L’ultimo giorno di Big Rob

 

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Robert O’Connor, detto Big Rob, fu catturato e giustiziato il 28 agosto del 1885.

Io avevo allora sedici anni e vivevo con i miei genitori e i miei fratelli nella nostra fattoria di Onaga, in Kansas. Avevo smesso di andare a scuola e aiutavo i miei. Di studiare non avevo mai avuto voglia. Detestavo l’ambiente opprimente della scuola: amavo la vita all’aria aperta, cavalcare nella prateria e nuotare nudo nel laghetto, arare e seminare, mietere il grano e curare gli animali. La fatica fisica non mi spaventava.

Quel giorno di agosto faceva un caldo fottuto e, dopo aver munto le vacche e aver dato da mangiare ai maiali, mi ero disteso nel fienile a riposare un po’. Non c’era nessuno: i miei erano tutti andati a Corning per il funerale di zia Betty e non sarebbero stati di ritorno prima di sera. Io ero rimasto per sorvegliare e soprattutto per badare agli animali: il viaggio fino a Corning richiedeva tutto il giorno e non c’era nessuno a cui potessimo lasciare la fattoria per un giorno intero. Quello che dovevo fare, l’avevo fatto, e ora potevo riposarmi.

Spesso d’estate mi divertivo a cavalcare, ma in quei giorni faceva troppo caldo: sembrava che al finire della stagione le temperature si fossero messe a salire, invece di calare. Pur avendo iniziato presto a fare quello che dovevo, quando avevo finito ero in un bagno di sudore. Più tardi contavo di scendere al ruscello a rinfrescarmi e verso sera di cavalcare un po’.

A quell’ora perfino nel fienile, immerso nell’ombra, sembrava di essere in una fornace.

Potevo riposare tranquillo. La nostra fattoria era piuttosto isolata ed io sapevo che non avremmo avuto visite. O almeno lo credevo, perché fu un giorno piuttosto movimentato.

Ero disteso tranquillamente sopra un po’ di fieno, in un angolo all’ombra, quando la porta del fienile venne aperta e richiusa rapidamente. Girai la testa per vedere chi era arrivato ed ebbi un tuffo al cuore.

L’uomo che avanzava, guardandosi attorno, una pistola spianata, doveva avere circa cinquant’anni. Era di media statura, ma piuttosto corpulento, con una grande pancia che i pantaloni non riuscivano a contenere: perciò la cintura passava sotto la pancia, sostenendola invece di stringerla.

Intuii immediatamente chi era quell’uomo, anche se non lo avevo mai visto prima: Robert O’Connor, il feroce Big Rob, un bandito che aveva assaltato uffici postali e banche da Omaha a Lincoln, da Fremont a Topeka, da Salina a Kansas City. La taglia sulla sua testa era andata crescendo, man mano che si allungava la lista dei suoi colpi e delle sue vittime.

Da tempo diversi cacciatori di taglie si erano messi sulle sue tracce, ma Big Rob era sempre riuscito a sfuggire. Più d’uno di quei temerari aveva pagato con la vita la propria audacia. Si diceva che nei loro confronti Big Rob si dimostrasse particolarmente efferato, che avesse violentato un ragazzo che gli dava la caccia insieme al fratello, prima di tagliargli la gola, che avesse castrato il famoso Butch Kenneth e alcuni altri. Le dicerie sul suo conto erano infinite e tutte le peggiori si affacciavano nella mia testa in quel momento.

Ero nella merda, in pieno. Le mie possibilità di uscire vivo da quel fienile, se Big Rob mi avesse visto, erano più o meno pari a quelle di una nevicata in quel 28 di agosto, in cui perfino il metallo sembrava liquefarsi.

Ed io ero perfettamente visibile, anche se Big Rob non mi aveva ancora visto. Aveva dato un’occhiata anche dalla mia parte, ma i suoi occhi non si erano ancora abituati all’oscurità che regnava nel fienile. E lui stesso aveva richiuso la porta dopo essere entrato.

Che cosa potevo fare? Alzarmi e nascondermi? Mi avrebbe senz’altro notato immediatamente ed avrebbe sparato prima di accorgersi che ero nudo e disarmato. Big Rob era famoso perché sparava senza preoccuparsi di chi aveva di fronte. Pare dicesse che se un uomo era pericoloso, era meglio colpirlo subito, senza dargli il tempo di reagire. Se non era pericoloso, pazienza, un morto in più o in meno per lui non faceva differenza.

Rimanendo disteso, mi avrebbe ugualmente visto. Ma forse non mi avrebbe ucciso subito.

Big Rob si stava guardando intorno, ora, e mi resi conto, dall’irrigidirsi del suo corpo, che mi aveva scorto, o almeno aveva intravisto una figura umana in quell’angolo buio del fienile. Puntò la pistola nella mia direzione. Era famoso per non sbagliare un colpo.

- Merda - pensai - è finita!

Big Rob si avvicinò lentamente, la pistola puntata su di me. Io ero completamente paralizzato dal terrore e non ero in grado di muovermi. Lo vidi avvicinarsi, fino a che fu a tre passi.

Ora potevo vederlo da vicino, molto più da vicino di quanto avrei mai desiderato.

Big Rob doveva aver corso, perché sull’ampio petto villoso scendevano rivoli di sudore e la camicia aperta era completamente inzuppata. Non solo di sudore: da una ferita alla spalla sinistra colava sangue, che aveva bagnato la manica.   

Lo guardai in faccia. Aveva capelli lunghi, più grigi che castani, e la fronte era molto alta, perché era piuttosto stempiato. Portava i baffi molto lunghi, che erano ancora di un castano scuro, e una barba corta, in cui prevalevano i peli bianchi. Il naso aquilino, il mento squadrato, la postura del corpo, tutto rivelava un uomo forte e deciso, che non era disponibile ad arrendersi, anche se era ferito e braccato.

Mi guardò un buon momento, senza dire una parola. Vidi i suoi occhi percorrere tutto il mio corpo, dalla testa ai piedi. Lo vidi che cercava i miei abiti, ma c’erano solo i pantaloni e gli stivali, non lontano. Si avvicinò ai pantaloni e diede un calcio, lanciandoli lontano. Quel movimento brusco mi fece sobbalzare. Probabilmente voleva controllare che non avessi una pistola messa accanto ai vestiti.

Io avevo cominciato a sudare, anche se ero perfettamente immobile. Mi sembrava che se avessi mosso un dito, Big Rob mi avrebbe fulminato. E probabilmente era vero.

- Non hai una camicia, ragazzo?

Deglutii e a fatica articolai, con un filo di voce:

- Qui no, ma posso andare a prenderla in casa.

Big Rob rise. Aveva una risata aspra, sembrava che ti passasse un cespuglio di rovi sulla pelle.

- Mi credi così coglione? Tu di qui non esci, non vivo.

Infilò la pistola nel cinturone e liberò la destra dalla manica della camicia, poi con cautela sfilò l’altra manica. Guardai senza parola quel torace da lottatore e quel ventre maestoso. Il viluppo di peli era particolarmente fitto intorno ai capezzoli e al centro dell’addome, ma una peluria densa copriva tutto il torace, il ventre, le braccia. Mi gettò la camicia addosso.

- Prendi la camicia e tienila allargata. Muoviti!

Mi misi a sedere, presi la camicia ed eseguii i suoi ordini, senza capire che cosa volesse fare. Mi tremavano le mani, ma cercai di vincere il tremito, per non irritarlo. Big Rob estrasse il coltello e lacerò la camicia con tagli verticali.

- Ora stracciala, in modo da farne delle strisce.

Strappai la tela con facilità, poi lo guardai. La mia mente si rifiutava di pensare. Vagamente mi dicevo che finché gli fossi stato utile, non mi avrebbe ammazzato. Finché gli fossi stato utile.

- Ora bendami la ferita, ben stretto.

Continuava a tenere il coltello in mano. Con un ghigno, mi disse:

- E non fare scherzi.

Si sedette sul fieno, mentre io mi alzavo per osservare la ferita. Tutta la spalla e buona parte del braccio erano coperti di sangue. Altro sangue era colato lungo il fianco sinistro. Doveva averne perso parecchio.

Mi misi all’opera. Sapevo bendare una ferita. Strinsi quanto era necessario per fermare l’emorragia e fissai la fasciatura con cura.

Big Rob non mi toglieva gli occhi di dosso. Mi chiedevo se ora che avevo finito non mi avrebbe ucciso.

- Sei un bel ragazzo.

La sua voce era diversa, ora. Una voce meno aspra, quasi pastosa. 

- Toglimi gli stivali.

Tese la gamba destra. Mi sedetti sulla sua gamba, dandogli il culo, mentre tiravo lo stivale. Intanto lui mi premeva il culo con l’altro piede, fino a che lo stivale non venne via.

Dopo che ebbi ripetuto la manovra con l’altro stivale, si alzò.

Mi sovrastava di una spanna.

- Hai un bel culo, ragazzo.

Deglutii, incapace di parlare.

- Calami i pantaloni.

Sentii che mi si seccava la bocca. Sapevo che non avevo scelta, che non potevo fare altro che ubbidire. Ed ubbidire in fretta.

Slacciai la cintura, tenendo le mani lontane dalla pistola. Big Rob aveva il coltello in mano e sapeva servirsene.

Quando sciolsi la cintura, i pantaloni caddero da soli.

Avevo visto uomini nudi, più volte. In estate, dopo i grandi lavori agricoli, spesso ci andavamo a bagnare al fiume, ragazzi e adulti. Ce n’erano alcuni che avevano un cazzo superbo e noi ragazzi li guardavamo intimoriti. In particolare uno dei neri che lavoravano dai Dodge era un vero stallone ed io ricordavo di averlo spiato più volte. Mi incuriosiva e mi dava una sensazione strana, che non avrei saputo spiegare. Ma mi piaceva guardalo. E a volte pensavo a lui, mentre mi facevo una sega.

Anche Big Rob era un vero stallone e soprattutto aveva un paio di coglioni come non avevo mai visto: sembravano due mele, coperte da una peluria scura, che li faceva sembrare ancora più grossi.

Big Rob liberò i piedi dai pantaloni.

- In ginocchio, ragazzo.

Eseguii. Ora avevo davanti agli occhi il gran maestro di cerimonie e la sua fida scorta. Intuii che cosa stava per succedere.

- Succhiami il cazzo, ragazzo.

Non esitai. Non esitai perché sapevo che alla minima contrarietà Big Rob mi avrebbe tagliato la gola senza provare più rimorsi di quelli che provavo io quando tiravo il collo a una gallina. Non esitai perché quello che dovevo fare non mi sembrava così terribile, anzi, se devo essere sincero, mi incuriosiva e forse mi attirava. Se l’uomo davanti a me non fosse stato Big Rob, se non avesse avuto in mano il coltello e ai piedi la pistola, probabilmente mi sarei messo all’opera se non proprio con entusiasmo, almeno con una buona dose di curiosità. Non mi dispiaceva scoprire che sapore aveva il cazzo di un maschio. E quanto al fatto che Big Rob fosse un vero maschio, non c’erano dubbi.

Il cazzo era teso in avanti, non ancora completamente duro. La cappella emergeva appena dalla pelle. Avvicinando la bocca al randello, ne sentii gli odori, odori forti. Odore di sudore, di piscio, di sborro. Odore di maschio. Odori che mi stordivano, odori che mi eccitavano.

Aprii la bocca il più possibile per accogliere quell’arnese alquanto ingombrante. Non avevo mai succhiato un cazzo. Non pensavo nemmeno che si potesse fare, che si facesse. Sapevo poche cose sul sesso con le donne, nulla sul sesso tra uomini, anche se spesso mi ero ritrovato a guardare con interesse i maschi più vigorosi, quando ci bagnavamo al ruscello.

Era bello sentire quella carne morbida e piena nella mia bocca. Mossi avanti e indietro la bocca, accarezzando con la lingua l’aquila rampante, che sentivo indurirsi e crescere ancora, riempiendomi la bocca. Era bello sentirne la consistenza e la forza, ma era difficile tenerlo: tendeva a innalzarsi e solo la mia bocca lo manteneva ancora in orizzontale. Ma io non intendevo mollare la mia presa. Mi sembrava che il calore di quel cazzo glorioso si propagasse dentro di me, nella bocca, nella testa, in tutto il corpo, accendendomi. Sentivo che anche a me stava per venire duro, nonostante la paura.

E succhiavo, mettendoci tutta la mia energia, dimentico del coltello che Big Rob ancora stringeva. Ora avrei continuato, anche se Big Rob fosse stato disarmato, anche se fosse stato legato. Succhiavo, ogni tanto leccavo, tiravo un po’ indietro la testa e poi inghiottivo, il più possibile, fino a che non sentivo quell’esemplare fenomenale di fucile statunitense raggiungere la mia gola.

- Sei una troia, ragazzo, ma ci sai fare. Ora stenditi sul fieno.

Le parole di Big Rob mi scossero. Mollai la mia preda, che guizzò in alto, mettendosi perfettamente sull’attenti. La fissai ammaliato, poi alzai lo sguardo sul viso di Big Rob. La sua espressione non era cambiata. Era tranquillo e padrone di sé, pronto a tagliarmi il collo al minimo cenno di ribellione.

Quello che stava per succedere mi spaventava. Avevo paura, una paura dannata, anche se nello stesso tempo sentivo di desiderarlo. Comunque non avevo scelta: il coltello nelle mani di Big Rob non me ne lasciava nessuna. E non so se, potendo scegliere, mi sarei tirato indietro.

Mi stesi a pancia in giù. Sentii l’odore del fieno su cui appoggiavo il viso. Fissai la parete davanti a me, la fessura tra le travi da cui entrava un piccolo raggio di sole. Aspettavo, diviso tra la paura ed il desiderio.

- Allarga le gambe.

Eseguii.

Due dita bagnate percorsero il solco tra le natiche alla ricerca dell’apertura. Le sentii accarezzare ruvidamente il buco, facendo pressione per entrare, e mi tesi.

- Non stringere, ragazzo.

Cercai di calmarmi. La pressione delle due dita non era così molesta, anche se nel momento in cui si fecero avanti, dilatando l’entrata, mi fecero trasalire. Le due dita rimasero un momento ferme sulla soglia, poi si mossero un po’, stuzzicando. Non era spiacevole. Un po’ fastidioso, ma non spiacevole. Per nulla. Poi un dito si spinse più avanti, esplorando il terreno, e il compagno lo seguì. Scivolarono dentro, costringendo il padrone di casa ad accogliere i due ospiti, non invitati, un po’ ingombranti, ma tutto sommato benvenuti. I visitatori indugiarono a lungo, premendo contro le pareti. Dal culo salivano sensazioni del tutto nuove e intensissime. Era bello sentire dentro di me quella presenza, forte e potente. Quella mano che si faceva strada era il mio padrone ed io mi abbandonavo, schiavo sottomesso e docile, alla sua presenza. Poi però, lentamente, i visitatori lasciarono il campo appena arato. Sentii il contatto svanire con un certo rimpianto.

Ma le due dita ritornarono, più umide di prima, e questa volta entrarono senza difficoltà in un fortino che aveva rinunciato ad ogni difesa. Era una sensazione forte, quella delle dita che entravano e stuzzicavano, sempre più forte, che mi faceva gemere. Una sensazione un po’ dolorosa, ma altrettanto piacevole. Forse più piacevole che dolorosa.

Le due dita uscirono nuovamente e avvertii il peso di Big Rob che mi schiacciava. Era un peso massimo, ma sentirlo premere sulla mia schiena non era sgradevole. Essere coperto da quel grande corpo, avvertire sulla schiena la sua pancia, il suo torace massiccio, sapere di essere nelle sue mani, completamente senza difese, con la certezza che presto mi avrebbe infilzato… Il desiderio si impennò, violento. Volevo quel corpo che mi schiacciava, sì, lo volevo. Volevo che mi prendesse, mi penetrasse, mi facesse suo.     

La mano di Big Rob mi strinse la chiappa destra, facendomi sobbalzare, e contro la porta posteriore sentii la presenza del suo grande cazzo, che avanzava sicuro, certo di poter travolgere ogni ostacolo. Dopo un simulacro di resistenza, la carne cedette. Ora lo spiedo mi trapassava le viscere e mi accendeva il culo e tutto il corpo.

Provavo dolore, ma non avrei voluto che smettesse. Quell’entrare dentro di me, lento, ma inesorabile, mi martoriava il culo, ma moltiplicava il mio desiderio. Io non volevo nient’altro, solo quella spada che mi trapassava, incendiandomi le viscere. Lo volevo con tutto il mio corpo, non potevo desiderare altro, non esisteva altro.

Quando fu tutto dentro di me e sentii il suo ventre battere contro il mio culo, mi resi conto che non ero meno eccitato di lui. Era atroce e bellissimo. Un dolore intollerabile e un piacere altrettanto insopportabile.

Cominciò a spingere. Prima piano, con piccoli colpi che moltiplicavano il dolore e il piacere. Poi con forza e decisione. Mi sfuggì un gemito. Mi tappò la bocca con la mano. Continuava a spingere, squassandomi, e quel palo che mi scavava dentro mi faceva conoscere il paradiso e l’inferno.

Io continuavo a gemere, ma la mano impediva che i miei lamenti uscissero. Gemevo per la sofferenza di quella spada che mi torturava e per il piacere di quel palo che mi trafiggeva. Non avrei voluto rinunciare a quel piacere, ma nemmeno a quella sofferenza: mi sembrava che l’una e l’altro si rinforzassero a vicenda e che non avrei goduto tanto se non avessi anche patito tanto.

A un certo punto Big Rob prese a spingere con più forza ed io sentii un dolore violento, che per un attimo cancellò il piacere. Sembrava che Big Rob volesse trapassarmi da parte a parte, in una serie di colpi sempre più violenti. Ma nello stesso tempo il mio piacere saliva. Avrei voluto gridare, gridare che volevo quel cazzo nel mio culo, per sempre, che volevo quel dolore, quello spiedo nella carne. Urlai, anche se la mano impedì all’urlo di farsi avanti. Urlai mentre dai coglioni una tensione nuova saliva e con una violenta esplosione il mio seme si spandeva. Sentii nel culo il seme di Big Rob, che scorreva a fiotti.

Mi abbandonai, esausto, sul fieno. Avrei voluto tenere quel cazzo dentro di me, ma Big Rob l’estrasse quasi subito, mentre mi toglieva la mano dalla bocca.

- Sei una vera troia, ragazzo, una vera troia.   

Non dissi nulla, incapace di replicare. Mi andava benissimo essere una troia, purché lui fosse il mio porco, purché mi montasse come si monta una troia, ogni minuto, ogni secondo. Lo volevo ancora. Ero pronto a fuggire con lui, dovunque volesse andare, e stavo per dirglielo. Ma prima che riuscissi ad aprire la bocca, sentii una voce forte, che proveniva da fuori.

 - Esci fuori, Big Rob, sappiamo che sei nel fienile.

La voce mi riportò alla realtà. Ero chiuso nel fienile con un assassino, braccato da sceriffi e cacciatori di taglie.

Big Rob si alzò e si chinò per raccogliere i pantaloni. Guardai il suo culo. Quel culo grande, abbondante, anch’esso coperto dalla stessa peluria che correva su tutto il corpo. Il solco tra le natiche, nero di peli. Anche il buco del suo culo doveva essere coperto da peli. Avrei voluto stringerlo, baciarlo, passare la lingua lungo quel culo, morderlo.

Big Rob si infilò i pantaloni. Aveva già in mano la pistola e si guardava intorno.

- Merda! Merda!

Mi misi a sedere. Non volevo che lo prendessero. Non volevo che lo uccidessero. Volevo salvarlo. Salvarlo e fuggire con lui. Gli dissi:

- Nascondiamoci nel fieno.

Mi guardò e scosse la testa.

- Inutile. Sanno che sono qui. Hanno seguito le tracce. Non credevo che le ritrovavano, dopo il fiume. Non dovevo fermarmi qui. Merda!

La voce risuonò di nuovo:

- Muoviti a uscire, o incendiamo il fienile.

Incendiare il fienile in quelle giornate secche e calde, dopo un’estate come quella, avrebbe voluto dire distruggere tutta la fattoria, ma quelli se ne fottevano. I cacciatori di taglie erano dei figli di puttana, la feccia dell’umanità, come diceva mio padre, che accomunava nello stesso disprezzo i banditi e coloro che li cacciavano per un pugno di soldi. La taglia su Big Rob non era però un pugno di soldi. Era una somma enorme.

- Tu nasconditi, ragazzo. Non sanno che sei qui e non gliene fotte niente di te.

- E tu, che fai?

- Io li affronto. Sono in quattro, ma preferisco le pallottole. Non ho voglia di ballare per loro appeso a una trave. Su, muoviti.

Io presi i pantaloni e mi arrampicai sulla scala, fino a distendermi in alto, dove il fieno accatastato mi nascondeva alla vista, ma potevo vedere, spiando sotto una trave, tutto ciò che accadeva nel fienile.

Big Rob era già alla porta.

Aveva la pistola in mano. Con un calcio spalancò la porta e si mise a correre, sparendo dalla mia vista. La luce aveva inondato il fienile. Due spari, un terzo, un quarto. Poi voci, qualcuno che gridava:

- Basta, non sparate più.

Mi dissi che Big Rob era morto. E in quel momento mi resi conto che dal culo mi stava colando un po’ del suo sborro.

Sentii ancora voci e poi successe quanto non avevo previsto.

Li vidi arrivare. Erano in quattro e portavano con sé Big Rob. Era vivo, ma non riusciva a camminare, per una ferita alla coscia destra. Aveva parecchio sangue intorno alla bocca e sulla barba. Probabilmente quando lo avevano colpito alla coscia ed era caduto, gli erano saltati addosso e l’avevano preso a calci.

Due uomini sostenevano Big Rob, gli altri due lo seguivano, le pistole in mano. Un uomo, il più anziano, aveva la pistola di Big Rob.

- Qui è perfetto. Lo impicchiamo alla trave.

L’uomo che aveva parlato era un trentenne, piuttosto corpulento, quasi calvo, con una fitta barba scura; era uno dei due che trascinavano Big Rob. Gli rispose il suo compagno, un gigante biondo, più giovane:

- Sì, ma prima voglio divertirmi un po’. Mettiamolo lì, sul fieno.  

Lo trascinarono sullo stesso mucchio di fieno dove Big Rob mi aveva inculato pochi minuti prima. Lo stesero a pancia in giù e gli tolsero i pantaloni.

Erano proprio sotto di me e potevo vederli benissimo. Potevo vedere il grande culo di Big Rob, quel culo grande e peloso. Pensai che Big Rob poteva sentire sotto la pancia l’umido del mio sborro ancora fresco.

Il gigante biondo si calò i pantaloni. Aveva un cazzo proporzionale alla statura, ancora a riposo. Se lo accarezzò fino a che divenne duro e poi infilzò Big Rob con un colpo secco, che lo fece sobbalzare. Poi cominciò a spingere impetuosamente. Gli altri assistevano, ridacchiando. Solo l’uomo più vecchio sembrava indifferente.

Vedere che qualcuno inculava Big Rob mi fece un effetto strano. Mi sembrava impossibile. Ma quegli uomini lo avevano battuto e lo avrebbero ucciso. Erano stati più forti di lui. E ogni desiderio di salvare Big Rob si spense. Non avrei potuto salvarlo in ogni caso, solo e disarmato contro quattro pistoleri professionisti. Ma non mi interessava più salvarlo. Guardavo affascinato quel grande cazzo che entrava e usciva da quel culo e provavo sensazioni confuse: avrei voluto essere al posto di Big Rob; avrei voluto essere al posto del gigante che lo inculava; avrei voluto avere anch’io la mia parte. Cominciai ad accarezzarmi il cazzo, che stava già alzandosi in piedi.

Il gigante però venne quasi subito, mettendo fine allo spettacolo. Mentre si tirava su i pantaloni, facendo scomparire la sua arma, parlò a Big Rob:

- Questo è per mio fratello. Ma è solo la prima parte.

Poi si rivolse ai compagni:

- Qualcun altro vuole accomodarsi?

Gli altri alzarono le spalle.

- Non perdiamo tempo.

- Vado a prendere la corda.

Quello che aveva parlato era un uomo giovane, con la pelle molto scura, probabilmente un mulatto. Uscì, mentre gli altri forzavano Big Rob ad alzarsi. Il gigante ridacchiò e si rivolse a Big Rob:

- Ti è piaciuto il servizio?

Big Rob non rispose. L’uomo corpulento disse:

- Tra poco ti fai un gran ballo!

Io guardavo Big Rob, che sembrava del tutto indifferente. Eppure sapeva che stava per morire. E che non sarebbe stata una bella morte.

 Il mulatto ritornò quasi subito, con una corda. Cominciò ad annodarla per fabbricare il cappio. Ci sapeva fare, perché in breve il capestro fu pronto. Io avevo smesso di accarezzarmi, ma vedendo il capestro prendere forma sotto le sue dita, sentii nuovamente il desiderio afferrarmi ai coglioni e salire.

Il mulatto lanciò il capestro oltre la grande trave che reggeva il soffitto. Poi lo lanciò una seconda volta e annodò l’altra estremità della corda ad un palo. La forca era pronta. Il mulatto lego le mani di Big Rob dietro la schiena. Nel farlo forzò il braccio ferito e per un attimo il viso di Big Rob si contrasse in una smorfia.

Ora il cappio penzolava in mezzo al fienile. Dietro potevo vedere Big Rob tra il gigante biondo e il trentenne corpulento. Il quarto uomo, più vecchio degli altri, rimaneva in disparte, senza parlare.

Big Rob guardò il cappio e poi guardò oltre di esso, mi guardò direttamente negli occhi. Non poteva vedermi, poteva appena intuire dov’ero, dato che mi aveva visto salire, ma sapeva che stavo godendomi la scena. Sorrise.

Il gigante biondo si rivolse all’uomo più anziano, che in realtà non doveva essere molto oltre i quaranta:

- Prendiamo un cavallo, Ken?

Ken scosse la testa.

- No, il nodo è in basso. Se lo mettiamo sul cavallo, il salto è troppo alto, finisce che crepa subito. Meglio una cassa, uno sgabello.

Si guardarono intorno. Non c’erano casse o sgabelli, ma trovarono una panca. La misero sotto il cappio.

Poi si avvicinarono a Big Rob, che li lasciò fare. Non oppose resistenza, ma non riusciva a reggersi sulla gamba ferita e gli altri dovettero sollevarlo quasi di peso per farlo salire sulla panca.

Poi tutti scesero, lasciando soltanto Big Rob e il mulatto sulla panca. Il mulatto infilò il cappio intorno al collo di Big Rob. Fece una certa fatica, perché la corda arrivava appena a cingere il collo di Big Rob. Ora la corda era tesa e già comprimeva il collo di Big Rob, che però riusciva ancora a respirare.

La caduta sarebbe stata minima, il collo non si sarebbe spezzato e l’agonia sarebbe stata lunga.

Il mulatto scese e, con l’aiuto del gigante biondo spostò la panca. Big Rob rimase sospeso alla corda. Ci fu un attimo in cui non successe nulla, poi Big Rob incominciò a scalciare. Agitava disperatamente le gambe, soprattutto quella sana, cercando una superficie su cui poggiarle. Gli uomini ridevano, ma vidi che il grassone si era infilato la mano nei pantaloni e stava facendosi una sega. Anche la mia mano scese al ventre, dove il cazzo reclamava la sua parte.

Guardavo il corpo di Big Rob, su cui il sudore luccicava. Rivoli di sudore si perdevano tra i peli del petto e dalla ferita alla gamba usciva ancora sangue. La bocca era spalancata e ne colava un filo di bava, che scendeva sulla barba, mescolandosi al sangue e al sudore. Gli occhi erano dilatati e il viso stava incominciando ad arrossarsi. Big Rob stava morendo ed io mi accarezzavo, nella più bella sega della mia vita.

Ci fu un momento in cui l’agitarsi del corpo divenne frenetico, le gambe si sollevarono e quella sana si piegò fino a raggiungere il petto, mentre anche le braccia, bloccate dalla corda, cercavano di liberarsi. Poi il movimento rallentò, mentre la faccia diventava sempre più rossa e la saliva scendeva più abbondante.

Guardavo il corpo di Big Rob che ancora si agitava, ma sempre meno. Guardavo il cazzo, che si tendeva, sempre di più, fino a essere grande e duro come l’avevo visto io. Come l’avevo sentito io. Quel cazzo era stato nella mia bocca e nel mio culo meno di mezz’ora prima. L’avrei voluto ancora, mi pareva di sentirlo ancora. Mentre con la destra mi accarezzavo, portai la sinistra al culo e mi stuzzicai il buco. Sentivo il piacere salire, salire.

I movimenti di Big Rob divennero più lenti: muoveva appena le gambe e il corpo ondeggiava. Poi sembrò che un brivido lo percorresse e dal cazzo superbamente proteso verso l’alto guizzò l’ultimo getto di sborro.

Venimmo insieme, Big Rob, per l’ultima volta della sua vita, io e il grassone.

Mentre mi stavano uscendo le ultime gocce, il gigante si avvicinò a Big Rob. Aveva il coltello in mano. Vibrò un colpo dal basso, con forza, recidendo di netto il cazzo di Big Rob. Il sangue schizzò e il bandito ebbe un guizzo violento: era ancora sufficientemente cosciente per sentire il coltello che gli entrava nella carne.

- Questo è per i maiali.

Così dicendo, il gigante uscì dal fienile, con il cazzo del fuorilegge in mano.

Big Rob sussultava, come scosso da un forte tremito, mentre ancora scalciava. Ben presto ogni movimento si smorzò. Big Rob dondolava appena, la testa reclinata in avanti, la lingua fuori dai denti. Le gambe però si muovevano leggermente.

Il gigante rientrò nel fienile, un sorriso soddisfatto sulle labbra. Vedendo che Big Rob non era ancora morto, gli passò dietro e si accovacciò, afferrò le gambe e le tirò con forza. Ogni movimento cessò. Big Rob era morto, una corda al collo, una ferita sanguinante tra le gambe.

Tagliarono la corda ed il corpo cadde con un tonfo, a pancia in giù. Il gigante si avvicinò, aprì i pantaloni e pisciò sul cadavere, imitato dal mulatto e dal grassone. Guardavo quei tre pisciare sulla testa, sulla schiena e sul culo di Big Rob: il loro piscio luccicava alla luce che entrava dalla porta del fienile, sembrava oro liquido. Un oro scuro, quasi rossastro, per il mulatto, più chiaro per gli altri due. A me pareva che fosse una buona cerimonia funebre: quando nasci ti bagnano la testa con l’acqua per battezzarti, quando muori impiccato ti pisciano addosso per darti il viatico per l’inferno.

I tre finirono e si stavano risistemando, quando Ken sparò. Tre colpi, in rapidissima successione, con la pistola di Big Rob. Tre colpi che presero al cuore il gigante, che era rivolto verso Ken, ed alla testa il grassone ed il mulatto, che erano di schiena. Caddero a terra tutti e tre e solo il gigante ebbe un movimento convulso prima di rimanere inerte. Il mulatto cadde con la faccia nella pozza di piscio che si allargava accanto al cadavere di Big Rob.

Io rimasi paralizzato dallo stupore, ma poi capii. C’era una forte taglia su Big Rob. Divisa per quattro era una bella cifra, ma per uno solo era una somma incredibile. I cacciatori di taglie erano davvero la feccia dell’umanità e quel Ken era un bell’esemplare della specie. Ma non lo disprezzavo: era stato più furbo e più deciso degli altri. In fondo disprezzavo quei tre che si erano lasciati fottere come coglioni. Ken era realmente un uomo.

Ken uscì. Io rimasi immobile: sapevo benissimo che sarebbe tornato e che se solo avesse sospettato la mia presenza, mi avrebbe ucciso immediatamente, poi avrebbe detto che Big Rob mi aveva ammazzato, come aveva accoppato i suoi tre compari.

Ken tornò con quattro cavalli. Vi caricò sopra i cadaveri, con una certa fatica, ma era un uomo forte. Li legò, in modo che non cadessero, e legò i cavalli gli uni agli altri. A Big Rob infilò i pantaloni, prima di metterlo sulla sella, poi salì anche lui sulla sua cavalcatura. Afferrò le briglie del primo cavallo della fila e uscì dal fienile, portandosi dietro anche gli altri.

Sentii lo scalpitio degli zoccoli che si allontanava. Forse era imprudente uscire subito dal mio nascondiglio, ma sapevo che non sarebbe tornato. Scesi e mi avvicinai al punto in cui il cadavere di Big Rob era caduto al suolo, quando avevano tagliato la corda. In terra c’erano le macchie di sangue ed intorno la pozza di piscio. Ma sul fieno potevo vedere brillare alla luce del sole una goccia di sborro di Rob.

 

2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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