L’ispettore paga il conto
Prima dell’incrocio
rallento e controllo la situazione. Nessuno dietro di me, nessuno nella
direzione opposta. Bene. Svolto nella stradina secondaria
e percorro i due chilometri che mi separano dal bivio per la cascina. Passo
oltre senza rallentare, mentre lancio un’occhiata verso l’edificio, lontano
neppure cinquanta metri. Una finestra è illuminata,
una luce fioca. L’ispettore Marcello Maldini sta guardando la televisione o
gira su Internet. È ancora sveglio. È quasi l’una, ma con questo caldo porco
è difficile dormire. Avrei preferito che fosse
a letto, ma non è un problema. Ho tutto l’occorrente per entrare senza fare
rumore e il cane è fuori combattimento: gli abbiamo dato una polpetta
avvelenata due ore fa. Il rumore della tele coprirà i miei passi. Parcheggio duecento metri
oltre la casa. C’è uno spiazzo, dove parte la sterrata che porta a una
fattoria abbandonata. Metto l’auto dietro un albero, così non è visibile
dalla strada. Spengo le luci, abbasso un po’ il finestrino e giro la
chiavetta.. Ora c’è buio. E silenzio. Aspetto che i miei occhi
si abituino al buio e le mie orecchie al silenzio. Tutto è tranquillo, perfettamente
immobile. Nessun rumore anomalo, solo il gracidare delle rane. C’è un quarto
di luna e la notte è limpida. Non farò fatica ad arrivare alla cascina anche
se non seguo la strada. Guardo l’ora. L’una e
dieci. Bene, è il momento di andare. Mi accorgo di essere in un
bagno di sudore. Mi dico che è il caldo, questo luglio invivibile,
certamente. Ma so benissimo che non è solo il caldo che mi fa sudare. Apro il
cruscotto ed estraggo i guanti. Me li metto. Poi prendo la pistola. È
maneggevole. Piccolo calibro. Difficile uccidere subito, con una pistola
così, a meno che non si centri il cervello o il cuore. Prendo anche le manette,
due paia, e le infilo nella tasca sinistra. Mi asciugo la mano sui
pantaloni. Sono sempre più sudato. Mi dico che non c’è motivo per essere
teso, funzionerà tutto benissimo. Ogni dettaglio è stato curato, non ci
saranno imprevisti. Non devo preoccuparmi io. A preoccuparsi dovrebbe essere
l’ispettore Maldini. No, non devo preoccuparmi. Tutto filerà alla perfezione.
Ho la pistola. Il cane è fuori combattimento. Sono nervoso. Ho voglia di
pisciare, ma non è il momento. Scendo dall’auto. Chiudo
la porta con la sinistra. Nella destra stringo la pistola. Ci ripenso e la
metto nella tasca dei pantaloni. Faccio due passi verso
l’estremità della piazzola. Respiro a fondo e mi avvio. Lascio alle spalle le
incertezze. Passo a fianco dello
stagno. Il concerto delle rane è assordante e il mio passaggio non le mette a
tacere. Supero lo stagno e mi dirigo verso i campi. Il sentiero ora corre ai
margini di un terreno coltivato a granoturco e le sagome scure delle piante,
alte quasi quanto me, mi guidano verso la meta. Arrivato alla fine del campo,
posso vedere la cascina dove abita l’ispettore Maldini. Metto una mano in
tasca e sento con i polpastrelli il calcio della pistola. Mi fermo un attimo a
guardare la casa. La finestra è ancora illuminata, si vede la luce bluastra
di uno schermo acceso. Televisore o monitor. Il bisogno di pisciare è
forte, ma non è il momento. Respiro a fondo e mi dirigo verso la luce. Non c’è recinzione, nulla.
È una vecchia cascina di campagna risistemata, non una villetta. Il cane era
l’unica sorveglianza. L’ispettore Maldini vive in Emilia, non si occupa di
mafia, ma di piccole inchieste, magari un omicidio ogni tanto, ma non si
aspetta certo che qualcuno venga a casa sua ad ammazzarlo. Non sa di aver
messo il piede su un vespaio e non ha un’idea di chi è coinvolto
nell’inchiesta che sta conducendo. Dorme tranquillo, l’ispettore Maldini,
caldo permettendo. Accarezzo la pistola nella
mia tasca. Questa sera l’ispettore
Maldini salderà un conto. Aperto tre anni fa, in una stazione di polizia. La
stazione in cui l’ispettore Maldini mi interrogò per quella storia del furto
dai Greco. La stazione in cui, quella stessa sera, l’ispettore Maldini me lo
mise in culo, tutto, fino in fondo, facendomi un male bestiale. È per quello
che ho detto che me ne sarei occupato io. Questa sera si salda il
conto. Con gli interessi. Sorrido. Mi sento più
tranquillo, ora. Passo lungo la parte
posteriore della cascina. Le finestre hanno tutte le ante accostate, ma non
sono bloccate, e i vetri sono aperti, per far circolare l’aria. Arrivo alla finestra del
bagno, la più lontana dalla stanza dove Maldini guarda la televisione. Metto
la mano al margine inferiore dell’anta destra e tiro lentamente. L’anta si
apre. Un leggerissimo cigolio, che mi fa sussultare. Rapidamente scavalco la
finestra e mi trovo all’interno. Mi fermo ad ascoltare. Sento la televisione.
Qualcuno urla, una voce maschile chiede pietà. Qualcuno ride. Qualche film di
quart’ordine per l’ispettore Maldini. Mi infilo il cappuccio:
non voglio che mi riconosca subito. Se mi presentassi a viso scoperto,
capirebbe che intendo ammazzarlo. I miei occhi sono ormai
abituati all’oscurità e posso intravvedere la porta che dà sul corridoio,
aperta. Impugno la pistola. Raggiungo la porta e passo nel corridoio. Le voci
della televisione sono più forti, ora. Insulti, urla. Rumori di colpi. Mi dico che l’ispettore
Maldini ha scelto bene il film. Tra poco tocca a lui. Lo farò partire per un
viaggio. Un viaggio da cui non si ritorna indietro. Raggiungo rapidamente le
scale. Salgo con cautela, tenendo
la pistola in mano. Ci mancherebbe solo che cadessi, adesso! Sono al primo piano. La
prima stanza nel corridoio a destra è il salotto in cui l’ispettore Maldini
guarda la televisione. Il suo ultimo film prima del viaggio. Non ci sono più urla, ora.
Gemiti, colpi, gemiti, colpi. Qualcuno viene picchiato. Qualcun altro ride. Sono appoggiato alla parete,
di fianco alla porta. Respiro a fondo e sporgo la testa. L’ispettore è steso
su una poltrona. Lo posso vedere benissimo, di profilo, mentre fissa il
monitor: non sta guardando la televisione, ma il computer. È nudo,
completamente nudo. E sta accarezzandosi il cazzo. L’ispettore si fa una sega
mentre guarda un video porno. Cerco la luce. È subito a
sinistra della porta. Voglio che l’ispettore mi veda bene illuminato, non
solo un’ombra sulla soglia alla luce dello schermo. E io voglio vederlo bene,
l’uomo che sto per giustiziare. Tenendo la pistola puntata
su di lui, che ancora non ha avvertito la mia presenza, che ancora non guarda
nella mia direzione, raggiungo con la mano l’interruttore. Un secondo prima che io
accenda la luce, l’ispettore si rende conto che qualcuno è sulla porta e
volta la testa verso di me. Nell’attimo in cui premo l’interruttore e la luce
inonda la stanza, l’ispettore si è alzato in piedi e mi fissa. Ha visto la
pistola puntata su di lui e non si avvicina. Lo osservo con cura. L’ho
già visto, ma lo osservo come se fosse la prima volta. È una gran bella
vista. Qualcuno l’ha definito un
armadio con specchiera. E la struttura fisica dell’ispettore è in effetti
imponente: io sono alto un metro e ottanta, ma lui mi supera di quattro dita.
Ha un collo taurino, due spalle da giocatore di rugby, braccia nerborute e
gambe che paiono tronchi d’albero. Ha il ventre prominente dei bevitori di
birra e su quel ventre batte il cazzo più grosso che io abbia mai visto. È un
palo, ora perfettamente teso, con una grossa vena in rilievo che lo percorre
di lato e la cappella che svetta. Alla base, due coglioni grandi come pesche,
avvolti da una peluria scura, come quasi tutto il corpo: il torace, il
ventre, le braccia, le gambe sono coperte da un velo nero, che nel basso
ventre diviene una vera foresta. Anche il viso è coperto da una fitta barba
nera, che però l’ispettore Maldini porta corta, come i capelli. Non ha una
bella faccia: i lineamenti sono duri, il naso aquilino. Ma quei tratti forti
si accordano con il corpo, robusto e virile. Non ti aspetteresti un altro
viso sopra quel corpo. L’ho guardato a lungo,
senza dire nulla. Un magnifico esemplare di maschio, davvero. Ho la gola
secca e, senza quasi che me ne rendessi conto, mi è venuto duro, quasi come a
lui. Un magnifico esemplare di
maschio. Peccato che questa sera qualcuno gli farà la festa. E quel qualcuno
sono io, Ettore Besnaghi, ladruncolo da quattro
soldi, sempre a un passo dalla galera, fino a quella sera di tre anni fa.
Adesso la mia vita è diversa, ma l’ispettore Maldini non lo sospetta e si
chiede chi è che gli sta puntando addosso una pistola. Non ha detto nulla. Dopo
che ho percorso tutto il suo corpo con lo sguardo, lo fisso in faccia. Lui mi
sta guardando. Vedo che deglutisce, ma non c’è altro segno di paura. Non
abbassa lo sguardo e il cazzo è sempre tanto teso, che non mi stupirei se
venisse, qui e ora, senza neppure toccarsi. Il film dev’essere una bomba. - Voltati e mettiti contro
la parete. Mi guarda fisso e per un
attimo penso che non ubbidirà, che si lancerà su di me. Per quanto io sia
forte, quest’uomo sarebbe in grado di mettermi in ginocchio, se non avessi la
pistola. Come quella volta alla stazione di polizia, quando mi mise fuori
combattimento con due pugni, mi stese sulla scrivania, mi abbassò i pantaloni
e mi inculò, dandoci dentro per un tempo interminabile. Quella sera facevo
fatica a camminare e il culo mi fece male per una settimana. Pare che lo
faccia ogni tanto, con i piccoli criminali con cui ritiene di poterselo permettere. Tendo il braccio con la
pistola e cerco di rendere ferma la mia voce. - Muoviti, stronzo! Rimane fermo. Faccio un passo avanti, la
mascella contratta. - Avanti, pezzo di merda!
Voltati e mettiti contro il muro. Solo due passi ci
separano. Potrebbe lanciarsi su di me. Ma non lo fa. Sa che sparerei e non ha
voglia di crepare. Si sta chiedendo chi sono e che cosa voglio. Sa che se mi
attaccasse morirebbe sicuramente. Vedendomi incappucciato, pensa che io non
intenda ucciderlo: non avrei motivo di coprire il viso, se sapessi che lui
non potrà raccontare a nessuno ciò che succederà. Infine prende una
decisione. Abbassa lo sguardo e mi sembra che anche le spalle si curvino un
po’, mentre si gira e si dirige verso la parete. Lo seguo. Si ferma ad un
passo dal muro. - Metti le mani dietro la
schiena. Di nuovo non ubbidisce, ma
questa volta non ho più paura. Ormai è fatta. L’esecuzione avverrà come
previsto. So che cosa fare. Infilo la pistola in
tasca, prendo le manette dall’altra tasca e gli do una spallata, con tutta la
mia forza. La spinta lo proietta contro il muro. Volta il capo di lato un
attimo prima dell’urto e sento il rumore della testa che batte contro la
parete. Gli metto al polso destro
le manette e faccio scattare la chiusura, poi le tiro, forzando il braccio ad
unirsi all’altro. Passo le manette anche al sinistro e chiudo. Ora è fatta. È appoggiato alla parete,
le gambe un po’ piegate. Quando mi ritraggo, si tira su. Sul muro grezzo c’è
un po’ di sangue, dove ha battuto la testa. - Voltati, stronzo! Si volta verso di me. La
ferita alla tempia è superficiale, appena una lacerazione della pelle. Un po’
di sangue gli è colato sulla guancia. Il cazzo è sempre duro, forse un po’
meno di prima. Ora che sono più
tranquillo, le urla che provengono dal computer mi danno fastidio. Senza più
badare al mio prigioniero, mi dirigo verso la poltrona e metto il film in
pausa. Poi mi volto a guardarlo. Voglio vederlo ancora una volta prima di
fargli il servizio. È davvero un maschio
superbo. Ora che ha le braccia dietro la schiena, il grande torace appare
ancora più possente, tutto fasciato di muscoli. E mi piace anche la sua
trippa, ampia e soda. Prendo la birra che
l’ispettore stava bevendo. La lattina è ancora piena ed è bella fresca. Me la
scolo tutta, mentre lo guardo. È una sensazione piacevolissima, la birra
fresca che mi scorre in gola. L’ispettore mi guarda
mentre bevo. Non ha ancora detto nulla. Sa che il gioco lo conduco io. - Vai in camera. Avanti. China la testa e si muove.
Lo seguo. La camera è la porta a
fianco. La finestra è spalancata e alla luce che viene da fuori posso vedere
il grande letto. - Stenditi a pancia in
giù. Sale sul letto e si
stende, a pancia in giù, mettendo in mostra il grosso culo. È diventato ubbidiente. Un
bravo bambino che tra poco avrà il premio che ha meritato. Accendo la luce sul
comodino. Voglio vederlo bene, il culo dell’ispettore Maldini. Due natiche belle grosse,
ma muscolose. Un viluppo di peli neri come la pece, che si dirada man mano
che si sale, per diventare oltre le natiche solo un velo. Ma sotto, lungo le
cosce e sulle natiche, è una foresta tropicale, lussureggiante e fitta. Poso la pistola ai piedi
del letto e mi spoglio, completamente. Sono già pronto ed i coglioni mi fanno
male per il desiderio. Allargo le gambe
dell’ispettore. Non oppone resistenza. Raccolgo la pistola e mi
metto in ginocchio sul letto. Appoggio la pistola sul solco tra le natiche.
Lentamente la faccio scorrere. Avverto la tensione che percorre il corpo di
Maldini. Quando la pistola arriva all’apertura, completamente avvolta dalla
peluria, sento che il corpo si irrigidisce. Rido. Sento la mia risata che
risuona nella stanza. L’ispettore tace. Poso nuovamente la pistola
a terra. Passo un dito lungo l’incavo, fino ad arrivare all’apertura. Questa
sera, prima di sentire la canna di una pistola in culo, l’ispettore Maldini
scoprirà che cosa si prova a farsi fottere. L’idea di sverginare
l’ispettore Maldini me lo fa venire ancora più duro. Non posso dire che non
mi piacciono i culi stretti e sodi dei ventenni, ma un culo come questo,
l’ampia curva delle natiche, il vello fitto, la carne abbondante, beh, è
un’altra cosa, questo è davvero un culo. Affondo le mani in questa
carne, l’accarezzo, senza dolcezza. Mi piace sentire le mani che scivolano
sul pelame folto, mi piace affondare le mani nella polpa, stringere con
forza. Accosto il viso a quel culo. Ne sento l’odore, l’odore di sudore, che
lì è diverso da quello del resto del corpo. L’odore più intenso del solco.
L’odore del buco, dove si avvertono altri effluvi. D’istinto mordo. I denti
affondano nelle natiche carnose. Un morso deciso, poi un altro, ancora un
altro. Il sussulto del corpo sotto di me mi stimola. Mordo ancora. Maldini freme, ma non
geme. Ha scelto il silenzio. L’esecuzione avverrà in silenzio. Almeno per
lui. Quanto a me, non rinuncerò a colpire, anche con le parole. - Bene, ispettore dei miei
coglioni, stai per prendertelo in culo. Un bel cazzo, prima di una bella
pistola. Inumidisco due dita con la
lingua e le passo tra le natiche. Arrivo fino al buco e mi fermo. Ripeto
l’operazione, ma questa volta un dito penetra un po’. L’apertura cede a
fatica, non è abituata ad accogliere corpi esterni. Ancora un po’ di saliva.
Nulla di più. L’ispettore deve sentire il cazzo che gli entra dentro, che
scava. Deve avere voglia di urlare per il dolore. Perdere la verginità a
quasi quarant’anni non deve essere un gioco. Inumidisco la punta del
cazzo. La sfioro appena, perché sono troppo teso: se mi accarezzassi potrei
venire. Avvicino la cappella al
bersaglio. L’appoggio. Spingo leggermente. Sento la tensione della carne che
non vuole cedere. Cederà, cederà. Volente o nolente. E, soprattutto, dolente.
Avanzo, forzo l’apertura con una spinta decisa, sento l’irrigidirsi di tutto il
corpo di Maldini, ma è tardi, troppo tardi. Con un’altra spinta sono dentro.
Maldini solleva la testa, che poi ricade. Non ha urlato. Non c’è stato un
gemito, nulla. È caldo, il culo che mi
accoglie. È una guaina molto aderente, in cui la mia picca si muove
lentamente, assaporandone il calore. Mi muovo adagio, avanti ed indietro. Non
voglio godere troppo presto. Quasi estraggo la spada dal suo fodero, poi la
rimetto dentro, spingendo ancora più in fondo, fino a che i miei coglioni
premono contro il suo culo. Allora mi abbandono su di
lui, muovendo l’arma piano. Sento le sue mani bloccate dalle manette, contro
il mio ventre. Sono contratte, a pugno. Mi muovo con lentezza e
sento che anche Maldini si sta rilassando. Allora, di colpo, spingo con
violenza, due, tre, quattro volte, introducendo l’arma ancora più a fondo.
Maldini si tende di nuovo, i pugni si stringono, la testa si solleva ancora,
ma l’ispettore non emette suono. Rimango fermo dentro di
lui. Non voglio ancora venire. Appoggio le mani sul suo culo e nuovamente
stringo, con tutta la mia forza. Stringo, piego, affondo in quella carne
piena, poi accarezzo quel vello nero. Ora i miei denti affondano
nella sua spalla, lasciando un segno rosso. Poi gli mordo il collo e Maldini
ha uno scatto, scuote la testa, ma io non mollo la presa, come un cane che
non vuole lasciare l’osso. Riprendo a spingere, prima
con lentezza, poi con colpi decisi, che squassano il culo dell’ispettore.
Rallento la corsa, poi la ripiglio ancora più forte. Sento di nuovo la tensione
del corpo che si irrigidisce. Allora, a sorpresa, mi
ritiro, abbandono la postazione. Ma sono appena uscito che rientro con un
affondo spietato, che finalmente strappa un gemito alla mia vittima. Il
lamento e la tensione del corpo sotto di me mi esaltano e questa volta sento
che non reggerò più a lungo. Riprendo a dare colpi d’ariete che sconquassano
il culo di Maldini. Spingo, forte, sempre più forte, sempre più a fondo, fino
a che sento salire l’ondata di piacere. Sale, incontenibile, sale e il getto esce,
si spande nelle viscere della mia vittima, irrorandole. Continuo a spingere,
mentre le ultime scariche mi svuotano, e mi abbandono su questo corpo in cui
ancora ho infisso la mia picca. Quando infine ho ripreso
fiato, estraggo l’arma. C’è un po’ di sangue e qualche goccia cade sul
lenzuolo. Sorrido: Maldini era davvero vergine. Mi alzo. Lo guardo, steso
sul letto. C’è un abbandono totale, ora, in quel corpo sdraiato. - Alzati, figlio di
puttana, che facciamo il secondo atto. Si alza. Gli vedo una smorfia
di dolore mentre scende dal letto: il culo deve fargli un male cane e dal
buco cola un altro po’ di sangue. Ma è solo un attimo. Sa incassare bene,
l’ispettore. - Al termosifone. Maldini si mette contro il
calorifero, dandomi la schiena. Mi metto dietro di lui. Gli passo alla
sinistra il secondo paio di manette e gli blocco la mano alla manopola del
termo. Poi gli apro le altre manette, ma libero solo la sinistra. Prendo le
manette e le tiro verso l’altra estremità del termo. Maldini è costretto a girare
su se stesso, mettendosi con il culo contro il calorifero. Fisso le manette
all’altra estremità del termo: ora Maldini è crocifisso al termosifone e mi
guarda. Il calorifero è un modello
di inizio Novecento, che Maldini deve aver recuperato da qualche vecchia
casa: è molto largo e grande. Non è abbastanza alto perché lui possa stare in
piedi, con le braccia bloccate alle due estremità, perciò ha il corpo un po’
arcuato. - Siediti, pezzo di merda. Maldini esegue. Ora ha la
schiena appoggiata al termosifone e le braccia alzate e divaricate. Neanche
quella è una posizione comoda, ma tanto peggio per lui. Lo mollo lì, tanto non può
andare da nessuna parte. Scendo in cucina. Apro il frigo e prendo una birra.
Bevo. È gelida, ma bevo tutto di un fiato. Fa un caldo da morire, anche se
siamo nel cuore della notte e per di più in campagna. Questa pianura è un
forno e quest’estate un incubo che non sembra dover finire mai. La birra è
quello che ci vuole. Prendo una seconda
lattina, ma questa la bevo piano. La gusto, appoggiato contro il vecchio
tavolo della cucina. Maldini ha una bella casa, con vecchi mobili di campagna
che qui sono al loro posto. Finisco la mia birra e
lascio la lattina accanto all’altra, sul tavolo. Ho voglia di pisciare, ho
bevuto troppo, ma non è ancora ora. Risalgo al piano di sopra,
ma non mi occupo di Maldini. Non ancora. L’ispettore può aspettare, godersi
il suo male al culo. Probabilmente ora sospetta di essere arrivato al
capolinea. Vado in salotto e faccio
ripartire dall’inizio il filmato. Mi siedo in poltrona. Si vede un uomo che
cammina in una strada, di notte. Un uomo robusto, classico macho. Incappa in
due giovinastri, che vogliono farsi dare i soldi. Lui ne stende uno con un
pugno, è addosso all’altro, ma ne sbucano parecchi altri che lo mettono
sotto. Lo menano a sangue, poi gli tirano giù i pantaloni e cominciano ad
incularlo. Ci danno dentro, tutti, e quando l’uomo cerca di reagire, lo
colpiscono. Chissà dove l’ispettore ha
trovato questo video. Non è il classico film porno. Buffo che guardasse
proprio questo poco prima di essere inculato e ammazzato. Mi è tornato duro, ma non
è solo per il film. Spengo il computer e
ritorno nella camera da letto di Maldini. È dove l’ho lasciato. E dov’altro
potrebbe essere? La posizione è scomoda, ma il peggio deve ancora venire. Prendo la pistola e mi
avvicino al termo. Gli punto la pistola tra gli occhi, esattamente alla base
del naso. Alla tempia destra c’è il taglio che si è fatto prima. Il sangue ha
smesso di colare ed è secco. - Apri la bocca, pezzo di
merda! Mi guarda e rimane
immobile. Ma so che cederà. Gli mollo un calcio in
pancia. Un calcio deciso, senza complimenti. C’è trippa a sufficienza e io
non ho le scarpe, ma ci ho dato dentro e il colpo gli toglie il fiato. Apre
la bocca. Glielo infilo in bocca
senza cerimonie. Gli tengo la pistola puntata tra gli occhi, anche se sono
sicuro che non morderà. Comincio a spingere, fin
quasi a soffocarlo, poi mi ritiro. Vado avanti e indietro così. Lui non deve
fare niente, né succhiare, né leccare. Non gliel’ho mica chiesto. Non voglio
che mi faccia un bocchino. Voglio fotterlo in bocca. Mi piace fottere in bocca.
È diverso da fottere in culo. È una bella sensazione, l’umidità della bocca e
il calore della gola. E poi il cazzo si muove più liberamente, struscia sulla
lingua, arriva fino alla gola, preme sul palato. È piacevole anche sentire la
consistenza dei denti, che solleticano. Continuo a fotterlo in
bocca, per un bel momento. Quando spingo con forza, gli premo la testa contro
il termo, ma non cerca di sottrarsi, non dice nulla. Spingo deciso. Vedo che a
tratti gli viene da vomitare, ma quando ritiro il cazzo e la pressione si
allenta, riesce a respirare e a controllarsi. Sto per venire. Rallento
il movimento. Non mi piace fare in fretta. Spingo, ritiro, spingo di nuovo,
ritiro, poi il rubinetto comincia a versare e il getto gli inonda la bocca.
Da un’estremità della bocca un filo di sborro gli cola sulla barba. Per sua
fortuna non è molto che sono venuto, il getto si esaurisce in fretta. Ma non è finita e anche
lui lo sa. Non estraggo il cazzo.
Aspetto che lentamente il sangue defluisca, che il mio cazzo sia pronto per
l’altro uso. Anche quello mi dà piacere, un piacere meno intenso, forse, ma
non disprezzabile. Ora posso finalmente
pisciare. Gli afferro i capelli con la destra e glieli stringo. Gli faccio
male. Non è necessario, non c’è resistenza da parte sua, ma questo non mi
basta. Ho voglia di fargli male. Il getto erompe violento e
sento la pressione nella vescica allentarsi. È bello pisciargli in bocca.
Beve, beve a lungo, ma poi non ce la fa più, tossisce, diventa rosso in viso,
tossisce, il piscio gli cola sul mento, sul petto. Io gli lascio un attimo di
respiro, estraendo il cazzo e pisciandogli in faccia, poi lo rimetto al suo
posto e finisco di svuotare il serbatoio. Gli lascio i capelli.
Diversi mi sono rimasti tra le dita. Mi guardo quei peli neri come la pece.
Sorrido e soffio per mandarli via, ma aderiscono al guanto, non vogliono saperne
di andarsene. Li spazzo via con l’altra mano. Ora estraggo il cazzo e lo
guardo. Ha la faccia tutta bagnata, la barba è zuppa e ce n’è un poco anche
sui capelli. Il torace luccica. Lui mi guarda. Leggo una
certa fatica nei suoi occhi. Prendo la pistola. La poso
ai miei piedi. Poi mi tolgo il
cappuccio. Ora mi può vedere. Ora sa chi sono. E ha capito che sta per
morire. Mi inginocchio davanti a
lui e gli sollevo le gambe. Sono pesanti, ma, anche se non sono un ercole
come lui, sono forte. Gli poggio le caviglie sulle mie spalle. Sento il peso
di quel corpo massiccio che grava su di me. Le nostre teste sono alla stessa
altezza e posso guardarlo negli occhi. Avvicino la pistola al
culo, la faccio nuovamente scorrere lungo il solco tra le natiche. Ma questa
è la volta buona, lo sappiamo tutti e due. La poggio contro il buco e vedo
che il suo corpo vibra. Con la punta della canna
stuzzico l’apertura. Lo fisso negli occhi, poi
lo sguardo scende lungo il suo corpo, quasi piegato in due. Fisso il grande
cazzo maestoso. Premo con la pistola
contro l’apertura e la canna si apre la strada. Il corpo guizza, sul viso
appare una smorfia di dolore. - È il tuo turno, figlio
di puttana. L’angoscia gli stravolge i
lineamenti. Ora vorrebbe sfuggire alla morte che sta per ghermirlo. - Crepa, figlio di
puttana! Con queste parole premo il
grilletto, una, due, tre volte. Gli spari e l’urlo di Maldini lacerano il
silenzio. È un urlo acuto, che poi si trasforma in una serie di singhiozzi. Infine c’è silenzio. Non è ancora morto.
Agonizza, il viso stravolto dal dolore. Io sorrido. Faccio scivolare le sue
gambe a terra e mi alzo. Muove la testa, alzandola
e abbassandola, poi di lato. Infine reclina il capo. L’ispettore Maldini è un
cadavere. Domani mattina prendo
l’aereo per Città del Messico. Lavorerò là per un po’, poi magari tornerò in
Italia con un altro nome e altri documenti. L’ispettore Maldini è morto,
Ettore Besnaghi pure. |