LA NUVOLA

 

 

        

III – IL CARCERE

 

Benjamin e Leonard avevano finito di sistemare le cariche. Tornarono rapidamente al posto di guardia. All’altra estremità del ponte qualcuno urlò. Dovevano aver capito che i due militari avevano messo l’esplosivo e che il ponte sarebbe saltato in aria, rendendo impossibile passare dall’altra parte. Due uomini si arrampicarono per scavalcare la recinzione, seguiti subito dopo da numerosi altri.

Quando vide che alcuni erano riusciti a superare la barriera e stavano già correndo sul ponte, il comandante gridò:

- Ora, Owens!

Jim Owens azionò il comando. Il ponte esplose, scagliando per aria coloro che correvano per raggiungere l’altra riva ed entrare negli Stati Uniti d’America.

Jim guardò l’esplosione, sorridendo: era un bello spettacolo. In un’altra situazione, far saltare il ponte con alcune persone sopra non sarebbe stato possibile, ma ormai non aveva più importanza. Quelle persone sarebbero morte tutte comunque, all’arrivo della nuvola. Questione di due o tre giorni, forse meno.

Alcune sette cristiane sostenevano che gli Stati Uniti sarebbero stati risparmiati, perché erano la terra benedetta da Dio, ma non era vero: la Florida era già stata raggiunta dalla nuvola e nessuno era scampato. E dagli Stati Uniti alcuni cercavano di fuggire verso il Canada, sperando di guadagnare qualche giorno di vita, ma il Canada aveva le frontiere, bloccando tutti i varchi.

 

Jim, Benjamin, Leonard e Abraham presero congedo dal comandante: avevano svolto il loro compito e ora erano in licenza. Una licenza per andare a morire come desideravano. Era stato Abraham a lanciare la proposta, che Benjamin e Leonard avevano accettato con entusiasmo. Ne avevano parlato parecchio e si erano ritrovati d’accordo sul fatto che era il modo migliore di finire. Jim si era aggiunto dopo. Ben era un po’ dubbioso sulla sua partecipazione: lo conosceva poco, non gli stava molto simpatico e non gli risultava che fosse gay, ma lui aveva insistito.

Abraham e Leonard si alternarono alla guida. Impiegarono sette ore per raggiungere il carcere, in Oklahoma.

La prigione di Blue Island era sempre stata gestita da privati. Non era molto grande: vi potevano stare circa cento prigionieri, di solito condannati a pene minori. Quattro anni prima la società che gestiva la prigione era fallita, a causa di alcuni scandali.

Hector Ronaldson aveva acquistato l’edificio e ne aveva ricavato un carcere per chi voleva provare la vita da reclusi. Gli uomini pagavano per soggiornarvi per qualche giorno, di solito una settimana, ma volte anche un mese, in condizioni piuttosto dure. I prigionieri erano in maggioranza gay con fantasie di sottomissione, prigionia e morte. Anche diversi delle guardie carcerarie e dei soldati che si occupavano delle esecuzioni erano uomini che pagavano per assumere quel ruolo, ma erano sempre affiancati da alcuni lavoratori stipendiati, con il compito di controllare che tutto si svolgesse come previsto dai contratti stipulati. Molti tornavano più volte nelle prigione, di solito sempre con lo stesso ruolo, ma succedeva anche che alcuni scegliessero di essere una volta prigionieri e un’altra guardie o soldati.

Ronaldson aveva ricavato anche un locale per le esecuzioni: impiccagioni, soprattutto, ma anche fucilazioni. Non erano vere esecuzioni, ma erano realizzate con cura e lo spettacolo era uno dei pezzi forti del soggiorno in carcere. Gli impiccati si dibattevano a lungo, prima di rimanere immobili, mentre una macchia bagnata si allargava sui loro pantaloni. Alle fucilazioni il sangue sgorgava, macchiando le divise da carcerati.

Naturalmente gli impiccati non erano appesi per il collo, ma una corda reggeva l’imbragatura e il cappio si stringeva poco, senza impedire la respirazione. Il sangue dei fucilati era davvero sangue, animale, presente in piccole sacche che le pallottole facevano esplodere: non erano pallottole vere, ma facevano male ed erano sufficienti a far uscire il sangue.

Qualcuno diceva che avvenivano anche esecuzioni vere: gente che pagava profumatamente per essere giustiziata. Abraham era sicuro che fosse così: negli ultimi tre anni era stato più volte nel carcere, soprattutto come prigioniero condannato a morte, ma talvolta come guardia e soldato, e aveva parlato con alcuni uomini, anche loro ospiti frequenti della prigione, che esprimevano il loro desiderio di essere giustiziati veramente. Li aveva visti più volte, ma a un certo punto quattro di loro erano scomparsi, prima due, poi un terzo e infine il quarto. Le esecuzioni vere dovevano avvenire nei quattro periodi dell’anno in cui la prigione non era aperta: quattro settimane in cui ufficialmente si svolgevano i lavori di manutenzione e disinfezione. Non gli sarebbe dispiaciuto far parte della squadra che giustiziava chi voleva davvero morire.

Dal giorno prima, quando la nuvola era arrivata in Florida, la prigione aveva l’autorizzazione a procedere a vere esecuzioni. Ronaldson aveva organizzato tutto e molto prima che la nube raggiungesse l’America aveva già una lista di aspiranti prigionieri che volevano essere giustiziati.

 

Abraham fermò l’auto nel parcheggio a lato della prigione, un’area recintata dove vi erano già parecchie auto. Auto su cui nessuno sarebbe più salito e che sarebbero rimaste lì per secoli.

- Non avete cambiato idea, Ben? Leo? Jim?

- Io no, di certo.

- Neanch’io.

- Neanch’io.

Fu Ben a chiedere:

- E tu, Abraham?

Abraham rise.

- Ho il cazzo duro all’idea di quello che mi aspetta.

La guardia all’ingresso li fece passare nell’ufficio. L’agente che li accolse prese i loro documenti e li confrontò con la lista che aveva.

- Siete venuti a costituirvi. Bravi.

Li fece passare in una stanza, dove si sedettero ad aspettare. Chiamarono subito Ben e Jim.

Quattro agenti li accompagnarono in un altro locale.

- Spogliatevi.

Ben si tolse tutti gli abiti, rimanendo nudo. Jim tenne le mutande.

- Togliti tutto.

Jim non capiva perché doveva togliersi anche le mutande, ma obbedì.

Quando furono entrambi nudi, uno degli agenti si infilò un guanto e si rivolse a Jim.

- Piegati in avanti, a 90°.

Jim esitò un attimo. Non si era aspettato la perquisizione anale: di certo un ricercato che si presenta in carcere viene perquisito completamente per assicurarsi che non porti dentro armi o droga, ma loro due non erano assassini o delinquenti, avevano deciso liberamente di venire a morire. Sapeva di non avere più nessuna possibilità di scelta: su questo il contratto era chiarissimo. Entrando in carcere sarebbero diventati prigionieri destinati a essere giustiziati. Avevano potuto scegliere la modalità di esecuzione, ma null’altro. Se avessero cercato di fare resistenza, sarebbero stati menati dagli agenti, se avessero cercato di fuggire, li avrebbero fermati, anche sparando, se necessario.

- Muoviti, stronzo!

Il poliziotto si era avvicinato. Era chiaro che era pronto a colpirlo, se lui non avesse obbedito. Jim si piegò in avanti. Non si sottoponeva volentieri all’esame, ma non poteva sottrarsi. Il poliziotto infilò il dito bruscamente e lo mosse senza nessuna cautela. Probabilmente si divertiva.

Ben si sottopose alla perquisizione senza fare obiezioni: era abituato, perché era già venuto tre volte alla prigione e ogni volta era stato perquisito.

Ricevettero le tute da prigionieri, senza biancheria, e un paio di ciabatte.

Li accompagnarono lungo un corridoio su cui si aprivano le celle.

Le guardie aprirono una porta e si rivolsero a Jim:

- Entra.

Jim obbedì. Si trovò in una stanza con quattro cuccette sui due lati e altri tre prigionieri che lo guardarono entrare. Si era immaginato di essere messo in una cella individuale, in attesa dell’esecuzione: i condannati a morte negli ultimi giorni sono in isolamento. Oppure di rimanere con i tre compagni con cui era arrivato. Evidentemente non era così.

Dei suoi tre compagni di cella, uno era un gigante, massiccio, con spalle larghe e braccia muscolose. Un altro era anche lui alto e doveva essere molto forte. Il terzo era decisamente più basso, ma anche lui sembrava molto robusto.

I due più alti erano a torso nudo: ormai faceva molto caldo ovunque. Il tizio basso era completamente nudo.

Un agente chiuse la porta dietro di lui. Sul viso del tizio tarchiato apparve un ghigno.

- Un po’ di carne fresca! Ne avevamo bisogno.

Istintivamente Jim fece un passo indietro. Aveva capito benissimo il senso della frase e sentì una morsa allo stomaco. Non aveva mai avuto rapporti con uomini e non desiderava provare. Non aveva pensato che potesse succedere una cosa del genere. In carcere non è raro che qualcuno venga stuprato, Jim lo sapeva, ma quello non era un carcere normale, le persone erano lì per morire. I detenuti non erano delinquenti, ma uomini che avevano scelto di essere giustiziati invece di prendere il veleno fornito dal governo.

Il prigioniero più alto annuì alla battuta del compagno e si avvicinò a Jim. Era davvero un gigante, che sovrastava Jim di tutta la testa. Aveva un fisico da atleta. Si calò i pantaloni, mettendo in mostra un cazzo enorme, come Jim non ne aveva mai visti.

- Cocco bello, intendi collaborare o preferisci che ti meniamo prima?

Jim scosse la testa.

- No, io… no…

Il pugno lo prese allo stomaco, tanto violento che Jim non riuscì a dire nulla. Si piegò in due. L’uomo che lo aveva colpito lo afferrò per i capelli e lo forzò ad appoggiare il petto a una cuccetta. Gli calò i pantaloni con un gesto brusco, scoprendo il culo. Jim non aveva più la forza di ribellarsi e in ogni caso sarebbe stato del tutto inutile. Sentì il cazzo dell’uomo premere contro l’apertura e scosse la testa, ma ormai era troppo tardi. L’uomo spinse con forza. Il cazzo si fece strada nel culo di Jim, con violenza, strappandogli un urlo. Il dolore e l’umiliazione gli fecero salire le lacrime agli occhi. Il tizio ci diede dentro a lungo: Jim pensò che non avrebbe mai finito. Quando infine si ritirò, uno degli altri prese il suo posto. Poi fu il turno del terzo. Il dolore al culo era intollerabile.

Quando ebbero concluso, a fatica Jim si rialzò e si stese sulla cuccetta, la faccia contro il muro. Continuava a singhiozzare.

 

Anche Ben fu messo in una cella con altri tre prigionieri. Sapeva benissimo come funzionavano le cose nella prigione e proprio questo lo aveva spinto a fare una richiesta particolare. Il modulo che aveva compilato permetteva di richiedere qualche cosa di diverso dai servizi previsti, ma era specificato che tali richieste non erano necessariamente soddisfatte.

Entrando nella cella, osservò i suoi tre compagni. Uno era un ragazzo, che non aveva più di vent’anni, alto e magro. Un altro, tra i trenta e i quaranta, era decisamente sovrappeso. Il terzo era un uomo anziano. Nessuno dei tre doveva aver mai frequentato una palestra. Gli fu subito chiaro che non sarebbero stati loro a fare ciò che lui aveva chiesto. Gli spiacque, ma non dipendeva più da lui. Nulla dipendeva più da lui, neanche la sua morte. Scambiarono poche parole. L’uomo anziano era euforico, chiaramente impaziente di morire come doveva avere a lungo sognato, senza nessun rimpianto: lui ormai la sua vita l’aveva vissuta. Il ragazzo sembrava spaventato. Aveva scelto, come tutti, di morire nella prigione, ma la paura della morte lo schiacciava. A Ben faceva pena, come facevano pena tutti i giovani, destinati a morire senza aver davvero vissuto. Il tizio sovrappeso era nervoso, sembrava combattuto tra il desiderio di finire presto e quello di vivere ancora un po’.

Scambiarono poche parole. Quando gli chiesero come aveva scelto di morire, Ben portò la mano al collo. Gli altri intesero l’impiccagione. Ben non aveva voglia di spiegare.

 

Leonard e Abraham aspettarono a lungo seduti su una panca, poi anche loro si dovettero spogliare, furono perquisiti e infine messi insieme in una cella vuota.

- Bene, Leo. Siamo all’ultima tappa.

Leonard annuì.

- Quello che volevamo.

- Ci facciamo un’ultima scopata?

Molto volentieri.

Abraham si stese sulla cuccetta. Leonard si inginocchiò tra le sue gambe divaricate e prese in bocca la cappella dell’amico. La sua lingua incominciò a stuzzicarla. Sentiva il cazzo inturgidirsi tra le sue labbra e man mano che cresceva, la sua bocca faceva sempre più fatica a contenere la cappella. La lasciò andare e cominciò a scorrere con le labbra lungo il cazzo, fino alla base. Risalì verso la cappella e, cedendo a un impulso improvviso, morse con decisione.

Abraham sussultò. Poi rise.

- Lasciamelo intero, vorrei crepare con il cazzo.

Leonard protese la lingua e cominciò a percorrere il cazzo fino ai coglioni. Ora sentiva anche la propria eccitazione crescere, ma si concentrò sul cazzo di Abraham, sulle sensazioni che gli trasmettevano la sua lingua, le sue labbra, la sua bocca, quando accolse nuovamente la cappella. La lasciò con uno schiocco e riprese a lavorare con la lingua. D’improvviso sentì le mani di Abraham sulla sua testa, in una carezza, ora delicata, ora brusca. Morse nuovamente, con decisione, tre, quattro volte. Inghiottì i coglioni, uno per volta, poi la sua lingua risalì fino alla cappella e le labbra ripresero a lavorarla con cura. Lavorò a lungo, fino a che sentì le parole di Abraham:

- Leo, sto per venire.

Non mollò la presa, ma aspettò, con tutto il suo corpo in tensione, il fiotto che gli inondò la bocca. Continuò a succhiare con le labbra: non voleva perdere una goccia di quel liquido.

- Basta!

Le mani di Abraham lo forzarono a lasciare la preda e a stendersi sopra di lui. Nuovamente sentì il calore di quel corpo su cui ora poggiava. La mano di Abraham cercò il suo uccello, ma l’aveva appena sfiorato, che Leonard sentì uno spasimo al ventre e il getto uscì, ricadendo su Abraham.

Non si rivestirono. Rimasero distesi, Leonard sopra Abraham. Più tardi venne portato un altro prigioniero. Lo salutarono, ma non si mossero.

 

Poche ore dopo l’arrivo dei quattro le guardie passarono cella per cella a chiamare i condannati: le esecuzioni si svolgevano a diverse ore del giorno, perché occorreva fare spazio a coloro che sarebbero arrivati.

Tra coloro che vennero chiamati ci fu Jim. Si alzò a fatica, tirandosi su i pantaloni. Gli legarono le mani dietro la schiena e lo spinsero fuori dalla cella. Jim aveva male al culo e ogni passo era doloroso. Mentre camminava sentì colargli dal culo un po’ di sborro misto a sangue. C’erano già altri tre prigionieri e quando le guardie ebbero completato il giro, il gruppo era formato da dieci uomini. Jim notò che alcuni condannati erano nudi.

Furono portati nel cortile e cinque di loro messi contro il muro. Jim e altri quattro avrebbero assistito.

C’erano dieci soldati. Uno dei condannati si pisciò addosso e Jim vide allargarsi sui pantaloni la macchia bagnata. Un altro invece ce l’aveva duro: era uno di quelli nudi e il cazzo svettava, teso allo spasimo, contro il ventre.

All’ordine del comandante i soldati si misero in posizione e spararono. Al suono della raffica Jim e un altro degli uomini che attendevano il loro turno persero il controllo della vescica. I fucilati si contorsero e caddero a terra. Tre sembravano morti, gli altri due si muovevano ancora.

L’ufficiale si avvicinò e sparò a tutti e cinque: alla nuca o alla tempia o in bocca, a seconda di com’erano caduti. Poi diede un ordine e i soldati condussero al muro i cinque prigionieri successivi.

Jim guardò i fucili che i soldati alzavano e puntavano contro di lui e gli altri, guardò i cinque cadaveri a terra. Stava per morire. Era la morte che aveva scelto, ma lo stupro subito lo aveva svuotato completamente. Non gli importava più di niente. Voleva solo finire.

Fu colpito da tre proiettili: due al petto e uno al ventre. Sentì il dolore violento e cadde a terra. L’ufficiale si muoveva tra i corpi distesi. Lo sentì sparare due volte, poi avvertì la pressione della canna alla nuca e lo sparo cancellò il mondo.

La squadra che si occupava dei cadaveri li trascinò nello stanzone delle adunate, dove i corpi nudi erano ormai un’ottantina, stesi uno accanto all’altro. Spogliarono quelli che avevano gli abiti, poi disposero i cadaveri vicino agli altri. Metà dello stanzone era già pieno. Alla fine ci sarebbero stati duecento corpi. In un angolo c’era il mucchio degli abiti.

 

Le guardie fecero nuovamente il giro: questa volta vennero chiamati i prigionieri che sarebbero stati impiccati. Tra di loro c’erano Leonard e Abraham. Non si erano rivestiti perché volevano morire nudi. Le forche avevano dieci cappi. La lunghezza della corda era diversa, in base alle scelte dei condannati. Quattro avevano una corda lunga, che garantiva un salto e una morte immediata. Sei avevano una corda molto corta, che avrebbe comportato un’agonia più lunga. Leonard e Abraham avevano scelto la corda corta: volevano sentire la loro morte.

Uno dopo l’altro li fecero salire sul palco. Le travi erano bagnate: diversi giustiziati si erano pisciati addosso prima dell’esecuzione. Le guardie passarono il cappio intorno al collo dei condannati. Leonard ebbe un brivido al contatto ruvido della corda, mentre Abraham avvertì che il cazzo gli si tendeva. A tre dei condannati misero un cappuccio nero. Abraham e Leonard avevano scelto di non averlo.

Ora avevano tutti il cappio al collo. Uno dei prigionieri perse il controllo della vescica.

Ci fu un momento di silenzio, poi, a un cenno dell’ufficiale, un soldato abbassò la leva e il palco si aprì, lasciando cadere i prigionieri. Coloro che avevano scelto la corda lunga precipitarono fin quasi a toccare terra e il salto spezzò loro le vertebre del collo, provocando una morte immediata. Leonard, Abraham e gli altri quattro caddero per un breve tratto. Sentirono la pressione della corda sul collo, la crescente difficoltà a respirare, il bruciore nei polmoni dove l’aria non arrivava più. Incominciarono a scalciare, cercando di liberare le mani, di trovare un appoggio per i piedi.

Leonard perse coscienza in fretta, come quasi tutti gli altri. Abraham aveva un collo taurino e rimase cosciente più a lungo. Vide il cazzo di Leonard tendersi nell’ultima erezione, lo sborro che saliva verso l’alto e poi il piscio che colava, ma ormai Leonard era incosciente.

Abraham aveva il cazzo duro come una pietra e scalciava, mentre le guardie osservavano soddisfatte l’agonia di quel magnifico toro. Abraham vide svanire il mondo e infine ogni coscienza si perse nel grande incendio che ardeva nei suoi polmoni. Continuò ad agitarsi un buon momento, ormai privo di sensi, e infine venne. Poi il suo corpo rimase immobile, mentre il piscio colava lungo il cazzo e la gamba destra.

 

A sera Ben era l’unico ancora vivo dei quattro militari. Ignorava la sorte dei suoi compagni. Passarono a prendere il vecchio e l’uomo sovrappeso per l’ultimo turno di esecuzioni, la sera, e fecero entrare due nuovi prigionieri, sui trenta-quaranta. Chiacchierarono un buon momento, prima di coricarsi.

Passarono a chiamare Ben il mattino dopo. Si stupì di non vedere altri prigionieri: le esecuzioni erano sempre collettive.

Non lo portarono in cortile, ma in un’altra cella, la stessa dove era stato rinchiuso Jim. Ben guardò i tre uomini. Ne riconobbe uno: Nick Pulos, un attore porno che gli piaceva parecchio. Era il gigante che aveva stuprato per primo Jim.

L’uomo basso e tarchiato disse:

- Ma che gentili, ci riforniscono di carne fresca ogni giorno.

Ben sorrise. Annuì.

- Va bene, ragazzi. Non è un problema.

Si spogliò. Lo fecero mettere con il torace sul tavolo, le gambe divaricate appoggiate a terra. A Ben non spiaceva prenderselo in culo ancora una volta prima di morire. I primi due vennero piuttosto in fretta: davvero non era stata una grande scopata. Ma Nick Pulos… lui era Nick Pulos. 

Nick lo prese per ultimo.

- Succhiamelo prima.

Ben sorrise. Si inginocchiò davanti a Nick.

- Ben volentieri.

Mai avrebbe pensato di poter un giorno succhiare il cazzo del grande Nick Pulos. Leccò e succhiò a lungo, mentre il cazzo gli si irrigidiva. Nick lo fermò prima di venire.

- Stenditi sul tavolo, sulla schiena.

Nick si mise le gambe di Ben sulle spalle, lo attirò un po’ a sé, fino a che il culo di Ben fu sull’orlo del tavolo.

- Pronto per il gran finale?

Ben sorrise.

- Certo!

Il cuore aveva accelerato i battiti. Stava per essere fottuto dal grande Nick Pulos e poi sarebbe morto, come aveva richiesto.

L’ingresso fu doloroso, per quanto il buco del culo fosse già dilatato: Nick aveva un cazzo da toro. Eppure la sensazione fu splendida.

Nick fotteva piano e Ben sentì il piacere salire. Quando il ventre di Nick sfregava contro il suo cazzo, gemeva. Dal culo ondate di piacere salivano.

Poi Nick gli mise le mani intorno al collo. Era quanto Ben aveva chiesto: essere strangolato mentre veniva fottuto. Nick esercitò una leggere pressione. Sentire le mani di Nick che lentamente stringevano fu una sensazione splendida. Persino quando l’aria incominciò a mancargli e un fuoco gli ardeva in gola, il piacere era ancora più forte del dolore. Fu in quel momento che venne, in un orgasmo violento. Allora Nick accelerò le spinte e le sue mano strinsero con forza.

Al piacere intensissimo seguì il dolore violento dell’incendio nei suoi polmoni e nel culo squassato dalla spinte di Nick.

Ben perse i sensi. Nick venne poco dopo. Strinse ancora, con forza, poi tolse le mani. Osservò il cadavere. Era la prima volta che uccideva un uomo. Gli era piaciuto, parecchio.

Due ore dopo vennero a prendere Nick e gli altri due uomini. Erano tutti e tre nudi. Furono portati nel cortile. Erano le ultime esecuzioni: la nuvola sarebbe arrivata entro poche ore. Lo stanzone in cui venivano ammucchiati i cadaveri era ormai quasi pieno.

Il plotone era composto solo da quattro soldati, che avevano dei mitra: gli altri erano già stati fucilati. I dodici prigionieri vennero messi al muro. Erano tutti nudi: ormai la squadra che si occupava dei cadaveri era composta solo da due uomini, che si limitavano a portare i cadaveri nello stanzone. Doverli anche spogliare avrebbe rallentato il lavoro.

Le raffiche presero al petto i condannati, uccidendoli quasi tutti. Solo Nick era ancora vivo: essendo nettamente più alto degli altri, la raffica non l’aveva preso al petto, ma gli aveva squarciato il ventre.

L’ufficiale si avvicinò, guardò il magnifico maschio che agonizzava a terra, scosse la testa, gli infilò la pistola in bocca e sparò due colpi.

Intanto si erano concluse le ultime impiccagioni.

Nella caserma erano vivi solo tredici uomini: quattro soldati e un ufficiale per ognuna delle sue squadre, quella che si occupava delle fucilazioni e quella che gestiva le impiccagioni; due uomini del gruppo che sistemava i cadaveri; il direttore del carcere, Hector Ronaldson.

La prigione era stata chiusa definitivamente: in mattinata erano ancora arrivati alcuni condannati, che erano stati giustiziati. Ora nessuno sarebbe più entrato. Coloro che erano ancora all’interno sarebbero stati uccisi, a parte tre soldati, che non avevano scelto di essere giustiziati.

 

Nel suo ufficio Hector fumava il sigaro. Era il suo ultimo giorno di vita. La nuvola sarebbe arrivata in serata, ma a quell’ora lui sarebbe già stato un cadavere, uno dei tanti stesi nella sala usata come obitorio, uno di quelli su cui le ultime guardie avrebbero pisciato.

Tutto aveva funzionato come previsto: pochissimi tra i detenuti avevano cercato di sottrarsi all’esecuzione, ma erano stati giustiziati come gli altri.

Li vide entrare nell’ufficio. Gli otto soldati ancora vivi e i due ufficiali. A guidare il gruppo era David, che era suo amico e sapeva esattamente che cosa Hector voleva.

David avanzò fino alla scrivania e ordinò:

- Alzati e spogliati.

Hector obbedì. Aveva organizzato anche la propria morte. Non poteva essere sicuro che tutto si svolgesse come desiderava, perché nessuno poteva controllare pienamente quegli uomini, che erano venuti lì per uccidere, ma questo gli andava bene: faceva parte del gioco.

Si tolse la giacca e la fece cadere a terra, sciolse il nodo della cravatta e poi si tolse la camicia. Si sfilò le scarpe, poi tolse i pantaloni e i jock-strap. Ora era nudo di fronte ai suoi assassini

L’elegante uomo d’affari era scomparso con gli abiti. Ora si vedevano i segni di un uomo del tutto diverso: i tatuaggi che coprivano buona parte del petto, delle braccia e delle gambe; i piercing ai capezzoli, all’ombelico, allo scroto e al pene; le numerose cicatrici, alcune profonde.

Gli era sempre piaciuta questa doppia identità: manager abituato a decidere anche delle vite altrui e maschio che si metteva completamente in gioco. Stava per giocare l’ultima partita, il cui finale era già scritto. L’aveva deciso lui, ma non avrebbe più potuto cambiarlo, né controllarlo.

Lo spinsero sulla scrivania e lo tennero fermo, mentre, uno dopo l’altro, tutti gli uomini lo inculavano. Il dolore fu violento: per quanto abituato a essere inculato, l’ingresso era sempre troppo brutale. Due degli uomini gli strinsero i coglioni fin quasi a farlo urlare.

Ma il dolore non gli dispiaceva: lo aveva spesso cercato.

Dopo averlo inculato, si facevano pulire il cazzo.

Quando anche l’ultimo lo ebbe preso lo forzarono ad alzarsi. Si disposero in cerchio intorno a lui e incominciarono a spingerlo. A ogni spinta, finiva addosso a qualcuno, che gli mollava un pugno al ventre o in faccia oppure lo colpiva ai coglioni con una ginocchiata. I colpi si susseguivano e a un certo punto Hector non fu più in grado di stare in piedi, ma continuarono a spingerlo e prenderlo a pugni e poi, quando cadde a terra, calci. Lo sollevarono. Hector vide che avevano i coltelli. Il gioco riprese: veniva spinto addosso a uno, che lo colpiva con il coltello e poi lo spingeva contro un altro. Le lame gli aprirono il ventre e il petto, recisero il cazzo e i coglioni.

Era già morto da un buon momento quando infine lo lasciarono cadere sul pavimento. Portarono il cadavere nello stanzone dove erano disposti tutti gli altri. Poi gli pisciarono addosso.

 

Erano rimasti in dodici.

I due ufficiali, i due uomini che si occupavano dei cadaveri e cinque soldati avevano scelto di essere fucilati.

David si mise con la faccia contro il muro. Voleva essere fucilato alla schiena. Gli altri preferirono guardare in faccia la squadra, composta dagli ultimi tre soldati, con i mitra.

La raffica falciò i prigionieri.

Matthew, Kurt e Thomas, gli ultimi tre, finirono i giustiziati.

Mentre Kurt sparava in bocca a David, Matthew estrasse la pistola, appoggiò la canna sulla nuca di Kurt e prima che questi potesse reagire, sparò un colpo. Thomas si voltò e guardò, stupito, Kurt cadere a terra. La pistola di Matthew era puntata su di lui.

- Che cazzo…

Non finì la frase, perché Matthew gli sparò: un unico colpo al cuore.

Matthew sorrise.

Ora era rimasto solo lui. Guardò il cielo. Si vedeva già la nuvola.

Portò i cadaveri nello stanzone, uno per uno. Poi si stese accanto al corpo di David, si puntò la pistola alla testa e sparò.

 

Benjamin e Leonard avevano finito di sistemare le cariche. Tornarono rapidamente al posto di guardia. All’altra estremità del ponte qualcuno urlò. Dovevano aver capito che i due militari avevano messo l’esplosivo e che il ponte sarebbe saltato in aria, rendendo impossibile passare dall’altra parte. Due uomini si arrampicarono per scavalcare la recinzione, seguiti subito dopo da numerosi altri.

Quando vide che alcuni erano riusciti a superare la barriera e stavano già correndo sul ponte, il comandante gridò:

- Ora, Owens!

Jim Owens azionò il comando. Il ponte esplose, scagliando per aria coloro che correvano per raggiungere l’altra riva ed entrare negli Stati Uniti d’America.

Jim guardò l’esplosione, sorridendo: era un bello spettacolo. In un’altra situazione, far saltare il ponte con alcune persone sopra non sarebbe stato possibile, ma ormai non aveva più importanza. Quelle persone sarebbero morte tutte comunque, all’arrivo della nuvola. Questione di due o tre giorni, forse meno.

Alcune sette cristiane sostenevano che gli Stati Uniti sarebbero stati risparmiati, perché erano la terra benedetta da Dio, ma non era vero: la Florida era già stata raggiunta dalla nuvola e nessuno era scampato. E dagli Stati Uniti alcuni cercavano di fuggire verso il Canada, sperando di guadagnare qualche giorno di vita, ma il Canada aveva le frontiere, bloccando tutti i varchi.

 

Jim, Benjamin, Leonard e Abraham presero congedo dal comandante: avevano svolto il loro compito e ora erano in licenza. Una licenza per andare a morire come desideravano. Era stato Abraham a lanciare la proposta, che Benjamin e Leonard avevano accettato con entusiasmo. Ne avevano parlato parecchio e si erano ritrovati d’accordo sul fatto che era il modo migliore di finire. Jim si era aggiunto dopo. Ben era un po’ dubbioso sulla sua partecipazione: lo conosceva poco, non gli stava molto simpatico e non gli risultava che fosse gay, ma lui aveva insistito.

Abraham e Leonard si alternarono alla guida. Impiegarono sette ore per raggiungere il carcere, in Oklahoma.

La prigione di Blue Island era sempre stata gestita da privati. Non era molto grande: vi potevano stare circa cento prigionieri, di solito condannati a pene minori. Quattro anni prima la società che gestiva la prigione era fallita, a causa di alcuni scandali.

Hector Ronaldson aveva acquistato l’edificio e ne aveva ricavato un carcere per chi voleva provare la vita da reclusi. Gli uomini pagavano per soggiornarvi per qualche giorno, di solito una settimana, ma volte anche un mese, in condizioni piuttosto dure. I prigionieri erano in maggioranza gay con fantasie di sottomissione, prigionia e morte. Anche diversi delle guardie carcerarie e dei soldati che si occupavano delle esecuzioni erano uomini che pagavano per assumere quel ruolo, ma erano sempre affiancati da alcuni lavoratori stipendiati, con il compito di controllare che tutto si svolgesse come previsto dai contratti stipulati. Molti tornavano più volte nelle prigione, di solito sempre con lo stesso ruolo, ma succedeva anche che alcuni scegliessero di essere una volta prigionieri e un’altra guardie o soldati.

Ronaldson aveva ricavato anche un locale per le esecuzioni: impiccagioni, soprattutto, ma anche fucilazioni. Non erano vere esecuzioni, ma erano realizzate con cura e lo spettacolo era uno dei pezzi forti del soggiorno in carcere. Gli impiccati si dibattevano a lungo, prima di rimanere immobili, mentre una macchia bagnata si allargava sui loro pantaloni. Alle fucilazioni il sangue sgorgava, macchiando le divise da carcerati.

Naturalmente gli impiccati non erano appesi per il collo, ma una corda reggeva l’imbragatura e il cappio si stringeva poco, senza impedire la respirazione. Il sangue dei fucilati era davvero sangue, animale, presente in piccole sacche che le pallottole facevano esplodere: non erano pallottole vere, ma facevano male ed erano sufficienti a far uscire il sangue.

Qualcuno diceva che avvenivano anche esecuzioni vere: gente che pagava profumatamente per essere giustiziata. Abraham era sicuro che fosse così: negli ultimi tre anni era stato più volte nel carcere, soprattutto come prigioniero condannato a morte, ma talvolta come guardia e soldato, e aveva parlato con alcuni uomini, anche loro ospiti frequenti della prigione, che esprimevano il loro desiderio di essere giustiziati veramente. Li aveva visti più volte, ma a un certo punto quattro di loro erano scomparsi, prima due, poi un terzo e infine il quarto. Le esecuzioni vere dovevano avvenire nei quattro periodi dell’anno in cui la prigione non era aperta: quattro settimane in cui ufficialmente si svolgevano i lavori di manutenzione e disinfezione. Non gli sarebbe dispiaciuto far parte della squadra che giustiziava chi voleva davvero morire.

Dal giorno prima, quando la nuvola era arrivata in Florida, la prigione aveva l’autorizzazione a procedere a vere esecuzioni. Ronaldson aveva organizzato tutto e molto prima che la nube raggiungesse l’America aveva già una lista di aspiranti prigionieri che volevano essere giustiziati.

 

Abraham fermò l’auto nel parcheggio a lato della prigione, un’area recintata dove vi erano già parecchie auto. Auto su cui nessuno sarebbe più salito e che sarebbero rimaste lì per secoli.

- Non avete cambiato idea, Ben? Leo? Jim?

- Io no, di certo.

- Neanch’io.

- Neanch’io.

Fu Ben a chiedere:

- E tu, Abraham?

Abraham rise.

- Ho il cazzo duro all’idea di quello che mi aspetta.

La guardia all’ingresso li fece passare nell’ufficio. L’agente che li accolse prese i loro documenti e li confrontò con la lista che aveva.

- Siete venuti a costituirvi. Bravi.

Li fece passare in una stanza, dove si sedettero ad aspettare. Chiamarono subito Ben e Jim.

Quattro agenti li accompagnarono in un altro locale.

- Spogliatevi.

Ben si tolse tutti gli abiti, rimanendo nudo. Jim tenne le mutande.

- Togliti tutto.

Jim non capiva perché doveva togliersi anche le mutande, ma obbedì.

Quando furono entrambi nudi, uno degli agenti si infilò un guanto e si rivolse a Jim.

- Piegati in avanti, a 90°.

Jim esitò un attimo. Non si era aspettato la perquisizione anale: di certo un ricercato che si presenta in carcere viene perquisito completamente per assicurarsi che non porti dentro armi o droga, ma loro due non erano assassini o delinquenti, avevano deciso liberamente di venire a morire. Sapeva di non avere più nessuna possibilità di scelta: su questo il contratto era chiarissimo. Entrando in carcere sarebbero diventati prigionieri destinati a essere giustiziati. Avevano potuto scegliere la modalità di esecuzione, ma null’altro. Se avessero cercato di fare resistenza, sarebbero stati menati dagli agenti, se avessero cercato di fuggire, li avrebbero fermati, anche sparando, se necessario.

- Muoviti, stronzo!

Il poliziotto si era avvicinato. Era chiaro che era pronto a colpirlo, se lui non avesse obbedito. Jim si piegò in avanti. Non si sottoponeva volentieri all’esame, ma non poteva sottrarsi. Il poliziotto infilò il dito bruscamente e lo mosse senza nessuna cautela. Probabilmente si divertiva.

Ben si sottopose alla perquisizione senza fare obiezioni: era abituato, perché era già venuto tre volte alla prigione e ogni volta era stato perquisito.

Ricevettero le tute da prigionieri, senza biancheria, e un paio di ciabatte.

Li accompagnarono lungo un corridoio su cui si aprivano le celle.

Le guardie aprirono una porta e si rivolsero a Jim:

- Entra.

Jim obbedì. Si trovò in una stanza con quattro cuccette sui due lati e altri tre prigionieri che lo guardarono entrare. Si era immaginato di essere messo in una cella individuale, in attesa dell’esecuzione: i condannati a morte negli ultimi giorni sono in isolamento. Oppure di rimanere con i tre compagni con cui era arrivato. Evidentemente non era così.

Dei suoi tre compagni di cella, uno era un gigante, massiccio, con spalle larghe e braccia muscolose. Un altro era anche lui alto e doveva essere molto forte. Il terzo era decisamente più basso, ma anche lui sembrava molto robusto.

I due più alti erano a torso nudo: ormai faceva molto caldo ovunque. Il tizio basso era completamente nudo.

Un agente chiuse la porta dietro di lui. Sul viso del tizio tarchiato apparve un ghigno.

- Un po’ di carne fresca! Ne avevamo bisogno.

Istintivamente Jim fece un passo indietro. Aveva capito benissimo il senso della frase e sentì una morsa allo stomaco. Non aveva mai avuto rapporti con uomini e non desiderava provare. Non aveva pensato che potesse succedere una cosa del genere. In carcere non è raro che qualcuno venga stuprato, Jim lo sapeva, ma quello non era un carcere normale, le persone erano lì per morire. I detenuti non erano delinquenti, ma uomini che avevano scelto di essere giustiziati invece di prendere il veleno fornito dal governo.

Il prigioniero più alto annuì alla battuta del compagno e si avvicinò a Jim. Era davvero un gigante, che sovrastava Jim di tutta la testa. Aveva un fisico da atleta. Si calò i pantaloni, mettendo in mostra un cazzo enorme, come Jim non ne aveva mai visti.

- Cocco bello, intendi collaborare o preferisci che ti meniamo prima?

Jim scosse la testa.

- No, io… no…

Il pugno lo prese allo stomaco, tanto violento che Jim non riuscì a dire nulla. Si piegò in due. L’uomo che lo aveva colpito lo afferrò per i capelli e lo forzò ad appoggiare il petto a una cuccetta. Gli calò i pantaloni con un gesto brusco, scoprendo il culo. Jim non aveva più la forza di ribellarsi e in ogni caso sarebbe stato del tutto inutile. Sentì il cazzo dell’uomo premere contro l’apertura e scosse la testa, ma ormai era troppo tardi. L’uomo spinse con forza. Il cazzo si fece strada nel culo di Jim, con violenza, strappandogli un urlo. Il dolore e l’umiliazione gli fecero salire le lacrime agli occhi. Il tizio ci diede dentro a lungo: Jim pensò che non avrebbe mai finito. Quando infine si ritirò, uno degli altri prese il suo posto. Poi fu il turno del terzo. Il dolore al culo era intollerabile.

Quando ebbero concluso, a fatica Jim si rialzò e si stese sulla cuccetta, la faccia contro il muro. Continuava a singhiozzare.

 

Anche Ben fu messo in una cella con altri tre prigionieri. Sapeva benissimo come funzionavano le cose nella prigione e proprio questo lo aveva spinto a fare una richiesta particolare. Il modulo che aveva compilato permetteva di richiedere qualche cosa di diverso dai servizi previsti, ma era specificato che tali richieste non erano necessariamente soddisfatte.

Entrando nella cella, osservò i suoi tre compagni. Uno era un ragazzo, che non aveva più di vent’anni, alto e magro. Un altro, tra i trenta e i quaranta, era decisamente sovrappeso. Il terzo era un uomo anziano. Nessuno dei tre doveva aver mai frequentato una palestra. Gli fu subito chiaro che non sarebbero stati loro a fare ciò che lui aveva chiesto. Gli spiacque, ma non dipendeva più da lui. Nulla dipendeva più da lui, neanche la sua morte. Scambiarono poche parole. L’uomo anziano era euforico, chiaramente impaziente di morire come doveva avere a lungo sognato, senza nessun rimpianto: lui ormai la sua vita l’aveva vissuta. Il ragazzo sembrava spaventato. Aveva scelto, come tutti, di morire nella prigione, ma la paura della morte lo schiacciava. A Ben faceva pena, come facevano pena tutti i giovani, destinati a morire senza aver davvero vissuto. Il tizio sovrappeso era nervoso, sembrava combattuto tra il desiderio di finire presto e quello di vivere ancora un po’.

Scambiarono poche parole. Quando gli chiesero come aveva scelto di morire, Ben portò la mano al collo. Gli altri intesero l’impiccagione. Ben non aveva voglia di spiegare.

 

Leonard e Abraham aspettarono a lungo seduti su una panca, poi anche loro si dovettero spogliare, furono perquisiti e infine messi insieme in una cella vuota.

- Bene, Leo. Siamo all’ultima tappa.

Leonard annuì.

- Quello che volevamo.

- Ci facciamo un’ultima scopata?

Molto volentieri.

Abraham si stese sulla cuccetta. Leonard si inginocchiò tra le sue gambe divaricate e prese in bocca la cappella dell’amico. La sua lingua incominciò a stuzzicarla. Sentiva il cazzo inturgidirsi tra le sue labbra e man mano che cresceva, la sua bocca faceva sempre più fatica a contenere la cappella. La lasciò andare e cominciò a scorrere con le labbra lungo il cazzo, fino alla base. Risalì verso la cappella e, cedendo a un impulso improvviso, morse con decisione.

Abraham sussultò. Poi rise.

- Lasciamelo intero, vorrei crepare con il cazzo.

Leonard protese la lingua e cominciò a percorrere il cazzo fino ai coglioni. Ora sentiva anche la propria eccitazione crescere, ma si concentrò sul cazzo di Abraham, sulle sensazioni che gli trasmettevano la sua lingua, le sue labbra, la sua bocca, quando accolse nuovamente la cappella. La lasciò con uno schiocco e riprese a lavorare con la lingua. D’improvviso sentì le mani di Abraham sulla sua testa, in una carezza, ora delicata, ora brusca. Morse nuovamente, con decisione, tre, quattro volte. Inghiottì i coglioni, uno per volta, poi la sua lingua risalì fino alla cappella e le labbra ripresero a lavorarla con cura. Lavorò a lungo, fino a che sentì le parole di Abraham:

- Leo, sto per venire.

Non mollò la presa, ma aspettò, con tutto il suo corpo in tensione, il fiotto che gli inondò la bocca. Continuò a succhiare con le labbra: non voleva perdere una goccia di quel liquido.

- Basta!

Le mani di Abraham lo forzarono a lasciare la preda e a stendersi sopra di lui. Nuovamente sentì il calore di quel corpo su cui ora poggiava. La mano di Abraham cercò il suo uccello, ma l’aveva appena sfiorato, che Leonard sentì uno spasimo al ventre e il getto uscì, ricadendo su Abraham.

Non si rivestirono. Rimasero distesi, Leonard sopra Abraham. Più tardi venne portato un altro prigioniero. Lo salutarono, ma non si mossero.

 

Poche ore dopo l’arrivo dei quattro le guardie passarono cella per cella a chiamare i condannati: le esecuzioni si svolgevano a diverse ore del giorno, perché occorreva fare spazio a coloro che sarebbero arrivati.

Tra coloro che vennero chiamati ci fu Jim. Si alzò a fatica, tirandosi su i pantaloni. Gli legarono le mani dietro la schiena e lo spinsero fuori dalla cella. Jim aveva male al culo e ogni passo era doloroso. Mentre camminava sentì colargli dal culo un po’ di sborro misto a sangue. C’erano già altri tre prigionieri e quando le guardie ebbero completato il giro, il gruppo era formato da dieci uomini. Jim notò che alcuni condannati erano nudi.

Furono portati nel cortile e cinque di loro messi contro il muro. Jim e altri quattro avrebbero assistito.

C’erano dieci soldati. Uno dei condannati si pisciò addosso e Jim vide allargarsi sui pantaloni la macchia bagnata. Un altro invece ce l’aveva duro: era uno di quelli nudi e il cazzo svettava, teso allo spasimo, contro il ventre.

All’ordine del comandante i soldati si misero in posizione e spararono. Al suono della raffica Jim e un altro degli uomini che attendevano il loro turno persero il controllo della vescica. I fucilati si contorsero e caddero a terra. Tre sembravano morti, gli altri due si muovevano ancora.

L’ufficiale si avvicinò e sparò a tutti e cinque: alla nuca o alla tempia o in bocca, a seconda di com’erano caduti. Poi diede un ordine e i soldati condussero al muro i cinque prigionieri successivi.

Jim guardò i fucili che i soldati alzavano e puntavano contro di lui e gli altri, guardò i cinque cadaveri a terra. Stava per morire. Era la morte che aveva scelto, ma lo stupro subito lo aveva svuotato completamente. Non gli importava più di niente. Voleva solo finire.

Fu colpito da tre proiettili: due al petto e uno al ventre. Sentì il dolore violento e cadde a terra. L’ufficiale si muoveva tra i corpi distesi. Lo sentì sparare due volte, poi avvertì la pressione della canna alla nuca e lo sparo cancellò il mondo.

La squadra che si occupava dei cadaveri li trascinò nello stanzone delle adunate, dove i corpi nudi erano ormai un’ottantina, stesi uno accanto all’altro. Spogliarono quelli che avevano gli abiti, poi disposero i cadaveri vicino agli altri. Metà dello stanzone era già pieno. Alla fine ci sarebbero stati duecento corpi. In un angolo c’era il mucchio degli abiti.

 

Le guardie fecero nuovamente il giro: questa volta vennero chiamati i prigionieri che sarebbero stati impiccati. Tra di loro c’erano Leonard e Abraham. Non si erano rivestiti perché volevano morire nudi. Le forche avevano dieci cappi. La lunghezza della corda era diversa, in base alle scelte dei condannati. Quattro avevano una corda lunga, che garantiva un salto e una morte immediata. Sei avevano una corda molto corta, che avrebbe comportato un’agonia più lunga. Leonard e Abraham avevano scelto la corda corta: volevano sentire la loro morte.

Uno dopo l’altro li fecero salire sul palco. Le travi erano bagnate: diversi giustiziati si erano pisciati addosso prima dell’esecuzione. Le guardie passarono il cappio intorno al collo dei condannati. Leonard ebbe un brivido al contatto ruvido della corda, mentre Abraham avvertì che il cazzo gli si tendeva. A tre dei condannati misero un cappuccio nero. Abraham e Leonard avevano scelto di non averlo.

Ora avevano tutti il cappio al collo. Uno dei prigionieri perse il controllo della vescica.

Ci fu un momento di silenzio, poi, a un cenno dell’ufficiale, un soldato abbassò la leva e il palco si aprì, lasciando cadere i prigionieri. Coloro che avevano scelto la corda lunga precipitarono fin quasi a toccare terra e il salto spezzò loro le vertebre del collo, provocando una morte immediata. Leonard, Abraham e gli altri quattro caddero per un breve tratto. Sentirono la pressione della corda sul collo, la crescente difficoltà a respirare, il bruciore nei polmoni dove l’aria non arrivava più. Incominciarono a scalciare, cercando di liberare le mani, di trovare un appoggio per i piedi.

Leonard perse coscienza in fretta, come quasi tutti gli altri. Abraham aveva un collo taurino e rimase cosciente più a lungo. Vide il cazzo di Leonard tendersi nell’ultima erezione, lo sborro che saliva verso l’alto e poi il piscio che colava, ma ormai Leonard era incosciente.

Abraham aveva il cazzo duro come una pietra e scalciava, mentre le guardie osservavano soddisfatte l’agonia di quel magnifico toro. Abraham vide svanire il mondo e infine ogni coscienza si perse nel grande incendio che ardeva nei suoi polmoni. Continuò ad agitarsi un buon momento, ormai privo di sensi, e infine venne. Poi il suo corpo rimase immobile, mentre il piscio colava lungo il cazzo e la gamba destra.

 

A sera Ben era l’unico ancora vivo dei quattro militari. Ignorava la sorte dei suoi compagni. Passarono a prendere il vecchio e l’uomo sovrappeso per l’ultimo turno di esecuzioni, la sera, e fecero entrare due nuovi prigionieri, sui trenta-quaranta. Chiacchierarono un buon momento, prima di coricarsi.

Passarono a chiamare Ben il mattino dopo. Si stupì di non vedere altri prigionieri: le esecuzioni erano sempre collettive.

Non lo portarono in cortile, ma in un’altra cella, la stessa dove era stato rinchiuso Jim. Ben guardò i tre uomini. Ne riconobbe uno: Nick Pulos, un attore porno che gli piaceva parecchio. Era il gigante che aveva stuprato per primo Jim.

L’uomo basso e tarchiato disse:

- Ma che gentili, ci riforniscono di carne fresca ogni giorno.

Ben sorrise. Annuì.

- Va bene, ragazzi. Non è un problema.

Si spogliò. Lo fecero mettere con il torace sul tavolo, le gambe divaricate appoggiate a terra. A Ben non spiaceva prenderselo in culo ancora una volta prima di morire. I primi due vennero piuttosto in fretta: davvero non era stata una grande scopata. Ma Nick Pulos… lui era Nick Pulos. 

Nick lo prese per ultimo.

- Succhiamelo prima.

Ben sorrise. Si inginocchiò davanti a Nick.

- Ben volentieri.

Mai avrebbe pensato di poter un giorno succhiare il cazzo del grande Nick Pulos. Leccò e succhiò a lungo, mentre il cazzo gli si irrigidiva. Nick lo fermò prima di venire.

- Stenditi sul tavolo, sulla schiena.

Nick si mise le gambe di Ben sulle spalle, lo attirò un po’ a sé, fino a che il culo di Ben fu sull’orlo del tavolo.

- Pronto per il gran finale?

Ben sorrise.

- Certo!

Il cuore aveva accelerato i battiti. Stava per essere fottuto dal grande Nick Pulos e poi sarebbe morto, come aveva richiesto.

L’ingresso fu doloroso, per quanto il buco del culo fosse già dilatato: Nick aveva un cazzo da toro. Eppure la sensazione fu splendida.

Nick fotteva piano e Ben sentì il piacere salire. Quando il ventre di Nick sfregava contro il suo cazzo, gemeva. Dal culo ondate di piacere salivano.

Poi Nick gli mise le mani intorno al collo. Era quanto Ben aveva chiesto: essere strangolato mentre veniva fottuto. Nick esercitò una leggere pressione. Sentire le mani di Nick che lentamente stringevano fu una sensazione splendida. Persino quando l’aria incominciò a mancargli e un fuoco gli ardeva in gola, il piacere era ancora più forte del dolore. Fu in quel momento che venne, in un orgasmo violento. Allora Nick accelerò le spinte e le sue mano strinsero con forza.

Al piacere intensissimo seguì il dolore violento dell’incendio nei suoi polmoni e nel culo squassato dalla spinte di Nick.

Ben perse i sensi. Nick venne poco dopo. Strinse ancora, con forza, poi tolse le mani. Osservò il cadavere. Era la prima volta che uccideva un uomo. Gli era piaciuto, parecchio.

Due ore dopo vennero a prendere Nick e gli altri due uomini. Erano tutti e tre nudi. Furono portati nel cortile. Erano le ultime esecuzioni: la nuvola sarebbe arrivata entro poche ore. Lo stanzone in cui venivano ammucchiati i cadaveri era ormai quasi pieno.

Il plotone era composto solo da quattro soldati, che avevano dei mitra: gli altri erano già stati fucilati. I dodici prigionieri vennero messi al muro. Erano tutti nudi: ormai la squadra che si occupava dei cadaveri era composta solo da due uomini, che si limitavano a portare i cadaveri nello stanzone. Doverli anche spogliare avrebbe rallentato il lavoro.

Le raffiche presero al petto i condannati, uccidendoli quasi tutti. Solo Nick era ancora vivo: essendo nettamente più alto degli altri, la raffica non l’aveva preso al petto, ma gli aveva squarciato il ventre.

L’ufficiale si avvicinò, guardò il magnifico maschio che agonizzava a terra, scosse la testa, gli infilò la pistola in bocca e sparò due colpi.

Intanto si erano concluse le ultime impiccagioni.

Nella caserma erano vivi solo tredici uomini: quattro soldati e un ufficiale per ognuna delle sue squadre, quella che si occupava delle fucilazioni e quella che gestiva le impiccagioni; due uomini del gruppo che sistemava i cadaveri; il direttore del carcere, Hector Ronaldson.

La prigione era stata chiusa definitivamente: in mattinata erano ancora arrivati alcuni condannati, che erano stati giustiziati. Ora nessuno sarebbe più entrato. Coloro che erano ancora all’interno sarebbero stati uccisi, a parte tre soldati, che non avevano scelto di essere giustiziati.

 

Nel suo ufficio Hector fumava il sigaro. Era il suo ultimo giorno di vita. La nuvola sarebbe arrivata in serata, ma a quell’ora lui sarebbe già stato un cadavere, uno dei tanti stesi nella sala usata come obitorio, uno di quelli su cui le ultime guardie avrebbero pisciato.

Tutto aveva funzionato come previsto: pochissimi tra i detenuti avevano cercato di sottrarsi all’esecuzione, ma erano stati giustiziati come gli altri.

Li vide entrare nell’ufficio. Gli otto soldati ancora vivi e i due ufficiali. A guidare il gruppo era David, che era suo amico e sapeva esattamente che cosa Hector voleva.

David avanzò fino alla scrivania e ordinò:

- Alzati e spogliati.

Hector obbedì. Aveva organizzato anche la propria morte. Non poteva essere sicuro che tutto si svolgesse come desiderava, perché nessuno poteva controllare pienamente quegli uomini, che erano venuti lì per uccidere, ma questo gli andava bene: faceva parte del gioco.

Si tolse la giacca e la fece cadere a terra, sciolse il nodo della cravatta e poi si tolse la camicia. Si sfilò le scarpe, poi tolse i pantaloni e i jock-strap. Ora era nudo di fronte ai suoi assassini

L’elegante uomo d’affari era scomparso con gli abiti. Ora si vedevano i segni di un uomo del tutto diverso: i tatuaggi che coprivano buona parte del petto, delle braccia e delle gambe; i piercing ai capezzoli, all’ombelico, allo scroto e al pene; le numerose cicatrici, alcune profonde.

Gli era sempre piaciuta questa doppia identità: manager abituato a decidere anche delle vite altrui e maschio che si metteva completamente in gioco. Stava per giocare l’ultima partita, il cui finale era già scritto. L’aveva deciso lui, ma non avrebbe più potuto cambiarlo, né controllarlo.

Lo spinsero sulla scrivania e lo tennero fermo, mentre, uno dopo l’altro, tutti gli uomini lo inculavano. Il dolore fu violento: per quanto abituato a essere inculato, l’ingresso era sempre troppo brutale. Due degli uomini gli strinsero i coglioni fin quasi a farlo urlare.

Ma il dolore non gli dispiaceva: lo aveva spesso cercato.

Dopo averlo inculato, si facevano pulire il cazzo.

Quando anche l’ultimo lo ebbe preso lo forzarono ad alzarsi. Si disposero in cerchio intorno a lui e incominciarono a spingerlo. A ogni spinta, finiva addosso a qualcuno, che gli mollava un pugno al ventre o in faccia oppure lo colpiva ai coglioni con una ginocchiata. I colpi si susseguivano e a un certo punto Hector non fu più in grado di stare in piedi, ma continuarono a spingerlo e prenderlo a pugni e poi, quando cadde a terra, calci. Lo sollevarono. Hector vide che avevano i coltelli. Il gioco riprese: veniva spinto addosso a uno, che lo colpiva con il coltello e poi lo spingeva contro un altro. Le lame gli aprirono il ventre e il petto, recisero il cazzo e i coglioni.

Era già morto da un buon momento quando infine lo lasciarono cadere sul pavimento. Portarono il cadavere nello stanzone dove erano disposti tutti gli altri. Poi gli pisciarono addosso.

 

Erano rimasti in dodici.

I due ufficiali, i due uomini che si occupavano dei cadaveri e cinque soldati avevano scelto di essere fucilati.

David si mise con la faccia contro il muro. Voleva essere fucilato alla schiena. Gli altri preferirono guardare in faccia la squadra, composta dagli ultimi tre soldati, con i mitra.

La raffica falciò i prigionieri.

Matthew, Kurt e Thomas, gli ultimi tre, finirono i giustiziati.

Mentre Kurt sparava in bocca a David, Matthew estrasse la pistola, appoggiò la canna sulla nuca di Kurt e prima che questi potesse reagire, sparò un colpo. Thomas si voltò e guardò, stupito, Kurt cadere a terra. La pistola di Matthew era puntata su di lui.

- Che cazzo…

Non finì la frase, perché Matthew gli sparò: un unico colpo al cuore.

Matthew sorrise.

Ora era rimasto solo lui. Guardò il cielo. Si vedeva già la nuvola.

Portò i cadaveri nello stanzone, uno per uno. Poi si stese accanto al corpo di David, si puntò la pistola alla testa e sparò.

 

 

 

 

 

 

 

 

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