Lo spazzolino lo fornisce la Qantas

 

Sfondo5

 

Nel salire le scale Antonio sentì che gli mancava il fiato. Continuava per abitudine a salire a piedi, ma ormai doveva fermarsi sul pianerottolo tra il secondo  ed il terzo piano per riprendere fiato. Come al solito sentiva il peso che lo opprimeva, la stretta intollerabile che gli chiudeva lo stomaco. Pensò che tra poco sarebbe passata.

Come ogni giorno nell'ultimo mese, eseguì meccanicamente i gesti abituali: appese il giaccone all'attaccapanni, si tolse le scarpe e si infilò le pantofole. Poi prese la bottiglia ed il bicchiere ed andò a sedersi in poltrona. Cominciò a versarsi da bere. Bevve un sorso di whisky, poi un altro. Al secondo bicchiere il senso di oppressione cominciò ad allentarsi ed una piacevole sensazione di calore scacciò il freddo invernale.

Si versò il terzo bicchiere e guardò il liquore. Aveva un bel colore ambrato.

Prima di bere, si chiese dove sarebbe finito. Sarebbe passato a farsi di ero? Poteva essere una bella idea, per uno che in tutta la sua vita aveva fumato sì e no due spinelli.

D'altronde fino a qualche mese prima beveva solo quando mangiava al ristorante o era a cena da amici e mai superalcolici, solo vino. Aveva imparato in fretta, maledettamente in fretta.

Qualche mese prima. Nove mesi, o sei, a seconda di dove si cominciava a contare. Dove cominciava la fine. La botta era stata nove mesi prima, ma quella non sarebbe stata sufficiente.

Il colpo, quello finale, era stato sei mesi prima, ma lui non aveva iniziato subito a bere. Per alcuni mesi aveva pensato che ce l'avrebbe fatta. No, non aveva pensato a niente. Aveva solo cercato di tirare avanti in qualche modo. Ma non ce l'aveva fatta.

Prima aveva provato con i sonniferi, per potere almeno dormire. Per non svegliarsi alle due, perfettamente lucido, e rimanere a letto senza più riuscire a riprendere sonno. Prima di arrendersi ai sonniferi aveva provato con la valeriana, i prodotti naturali ed altre cazzate. Ma non era più in grado di reggere ed allora era passato ai sonniferi. Per la notte andavano bene: sei-sette ore di sonno le garantivano.

Ma poi c’era il giorno. Le crisi di angoscia, violentissime ed improvvise. Un’oppressione al petto, una sofferenza che non riusciva a tollerare. E, in almeno tre occasioni, le lacrime, inarrestabili.

Allora aveva incominciato a prendere qualche tranquillante, che gli assicurava una gradevole indifferenza. Ma non bastava ancora.

Così aveva preso a bere. All'inizio era stato il bicchierino serale, per scaldarsi un po' l'anima. Poi il bicchiere era diventato la mezza bottiglia serale. Poi i liquori. Ormai già mentre ritornava a casa pensava alla bottiglia.

Per il momento era arrivato lì.

No, non solo lì, aveva fatto un sacco di strada: aveva cominciato ad arrivare in ritardo sul lavoro, a litigare con i colleghi, a lavorare male. Oggi, in piena chiusura d'anno, aveva mandato a fare in culo il suo capo e si era licenziato. Splendida conclusione. Nove mesi era durata la sua discesa agli inferi, nove mesi, come una gravidanza. Sarebbe arrivato presto al fondo. Soltanto gli mancava il coraggio o la voglia di accelerare i tempi.

Nove mesi prima era un uomo felice, che aveva tutto: un buon lavoro, diversi amici, una vita ricca di esperienze, un amore. Già, un amore, un amore grande, di quelli che ti tolgono il fiato, che ti riempiono ogni minuto. Un amore perfetto.

Nove mesi prima.

Lui e Marco erano riusciti a distruggersi proprio bene. Un gran bel risultato. Complimenti vivissimi a tutti e due. E presto ci sarebbero stati due cadaveri. Uno c'era già. No, non c'era più nemmeno quello, c'era stato, insomma. L'altro… era solo questione di tempo. Di poco tempo. Meno era, meglio era, perché di trascinarsi così, Antonio non aveva più voglia. Sperava davvero che mancasse poco tempo.

Anche il suo tempo con Marco era durato poco. Un anno e tre mesi, ma in realtà solo sei mesi. Solo sei mesi. Più che abbastanza per impedirgli di riprendere a vivere.

 

Quella sera a casa di Daniela e Lucio. I cari amici impiccioni. Ricordava benissimo l'invito. Un carissimo amico di Lucio che tornava da un lungo periodo trascorso in Africa, per lavoro, ci sarebbero stati solo loro quattro, Marco non amava vedere tanta gente. Era appena arrivato. Un'avvertenza soltanto: non parlargli del lavoro e dell'Africa. Dopo essere stato via quasi due anni, non ne voleva sapere.

Si era chiesto se era un altro tentativo per sistemarlo. Daniela e Lucio ce l'avevano con questa idea: l'uomo giusto per lui. A loro due, innamorati e felicemente coniugati, quella vita da singolo pareva monca. Certo anche a lui sarebbe piaciuto vivere un amore, ma era molto scettico, le sue esperienze precedenti non erano state proprio entusiasmanti: gli uomini che incontrava, o almeno quelli che gli piacevano, erano interessati solo ad un mordi e fuggi. O ad una relazione molto vaga, che significava soltanto: “Quando ci vediamo, ci possiamo risparmiare i preliminari e passare subito al sodo” oppure “Se non trovo nessun altro, ti chiamo”.

Era arrivato senza grandi aspettative, senza neppure molta curiosità: gli sarebbe piaciuto chiedere a Marco dell'Africa, ma non poteva farlo.

Marco era già lì. Gli aveva subito fatto un'impressione forte: fisicamente era perfetto, esattamente il suo tipo. Due dita più alto di lui, solido, possente, la pelle bruciata dal sole, gli occhi scuri, i capelli cortissimi neri, la barba corta. Gli c'era voluto un attimo per rimettersi. Aveva sentito tutta la sua inadeguatezza. E come sempre in questi casi il suo primo impulso era stato quello di fuggire.

Aveva lasciato che Daniela e Lucio conducessero la conversazione, un po' in imbarazzo, cercando di non guardare troppo Marco, anche se era un piacere per gli occhi. Poi, quando era stato sicuro che Marco non era minimamente interessato a lui, lentamente si era sciolto.

A tavola, dopo un inizio stentato, si era parlato di viaggi, poi di montagna. Si erano trovati in sintonia e la serata era proseguita senza intoppi. Dopo cena, in salotto, Daniela aveva tirato fuori il volontariato di Antonio in LILA.

- Fai il servizio telefonico, no?

- Sì, anche altro, a dir la verità. Il notiziario e la formazione.

Marco era apparso subito interessato, voleva saperne di più. Faceva domande. Intelligenti, pertinenti, precise. Antonio si era trovato costretto a raccontare tutto dell'attività sua e dell’associazione. Dei corsi di formazione, del telefono, dei gruppi di supervisione. Antonio detestava monopolizzare la conversazione, ma arginare Marco non era facile e non voleva essere scortese. E poi Daniela spalleggiava Marco in modo spudorato.

Lucio aveva citato L'intruso, che aveva letto proprio su consiglio di Antonio. E così erano passati ai libri. Marco era uno che leggeva. Molto. Poesia, prosa, storia. Antonio amava poco la poesia, ma era anche lui un gran lettore e si erano scoperti alcune grandi passioni in comune. Anche alcuni punti di vista opposti: su Céline avevano discusso infervorati per venti minuti, Antonio all’attacco e Marco in difesa. Lo aveva messo con le spalle al muro.

Era arrivata l'una ed era ora di andarsene. Daniela era chiaramente affaticata, d'altronde era ormai al settimo mese. Approfittando di una pausa, Antonio si era alzato:

- Bene, è meglio che vada a casa.

Allora anche Marco si era alzato.

- Sì, vado anch'io.

Ad Antonio non era spiaciuta l’idea di scendere insieme a Marco, gli era piaciuto parlare con lui. Il ritrovarsi soli faceva riemergere le sue insicurezze, ma a scendere le scale non avrebbero impiegato molto tempo: se non avessero trovato più niente da dirsi, si sarebbero lasciati subito.

Sulla porta, Daniela era intervenuta.

- Magari gli dai tu un passaggio, tanto è vicino. Abita in via Piazzi.

Antonio aveva pensato che Daniela avrebbe potuto farsi i fatti suoi. Mentre scendevano le scale, aveva sentito il bisogno di prendere le distanze, di far capire a Marco che l’idea del passaggio era tutta di Daniela:

- Non occorre che tu mi dia un passaggio. In un quarto d'ora sono a casa. Vengo a piedi proprio perché abito vicino.

- Ti accompagno. Se non ti spiace ho voglia di parlare ancora con te.

Marco era stato diretto e lo aveva spiazzato: sarebbe successo altre volte, nel loro rapporto. Non era uno che le mandava a dire le cose: quello che aveva in testa, lo diceva chiaramente.

Appena erano stati in auto però, Marco gli aveva fatto un'altra proposta.

- Hai voglia di venire un momento da me? Tanto domani è domenica.

Antonio sapeva che cosa lo aspettava. Ed aveva esitato. Marco gli era piaciuto, moltissimo, troppo per una scopata e basta, toccata e fuga. Marco doveva aver colto la sua esitazione, ma era rimasto in silenzio, lasciandogli la decisione. Ed Antonio aveva acconsentito. Quasi deluso. Avrebbe preferito continuare a parlare. O forse non l'avrebbe preferito, ma si sarebbe sentito più sicuro.

- Va bene, dove abiti?

- Piazza Carlina.

- È tutto da un'altra parte.

- Non è così lontano. Tranquillo, in ogni caso non ti lascio andare a casa a piedi.

Antonio si era chiesto che cosa significasse "in ogni caso". Gli era sembrata buffa, come idea. Voleva dire che anche se non avessero scopato, Marco lo avrebbe riaccompagnato? Troppo buono. Non era il caso che si scomodasse, esistevano anche i taxi, poteva permettersene uno.

E comunque era ben disposto a guadagnarsi il passaggio a casa. Entro certi limiti, almeno: era aperto di idee, ma non disponibile proprio a tutto.

Erano scesi davanti alla casa. Una casa d'epoca, risistemata in anni recenti. Come piaceva ad Antonio. Anche l'appartamento, al terzo piano, gli piacque subito. Arredato con molto buon gusto, forse un po' freddo. Ma Marco non ci viveva stabilmente, negli ultimi due anni doveva averci passato ben poco tempo. Ed adesso era appena ritornato.

- Ci sediamo in salotto o, considerando l'ora, mi risparmi i preliminari e passiamo subito in camera da letto?

Marco sorrideva, con quel sorriso che gli illuminava il volto severo. Era un sorriso bellissimo. E Marco era bellissimo. Ma ad Antonio quell'approccio non era piaciuto. Si era rassegnato alla solita scopata senza un domani. Aveva ironizzato:

- Mi pareva che avessi detto che volevi parlare.

- In camera da letto si parla benissimo.

Avevano parlato pochissimo, ma nessuno dei due ne aveva sentito il bisogno. A letto Marco era esattamente tutto quanto piaceva ad Antonio: tenero e forte, fantasioso ed attento. Nonché prudente, ma con uno che faceva volontariato in LILA non avrebbe potuto essere altrimenti.

Quando si erano infine messi a dormire, verso mattina, Antonio pensò che se non altro, anche se finiva lì, era stata la più bella scopata della sua vita.

Certamente finiva lì. Pazienza. L'importante era non aspettarsi troppo e non recriminare. L'esperienza glielo aveva insegnato. E a forza di nasate, aveva imparato. Aveva ancora qualche livido, ma non si faceva più illusioni.

Il giorno dopo si erano svegliati alle due, quando il telefono aveva squillato. Antonio aveva sentito Marco scoppiare a ridere.

- Sì, hai indovinato, vuoi che te lo passi?

Quell'impicciona di Daniela lo aveva cercato a casa e, non avendolo trovato, aveva cercato Marco. Gli aveva chiesto se Antonio era ancora lì.

Prese il ricevitore e scambiò un paio di battute ironiche con Daniela. Quando lei gli disse che Marco era l’uomo giusto per lui, Antonio rispose che non era così facile accalappiarlo. Ma in cuor suo desiderava solo essere accalappiato da Marco.

Adesso che erano svegli, Antonio non sapeva bene come muoversi. Avrebbe voluto rimanere con Marco, ma temeva che la sua presenza non fosse gradita: detestava fare la figura di quello che non ha capito, che si ostina a rimanere quando non è più ben accetto. D’altra parte, alzare i tacchi subito gli sembrava brutto, senza un segnale da parte di Marco: non voleva che Marco pensasse che lui era interessato solo al letto. Se c’era lo spazio per un proseguimento, lui ne era ben felice.

La voce di Marco aveva sciolto il dubbio, per il momento.

- Siediti in poltrona, mentre io preparo da mangiare.

- Ti do una mano.

Marco aveva scosso energicamente la testa, sorridendo.

- No-no, in cucina non accetto collaborazioni! Al massimo ti permetto di fare il cameriere.

- Va bene, mi sembra di capire che sei un buon cuoco.

- Me la cavo.

Aveva aiutato Marco a preparare un pranzo per due, o, volendo essere precisi, aveva guardato Marco preparare un pranzo per due. Un pranzo eccellente. Marco era davvero un buon cuoco. Ad Antonio venne voglia di chiedergli se in Africa si faceva da mangiare da solo, ma sapeva che non doveva toccare l’argomento e non disse nulla.

Dopo pranzo Antonio voleva darsi una sciacquata ai denti. Allora Marco gli aveva dato uno spazzolino nuovo.

- Te ne do uno verde, il mio è rosso, così non li confonderemo.

Antonio si era detto che quell’indicativo futuro poteva aprire qualche prospettiva. Ad ogni buon conto, era meglio non farsi troppe illusioni.

Dopo che si era lavato i denti, era tornato in salotto. Marco era sul divano. Aveva proteso le braccia e gli aveva detto:

- Vieni qui, così parliamo. Voglio conoscerti meglio.

Lo aveva fatto stendere, con la testa in grembo a lui, ed avevano parlato. Erano entrambi curiosi di scoprire qualche cosa di più dell'altro, ma sul lavoro Marco aveva subito messo le mani avanti:

- Chiedimi quello che vuoi, ma, per favore, non chiedermi mai nulla del mio lavoro. Ho le mie ragioni per non volerne parlare.

Avevano parlato dei loro studi, delle loro famiglie, delle loro esperienze di vita. Avevano anche parlato di rapporti, ma su questo punto Antonio si era mosso con cautela. Aveva espresso quello che aveva in testa, ma cercando di non dare a Marco l’impressione di avere richieste o aspettative nei suoi confronti.

Sul tardo pomeriggio Marco aveva proposto di andare al cinema. Ad Antonio era sembrata una buona mossa. Al cinema, poi ognuno per conto proprio: un buon modo per separarsi con naturalezza. Magari scambiandosi i numeri di telefono ed una vaga promessa di risentirsi. Antonio sapeva che non avrebbe telefonato. Non perché non fosse interessato a Marco: lo era, già troppo. Ma non credeva che Marco fosse davvero interessato a lui.

La scelta del film era stata facile: anche qui c'era un buon ventaglio di gusti comuni, pur escludendo entrambi la maggioranza delle pellicole in circolazione.

 

All'uscita Antonio aveva tirato un sospiro interiore, aveva guardato Marco e, rassegnato all'ineluttabile, si era lanciato:

- Bene, adesso andrei a casa.        

Marco non aveva dissimulato il suo turbamento.

- A casa? Non vieni da me?

Antonio era rimasto spiazzato: così Marco dava per scontato che avrebbero passato la serata – e la notte - insieme. Gli faceva piacere, molto. Ed era d’accordo.

- Ma domani vado a lavorare. Devo cambiarmi. Non posso mica rimanere con la biancheria di ieri fino a domani sera.

- Hai ragione, non ci avevo pensato. Allora ti accompagno a casa, così prendi la tua roba e ti trasferisci da me.

Antonio lo aveva guardato, sorridendo. Contento, molto contento, ma anche spaventato, molto spaventato. "Ti trasferisci da me" era molto, più di quello che si aspettava, più di quello che era sicuro di voler concedere.

- Vai sul sicuro.

Marco lo aveva spiazzato di nuovo. Davanti al cinema, con tutta la gente che usciva, gli aveva detto:

- Sì, mi piaci troppo e credo di voler passare con te ogni tuo minuto libero nei prossimi tre mesi. E non solo a letto.

Antonio si era trovato ancora più spaventato, ma felice.

- È un po' presto, no? Mi conosci da ventiquattr'ore.

- Sì, a me sono bastate. A te no, l'ho capito, ma dammi un po' di tempo.

Aveva deciso di darglielo ed era stata un'altra notte fantastica. Il giorno dopo però Antonio era stravolto. Non poteva mettersi a dormire alle tre e alzarsi alle sette.

Si era detto che avrebbe potuto prendere qualche giorno di ferie. Visti i problemi che c'erano stati quell'estate con suo padre, non aveva fatto grandi viaggi e gli rimanevano parecchie ferie dell'anno prima. Comunque doveva prenderle entro marzo: aveva perfino pensato di fare un breve viaggio a febbraio, approfittando delle offerte di bassa stagione. Ma non voleva imporre la sua presenza a Marco, che non gli aveva chiesto nulla. Non sapeva bene che cosa fare.

Era uscito dal lavoro, assorto nelle sue riflessioni, senza guardarsi intorno. E, di colpo, si era trovato di fronte Marco: era venuto ad aspettarlo. Marco era scoppiato a ridere.

- Dio, che faccia! Questa sera si va a dormire con le galline. Scusami. Devo pensare che tu non sei in vacanza. Sono un po' egoista.

- Magari mi prendo qualche giorno di ferie, così il mattino posso dormire.

- Se puoi, sarebbe splendido. Qualche giorno ogni tanto, uno o due per settimana, per riuscire a stare insieme di più. Il tempo non è molto.

Il tempo non era molto davvero. Il tempo era volato. Antonio sapeva che Marco sarebbe rimasto solo qualche mese, l'aveva detto a casa di Daniela.

Antonio aveva diradato i suoi impegni, rinunciato a vedere molti amici, ridotto al minimo il volontariato. Aveva preso giorni di ferie per spezzare le settimane e poi, a marzo, prima che Marco partisse, due settimane intere.

Avevano trascorso una settimana a camminare lungo la costa ligure, tra Portofino e Tellaro. Antonio aveva vissuto quei giorni sospeso in una felicità tanto perfetta da apparire irreale. Stordito dal caldo, dal vento, dal cielo terso, dall’azzurro del mare, dal verde intenso della macchia, dalle forme solenni degli ulivi, aveva la sensazione di muoversi in un paradiso terrestre. Era stato davvero felice.

Felice e spaventato. Sapeva di amare Marco con un'intensità che lo rendeva vulnerabile. E sapeva che la sua felicità era a termine: sarebbe stato scacciato dal suo Eden. Marco aveva detto tre mesi. Ed erano stati tre mesi.

 

Tre mesi, il paradiso era durato tanto. Ed era arrivato il momento in cui Marco doveva partire. Per dove, Antonio non lo sapeva. Marco gli aveva già detto che del suo lavoro non intendeva parlare.

- Non potrò telefonarti. E ti scriverò in modo irregolare, per un periodo lungo probabilmente non ti manderò nessuna notizia. Scrivimi, anche se non ti rispondo. Per favore. Ti risponderò dopo, quando potrò.

Antonio aveva sentito il terreno mancargli sotto i piedi. Quelle parole gli ricordavano i troppi commiati degli amori senza domani. D'altronde Marco aveva sempre parlato di tre mesi, fin dalla prima volta. I tre mesi erano passati.

Antonio non aveva detto nulla, aveva annuito ed era rimasto a guardare Marco.

Marco aveva capito. Ed aveva parlato chiaro.

- Non è un addio. Ti amo, Antonio, ti amo. Non voglio perderti. Per te sono disposto a lottare e questo non l'ho mai detto a nessuno. Tu continua a scrivermi. Per favore.

Non sapeva quanto sarebbe stato via. Meno di un anno.

Non aveva voluto che Antonio lo accompagnasse all'aeroporto.

    

Erano stati nove mesi. Nove mesi. Inizialmente Antonio, per quanto sofferente per la separazione, era stato contento di avere un po' di tempo per riflettere. Aveva ripreso la propria vita quotidiana quasi volentieri, senza la tensione di quell'amore violento, di quella vita provvisoria.

Aveva scoperto in fretta che la sua vita quotidiana non esisteva più e che tutto quello che le aveva dato senso e pienezza, era diventato insufficiente.

I nove mesi erano stati nove mesi di attesa, nove mesi sospeso in un limbo, nove mesi di delirio.

Il delirio erano le lettere. Le lettere di Marco. Arrivavano tutte da Tangeri. Dove Antonio mandava le sue. Nessuno gli aveva mai scritto lettere come quelle. 

Ogni lettera era diversa. La prima lo aveva spiazzato subito.

To vuo decir ke ti so mo sol, ma lun-a, ma vid, da aqua ka kalm da sede, do fog ke bruc, do pan ko sfam. Te kier, te am, te desio. Te desio ko mo kor, ko me man, ko ma te-ta, ko mo kaz, ko ma alm. Desio to korp, to kor, to kul, te man, te kaz, ta leng-a, desio ta alm, ta alm, do fog ke sta in ti e ke mi bruc.

Alle prime righe Antonio si era chiesto in che lingua fosse stata scritta quella lettera e perché Marco avesse scritto così. La spiegazione era nelle righe successive.

Vorrei una lingua nuova, parole non logorate dall'uso, per dirti quello che ho dentro. Parole nuove, ma trovo solo un grammelot alla Fo per esprimere sentimenti che non ho mai provato. Come hai fatto, Antonio, ad accendere questo fuoco?...

Quelle parole esprimevano ciò che Antonio provava e che si sarebbe vergognato a scrivere, perché aveva pudore dei suoi sentimenti.

 

La lettera seguente arrivò scritta in rosso.

Sei nel mio sangue. In queste gocce che scendono c'è il tuo nome. In ogni goccia il tuo nome...

Antonio avrebbe voluto che fosse il cattivo gusto di un inchiostro rosso, ma sapeva che non era così. Si era detto che era comunque di cattivo gusto, ma sapeva di dirselo per tenere a bada ciò che ad ogni lettera cresceva dentro di lui.

 

Poi arrivò una lettera particolarmente voluminosa: una dozzina di fogli scritti fitti fitti.

Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, ...

Alla fine dell'ultimo foglio, poche righe:

Ho passato la notte a scrivere il tuo nome. Forse la più bella notte della mia vita, dopo quella trascorsa a guardarti dormire accanto a me. La nostra terza insieme. Tu eri stanco, riposavi. Io non ho chiuso occhio.

 

Le lettere di Marco non erano in risposta alle sue, né in relazione una con l'altra. Ognuna partiva per conto suo, con una sua traiettoria imprevedibile. Con una sicurezza che sbigottiva Antonio. In una Marco gli raccontava come aveva vissuto il loro primo incontro.

Quando sei entrato nella stanza non mi hai fatto nessuna impressione particolare. Eri vestito male, non con cattivo gusto, ma si vedeva che non badi molto a quello che ti metti addosso. A tavola parlavi poco, ho pensato che non avessi niente da dire, che fossi una nullità. Avevo capito di esserti piaciuto, ma non me ne importava un bel niente. Questo ti ha dato un buon vantaggio. Nell'Arte della guerra Sun Tzu dice che bisogna nascondere l'ordine sotto l'apparenza del disordine, il coraggio sotto l'apparenza della paura, la forza sotto la debolezza. Secondo me devi averlo letto. Io non sono stato in guardia e quando hai cominciato a parlare, ogni osservazione era un punto a tuo favore. Quando ci siamo alzati da tavola, avevo già deciso che ti avrei portato a letto ed ero convinto che ci saresti stato: ho sempre avuto un buon successo con gli uomini. Quando abbiamo cominciato a parlare di AIDS e della LILA, mi sei piaciuto moltissimo, ma più andavamo avanti, meno ero sicuro di riuscire a portarti a letto, non sapevo se avevo le carte giuste per giocare quella mano. Su Céline mi sono sentito in svantaggio, maledettamente in svantaggio.

Quando siamo scesi, ero preoccupato. Se non fossi riuscito a bloccarti, non sapevo come e quando avrei potuto rivederti. Potevo chiedere a Lucio di combinare di nuovo, ma non avrebbe potuto essere subito. Che sollievo quando tu ci sei stato!

Scopare non era quello che mi interessava di più, a quel punto. Ti ho portato subito a letto solo perché mi sentivo più sicuro, contavo di fare bella figura. Dopo, quando ti sei addormentato, ti ho guardato. E mi sono chiesto se non era meglio mandarti via. Non sono abituato a mentirmi. Mi sono detto che se non volevo rischiare, era meglio chiudere subito. E mi sono detto che volevo rischiare.

Il pomeriggio mi sei sembrato disponibile ed ho cominciato a sentirmi più sicuro. Ma avevo paura. Quando all'uscita dal cinema mi hai detto che volevi andare a casa è stato un brutto colpo. Ho ancora paura. Non accetterei di perderti. Credevo di avere già amato. Ho capito che non era vero.

      

Una lettera era un testo teatrale ispirato alla Dodicesima notte che avevano visto insieme. Nello spettacolo c'era un attore bellissimo, che impersonava il capitano Antonio, e Marco lo aveva preso in giro perché lui l'aveva fissato con un'attenzione eccessiva. Nel testo di Marco, un vero e proprio copione, c'era un Orsino-Marco ed il capitano Antonio in gara per l'amore di un Sebastiano-Antonio.

Il testo finiva con una piccola vendetta personale di Marco.

ORSINO (alle guardie, indicando Antonio): Conducete quest'uomo sulla pubblica piazza e squartatelo.

SEBASTIANO: Ti prego, mio amore. Risparmiagli la vita. Mi ha salvato dalle acque, mi ha protetto, ha meritato il mio affetto e la tua riconoscenza.

ORSINO: Ogni tua parola aggiunge fuoco al mio odio per lui. Eseguite la sentenza.

ANTONIO (mentre viene trascinato via): Sebastiano, non m'importa della vita, poiché ti ho perduto!

 

Diverse lettere contenevano fantasie erotiche e recavano una scritta, in alto a sinistra:

Lettera da tenere con la mano sinistra

Sei steso sul letto. Dormi. Io entro piano. Mi sporgo su di te e ti guardo. Il lenzuolo ti copre. Vedo soltanto la testa che emerge, i capelli neri. Mi fermo. Non voglio svegliarti...

Cominciavano come storie di vita quotidiana oppure come racconti d'azione, ma finivano a luci rosse. Antonio si vergognava a leggerle, ma il suo corpo non si vergognava per nulla e reagiva con intensità. Presto aveva cominciato ad utilizzarle deliberatamente per lo scopo con cui erano state prodotte, rileggendole quando la lunga astinenza acuiva il suo desiderio.

 

Una volta la busta conteneva solo un foglio bianco, un po' macchiato e rovinato. Antonio ci aveva messo un buon momento prima di capire che c'era qualche cosa scritto. Guardando controluce aveva decifrato un Ti amo ed aveva capito il tipo di inchiostro usato. 

 

Antonio aveva cercato di comprendere, di inserire ognuna di quelle lettere nel ritratto che si era costruito di Marco. Alcuni elementi avevano trovato la loro collocazione senza fatica: la profondità dei sentimenti e la capacità di esprimerli direttamente, la fantasia e la franchezza estrema nella sessualità, la sicurezza rispetto al proprio corpo, l'ironia, una certa gelosia controllata dall'intelligenza, erano tutte caratteristiche che aveva scoperto ed imparato ad amare. La fragilità e l'insicurezza che a volte trasparivano erano state una scoperta inattesa ed inizialmente gli erano sembrate una nota fuori posto, ma poi aveva capito che facevano parte della sensibilità di Marco, erano un aspetto del suo essere attento agli altri. La violenza dell'amore che aveva ispirato lo aveva preso di sorpresa, lo aveva spaventato, lo aveva soggiogato.

Aveva paura dei propri sentimenti, che sentiva crescere. Ed aveva paura di non riuscire a trasmetterli. Scrivendo, si sentiva analfabeta, cercava un suo linguaggio che non trovava. La sua esistenza quotidiana, il lavoro, gli interessi, le attività, tutto ciò di cui parlava a Marco nelle sue lettere gli sembrava banale. L'aveva scritto a Marco e Marco gli aveva risposto. Una delle rare volte in cui la lettera di Marco era una risposta.        

Ogni tua lettera è un dono prezioso. Ogni lettera è un po' di te. Quando la ricevo la apro e la divoro, ingordo. Poi me la rileggo con cura, assaporandola. Dici che non è poesia, ma solo zavorra. Ho bisogno di zavorra per non perdermi nello spazio: senza questa zavorra vagherei infelice e sperduto nel vuoto. In alto, negli spazi immensi, è freddo e buio. Il tuo calore, la tua luce mi tengono ancorato a terra.

 

Poi c'era stato il silenzio, un lunghissimo silenzio. Quasi tre mesi senza lettere. Antonio aveva continuato a scrivere. Si era detto che non doveva preoccuparsi, che Marco l'aveva avvisato. Ma Antonio aveva cominciato a provare paura, una paura che era cresciuta, fino a diventare intollerabile. Non si era arreso, con quell'ostinazione che da sempre lo caratterizzava. Per darsi forza continuava a rileggere le lettere precedenti. Aveva finito per impararle a memoria. Ogni tanto se ne ripeteva interi brani. Più di una volta era andato in piazza Carlina e si era messo a guardare l'appartamento di Marco. Era rimasto ore a guardarlo, ripetendosi brani delle lettere. Una notte era arrivata la polizia, chiamata da un vicino insospettito, e non era stato facile spiegare.

Cercava di difendersi, ma soffriva, come mai gli era accaduto.

 

E finalmente una lettera era arrivata.

Sono ricco. Diciotto lettere di Antonio. Diciotto perle sulla scrivania. Le guardo. Non le ho aperte. Guardo sulle buste la scrittura che conosco benissimo. Con i polpastrelli sfioro il mio nome ripetuto diciotto volte. Valuto lo spessore delle lettere. Due hanno almeno tre fogli, forse quattro. La mia ricchezza è infinita. Sono Bill Gates,  Paperon de' Paperoni. Rimando il piacere, per godere di più. Pregusto la gioia di leggerle. Una dopo l'altra, una per volta. Piano, come un naufrago che giunto a terra vorrebbe bere l'intera fonte, ma sa che non può, perché l'ucciderebbe. Non reggerei alla gioia di tutte queste pagine di Antonio.

Leggerle, sapendo che dopo ce n'è un'altra e poi ancora un'altra e poi ancora. Leggerle sapendo che se in una c'è un dubbio, c'è ancora lo spazio per vederlo dissiparsi. Un po' di paura, in fondo. Un po' di ansia perché forse l'ultima lettera potrebbe essere un po' più fredda. Molta paura. Quella ho bisogno di leggerla subito. Come quando si legge un libro e si va alla fine a vedere se il personaggio che ci piace riesce ad arrivare in porto sano e salvo. Le altre, una per volta, Antonio, la tua voce, un po' per volta. Vorrei leggerle una al giorno, per potermi svegliare ogni giorno con il pensiero che c'è una lettera di Antonio che mi aspetta. Ma non ce la farò. Voglio farle durare. Antonio, non riesco a dirti quanto mi hai dato.

Grazie, grazie per aver creduto in me.

Quando, dopo tre mesi di attesa, Antonio aveva aperto quella lettera, era stato sul punto di piangere.

    

Marco era tornato in inverno, quasi un anno dopo il loro primo incontro. Antonio aveva paura di quel ritrovarsi, paura di non riuscire a ricreare quell'intesa perfetta che c’era stata tra di loro. Ma avevano ripreso da dove si erano lasciati, come se il tempo non fosse passato.

No, avevano ripreso da un livello superiore, perché in lui, ed anche in Marco, su questo non aveva dubbi, quell'assenza aveva stretto il legame. Quelle lettere li avevano segnati, entrambi: ora Antonio conosceva Marco come nessun altro e Marco sapeva di essersi messo a nudo davanti ad Antonio.

A nudo, senza difese. Ma non completamente: in nessuna lettera, mai, Marco aveva fatto un qualsiasi accenno al proprio lavoro. Nudo, ma con le mani ben nascoste dietro la schiena. Proprio la confidenza completa rendeva più inquietante quella riserva totale sul lavoro. Antonio si poneva le domande che non si era posto prima, quando quel lavoro era soltanto una realtà spiacevole e fastidiosa, che gli avrebbe portato via Marco.

Di nuovo tre mesi, gli ultimi tre mesi di paradiso. Antonio si era trasferito a casa di Marco. In via Piazzi andava solo ogni tanto a bagnare i fiori, ritirare la posta e controllare i messaggi nella segreteria telefonica. Più spesso era Marco a svolgere quei compiti, mentre lui era al lavoro: non volevano rinunciare al tempo che era loro concesso.

E poi di nuovo l'avvicinarsi della partenza. Tre giorni prima, Marco gli aveva detto:

- Perché non rimani qui mentre io sono via?

- Qui, da te?

- Da noi.

Antonio sapeva il significato di quell’invito. Non se n’era stupito. Sapeva che cosa provava lui e che cosa provava Marco.

- È una proposta di matrimonio?

Marco aveva riso, ma gli occhi erano seri:

- Forse sì.

- Verrò, ma al tuo ritorno.

 

Quella sera Marco sarebbe partito. Per dove, Antonio non sapeva. E questo non sapere ora gli pesava. Come l'anno precedente Antonio aveva preso alcuni giorni di ferie per stargli vicino. Ma un dubbio lo rodeva.

Marco aveva colto l’inquietudine di Antonio, aveva capito che non era solo la sofferenza del distacco imminente. Sapeva leggere in lui.

- Fuori il rospo, che cosa c'è? Tornerò, Antonio, ora dovresti saperlo.

- Lo so, non è questo.

- Allora?

- Marco, so che non vuoi parlare del tuo lavoro.

Aveva colto il leggero irrigidirsi di Marco.       

- No, e ti sono molto grato perché in tutto questo tempo hai rispettato pienamente la mia richiesta e non hai toccato questo tasto.

Il tono era stato freddo, quasi ufficiale. La frase costruita. Quello era un altro Marco, che nulla aveva a che fare con il Marco che lui aveva imparato a conoscere a fondo. Ma esisteva anche quell’altro Marco.

- È un modo per mettermi in guardia?

- Se hai bisogno di essere messo in guardia, sì, lo è.  

Rimasero un momento in silenzio. Di fronte al tono duro usato da Marco, Antonio si chiese se non fosse meglio lasciar perdere.

Eppure c’era qualche cosa che aveva bisogno di sapere.

- Non voglio sapere che lavoro fai, sono affari tuoi. Solo... a volte mi chiedo...

- Non ti fare domande e non ne fare a me. È meglio per tutti e due.

Marco era un muro, un muro che gli sbarrava la strada. Ed in quella durezza Antonio avvertiva tensione e paura. Marco voleva sfuggire a quella conversazione, alla domanda che Antonio voleva porgli. Ed Antonio avvertiva sempre più forte il bisogno di sapere.

Aveva proseguito, incerto.

- È una parte di te che mi manca. Un segreto enorme che mi fa paura. Vorrei sapere...

Non sapeva come continuare.

- Saperlo potrebbe essere la fine del nostro rapporto. Vuoi saperlo anche a questo prezzo?

Antonio aveva avuto l’impressione che il terreno gli mancasse sotto i piedi. Quel prezzo non era disposto a pagarlo. Scosse la testa.

- No, a questo prezzo no. No, se non sei tu che vuoi dirmelo, no.

Marco taceva, inquieto, a disagio. Ora era lui ad avvertire il bisogno di affrontare l’argomento. Anche lui si rendeva conto di quanto anomalo fosse il proprio silenzio. Poi parlò:

- Tu cosa credi che faccia? Ti sarai fatto delle ipotesi, no?

- Non lo so, prima ho pensato che tu facessi l'ingegnere, il tecnico, magari di qualche multinazionale. Che so... poi ho pensato che fossi una spia, un guerrigliero per qualche causa persa.

La sua paura era un'altra e Marco l'aveva capito.

- Di' quello che pensi, non barare.

Antonio aveva cercato le parole giuste.

- Mi chiedo se non fai qualche cosa... qualche cosa che non è giusto.

Marco si era seduto davanti a lui e lo aveva fissato.

- Il bene ed il male.

Era quello? Sì, era quello.

- Sì, il bene ed il male.

Marco si era alzato di scatto e si era avvicinato alla finestra. Aveva guardato fuori.

- Proprio di uno con una coscienza dovevo innamorarmi? Una coscienza è roba vecchia, Antonio, non ce l’ha più nessuno.

Antonio non aveva replicato. Aveva paura. Marco aveva ripreso:

- Perché se facessi qualche cosa di male, che tu giudichi male, allora non potresti più stare con me.

- No, non è questo.

- Se fossi un falsario, un ladro, non mi potresti amare.

Marco parlava con freddezza, ma Antonio non si era lasciato ingannare. Soltanto, ora aveva ancora più paura, perché anche Marco aveva paura.

- No, ti amerei lo stesso, questo lo so, ma soffrirei e cercherei di farti cambiare vita.

C'era stato un lungo silenzio. Se Antonio avesse potuto, avrebbe cancellato tutto quello che si erano detti.

Infine Marco aveva parlato.

- Hai ragione. Te lo devo dire.

Ora Antonio non avrebbe più voluto.

- No, se non vuoi davvero.    

- Lo voglio. Non posso tacere, non ha senso, non con te. Faccio il soldato in una compagnia privata.

Il mondo gli era crollato addosso senza preavviso. Senza neanche il tempo di prendere fiato.

- Vuoi dire che...

- Che faccio parte di truppe che vengono arruolate nelle diverse guerre che si combattono qua e là nel mondo. Sono un ufficiale. Mi occupo di addestramento e di azioni. Combatto.

- Combattere, ammazzare.

Antonio non sapeva che cosa aveva dentro. Stupore, disperazione, rabbia, smarrimento. Avvertiva un dolore sordo, che non era in grado di analizzare.

- Si ammazzano comunque. Spesso il nostro intervento permette di mettere fine prima alla guerra.

- O di cominciarne una. O di fare un colpo di stato. Senza chiederti chi ha ragione e chi ha torto.

- Quasi sempre le due parti si equivalgono. E valgono poco.

Antonio si era alzato di scatto ed aveva urlato.

- Marco, come fai, tu, ad ammazzare, per soldi?

Era fuggito.

Era andato a casa e si era accasciato sulla poltrona. Il telefono aveva squillato, ma Antonio non aveva risposto. Aveva staccato la segreteria ed era uscito. Era rimasto fuori tutto il giorno. Era stato dai suoi, aveva girato. Era tornato a sera, quando sapeva che Marco non era più a Torino. Febbricitante ed esausto si era steso sul letto, cercando invano di dormire.

 

Il rimorso di quella telefonata che non aveva raccolto, di quel dialogo che aveva rifiutato, lo aveva accompagnato, giorno dopo giorno.

Marco era partito.

Era calato il silenzio. In quel silenzio aveva di nuovo cercato di rimettere insieme i pezzi, di ricostruire l'immagine di Marco. Ma non quadrava. Non riusciva a capire come Marco potesse essere un mercenario. Perché anche se Marco non aveva usato quella parola, di questo si trattava.

 

Era passato oltre un mese. Senza una lettera, senza una parola. Allora Antonio aveva scritto. Al solito indirizzo di Tangeri. Senza avere la più pallida idea se quell'indirizzo fosse ancora valido. Un'unica, breve lettera, che aveva riscritto venti volte e poi scarabocchiato di corsa ed imbucato subito, per non darsi il tempo di tornare indietro.

So di avere sbagliato. Non avevo il diritto di fuggire senza ascoltarti. Ero sconvolto. Dimmi che possiamo parlarne, quando torni, quando vuoi. Ti amo, come non ho mai amato. Non voglio rinunciare a te. Anch'io sono disposto a lottare per non perderti, ad ogni costo. Ti amo.

    

Non c'era stata risposta.

 

Tre mesi dopo la partenza di Marco era arrivata una lettera da Tangeri. La grafia sulla busta era la solita di tutte le lettere. Non era la grafia di Marco, ma di qualcun altro, che evidentemente scriveva gli indirizzi per gli uomini della compagnia.

Antonio aveva guardato la lettera che aveva aspettato invano per tre mesi. Si era sentito sommergere dalla gioia. Se Marco gli rispondeva, non era finita. La sua vita poteva riacquistare un senso.

Dopo essersi tolto le scarpe e infilato le pantofole, si era seduto in poltrona, ma le mani gli tremavano tanto, che non era riuscito ad aprire la busta. Aveva paura, una paura infinita.

Alla fine aveva aperto. La gioia che lo aveva invaso quando aveva visto la busta, si era dissolta immediatamente. La lettera all'interno non era stata scritta da Marco. La firma non era di Marco. Era una lettera molto breve.

 

Gentile signor Abate

     le scrivo per comunicarle che Marco Torri è morto tre giorni fa. Per motivi che lei capirà, non posso darle informazioni sul luogo e le circostanze. Marco mi aveva pregato, se gli fosse successo qualche cosa, di avvisarla. Credo che avesse un presentimento. Il suo corpo è stato cremato dove è morto e le sue ceneri disperse al vento, come aveva richiesto.

 

La lettera era firmata. Solo un nome, nessun cognome, nessun indirizzo, nessuna tomba. Marco era morto. In qualche parte dell'Africa, probabilmente, su una mina, sì, era plausibile. O magari in uno scontro a fuoco. O... Marco era morto. Marco era morto. Si era alzato, era andato alla finestra. Era tornato a sedersi. Aveva guardato la busta vuota. Aveva riletto l'indirizzo, come se sperasse che la lettera non fosse indirizzata a lui. Si era seduto a guardare nel vuoto. Marco era morto.

 

Sei mesi prima, poco meno.

Il pomeriggio del suo primo giorno di disoccupato uscì per andare a fare la spesa. Prese whisky e champagne. Già, champagne. Avrebbe festeggiato. Festeggiato la disoccupazione ed il secondo anniversario del suo incontro con Marco.

Rientrando a casa, vide la lettera sul cassettone dell'ingresso. La fissò, senza capire. Era uscito venti minuti prima, non c'era nulla sul cassettone. Ne era sicuro. Non era ubriaco. Non più, dal mattino, o non ancora: lo sarebbe stato tra poco. La lettera non aveva un destinatario. L'aprì. Solo tre righe. Non conosceva la scrittura.

Se vuoi sapere qualche cosa di Marco Torri, trovati domani alle tre al bar Il Gelatiere, corso Einaudi angolo corso De Gasperi. Siediti ad un tavolo vicino alla strada.

Guardò la lettera senza capire. Che cosa c'era ancora da sapere su Marco Torri? Che cosa c'era da sapere su un morto? Pensò che doveva farsi un bicchierino. Portò sul tavolo del tinello la borsa con le bottiglie. Le guardò. Il resto avvenne quasi automaticamente. Aprì le tre bottiglie di whisky, le prese una a una e le vuotò nel lavandino. Sapeva che aveva finito. Non sapeva che cosa sarebbe successo, ma con i liquori aveva finito. La bottiglia di champagne seguì la stessa sorte, ma stappandola Antonio pensò che festeggiava una fine. Non sapeva di che cosa.

Quella notte quasi non dormì.

Arrivò al bar un po' in anticipo e si sedette ad un tavolo di fianco alla grande vetrina. Il cameriere si avvicinò.

- Il signor Abate?

- Sì?

Marco rimase stupito a sentirsi chiamare per nome. Anche se qualche volta veniva a prendere un gelato, non era un cliente abituale e non aveva mai lasciato il suo nome.

- È arrivato tardi, il signore non ha potuto aspettarla, ma ha lasciato questo per lei.

Avrebbe voluto dire che era puntualissimo, ma non aveva senso. Prese la grossa busta gialla che gli porgeva il cameriere. L'aprì. Un biglietto ed un'altra busta. Il biglietto conteneva poche righe, stampate:

Prendi il passaporto. Alla frontiera australiana hanno tutti i dati, con l'autorizzazione che serve come visto. Non portare nient'altro. Lo spazzolino lo fornisce la Qantas.

Sussultò. Lo spazzolino lo fornisce la Qantas. Marco scherzava spesso sulla sua attenzione un po' maniacale alla pulizia dei denti.

Dentro la seconda busta un biglietto aereo. Torino-Francoforte-Singapore-Sidney. Sola andata. A nome suo. Partenza quattro ore dopo.

Era assurdo. Non sarebbe partito. Non aveva nessun senso. Mollare tutto con un biglietto di sola andata.

Lo spazzolino lo fornisce la Qantas.

Non aveva senso. Se lo disse mentre tornava a casa, lo ripeté mentre sbarrava le imposte dalla parte interna, come quando partiva per le vacanze. Non aveva senso, anche se tanto non aveva più un lavoro. Non occorreva neanche chiedere a Dario di venire a bagnare le piante. Le aveva lasciate morire tutte. Lui, che era così orgoglioso del suo pollice verde. Non aveva senso. Telefonò ai suoi genitori, dicendo che sarebbe stato via per alcuni giorni.

Non aveva senso, si sarebbe ritrovato in Australia senza un soldo, senza sapere che cosa fare, sarebbe stato un suicidio, faceva bene a non andarci. Questo se lo disse mentre scendeva dal taxi che lo aveva portato all'aeroporto di Caselle e controllava a quale banco doveva dirigersi. Torino-Francoforte era Lufthansa, quindi zona C.

L'impiegata prese il biglietto.

- Metta pure il suo bagaglio sul nastro.

- Non ho bagaglio.

- Bagaglio a mano?

- No, niente.

La donna lo guardò perplessa. Non doveva capitare spesso che qualcuno partisse per l'Australia con un biglietto di sola andata e neppure una ventiquattrore come bagaglio. Non aveva senso. Antonio disse:

- Tanto lo spazzolino lo fornisce la Qantas.

L'impiegata sorrise, ma era un sorriso poco convinto.

 

Una notte in aereo, in cui non dormì per nulla. Un giorno tra volo e sosta in aeroporto a Singapore. Un'altra notte in aereo. Cercava di non pensare a nulla. Se vuoi sapere qualche cosa di Marco Torri. La stanchezza di due notti insonni ebbe infine la meglio e riuscì a dormire alcune ore. Il mattino dopo era a Sidney. Scese, passò il controllo doganale e si trovò nell'aeroporto. C'erano due o tre persone che aspettavano i passeggeri con i cartellini, ma il suo nome non era scritto su nessuno. Era idiota aspettarselo. Si chiese se sarebbe rimasto senza biglietto di ritorno, senza soldi, senza nulla, in quel di Sidney. Aveva la carta di credito, in qualche modo sarebbe riuscito a rientrare.

Poi sentì una voce alle sue spalle, una voce con un leggero accento straniero.

- L'aspettavo, signor Abate. Da questa parte.

L'uomo lo accompagnò al parcheggio e lo fece salire sull'auto. Antonio non chiese nulla. Aveva paura di chiedere. L'uomo non aprì bocca fino a che non si fermò in città, davanti ad un albergo.

- L'albergo è già pagato. Compresi pranzo e cena. La chiameranno domani mattina alle otto. Si trovi all'ingresso alle nove in punto. Cerchi di riposare.

Annuì. Salì in camera. Si spogliò, si fece la doccia e si mise a letto. Quando viaggiava cercava sempre di ingranare con il fuso, aspettando la sera prima di mettersi a dormire. Ora non gliene importava niente. Non appena si stese si addormentò. Si svegliò nel pomeriggio. Per un attimo si chiese dove si trovava, poi capì. Scese e fece un giro per il quartiere, attento solo a non perdere l'orientamento. Faceva molto caldo, per lui che arrivava dall'inverno. Aveva lasciato i vestiti pesanti in camera, ma avrebbe dovuto almeno togliersi la canottiera. La camicia l'aveva addosso da tre giorni. Mutande e calze pure. E aveva le scarpe invernali. Ottimo.

Tornò in camera, si fece una seconda doccia e si stese sul letto, ma non chiuse occhio fino al primo mattino.

Scese a colazione con un cerchio alla testa. Tornò in camera a lavarsi i denti, con lo spazzolino della Qantas, e alle nove scese al banco. L'addetto gli sorrise.

- Il suo taxi è pronto. Qui c'è il suo biglietto aereo.

Ebbe paura che fosse un biglietto di ritorno. Aprì subito la busta. Era un biglietto per Cairns. Avrebbe voluto chiedere dov'era Cairns, ma in fondo era irrilevante. Trovare un biglietto di ritorno sarebbe stato divertente. Scusate tanto, abbiamo scherzato. E non avrebbe avuto nessuna idea di che cosa fare. Immaginava il dialogo con Dario, che in questo periodo cercava di fargli da angelo custode: - Ti ho cercato ieri, che cosa hai fatto? - Oh, niente, sono andato in Australia. Volevo vedere i canguri.

Salì sul taxi. L'autista mise subito in moto. Sapeva già dove andare. Non disse una parola. Meglio così: Antonio non aveva voglia di fare conversazione. L'inglese degli australiani doveva essere tremendo.

A Cairns si ripeté la scena del giorno prima. Comunque si mettesse, gli arrivavano sempre alle spalle.

L'albergo era un posto piacevole, ma avrebbe lasciato anche quello, l'indomani, alle sette.

Il caldo era intollerabile. Pensò che avrebbe fatto meglio a comprarsi un po' di biancheria, con la carta di credito. Non poteva continuare con la roba di quattro giorni prima. Controllò nella tasca che portava a tracolla e scoprì che non aveva più né passaporto, né carta di credito. La carta di credito era la sua unica possibilità di comprare un biglietto di ritorno, di cavarsela. Certo, avrebbe potuto rivolgersi alla polizia, ma avrebbe avuto difficoltà a spiegare molte cose. Bene, sarebbe rimasto con la roba addosso. Cercava solo di non pensare. Se vuoi sapere qualche cosa di Marco Torri.

La notte dormì, anche se di un sonno agitato.

Si svegliò il mattino. I suoi abiti erano spariti. Al loro posto una maglietta, un paio di pantaloni ed uno di mutande, un fazzoletto, un paio di scarpe leggere. Il tutto perfettamente di misura, molto sobrio, di puro cotone. Chi aveva preso quei vestiti lo conosceva bene. Altre conclusioni, Antonio non ne voleva trarre.

Dopo colazione passarono a prenderlo su un fuoristrada. Viaggiarono due ore su una strada asfaltata, poi presero una sterrata. Era ormai mezzogiorno quando Antonio si decise a chiedere.

- È lontano?

Era il suo primo e unico tentativo di far parlare uno dei suoi autisti. Il risultato non fu propriamente brillante.

- È più in là.

Lasciò perdere. D'altronde, non si era aspettato molto.

Verso l'una arrivarono in una piccola baia. L'auto si fermò. C'era un sentiero che dalla strada scendeva fino a una casetta di legno in riva al mare.

- La casa là sotto.

L'uomo non disse altro. Antonio evitò di salutare, scese dall'auto e si diresse verso la casa. La casa era chiusa. Davanti all'ingresso c'era un portico, con un tavolo. Sul tavolo un bicchiere con un liquido. Tra due pali del portico un'amaca.

Sapeva di dover bere e sapeva che bevendo si sarebbe addormentato. Volevano che si mettesse nelle loro mani, consenziente.

- Speriamo solo che non sia alcolico - pensò.

Sapeva che lo stavano guardando. Non esitò. Prese il bicchiere e bevve, fino in fondo. Si sarebbe detto un banale succo di ananas. Forse con un retrogusto un po' amaro. Se fosse stato un buon veleno, sarebbe stata la cosa migliore. Si sdraiò sull'amaca e si sentì presto scivolare nel sonno. Se vuoi sapere qualche cosa di Marco Torri.

    

Si svegliò nella cuccetta di un’imbarcazione, che dondolava appena. Il mare doveva essere calmo. Si alzò e salì in coperta. Nessuno, ovviamente. Il battello era ancorato a poche decine di metri da un'isola. Sull'isola una figura in piedi. Vicino ad una palma.

Si spogliò e scese nell'acqua, che gli arrivava fino al collo. Camminò verso la riva. La figura gli voltava la schiena. Rimaneva immobile, come se guardasse un punto lontano all'orizzonte. Antonio uscì dall'acqua e si avvicinò. Il corpo nudo che si offriva ai suoi sguardi gli era noto in ogni dettaglio. Ora però era cambiato. La gamba sinistra finiva sotto il ginocchio. Sotto, una protesi. La mano sinistra era stesa ed aperta, a mostrare bene le due dita mozzate alla prima falange ed il mignolo mancante. Come a dire che quello era quanto c'era. Prendere o lasciare.

Antonio fissò quel corpo, incapace di dare un senso a tutto ciò che emergeva dentro di lui.

Poi si voltò, fece tre passi e si sedette sulla spiaggia a guardare il mare dalla parte opposta.

L'uomo chinò la testa, chiuse gli occhi un momento, poi venne a sedersi vicino a lui, leggermente più indietro, e parlò, fissando il mare.

- Ti ho seguito da lontano. Speravo che tu mi dimenticassi, ti trovassi un'altra storia, riprendessi a vivere. Per questo quando ho avuto l'incidente ti ho fatto scrivere che ero morto. Non so se volevo che mi dimenticassi. Non lo volevo per niente. Ti avrei maledetto se mi avessi dimenticato. Io non avrei potuto dimenticarti. Io non ti avrei dimenticato. Se tu mi avessi dimenticato, sarei stato libero… Invece ti ho visto scivolare verso il fondo. Prima impercettibilmente, poi sempre più rapidamente. Non ti potevo lasciar precipitare. Tra te e l'orlo del precipizio mi sarei messo io, a costo di farmi schiacciare... Sono intervenuto. Una messinscena grottesca. Probabilmente è quello che pensi. Non potevo vederti in Italia. Non era ad armi pari. Neanche qui, ma almeno se te ne vai, io resto. Con un pugno di mosche, ma resto… Ho smesso, per forza. Avrei potuto ancora fare delle cose, soprattutto l'addestramento. Non avrei potuto. L'avevi reso impossibile tu. Disoccupato per colpa tua… Un lavoro come quello lo fai se non ti poni problemi, se non ti chiedi nulla. Quando cominci a chiederti se è giusto o sbagliato quello che stai facendo, non puoi tirare avanti a lungo, non sei più concentrato e se non sei più concentrato, crepi… Quando sono partito ti ho cancellato. Non nel senso di cercare di dimenticarti. Quello non era possibile. Quello non sarà mai possibile. Ti ho messo da parte, con cura, in un angolo, come si fa con un oggetto pericoloso. Ho evitato di aprire lo sportello. Ed ho creduto di farcela. Ce l'avevo fatta. In fondo la tua fuga, il tuo silenzio nell'ultimo giorno erano stati un colpo tale. Ti ho telefonato. Tutto il giorno. Sono andato a casa tua. Tre volte. Tutto potevo accettare, ma non che tu non mi ascoltassi. Non ne avevi il diritto, Antonio.

La voce si incrinò. Antonio avrebbe voluto dirgli che aveva ragione, ma non era in grado di parlare. Si sentiva schiacciato da un peso enorme, che gli premeva sul petto, e faceva fatica a respirare.

- Non avevo mai permesso a nessuno di farmi tanto male. Ma l'avevo superato, rimosso, messo in un angolo, per il ritorno. Perché sarei ritornato e ti avrei cercato. Ti avrei preso alla sprovvista ed avremmo fatto i conti. Non so che cosa avremmo fatto… Poi è arrivata la tua lettera. Cristo! Sei stato bravo. Senza tante parole. Ti sono bastate poche righe. Hai fatto piazza pulita. Di tutto. Sono piombato in crisi. Più nulla funzionava. Sapevo benissimo che prima o poi sarei saltato. E sono saltato. Quando correvo sapevo che non dovevo passare di lì. E ci sono passato. Ma quando sono passato ho pensato alla tua lettera e che forse c'era ancora uno spazio per noi due. Ed ho cercato di non farmi troppo male. All'ospedale mi sono maledetto per non essermi fatto ammazzare.

Antonio non parlava, fissava l'orizzonte ed ascoltava. Gli sembrava di non provare nulla, un vuoto assoluto.

- Ti aspettavo. Pensavo a che cosa avresti fatto scendendo. Mi dicevo che ormai dovevi essere sveglio, la dose era minima. Aspettavo. Poi ti ho sentito arrivare. Mi dicevo: - Adesso mi prende tra le braccia, mi stringe forte, ci rotoliamo per terra e facciamo l'amore… Quando ti ho steso sulla cuccetta ho pensato di spogliarti e di prenderti, mentre dormivi. In fondo quando hai bevuto, sapevi benissimo che il rischio c'era. Se l'avessi fatto, almeno... Quando sono arrivato a Sidney, sono andato in qualche locale. Volevo vedere se riscuotevo ancora successo. È stato incredibile. Manco fossi Brad Pitt. Si vede che così ho un'aria vissuta. Mi ronzavano intorno come mosconi. Ho contato quelli che si avvicinavano e ho detto che al decimo approccio ci sarei andato a letto, anche se era Frankenstein. Al decimo approccio sono uscito senza nemmeno dire bye al tipo che si era avvicinato. Gli altri tentativi sono andati allo stesso modo. Guardavo il bicchiere e pensavo che tu stavi bevendo. Speravo che smettessi e desideravo che continuassi. Desideravo essere autorizzato ad intervenire.

Ci fu una nuova pausa.

- Della gamba non m'importa nulla. Per sentirmi dire che mi ami ancora, che lo spazio c'è ancora, darei anche l'altra. Anche su una sedia a rotelle. Anche crepare subito dopo, senza aver fatto in tempo a toccarti con un dito.

Ancora una pausa. Antonio non sapeva perché continuava a tacere, perché lasciava che sprofondasse nell'abisso. Lo guardava rotolare verso il fondo e non stendeva una mano. Si chiese se voleva assicurarsi che soffrisse abbastanza. La voce che gli giungeva era scherzosa, ora, ma la fatica era troppo evidente.

- Ho un'ottima assicurazione. Posso vivere di rendita per circa centoquarant'anni, con un viaggio l'anno in Italia per vedere i miei. Oppure in Italia tutto l'anno ed un viaggio per vedere il mondo. Come preferisci. Certo se dobbiamo dividere in due, potremo vivere solo settant'anni. Dovremo accontentarci… Potremmo partire e girare l'Australia in auto. È un paese bellissimo. Ti compro un altro spazzolino da denti, quelli della Qantas fanno schifo.

Dopo una pausa più lunga l'uomo si alzò e si rivolse verso di lui. C'era molta stanchezza nella voce, ora.

- Se non mi vuoi, puoi tornare alla barca. Ti riporto alla casa, ritrovi abiti, documenti e tutto e dopodomani sarai a Torino. Cristo, Antonio, di' qualcosa. Non ce la faccio più ad aspettare.

Non c'era stata un'interruzione tra una frase e l'altra, nulla. La voce non era salita di tono, ma la carica d'angoscia di quelle ultime parole lo riscosse, sciolse il torpore che lo inchiodava. Trovò la forza di alzarsi, con lo sguardo ancora incollato ad un orizzonte che aveva smesso di vedere, poi, con fatica, si girò verso l'uomo che gli stava a fianco, tenendo gli occhi verso il basso. Lentamente alzò lo sguardo e per la prima volta guardò Marco. Ritrovò il volto che conosceva, solo il dolore infinito negli occhi era nuovo, non l'aveva mai visto, non voleva vederlo più. Con le dita cercò i lineamenti di quel viso e guardò quel dolore che retrocedeva, che diventava un interrogativo. Quando sfiorò le labbra le vide aprirsi in un mezzo sorriso. L'immagine cominciò ad annebbiarsi, mentre le lacrime gli scendevano dagli occhi. Sentì la propria voce:

- Ti so mo sol, ma lun-a, ma vid, da aqua ka kalm da sede, do fog ke bruc, do pan ko sfam…

 

2000

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Area aperta

Storie

Gallerie

Indice

 

 

 

 

Website analytics