

- Va’ a riposarti, Eric. Ora sto meglio.

Eric annuisce, ma non si muove. Sta piangendo.

 

La convalescenza è breve: il fisico di Bruce è robusto, in pochi giorni è in grado di alzarsi dal letto, recupera rapidamente le forze. Eric è tornato a casa sua, ma passa ogni giorno, più volte. Ann gli conferma quanto Bruce sa benissimo: Eric è rimasto sempre vicino a lui, nei cinque giorni di delirio, dormendo sulla poltrona, mangiando di fianco al letto, alzandosi solo per le sue necessità.

Bruce riprende a uscire, si sente bene. Dentro, c’è un dolore sordo, ma non è il suo corpo che soffre. Di quel dolore non si libererà.

Un pomeriggio Eric gli propone:

- Facciamo due passi?

- Volentieri.

Eric vuole parlargli, a tu per tu, glielo si legge in faccia. Che cosa gli debba dire, Bruce non sa. Eric non è il tipo da avere segreti. Eric è la persona più limpida che Bruce abbia mai conosciuto.

Mentre vanno, Eric fa qualche osservazione sul lupo che hanno visto il giorno prima alla cascata, sul vecchio ponte che ha ceduto, su altre banalità. La conversazione procede senza un ordine, senza una meta. La loro passeggiata invece ha una meta precisa, perché Eric va, diritto verso il suo obiettivo.

Bruce non capisce subito, ma quando superano lo steccato dei McGroven e prendono il sentiero che sale, Bruce realizza dove Eric lo sta portando.

Non è più ritornato al laghetto, da quella notte di un mese prima. Non aveva motivi per tornarci.

Perché Eric l’ha portato lì? Bruce non sa, ma Eric glielo dirà.

Ora sono di fronte allo specchio d’acqua, coperto da una solida lastra di ghiaccio. Rimangono a guardarlo, muti ed immobili. Bruce aspetta. Sa che non sono giunti lì per caso.

E finalmente Eric parla:

- Perché, Bruce? Perché?

Bruce ci mette solo un attimo a capire. China la testa. Inutile negare. E poi Bruce non ha voglia di negare, non ha voglia di mentire, non a Eric.

- Perdonami, Eric. Non ce la facevo più.

- Cristo, Bruce!

Eric non riesce a dire altro. Eric non è mai stato molto bravo a parlare.

- Mi spiace Eric.

- Bruce, è… per Rich?

Bruce sussulta. Alza la testa e guarda Eric, che lo sta fissando. Risponde:

- Sì, è per lui. Anche per lui.

Nella sua voce ha sentito un tono di sfida, che non intendeva mettere.

Eric lo guarda. Non c’è condanna, solo sofferenza. Bruce vorrebbe gridargli che non ha nessun diritto di giudicarlo, ma le parole di Eric vanno in un’altra direzione. Sono parole che Eric trova a fatica.

- Non voleva… Lui non voleva?

Bruce abbassa di nuovo il capo.

- Lui voleva, credo, sono io che non ho avuto il coraggio… Eric, qui mi conoscono tutti, mi stimano, io… Merda, Eric! Merda!

- Se è quello che vuoi davvero, è quello che devi fare.

Bruce alza la testa di scatto. Fissa allibito Eric, che prosegue.

- Quello che gli altri pensano… mandali a quel paese, mandali a farsi fottere. La tua vita vale di più di quello che gli altri pensano. Vattene con lui da qualche parte, dove non ti rompano i coglioni… Cristo, Bruce. Non ti ammazzare per questo!

La sofferenza di Eric è ben visibile nel tono della sua voce, in quelle parole dure che abitualmente non usa, nei tratti del suo viso. Un dolore tanto forte che Bruce prova l’impulso di abbracciarlo. Non si muove. Ripensa alle parole di Eric. Sì, Eric ha ragione, ma ormai è tardi.

- Se n’è andato, Eric. Non tornerà.

- Tornerà, quando c’è da mietere. Se cerca lavoro e l’anno scorso l’ha trovato qui, tornerà. Non mandarlo via, questa volta. O vai via insieme a lui, se è questo che vuoi.

Bruce annuisce, poi si avvicina a Eric e lo abbraccia, stringendolo forte.

 

La vita riprende. La primavera arriva, le giornate si allungano e si riempiono. Bruce non sente più il peso opprimente che lo schiacciava. Avverte una forte tensione che va crescendo di giorno in giorno, man mano che il periodo della mietitura si avvicina. Non è la preoccupazione per il raccolto a togliergli il sonno. I pensieri che lo agitano sono ben altri o, meglio, si riducono ad un’unica idea fissa: Rich, Rich tornerà, come ha detto Eric.

Mancano pochi giorni ormai, qualcuno incomincia a presentarsi. Bruce fa le sue scelte, seguendo i criteri di sempre, ma quando Ann annuncia un bracciante che si offre, il suo cuore sembra impazzire. E ogni volta è la stessa, atroce, delusione.

La mietitura incomincia. Il tempo è bello, il grano è cresciuto bene, il raccolto sarà abbondante, il lavoro procede a meraviglia. Tutti sono contenti.

Bruce lavora senza concedersi un attimo di tregua. È Eric che dà il segnale dell’interruzione del lavoro, che costringe anche lui a fermarsi, perché Bruce proseguirebbe, senza smettere mai. In testa gli martella una sola idea. Non è venuto. Non verrà.

Potrebbe venire nei prossimi giorni, magari ha lavorato da qualche altra parte, più a sud, dove si miete prima, verrà dopo. Potrebbe venire, c’è ancora lavoro da fare. Questa volta hanno iniziato dai campi di Bruce, ma poi ci sono quelli di Eric, utilizzano sempre gli stessi braccianti, le loro fattorie sono contigue, Eric dà una mano a Bruce e Bruce a Eric. Magari Rich arriverà quando incominceranno a lavorare nei campi di Eric. Bruce sa che non è così, ma ha bisogno di dirselo.

La speranza svanisce in fretta, il lavoro nella proprietà di Bruce si conclude, anche quello nei terreni di Eric arriva alla fine. Rich non verrà.

Il periodo della mietitura è terminato in tutta la valle. Di nuovo Bruce si sente schiacciare sotto un peso, gli sembra di portare un macigno che diventa ogni giorno più pesante. Ci sono ancora lavori da svolgere, il corpo trova ancora un’occupazione, ma Bruce sprofonda.

 

Oggi pomeriggio Eric scende in città. Chiamare città Gallworth è eccessivo, ma c’è una stazione ferroviaria, che la collega ai centri maggiori, c’è un saloon, qualche negozio un po’ più fornito, per loro è già una città, la città. Eric gli chiede se ha bisogno di qualche cosa. Bruce gli affida due commissioni. Gli sorride, cercando di ingannarlo, ma Eric non si inganna. Eric non sa ingannare, ma non è facile ingannarlo. Ed Eric soffre del dolore di Bruce.

Non sono passati neanche venti minuti quando Bruce vede il carro di Eric di ritorno. Si chiede che cosa sia successo: andare in città e ritornare con il carro richiede un’ora: deve essere successo qualche cosa. Perché Eric è già tornato indietro?

La risposta è sul carro, di fianco ad Eric. La risposta è Rich. A Bruce manca il fiato e non riesce a parlare. È Eric ha dire:

- Ho trovato Rich e gli ho dato un passaggio. Vuole salutarti.

Rich ha preso il suo fagotto e sta scendendo dal carro. Alle parole di Eric si volta a guardarlo e a Bruce sembra di vedergli in viso un sorriso beffardo, ma non cattivo. Eric invece è serissimo, simula indifferenza, simula male, non sa farlo.

Eric sprona i cavalli e il carro si allontana.

Bruce cerca di recuperare un po’ di calma. Non possono rimanere così, senza dirsi neanche una parola. Gli viene una frase idiota:

- Come mai da queste parti?

Rich lo fissa, poi distoglie lo sguardo, non dice nulla. C’è un lungo silenzio tra di loro. Bruce non osa spezzarlo, ha paura di ciò che quel silenzio copre. È Rich a parlare, infine, tornando a fissarlo negli occhi:

- Non stavo venendo a trovarti, Bruce. Stavo andandomene via. Eric mi ha caricato quasi a forza e costretto a tornare indietro.

Bruce è rimasto senza parole, non si è neppure accorto che Rich lo ha chiamato per nome. È disorientato, spaventato all’idea che Rich se ne stesse andando, senza neanche essere passato da lui. Chiede, quasi balbettando:

- Ma, come, dov’eri?

Rich gli risponde, senza distogliere lo sguardo un secondo.

- Sono arrivato ieri sera qui. Ho dormito nel bosco. Questa mattina mi sono nascosto tra gli alberi oltre lo steccato ed ho passato il tempo a guardare la fattoria. Ti ho visto uscire, scomparire verso il pascolo alto, poi tornare. Ed ho deciso che era ora di andarmene. Eric mi ha trovato mentre stavo scendendo a valle. Gli ho detto che non avevo tempo per passare a salutarti, ma… è testardo, tuo fratello. Neanche a menarlo...

Rich scuote la testa, sorridendo. Mille dubbi si scatenano nella testa di Bruce. Chiede:

- Perché, Rich? Perché venire fino qui e poi andartene?

Rich scuote la testa, ma continua a fissarlo. Poi dice:

- Io qui non ho niente da fare.

Il silenzio che precipita tra di loro ha lo spessore di un muro. Bruce non riesce a trovare parole, non sa come scalfire quel muro che a ogni istante diventa più grande.

È di nuovo Rich a parlare, dopo un’eternità:       

- Perché non sei venuto al lago? Avevi paura che qualcuno ti vedesse?

Bruce annuisce e poi le parole gli sfuggono dalle labbra quasi senza che lui se ne renda conto.

- Sono andato al laghetto, Rich, questo inverno. Mi sono immerso. È per questo che Eric ti ha voluto portare qui.

Si pente di averlo detto, china la testa.

- Quest’inverno?

Rich non capisce subito, lo guarda perplesso, poi comprende:

- Cazzo, Bruce vuoi dire che…

Bruce non lo guarda. Guarda la punta dei suoi stivali.

- Non ce la facevo più, Rich. Da quando eri partito ogni giorno era peggio

C’è di nuovo silenzio. Hanno detto tutti e due quanto c’era da dire, forse fin troppo. Bruce è a disagio, sopraffatto da una tristezza sconfinata. Rich è davanti a lui, ma Bruce si sente triste come gli sembra di non essere mai stato. Vorrebbe abbracciarlo, baciarlo, ma non può nemmeno avvicinarglisi.

È Rich a parlare:

- Non era più semplice andarci con me? Hai così tanta paura di quello che gli altri potrebbero scoprire, sospettare, pensare?

Bruce scuote la testa. 

- Non era più semplice. Mi sono costruito la mia gabbia e non è facile uscirne.

Rich scuote la testa, ma c’è una nota di tenerezza nella sua voce.

- Certo che avevi scelto una bella via per uscirne…

- Tu non c’eri più e non ne vedevo un’altra.

Ancora silenzio. Bruce ha rinunciato a parlare, non ha più parole.

- Se qui non è possibile, vieni via con me, Bruce.

Bruce apre la bocca. Vorrebbe chiedere, capire, ma si dice che non ha importanza. L’unica cosa che conta è che Rich è davanti a lui e che Rich vuole che se ne vadano insieme.

Finalmente solleva il capo e ricambia lo sguardo di Rich. Con voce ferma, gli risponde:

- Sì.

Di colpo una gioia violenta si impossessa di lui, vorrebbe urlare per la felicità. Rich è davanti a lui e partiranno insieme.

 

Bruce fa entrare Rich in casa, ma c’è Ann, Peter va e viene, a casa sua le porte sono sempre aperte e nessuno bussa. Non può certo portare Rich in camera da letto nel primo pomeriggio. Non può portarlo neppure la notte, ma può fargli preparare la stanza di fianco alla sua, quella che era di Eric. C’è una porta che mette in comunicazione le due camere.

Non possono parlare liberamente e allora Bruce propone a Rich di fare due passi. Fuori, all’aria aperta, potranno dirsi tutto quello che hanno dentro.

Escono. Bruce è confuso, l’attimo di felicità intensissima ha lasciato il posto ad uno smarrimento.

- Dove andremo, Rich? Che cosa faremo?

Rich esita un momento ed è un’incertezza che in Bruce suscita mille dubbi. Riemergono i sospetti, le paure.

- Da me, nel Dakota. Lì non avremo problemi.

Bruce si sta ponendo mille domande. Come sempre, ha bisogno di controllare la situazione, di effettuare le scelte migliori. Sta già chiedendosi che cosa portare con sé, come viaggeranno, che cosa faranno una volta arrivati. Ha bisogno di prepararsi, di capire che cosa lo aspetta. Con i suoi dubbi è andato a un soffio dal perdere Rich, lo sa benissimo, ma la sua testa continua a chiedere, a cercare risposte.

- Dove vivremo?

Cerca di giustificare la sua domanda, proseguendo:

- Non so che cosa portarmi dietro.

- Vivremo a casa mia, se ti va. Abito da solo. Portati dietro quello che ti serve per vestirti, non c’è bisogno di altro.

Bruce si dice che prenderà solo lo stretto necessario, potrà sempre farsi spedire da Eric ciò di cui avrà bisogno.

Ma altri problemi premono. Uno, soprattutto. Di che cosa vivranno? La sua fattoria rende molto, potrebbe darla in gestione a qualcun altro, non esistono problemi economici. Ma Rich vive facendo il bracciante. Che cosa conta di fare Rich? Che entrambi lavorino come braccianti? Sarebbe assurdo, visto che lui ha una grande proprietà. Che cosa ha in testa Rich? Bruce non osa chiedere e sa benissimo il perché. Perché dentro di lui c’è un dubbio, un dubbio fastidioso, una paura, una paura atroce: che Rich sia interessato ai suoi soldi, non a lui. Il fatto che non sia passato a trovarlo non significa niente, magari è stata tutta una manovra, per fargli credere che se ne stava andando e non destare sospetti. Bruce si vergogna a pensare queste cose di Rich, ma che cosa può trovare in lui uno come Rich? Non certo la bellezza, né la giovinezza. E allora? I soldi? Se è così…

Bruce guarda Rich, sereno, bellissimo. Ricaccia dentro i suoi dubbi, si dice che è un coglione. Ama Rich e Rich lo ama. È così e non c’è altro.

 

Bruce provvede a fare quanto è necessario, prepara il suo piccolo bagaglio, dà le istruzioni ad Ann ed a Peter.

Eric torna dalla città, dove ha fatto le sue commissioni. Bruce gli va incontro e gli dice che partirà domani. Eric sorride e Bruce gli legge in faccia che è felice perché lo vede felice. Parlano un momento. Eric non parla mai molto, ma non hanno bisogno di parole. Domani Eric li accompagnerà alla stazione.

La sera mangiano insieme ed è bello mangiare con Rich e pensare che d’ora in poi sarà così.

Chiacchierano davanti al fuoco. Man mano che il tempo passa, Bruce è imbarazzato. Il desiderio che sale dentro di lui è forte, ma c’è anche una paura che non saprebbe esprimere.

Escono un momento nel cortile, guardano il sole che tramonta. Poi rientrano e salgono. Rich entra nella camera che gli è stata assegnata. 

Bruce entra nella propria stanza, chiude la porta a chiave: non lo fa mai, Ann non viene certo in camera sua la notte e comunque non entrerebbe nella camera da letto senza bussare, ma Bruce vuole essere prudente. Passa nella camera di Rich, che gli sorride. Bruce va a chiudere la porta, poi si volta verso Rich.

Sono soli, nessuno può entrare. Non devono fare troppo rumore, ma solo Ann dorme in questa parte della casa.

Bruce è teso. Ha paura. Desidera Rich, con violenza, ma non ha mai posseduto un uomo. Neanche una donna. Non sa da che parte incominciare. Non sa che cosa deve fare, che cosa Rich si aspetta da lui. Eppure è pronto, maledettamente pronto.

Rich si avvicina a lui, ma non lo tocca. Lo guarda. Gli sorride. Poi gli afferra il viso e lo bacia. Bruce non ha mai baciato nessuno, non è mai stato baciato, se non da sua madre, da bambino, ma sua madre è morta quasi trent’anni fa. Nessuno lo ha mai baciato sulle labbra.

Quando la lingua di Rich cerca di infilarsi nella sua bocca, Bruce si ritrae di scatto, si stacca da Rich, lo respinge con le mani.

Rich non capisce:

- Che cosa c’è, Bruce?

Bruce lo guarda, non sa spiegare neppure lui. Sorride, frastornato.

- Scusami, Rich. È che non ho… non ho mai…

Rich si avvicina, fino a che di nuovo i loro corpi si toccano.

- Non vuoi che ti baci?

Bruce scuote la testa. Non sa che cosa vuole. Vuole che Rich lo baci? No, forse è meglio di no, forse…

- No, Rich, io…

Di colpo Bruce pensa che non vuole essere lì. Vuole uscire da quella stanza, tornare in camera propria. Ha paura e vuole scappare, questa è la verità.

Si dice che è un coglione.

Allora stringe Rich con forza e lo bacia sulla bocca, spinge la sua lingua nella bocca di Rich, che si apre ad accoglierla. È bello quel contatto tra le loro labbra, le loro lingue. È bello baciare un uomo. È bello baciare Rich.

Si staccano, si guardano. Rich incomincia a sbottonargli la camicia, un bottone per volta. Bruce lo lascia fare, ma la sua testa sta di nuovo smarrendosi. Di nuovo una paura irrazionale che sale. E allora afferra Rich e lo trascina fino a letto, ci si butta sopra insieme a lui, su di lui.

Ora sono sul letto, il suo corpo preme su quello di Rich, la sua bocca bacia quella di Rich, le sue mani accarezzano il viso di Rich, i suoi capelli. Poi le sue mani scendono lungo il torace di Rich, gli afferrano la camicia, la tirano verso l’alto. Rich lo aiuta, si slaccia i bottoni ai polsini e la camicia ora sta passando sulla sua testa, ma Bruce la ferma con le mani. Ora il viso di Rich è nascosto dalla camicia e Bruce si solleva sulle braccia, per guardare il corpo di Rich sotto di lui. È bello Rich, non è sgraziato come lui. La mano di Bruce scorre su quel petto, scivola sulla peluria leggera che ne copre la parte alta, due dita accarezzano la linea più scura che scende verso l’ombelico.

Rich lo lascia fare, non reagisce, lascia che sia Bruce a condurre il gioco. E Bruce si solleva a sedere, gli slaccia la cinghia e fa scendere i pantaloni. Pensa che non ha mai visto Rich nudo, completamente nudo.

E ora lo vede, vede il cazzo di Rich. Duro, forte. Lo divora con gli occhi, incapace di accarezzarlo, anche se vorrebbe, incapace di distoglierne lo sguardo. Rimane a lungo così e allora Rich fa scivolare via la camicia, la lascia cadere a terra. Lo guarda negli occhi, ma Bruce non se ne accorge, continua a fissare il serpente che lo ha ammaliato.

Rich ride e la sua risata scuote Bruce. La voce di Rich lo invita:

- Perché non lo assaggi?

Bruce scuote la testa, disorientato, allibito. Il pensiero lo turba, lo disgusta. Che cosa sta facendo? Che cosa dice Rich? Fa schifo. Come…

Rich tende le mani verso di lui, ma Bruce si ritrae con un guizzo. La voce di Rich è serena.

- Calmati, Bruce. Facciamo quello che vuoi, solo quello che vuoi.

Bruce è in piedi di fianco al letto, non si è neanche reso conto di essersi alzato. Il cuore batte forte e vorrebbe fuggire. Lui è Bruce Carmichael, lui è un uomo per bene, lui è… Lui è un coglione che pochi mesi fa ha cercato di ammazzarsi perché pensava di non rivedere più Rich e adesso che cazzo vuole, che cazzo vuole ancora, questo coglione?

Bruce si siede sul letto, dando le spalle a Rich e si prende la testa tra le mani. Vorrebbe smettere di pensare, vorrebbe riuscire a lasciarsi andare, vorrebbe smettere di vivere, qui ed ora, subito.

- Scusami, Rich, sono un coglione, nient’altro.

Sente le braccia di Rich che lo stringono, lo avvolgono. Sente il calore del corpo di Rich che preme contro il suo.

Adagio, molto adagio, il cuore riprende il suo battito normale e Bruce è di nuovo cosciente del desiderio che vibra dentro di lui, sempre più impaziente.

In qualche modo Rich ha capito, perché ora è in piedi di fronte a lui, completamente nudo, ed incomincia a spogliarlo. Rich procede con lentezza, senza dire nulla, accarezzando con delicatezza. Bruce lo lascia fare, perché quelle mani che lo spogliano e lo accarezzano, quel corpo che lo sfiora, si appoggia contro il suo, l’odore forte di Rich, quell’odore di maschio, tutto lo stordisce e lo fa ardere.

Ad un certo punto, quando ormai ha addosso solo i pantaloni, non regge più ed afferra a piene mani il culo di Rich, avvicina quel corpo al suo, lo fa aderire, sente contro il proprio torace il cazzo di Rich, stringe più forte, vuole fare male a Rich, vuole…, le dita affondano nella carne di Rich, che gli accarezza i capelli, si china su di lui, mormora il suo nome.

Il desiderio trabocca. Bruce allontana Rich da sé. Rich si inginocchia davanti a lui, cerca di calargli i pantaloni, ma Bruce nuovamente reagisce, il suo corpo urla il suo desiderio, ma la sua testa si ribella. Nudo no, no, non nudo. Rich insiste e Bruce lo spinge via in malo modo, lo fa cadere a terra.

A due passi dal letto Rich lo guarda perplesso. Poi gli sorride.

Bruce si alza, vuole andarsene, ma Rich è bellissimo, ha un corpo splendido, Bruce non riesce a muoversi. Con un gesto deciso si abbassa i pantaloni, mettendo in mostra un cazzo vigoroso, che si erge con forza, tanto teso da battere contro il ventre. Guarda Rich con rabbia, lo prende, lo volta, lo sbatte sul letto, gli grida, sottovoce, perché nessuno possa sentirlo, ma è un urlo di rabbia:

- Adesso ti spacco il culo.

Allarga le natiche di Rich e guarda il foro in cui sta per entrare. Sì, nulla ormai può impedirgli di entrare, nemmeno ci fosse tutta la valle venuta ad assistere, perché la testa di Bruce non ragiona più, tutto Bruce è in quella mazza ferrata che vibra, sulla cui punta già brilla una goccia.

- Inumidisci un po’.

La voce di Rich alimenta la rabbia sorda di Bruce. Si sputa sulle dita, le passa tutt’intorno all’apertura. Non è una carezza, è un gesto brutale, che fa sussultare Rich.

Bruce sputa di nuovo sulla mano, sparge un po’ di saliva sulla punta del cazzo. Guarda il culo di Rich ed ancora si chiede che cosa sta facendo, ma ormai è troppo tardi, perché tutto il suo corpo brucia e la cappella già preme contro quel foro che sta per forzare. Le mani di Bruce abbozzano una carezza sul culo di Rich, poi l’arma entra, con un movimento implacabile, ma lento: come se qualche cosa trattenesse Bruce, gli impedisse di sfondare quel culo che gli si offre.

Quando è arrivato quasi in fondo, Bruce arretra, estraendo quasi interamente il cazzo. La sensazione è tanto violenta da stordirlo. Bruce vorrebbe urlare e per soffocare l’urlo morde la spalla di Rich. Un morso forte, che lascia il segno dei denti nella carne.

Bruce spinge nuovamente in avanti e quell’affondare nella carne, in quel culo che cede, in quel calore che lo accoglie, è una sensazione tanto forte che non riesce a trattenere un suono, un gemito sordo. Bruce arriva fino in fondo, passa le mani sotto il corpo di Rich e stringe, quasi volesse stritolarlo.

Chiede, e nella sua voce non c’è tenerezza, ma una rabbia appena contenuta:

- Va bene così?

La risposta di Rich non è immediata, c’è un momento di pausa:

- Sì, Bruce, va bene così.

La voce di Rich è come lo squillo di una tromba che segna l’attacco. Con un movimento rapido Bruce estrae quasi completamente il cazzo dal suo fodero di carne e poi lo affonda senza pietà, uno, due, tre, più volte. Non è il desiderio a guidarlo, non solo il desiderio. È una furia cieca, una volontà confusa di straziare quel corpo, di infliggere dolore. Ma mentre colpisce, come si affonderebbe una spada nel ventre del nemico, tutto il suo corpo urla di un piacere sconfinato.

Rabbia e desiderio si muovono insieme, ma la tensione che cresce nel suo corpo è più forte di tutto, cancella la rabbia e infine, con spinte brutali, brucia anche il desiderio che dai suoi coglioni esplode nel culo di Rich, lo sprofonda in un piacere violento, mentre nei suoi occhi è una successione interminabile di lampi.

Si abbandona sul corpo di Rich, un corpo alla deriva nell’oceano, affogato da un piacere troppo intenso. Non ci sono pensieri nella sua testa.

- Girati, Bruce.

Bruce fa per ritrarsi, uscire da Rich, ma le braccia di Rich gli impediscono di separarsi. Si ritrova su un fianco, poi disteso sul letto a pancia in aria, Rich su di lui. Ora che la nebbia incomincia a diradarsi, Bruce è contento di sentire che il suo cazzo è ancora dentro Rich.

La destra di Rich guida quella di Bruce fino alla meta. Bruce ora sente contro le dita il cazzo di Rich. Lentamente lo accarezza. Lentamente, poi più velocemente, mentre guarda affascinato la sua mano che guida Rich al piacere. Sente il tendersi del corpo di Rich e quel tendersi si trasmette al suo cazzo, che sta riprendendo consistenza, dentro il culo di Rich.

Rich geme e dalla cappella un getto chiaro si spande sul suo ventre, abbondante, interminabile.

Rich mette la sua mano su quella di Bruce per fermarla.

Rimangono così, Rich sopra, Bruce sotto, la mano di Rich su quella di Bruce.

Lentamente la testa di Bruce riprende a funzionare. E domande si accavallano, una babele di pensieri, di dubbi, di paure. L’eccitazione cala. Bruce ha bisogno di staccarsi da quel corpo che pesa sul suo, di ritornare nella sua stanza, di pensare. Di colpo Bruce si rende conto che non regge più, che deve togliersi, deve andarsene.

- È meglio che vada a dormire. Domani dobbiamo partire.

La scusa è assurda, non partiranno presto, Rich apre bocca, ma non dice nulla, scivola via. Bruce si alza, ma Rich lo bacia sulla nuca. Un bacio leggero. Bruce raccoglie gli abiti e passa nella sua camera. Sulla soglia dice appena:

- Buona notte.

Non si è nemmeno voltato.

Bruce ha chiuso la porta alle sue spalle. Gli sembra di sentirsi meglio, di essere più libero, ora. Si dice che non partirà domani, che non vuole andare via con Rich, che è meglio che Rich se ne vada via. E a quel pensiero è di nuovo una fitta lancinante al cuore.

Si siede sul letto e cerca di fare ordine nel casino indescrivibile che ha in testa. Che cosa è successo? Che cosa non ha funzionato? Che cosa non funziona? Un’unica cosa: la sua testa. Di questo Bruce è certo.

Che cosa è successo? I loro corpi si sono incontrati. Bruce sa di essere stato maldestro e violento, ma non aveva mai amato, non aveva mai scopato. Non è successo niente di terribile, hanno goduto entrambi. Certo, Rich ha un’altra esperienza, gli ha chiesto cose… Che cosa gli ha chiesto di così terribile? Di succhiargli il cazzo? È così diverso da metterlo in culo? Forse no, Bruce sa che deve imparare e imparare non è mai facile, costa fatica, si sbaglia, ma lui vuole imparare, con Rich.

E allora perché, perché tutti quei dubbi, la voglia di scappare, il desiderio di rimanere solo?

Non è facile uscire dalla gabbia, anche se la porta è aperta. Se hai trascorso tutta la tua vita in gabbia, non ne esci facilmente, perché quello che è fuori ti fa paura.

Bruce annuisce, anche se nella stanza non c’è nessuno ed ha spento la lanterna.

Rich è nella stanza a fianco e a quel pensiero il desiderio rialza la testa. Desiderio del corpo di Rich, ma anche di stare con lui, di stringerlo, di dormire con lui.

Quanto tempo è passato? Bruce non lo sa. Non molto, probabilmente. Forse Rich non dorme ancora.

Bruce si alza, raggiunge la porta, la apre piano. La stanza è immersa nel buio, ma gli occhi di Bruce si sono abituati all’oscurità e alla scarsa luce che filtra dalla finestra intravede il corpo di Rich steso sul letto.

- Rich?

La sua voce è appena un sussurro, ma Rich è sveglio –o quel sussurro è bastato a destarlo- e risponde:

- Sono qui, Bruce.

Bruce si avvicina. Ora è di fianco al letto. Guarda la forma indistinta che è Rich.

- Scusami, Rich, dovrai avere pazienza con me. Non… Non è facile.

Rich si è messo a sedere. Bruce non può vederne i tratti, ma la voce è serena:

- Non ti preoccupare, Bruce, so essere paziente.

Bruce allunga la mano verso quella testa che è a poche spanne da lui, la accarezza, si siede sul letto e cerca le labbra di Rich. La sua lingua ripercorre la strada che già conosce e questa volta lo fa senza sforzo.

La sinistra sfiora una gamba di Rich e freme al contatto di quel corpo nudo. La mano risale, fino a che incontra ciò che desidera. Bruce vorrebbe avvicinare le labbra a quel boccone di carne che la sua mano accarezza, ma avverte dentro di sé una resistenza.

Si baciano e si accarezzano, più volte, poi l’eccitazione è troppo forte per entrambi. Bruce guida il corpo di Rich a stendersi. Poi le sue mani accarezzano quel corpo, sentono il calore della pelle, la consistenza della carne, il velluto del pelo. Bruce si inginocchia di fianco al letto e avvicina il viso a quello di Rich, lo bacia ancora, poi sposta il viso percorrendo il corpo di Rich e l’odore che emana da quel corpo lo stordisce completamente. Il desiderio è un gorgo che lo trascina verso il basso e quasi non si rende conto che la sua bocca sta baciando l’ombelico di Rich, che la sua lingua si sporge timida ad assaporarne il gusto, che ora la sua bocca ha raggiunto la cappella e di nuovo la lingua esce a esplorare e sente la goccia che sta uscendo. Bruce ha smesso di ragionare e la sua lingua scorre ancora per tutta la lunghezza dell’asta ed è di nuovo l’odore a frastornarlo, quell’odore di maschio. Bruce ha in bocca il cazzo di Rich, ora. Non l’ha preso delicatamente, glielo dice il sussulto di Rich, il suo: -Piano! 

È bello sentirlo in bocca. Una voce lontana gli sta chiedendo che cosa sta facendo, ma Bruce non vuole sentirla e l’odore che gli riempie le narici, la carne calda che gli riempie la bocca, la pelle che le sue mani accarezzano, la sacca dei coglioni che ora la destra stringe, di nuovo con una certa ruvidezza, il nuovo sussulto di Rich, tutto è troppo forte perché quella voce arrivi fino a lui.

La sinistra, senza quasi che lui se ne rendesse conto, si è infilata tra le gambe di Rich ed il medio è risalito dietro i coglioni fino ad arrivare ad un punto che Bruce già conosce. Il medio si infila e per un attimo di nuovo la voce riemerge, più forte. Che cosa sta facendo? Succhia il cazzo a un uomo e gli mette un dito in culo!?

Sì, è quello che sta facendo, è quello che gli dicono di fare le sue mani, il suo naso, il suo cazzo, le sue labbra, i suoi coglioni. Il dito è entrato fino in fondo. Rich geme.

Bruce si stacca da Rich, lo volta ed è su di lui. Inumidisce, come ha imparato a fare, ed entra, questa volta con dolcezza, mentre bacia la schiena di Rich, la sua nuca, le spalle, i capelli. Entra fino in fondo e non c’è più nessuna voce a rompergli i coglioni, c’è solo quel culo caldo che lo accoglie e il desiderio feroce che sale dal suo cazzo.

Si muove con lentezza, degustando quel piacere, lascia che le sue mani e la sua lingua accarezzino il corpo di Rich, fino a che quel movimento lentissimo non cede di fronte all’urgenza del desiderio. Cerca di contenerlo, spinge con più forza, ma ancora con delicatezza, e poi non regge più, le spinte diventano violente, in rapida successione, come se Bruce volesse ogni volta entrare più a fondo dentro Rich.

Il piacere si tende fino a lacerarsi in una deflagrazione che si ripete, selvaggia e devastante, infinite volte.

L’eco dell’esplosione risuona ancora nelle sue orecchie, ma è solo il battito del suo cuore, che lentamente riprende il suo ritmo.

Rich non dice nulla, lascia che Bruce gli accarezzi i capelli con un dito.

Bruce si dice che lo ama. Vorrebbe dirglielo, ma non è ancora pronto.

Rapidamente estrae la sua arma, che già stava nuovamente spiegandosi, volta Rich e inghiotte avidamente quel bel cazzo teso. Non sa come muoversi, ma la sua lingua e le sue labbra trovano le parole da dire. La tensione sale in Rich, le mani di Bruce che ne percorrono il corpo la sentono.

- Sto per venire, Bruce.

Bruce si ritrae, le sue mani completano l’opera.

Bruce passa una mano sul corpo bagnato di Rich, poi si stende su di lui. È bello sentire i loro corpi che aderiscono, i ventri incollati dal seme profuso da Rich.

- Grazie, Rich.

Bruce scivola di lato. Non ha più voglia di tornare in camera. Il letto è stretto, ma ci possono dormire in due. Almeno ci proveranno.

Non dormono molto, ma in due si sta bene anche svegli.

 

Partono il giorno dopo. Eric li accompagna alla stazione. Bruce non sa quando lo rivedrà, quanto starà via, non sa che cosa gli riserva il futuro, non sa ed è inquieto. Ma è con Rich e questo è abbastanza.

Quando si salutano, Rich dice ad Eric:

- Grazie Eric, meno male che hai la testa dura…

Il viaggio è lungo e Bruce ha tutto il tempo per pensare, troppo tempo. Dubbi riaffiorano, prepotenti, e non è facile mandarli via. Ma il ricordo della sua notte d’amore con Rich lo aiuta. Solo due giorni dopo arrivano nella valle dove vive Rich. È un’ampia valle, chiusa al fondo e da un lato dalle montagne e dall’altro da una distesa di colline. La percorrono quasi tutta.

Arrivano a un punto in cui la strada si tiene un po’ più in alto. Da lì si vede la testata della valle.

- Ecco, dal fiume incominciano le mie terre, fino al bosco.

Bruce guarda la proprietà di Rich. La fattoria di Rich è l’ultima della valle. Oltre c’è solo un grande bosco, che si arrampica sul fianco delle montagne, a perdita d’occhio. La proprietà di Rich non è certamente grande come la sua, ma è vasta e anche se così a nord il raccolto non può essere abbondante come a sud, dovrebbe essere più che sufficiente per vivere comodamente. Perché Rich fa il bracciante?

Gli edifici non sono grandi, ma sono in buone condizioni. Non c’è nessun segno di povertà. Di nuovo Bruce si chiede perché Rich vada a fare il bracciante e allora formula la domanda:

- Perché lavori come bracciante? Questa terra dà abbastanza per vivere.

Rich annuisce.

- Sì, dà a sufficienza, ma il pane non è tutto, ci vuole il companatico. Negli ultimi cinque anni ho fatto il bracciante per andare a caccia di selvaggina.

Bruce ha intuito, ma aspetta una spiegazione più completa.

- Ho incominciato perché cercavo qualcuno con cui scopare. Quello si trova facilmente, ma non mi bastava, no, non mi bastava proprio. Così mi sono messo a cercare qualcuno con cui vivere. È più difficile, molto più difficile. L’anno scorso l’avevo trovato, ma era una testa di cazzo e, anche se ne aveva voglia, non riusciva a decidersi.   

Rich sorride ed anche Bruce sorride. Concorda perfettamente con la definizione rigorosa che ha dato Rich. Non saprebbe in che altro modo definirsi. Rich riprende:

- Ed io che me n’ero innamorato davvero. Mi ero cacciato in un bel guaio. Perché avevo sempre in testa lui. C’erano un sacco di altri con cui scopare, anche molto più belli, perché lui non è che sia bello, ma io avevo sempre in mente quella testa di cazzo, non riuscivo più a combinare niente con nessuno. Ci ho pensato tutto l’inverno. Di tornare a fare il bracciante da lui, no, non avevo proprio voglia. Non reggevo ad averlo vicino tutto il tempo e non poterci fare niente. Così ho deciso di passare a salutarlo, come se mi fossi trovato lì per caso, alla fine della stagione, per vedere se magari si era svegliato. Ma quando sono arrivato lì, non me la sono più sentita, ho deciso che non mi sarei neanche fatto vedere. L’ho guardato da lontano e poi me ne sono andato. Se non fosse stato per il fratello di quella testa di cazzo, uno che è una testa di legno, che non gli fai cambiare idea neanche se gli spari… Che razza di famiglia…

Rich scuote la testa.

Bruce non ha più dubbi. I pezzi sono andati al loro posto. Ora sa come stanno le cose e sa che quella che ha davanti è la sua nuova casa. Bruce non chiede di meglio.

Nella casa di Rich non dorme nessun altro. L’uomo che lavora per Rich e sua moglie, che fa da mangiare e pulisce la casa, dormono in un edificio all’altra estremità del cortile.

La notte si amano di nuovo. Non è più un amore muto, come a casa di Bruce. Sospiri e gemiti accompagnano il gioco dei loro corpi e Bruce scopre che è bello gemere, urlare, grugnire, ridere. Gli sembra che remore e paure siano svanite e che la strada sia tutta in discesa, ormai.

     

Il giorno dopo Rich lo porta in giro per il suo ranch e Bruce si scopre, senza che Rich gli abbia chiesto niente, a chiedersi come migliorare le rese. Sorride di se stesso, ma è fatto così. Nel pomeriggio Rich gli dice:

- E adesso andiamo al lago.

- Un lago?

- Certo, credi mica di essere l’unico ad avere un lago nella tua proprietà. Ce n’è uno anche qui. Più piccolo, ma bellissimo. Adesso andiamo lì, ci facciamo un bagno e scopiamo.

Bruce esita:

- Ma… non è che qualcuno magari ci vede…

Rich scuote la testa.

- No, in questa parte della valle non c’è nessun rischio.

Bruce è incerto, ma Rich lo trascina al laghetto.

È poco più di una pozza, formata da un torrente che precipita con una cascata. È in mezzo al bosco, un luogo isolato e raccolto.

Si spogliano e Bruce si dice per l’ennesima volta che Rich è bellissimo. Nuotano, si mettono sotto la cascatella. Escono e Rich lo guida un po’ più in alto, dove un grande roccione è illuminato dal sole. Si stendono, ma presto Rich incomincia a stuzzicarlo, ridono, Bruce fa finta di voler respingere Rich, che lo afferra. Lottano.

A un certo punto Rich riesce a bloccare Bruce a pancia in giù. Bruce non può muoversi, Rich gli accarezza il culo, ne stuzzica l’apertura con un dito e Bruce si tende.

Rich ride.

- Questo bel culo adesso me lo prendo.

Rich gli morde una natica con forza. Bruce si divincola. Bruce non vuole. Il suo corpo si rifiuta. Non accetta di cedere. Non è una scelta cosciente, è la reazione istintiva di un corpo che non è mai stato posseduto. Rich non capisce o forse non ci bada, afferra e stringe, ripete due volte:

- Adesso te lo metto in culo.

Con uno strattone Bruce si libera e si alza, Rich cerca di saltargli addosso, ma Bruce lo colpisce. Un pugno vibrato con forza, in faccia, che lo manda a terra. Dal naso di Rich ora scende sangue. Rich è in ginocchio e lo guarda, senza capire. Dal naso cola parecchio sangue.

Bruce si china, raccoglie i vestiti e si allontana. Prima di uscire dal bosco, si riveste. Poi si dirige verso la casa di Rich.

Sulla soglia si ferma, si appoggia allo stipite, perché la sofferenza è troppo forte.

Cerca di mettere a fuoco.

 

Rich si siede sulla riva del lago. Guarda lo specchio azzurro, ma non lo vede. Il naso gli fa male, ma quasi non se ne accorge. Automaticamente si passa il dorso della mano sul labbro, per togliere il sangue che cola. Guarda il sangue sulla pelle e si riscuote. Entra in acqua. Si lava la faccia e la mano. Poi torna a sedersi.

Vuole lasciare a Bruce il tempo di andarsene, di raccogliere le sue poche cose e di scomparire per sempre dalla sua vita. Di tornare nella sua gabbia. Non sa capire dove ha sbagliato o forse intuisce, ma non vuole pensarci, è troppo doloroso.

Lascia che passi un po’ di tempo. Poi raccoglie gli abiti, si riveste. Osserva la sua immagine riflessa nell’acqua. C’è ancora un po’ di sangue, ma non cola più. Rich si pulisce. Lentamente si avvia verso casa. La sua casa, che aveva sognato di dividere con Bruce. Aveva sognato di dividere una vita con Bruce.

La porta è aperta. Rich entra e poi la sbatte con forza, per chiudere fuori quel sole che continua a splendere feroce e indifferente, che ancora inonda la stanza attraverso le finestre. Rich vorrebbe cancellarlo. Vorrebbe urlare.

Chiude gli occhi, come ha fatto Bruce mezz’ora prima.

Quando li riapre si accorge che, vicino alla porta che dà sulla scala, c’è uno degli stivali di Bruce. Rich non capisce. Si avvicina e lo prende in mano, mentre sente una fitta dentro. Un’idea gli passa per la testa, un lampo. Con il cuore in gola si affaccia oltre la porta. Ai piedi della scala c’è l’altro stivale. Su uno degli ultimi gradini una giacca.

Rich sorride. Il cuore corre ancora all’impazzata, ma l’angoscia sta svanendo.

Nel corridoio c’è la camicia di Bruce. I pantaloni sono sulla soglia della camera da letto.

Rich raggiunge la porta e guarda dentro.

Bruce è disteso a pancia in giù, le gambe ben allargate, la testa rivolta verso la parete opposta.

Rich guarda quel bel culo robusto, coperto da un leggero velo di peluria.

Gli è già venuto duro. Lentamente si spoglia. Sa che Bruce ha avvertito la sua presenza, anche se non dà segno di essersene accorto.

Ora è nudo, si avvicina al letto. Si tocca il naso, dolorante. Si dice che ne valeva la pena. E che domani Bruce avrà male al culo.

     

2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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