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   Il
  sergente (versione
  nera) 
  Mi
  stendo sulla branda. Non dovrei rimanere qui, se arriva il sergente sono
  fottuto. Quel figlio di puttana non sopporta che ci prendiamo un momento di
  pausa, secondo lui dovremmo essere sempre in attività. Sistemare la
  divisa o le armi, lucidare gli stivali, pulire la camerata. Merda! E ce
  l’ha con me in modo particolare, non perde mai un’occasione per
  rimproverarmi o per punirmi. Perché deve essere così stronzo?
  Perché è un sergente, probabilmente, se non sei stronzo non
  diventi sergente. Uno di questi giorni l’ammazzo. Durante
  un’azione gli sparo alla schiena e poi dico che siamo caduti in
  un’imboscata, che gli indiani lo hanno fatto fuori. Mi piace pensare di
  sparargli alla schiena. Me lo fa venire duro. Perché, se non fosse
  quel figlio di puttana che è, non sarebbe male. Fisicamente mi piace
  un casino: un corpo forte e muscoloso, peloso come piace a me, quel viso da
  duro. Ma di certo non glielo andrò a dire: non ho nessuna intenzione
  di farmi condannare per sodomia e di trovarmi con un nodo al collo. Anche se
  a volte, quando penso al cappio, mi viene duro. Come ora, ma è
  normale, sono due mesi che non scopo, da quando Andrew è stato
  ammazzato in quello scontro. Non so chi cercare, è troppo pericoloso.
  Così finisce che sono perennemente infoiato. L’unica adesso
  è andare al cesso e vedere se riesco a farmi una sega prima che arrivi
  qualcun altro. Non ce la faccio ad aspettare fino a notte.  Merda! Il sergente! Merda! Scatto in piedi, sull’attenti,
  ma è troppo tardi. Mi sa che mi becco quindici giorni di punizione, di
  più non può darmene, dovrebbe far convocare il tribunale
  militare, ma non può farlo per così poco. Merda!  - Sempre in ozio, Jameson! - Mi scusi, signor
  sergente. Desidera che faccia qualche cosa? Ghigna e gli leggo negli
  occhi il disprezzo. - Non desidero, Jameson, non desidero. Ordino. Capisci la differenza?
  Seguimi. Si volta, senza dire
  altro. Lo seguo. Che altro potrei fare? Disobbedirgli sarebbe una
  sciocchezza. Guardo le sue spalle possenti, il culo stretto nella divisa. Mi
  piacerebbe spaccargli quel bel culo. Jameson è un lavativo, un pessimo esempio
  per tutti i soldati. Sempre ad oziare. E dire che non è una mezza
  sega: ha le spalle larghe ed è forte, l’ho visto quando lui e Carmichael hanno spostato quel cannone. E non è
  neppure un vigliacco. Ma è un lavativo nato, passerebbe le sue
  giornate a non fare un cazzo, steso sulla branda. Adesso lo sistemo io. In
  primo luogo voglio divertirmi a vederlo lavorare un po’. E se non ci
  mette olio di gomito, garantisco che gli faccio venire la voglia.  Dalla camerata esco in
  cortile e lo attraverso. Non controllo che mi segua: so benissimo che non
  è tanto stupido da non obbedire. Prendiamo la porta delle prigioni e
  scendiamo nei sotterranei. Raggiungo l’ultima cella, quella dove due
  giorni fa abbiamo ucciso il prigioniero. C’è il solito tanfo. Il
  pavimento è sporco, macchie di sangue dappertutto.  Ho già fatto
  preparare l’occorrente: secchio, acqua, stracci e scopa sono
  nell’angolo. Cercavo qualcuno che facesse il lavoro e chi è
  più adatto di Jameson? Così
  imparerà a poltrire sulla brandina, invece di darsi da fare. I muscoli
  non gli mancano, che si dia da fare, ‘sto coglione. - Bene, Jameson. La cella è da pulire. Datti da fare.  Guarda la cella, il
  pavimento lercio.  - Signorsì! Prende la scopa ed
  incomincia a passarla, con scarsi risultati. - Devi metterti in
  ginocchio e fregare con gli stracci, Jameson.  - Sì, signor
  sergente, ma il pavimento è sporco, non vorrei macchiare la divisa…  Come se la divisa di Jameson fosse un esempio di pulizia. Di rado ho visto un
  soldato più trascurato. - Mettiti in mutande,
  allora, Jameson. Muoviti. Lo guardo un attimo,
  perplesso, ma so di non potermi permettere esitazioni. Mi tolgo la camicia ed
  i pantaloni e li appoggio sul tavolaccio. Rimango in mutande. Mi inginocchio
  ed incomincio a lavorare: bagno gli stracci nell’acqua e li passo sul
  pavimento. Frego bene, ma non è facile far andare via le macchie. Meno
  male che la cella non è molto grande: è lunga, ma stretta. So
  che il sergente mi sta osservando ed il pensiero mi innervosisce.
  Quell’uomo mi fa paura. E mi piace, un casino. Se penso che siamo soli
  io e lui in questa cella, che potremmo stenderci sul tavolaccio e… Basta! Mi sta venendo duro e con le mutande non
  è facile nasconderlo. Devo cercare di pensare ad altro.  Il calcio al culo arriva
  imprevisto e mi manda a terra. Poco ci manca che non rovesci il secchio.
  Finisco con la faccia in una macchia. Che stronzo! - Lavora, Jameson, datti un po’ da fare. Non sei qui per
  stare con il culo in aria. - Sì, signor
  sergente. Mi rimetto in ginocchio e
  riprendo a lavorare con più energia. Cerco di pensare ad altro. In
  questa cella sono stato rinchiuso anch’io, una delle ultime volte ero
  con Andrew e ci siamo stati cinque giorni. Abbiamo passato il nostro tempo a
  scopare. Di nuovo! Questo pomeriggio i miei pensieri sembrano andare in
  un’unica direzione. E non è il momento adatto, né la
  compagnia giusta. Eppure… penso a quella
  volta che lui mi ha inculato in piedi, contro la porta. Mi ha fatto un male
  bestiale, ma è stata una delle migliori scopate della mia vita. E poi… Non mi rendo conto di aver
  smesso di lavorare fino a che non sento che mi ha afferrato le mutande e le
  sta tagliando con il coltello. Poi con un calcio mi manda a terra. Mi sollevo
  e lo guardo. Mi sovrasta, il coltello stretto nella mano. Ho paura, ma il
  cazzo si irrigidisce sempre più. Ormai è un pezzo di roccia.
  Ovviamente lo vede, non può non vederlo. Ride. Lo guardo. Così,
  visto da sotto, è impressionante. Questo maiale ce l’ha duro. Non è capace di lavorare, pensa solo a scopare. Magari gli tira perché pensa a qualche fica, ma qui di certo non ne trova facilmente. Gli premo lo stivale sul cazzo e sui coglioni. Sussulta. Anche il mio cazzo sta diventando duro. - Non sei neanche
  capace a pulire un pavimento, Jameson.  Tolgo il piede. - Forse dovrei
  chiederti di farmi un pompino, quello magari lo sai fare. Non so perché
  gli ho detto questo, ma la sua risposta è immediata: - Certo, signore! Si solleva e si mette
  in ginocchio davanti a me. Poi mi sbottona i pantaloni e li abbassa fino alle
  caviglie. Tira giù anche le mutande e mi afferra il cazzo. Rimango senza fiato. Non
  mi aspettavo che lo facesse. Avvicina la lingua ed incomincia a leccare,
  mentre le sue dita mi stuzzicano i coglioni. Chiudo gli occhi, per un momento
  ho la sensazione che la testa mi giri. È troppo forte, è troppo
  bello. Ci sa fare, cazzo, se ci sa fare, questo finocchio. È
  bellissimo sentire la sua lingua scivolare lungo il cazzo, dai coglioni fino
  alla cappella e poi ridiscendere. E le sue mani, le sue mani sanno essere
  delicate e forti. È bello sentirle intorno ai coglioni. Non è un
  soldato, anche se in battaglia non si tira indietro. È un finocchio e
  qui non c’è posto per i finocchi. Ma questo dopo, ci
  penserò dopo. Adesso voglio godermi questa lingua che mi accarezza il
  cazzo. Ha mollato i coglioni, le sue dita mi stringono il culo. È
  piacevole, maledettamente piacevole. Strizza un po’, accarezza,
  pizzica. Cazzo! Si lecca un dito e lo
  fa scivolare sul solco. Che cazzo fa? E di colpo mi inghiotte il cazzo, lo
  prende tutto in bocca, lo bagna di saliva ed è splendido, cazzo! Che
  goduria! Preme sul culo e… Mi ha infilato un
  dito in culo! Ma mi ha preso per un finocchio come lui? Vorrei dirgli di
  toglierlo, ma non voglio che smetta di succhiare e leccare. È troppo
  bello. Poi farò i conti con questo finocchio. Che meraviglia. Ha un
  cazzo splendido, sembra un grosso bastone nodoso. Ed ha un buco del culo
  stretto: si direbbe che non se lo sia mai preso in culo. Muovo un po’
  il dito, mentre con la bocca ci do dentro a succhiare. Lo sento gemere. Gli
  piace, questo è sicuro. Questo cazzo è un incanto, non riesco a
  tenerlo tutto in bocca, è troppo grosso ed è rigido come la
  canna di un fucile. Ogni tanto gli lancio un’occhiata. È in
  estasi, anche se si controlla. Ogni tanto muovo il dito, stuzzicando. Cazzo,
  se mi piacerebbe incularlo. È una follia, sto rischiando, ma è
  evidente che gli piace, è ben contento di farselo succhiare. E non ha
  detto niente per il dito.  Sta per venire ed io
  potrò gustare il suo sborro. Ecco, sento che si tende. Grugnisce ed il
  getto mi riempie la bocca: ne ha una quantità enorme, dev’essere un bel po’ che non scopa anche
  lui. Mi gusto questa bevanda prelibata, fino all’ultima goccia. Gli
  succhio ancora bene la cappella, per essere sicuro che non ci sia più
  nulla da spremere. Gli lecco ancora un po’ il cazzo, senza togliere il
  dito dal culo. Ho il cazzo duro come una lama ed il desiderio mi acceca. Lo guardo in faccia. Ha
  ancora lo sguardo feroce che mi incute timore e che mi piace, ma posso
  leggergli negli occhi che ha goduto immensamente. Allora faccio lentamente
  scivolare il mio dito nel suo culo, muovendolo un po’, finché
  non esce e gli dico: - Che ne direbbe di
  metterci qualche cosa di più grosso, sergente?  È un errore, un
  errore colossale. Lo capisco immediatamente, dall’espressione confusa
  sul suo viso, che in un attimo si trasforma in una maschera di rabbia. Il
  ceffone mi prende in pieno e mi sbilancia. Finisco a terra. Quando mi porto
  due dita alla guancia, sento che un po’ di sangue cola dal labbro. Mi
  rialzo ed un nuovo ceffone mi prende in pieno. Mi afferra i capelli e grida: - Che cosa pensi che sia,
  un finocchio come te? Mi molla ed io arretro,
  rimanendo in ginocchio. Metto le mani dietro la schiena, chino il capo.
  Voglio che capisca che mi sottometto completamente. Spero che questo calmi la
  sua rabbia. Gli dico: - Mi spiace, signor
  sergente. Pensavo… Mi scusi, signor sergente. Sono nella merda fino al
  collo, eppure il cazzo è duro da scoppiare. Guardo le sue gambe pelose
  e quel magnifico palo che ho appena gustato e che lentamente ritorna a
  riposo. Guardo le sue mani robuste. Questo figlio di puttana mi piace da
  impazzire e la situazione mi eccita. La paura mi fa questo effetto. Anche
  quando combattiamo mi capita, spesso, soprattutto nei momenti peggiori. Ha ceduto subito. Ha ripreso il suo ruolo, sottomettendosi. Ed allora perché sono deluso? Perché mi scoccia che non abbia insistito? Se voglio spaccargli la faccia, posso farlo, non mi mancano i motivi. Ma sono frustrato. Sono furibondo, ce
  l’ho con lui e con me. Vorrei ammazzare questo porco fottuto, che se ne
  sta lì, in ginocchio, con il cazzo duro come una roccia. Guardo quel
  cazzo e mi chiedo che effetto fa prenderselo in culo, come questo finocchio
  voleva fare. Ma si è cagato sotto e si è tirato indietro. Lo
  vorrei ammazzare, scannare come un porco. Umiliarlo. Sì, umiliarlo. Mi avvicino e quando
  sono davanti a lui, mi prendo il cazzo in mano ed incomincio a pisciargli
  sulla testa. Guardo il piscio che gli scorre sui capelli, gli cola in faccia
  e sulla nuca. Ho finito. È stata una bella soddisfazione.  Jameson sputa davanti ai miei piedi e, prima che
  io riesca a reagire, mi salta addosso. Mi prende del tutto impreparato: non
  mi aspettavo che reagisse, un soldato non può certo toccare un
  sergente, è la corte marziale. Ho i pantaloni calati, alle caviglie, e
  non posso muovere le gambe liberamente. Mi fa facilmente cadere a pancia in
  giù sul tavolaccio che c’è di lato. Cerco di difendermi,
  ma qualche cosa di strano sta succedendo. So che, anche con le gambe
  bloccate, potrei avere la meglio su di lui: è forte, ma io sono
  più robusto, potrei schiacciarlo. Ma il mio corpo sembra non voler
  obbedire alla mia testa: è intorpidito, scoordinato. Di colpo mi sento
  esausto, privo di forze. Non riesco a difendermi. Nella mia testa
  c’è un gran vuoto, ma so che cosa mi aspetta. Me lo infila in culo
  con un movimento brusco. Mi fa male, un male cane. Urlo e lo sento ridere.
  Dovrei scuotermi, sbatterlo a terra, ma rimango immobile, disteso su questo
  tavolaccio, e lascio che mi inculi. Mi dico che non è possibile, che
  non posso tollerarlo, che devo reagire, ma stringo i pugni e non mi muovo.
  Lui ha spinto fino in fondo e mi è sembrato che fosse un coltello. Poi
  però si tira indietro ed il dolore si attenua, quasi svanisce. Ora riprende a
  spingere, ma non è più così doloroso. No, non è
  doloroso. Solo un po’. Ma c’è altro, c’è
  altro. Mi rendo conto che il cazzo mi sta diventando duro. Jameson mi fotte in culo e mi diventa duro. Sentire il
  suo cazzo in culo è una sensazione forte, ogni volta che si ritira,
  tiro un sospiro di sollievo, ma quando avanza sfondandomi il culo quello che
  provo è altro. Faccio fatica ad ammetterlo, ma è piacere,
  sì, puro piacere. Un piacere feroce e fortissimo, forse ancora
  più di prima, di quando me l’ha succhiato. Mi rendo conto che lo
  voglio, voglio questo cazzo nel mio culo, voglio che mi fotta. Sì,
  sì, così. Mi rendo conto di aver parlato ad alta voce, di
  averlo invitato a darci dentro. Non sono un uomo, sono un finocchio. Ma il
  piacere è più forte, è l’unica cosa che conta.
  Gemo, di piacere, piacere puro. Che vergogna! Ma ormai sono oltre la
  vergogna. Gli piace, cazzo, gli
  piace! O sento gemere, prima mi ha incitato. Gli piace farsi spaccare il
  culo. Ed io sono ben felice di spaccarglielo. Tutta la tensione di
  quest’ultima ora mi dà una carica fortissima e dietro ci sono i
  mesi di angherie che questo tanghero mi ha fatto sopportare. Gli sto
  spaccando il culo! Che bello! E che bello è il suo culo, robusto e
  sodo. Affondo le mani nella carne, tra i peli che gli ricoprono le natiche.
  Un bel culo vergine, che ora non lo è più, ma si sta prendendo
  quello che merita, quello che deve aver sempre desiderato, un bel cazzo duro
  che gli arriva fino in fondo. È una scopata splendida. Lo sento
  tendersi sotto di me ed io mi avvicino alla conclusione. Il piacere deborda e
  gli riempio il culo di sborro. Mi affloscio esausto su di lui. Lo sento
  vulnerabile e di colpo mi sento sopraffare da qualche cosa di nuovo, una
  specie di tenerezza, per quest’uomo forte e rude che ha appena
  inculato, che ha ancora il mio cazzo in culo. Gli passo una mano sotto il
  culo e gli afferro il cazzo. È gonfio e pieno di sangue, anche se non
  del tutto rigido. Incomincio ad accarezzarlo e lo sento crescere ed
  irrigidirsi. Geme, due volte.  - Sì, sì! Quasi urla. Ed il suo corpo
  si tende ancora, sento il cazzo vibrare e mi riempie la mano di sborro. Lo
  accompagno fino alla fine, poi ritiro la mano e lecco il suo sborro. Mi ritiro e mi metto a
  sedere. E di colpo mi rendo conto
  di quello che ho fatto. Ho fottuto il sergente. Ho di nuovo paura. Vorrei
  uscire, ma sono nudo e poi non posso certo sperare di scappargli. Mi alzo ed
  arretro verso il muro. Il fiato mi manca. Mi ucciderà? Non ho vie di
  scampo. Non sento più il
  peso del suo corpo sul mio. E mi spiace. Sono ancora un uomo? Che cosa sono?
  Un finocchio, nient’altro. Mi ha fottuto, me l’ha messo in culo e
  mi è piaciuto. Il piacere è stato violentissimo. E quando ha
  tolto il cazzo, è stato quasi doloroso. E la sua mano, la sua mano! La
  sua mano sul mio cazzo! Questo bastardo mi ha fatto godere come non avevo mai
  goduto. Non è possibile, non è possibile. Sono un finocchio,
  come lui. Lentamente mi riprendo.
  Devo ucciderlo. Devo ucciderlo qui, ora, prima che parli, prima che racconti.
  Alzo la testa e lo guardo. È in piedi, vicino al muro. È
  chiaramente spaventato. La sua paura mi
  restituisce le forze. Mi alzo di scatto. Cerco il coltello con lo sguardo. Se
  lo scanno, ci sarà un sacco di sangue. Allora finisco di spogliarmi,
  mentre lo guardo. Siamo nudi tutti e due, il macellaio ed il porco che sta
  per essere scannato. Prendo il coltello. Ha capito. C’è terrore
  nel suo sguardo, terrore puro. Mi avvicino, stringendo il coltello nella
  mano.  Mormora: - No, signore, no, la
  prego. Io avanzo sorridendo,
  il coltello stretto nella destra. - La prego, mi
  dispiace. Non volevo. Ma non sono riuscito a controllarmi, lei mi eccita
  troppo. La prego. Indietreggia, ma si
  trova subito il muro dietro la schiena. Il suo terrore mi
  restituisce tutta la mia forza e la mia rabbia. Rido e sento che la mia risata
  riecheggia nella cella. - Stai per crepare, Jameson. Ma prima che crepi, ti taglierò il cazzo
  ed i coglioni.  E guardo il suo cazzo.
  È duro, perfettamente teso. Di colpo ho la gola
  secca e non riesco a respirare. Deglutisco. Il cuore mi batte forte. Che
  cazzo mi succede? Lo guardo in faccia.
  È spaventato, vorrebbe scappare, ma non c’è nessuna via
  di fuga. Sorrido e tendo il braccio con il coltello, che ora è ad una
  spanna dal suo ventre. E di nuovo il mio sguardo scivola in basso, verso quel
  cazzo grosso e teso. Mi avvicino e lo
  afferro. Dovrei tagliarglielo, ora. Ma è così caldo,
  così rigido. Sono di nuovo senza forze, faccio fatica a stare in
  piedi. Mi ha succhiato il cazzo, prima. Gli è piaciuto. Che cosa si
  prova a succhiare un cazzo? Che cosa mi sto chiedendo? Ma lui morirà
  tra poco, tra pochissimo. Non lo racconterà a nessuno. Che cazzo sto
  pensando? Non posso, Non devo. Sono un uomo, un maschio. Sono… Sono in ginocchio
  davanti a lui e guardo il suo cazzo, all’altezza della mia bocca.  Per un attimo non capisco.
  Ma il suo sguardo è chiarissimo. Vuole il mio cazzo. Lentamente muovo
  il braccio. Ho ancora paura di una reazione violenta. Gli poso una mano sulla
  testa ed esercito una leggera pressione per avvicinarla a quello che lui
  desidera. On c’è nessuna resistenza da parte sua: lascia che gli
  guidi la testa fino al mio cazzo ed apre la bocca. Un po’ incerto
  sporge la lingua e lecca, mentre il cazzo mi diventa ancora più duro.
  Gli piace, gli piace un casino, glielo leggo in faccia. E poi mi dà
  del finocchio. È inesperto, ma volenteroso. Lecca e succhia, inghiotte
  e sputa fuori, tutto contento di questo bel boccone di carne. Ed io sento che
  il piacere sale. Premo un po’ sulla sua testa, in modo che inghiotta
  quasi tutto il cazzo: voglio sentire la sua bocca.  Il coltello gli cade a
  terra. Le sue mani scorrono lungo le mie gambe, dai polpacci verso
  l’alto. Si muovono incerte, si appoggiano sulle mie cosce. Ne guido una
  ad accarezzarmi i coglioni. Vedo che fa fatica a respirare ed allento la
  presa. Mi sfugge un:  - Sì! Il cazzo gli è
  diventato duro ed è bellissimo vederlo in ginocchio davanti a me, che
  me lo succhia. Il desiderio monta, impetuoso, e non riesco a trattenerlo
  oltre. Gemo e gli vengo in bocca. Per un momento rimane interdetto, ma poi
  inghiotte tutto e mi pulisce per bene. È stato perfetto. Ed ora, mentre mi sembra
  di essere in paradiso, vedo che dalla porta socchiusa un uomo ci sta
  guardando. Mi sembra che il cuore si fermi. È il tenente ed i nostri
  sguardi si incrociano. Allora lui chiude la porta della cella con un colpo
  secco. Siamo fottuti. Il sergente sente il
  rumore, si volta di scatto e vede che la porta è chiusa. - Che cosa è
  successo? - Il tenente Morrison,
  signore. Rimane fermo, come se non
  fosse più capace di muoversi. Sa benissimo che cosa significa, lo
  sappiamo benissimo tutti e due. Vuol dire che prima di sera ci metteranno una
  corda intorno al collo. Il sergente non sembra
  vedere più nulla. Io mi muovo e vado a sedermi sul tavolaccio.
  Appoggio la schiena contro la parete.  Il sergente si alza,
  raccoglie il coltello e viene a sedersi accanto a me. Lo guardo. E mi dico
  che ne è valsa la pena. Sorrido, mentre gli parlo: - Ci manderà alla
  corte marziale.  Non reagisce ed allora
  aggiungo: - Sono le nostre ultime
  ore. Possiamo divertirci ancora un po’, prima che vengano.  Gli poso una mano sulla
  gamba, ma ha una reazione violenta. Si gira verso di me, mi punta il coltello
  alla gola ed urla, rabbioso: - Maledetto finocchio, tu… tu… E di colpo la sua rabbia
  sembra svanire. Abbassa il capo e posa il coltello. Scuote la testa. E quando
  parla, non c’è traccia della furia che un attimo fa lo scuoteva. - Colpa mia più che
  tua. Ma va bene così. Poi aggiunge. - Di morire non
  m’importa. Ma l’umiliazione di un processo per sodomia… essere impiccato davanti a tutta la
  guarnigione. È dura da accettare.  Poi guarda il coltello e
  mi dice: - Vuoi che ti tagli la
  gola? Così almeno tu non dovrai subire questa umiliazione.  - Non mi importa di
  crepare con la corda a collo. Ma possono impiccarmi una volta sola, perciò… Prendo il coltello, mi
  appoggio con il petto contro la sua schiena e gli punto la lama alla gola,
  mentre faccio scivolare la sinistra sul suo cazzo magnifico. - Pronto, signor sergente? Sento la lama del
  coltello contro il collo. Sono pronto, sì, so che è la
  soluzione migliore per me. Jameson sarà
  comunque impiccato. È bello crepare così, la sua mano sul mio
  cazzo, il suo corpo contro il mio. Ma il mio corpo non è ancora sazio
  ed allora mi dico che forse, prima di morire, può ancora godere una
  volta.   - Aspetta, Jameson. Lo voglio e ti ringrazio perché lo fai.
  Ma prima di tagliarmi la gola, hai ragione, godiamoci questi ultimi
  momenti.  Senti… Esito un attimo, quasi
  mi vergogno.  - … mi piacerebbe
  fotterti. In culo, intendo. Poi, quando abbiamo finito, potrai tagliarmi la
  gola. - Non chiedo di meglio,
  signor sergente. Posa il coltello sul
  tavolaccio e si stende a pancia in giù. Guardo il suo culo. È
  bellissimo, è la cosa più bella che abbia mai visto. E mentre lo contemplo,
  sento che mi dice: - Mi sputi sul buco,
  signor sergente. C’è bisogno di un po’ di lubrificante per
  un cannone come il suo. Rido. Chino la testa
  per fare quello che mi ha detto ed un violento desiderio mi stordisce. Gli passo
  la lingua lungo lo spazio tra le natiche, due volte, ed è una
  sensazione splendida. Poi premo contro il buco e lo sento gemere. È
  bellissimo. Spingo a fondo, poi passo ancora la lingua due volte, mordo con
  decisione il culo ed infine mi stendo su di lui e con una bella spinta gli
  faccio entrare il cazzo in culo, fino in fondo. Geme, forte, ed il suo gemito
  esalta il mio piacere. È caldo il suo culo, accogliente e mai sono
  stato così bene come ora, ad un passo dalla morte. Spingo con forza e
  lui ha un guizzo ed agita le gambe. Il coltello cade a terra, ma non me frega
  niente, non ora, dopo, dopo lo raccoglierò. Adesso quello che conta
  è questa cosa splendida, il suo culo che accoglie il mio cazzo. Lo
  sento gemere ancora. Chiudo gli occhi e mi abbandono a questo momento
  meraviglioso. La porta si apre di
  colpo. Il tenente Morrison e quattro uomini stanno entrando. Cerco con gli
  occhi il coltello, ma uno dei soldati lo sta raccogliendo. Merda! Tolgo il cazzo dal culo
  di Jameson e mi metto a sedere. Chino la testa.
  Sono nudo, il cazzo duro. Mi hanno sorpreso mentre fottevo Jameson ed ora non c’è via di scampo. Non
  c’era neppure prima. L’umiliazione mi
  schiaccia. Eppure il piacere che ho provato è stato più forte
  di tutto, anche di questo momento di suprema vergogna. - Vestitevi,
  finocchi.   Le parole del tenente
  sono uno schiaffo. Mi infilo i pantaloni e la camicia, ma non rinuncio a
  guardare il culo di Jameson che si sta infilando i
  suoi. Mentre usciamo, Jameson mi sussurra: - Mi spiace, signor
  sergente. Alzo le spalle. Ci portano subito
  nell’aula che serve da tribunale. Sarà tutto molto rapido, lo
  so, come so che il verdetto è già deciso e che la sentenza
  sarà eseguita subito. Lungo il corridoio guardo il sergente che
  cammina davanti a me. Mi spiace non averlo potuto uccidere: per uno come lui,
  l’umiliazione dev’essere davvero
  terribile. Ma quando gli guardo il culo, sento che il cazzo mi torna duro.  La corte è
  già pronta. Ci ordinano di tacere.
  Tanto nulla di quello che possiamo dire potrebbe cambiare il verdetto. Siamo
  in piedi, uno di fianco all’altro, mentre il tenente racconta di averci
  visto mentre scopavamo, senza che noi ce ne accorgessimo, e poi di averci
  trovati ancora intenti a scopare, quando è tornato per portarci
  davanti alla corte. E nel sentire le sue parole, il cazzo mi diventa ancora
  più duro. Guardò il sergente e vedo che anche a lui fa lo
  stesso effetto.  Mi dico che sarò
  impiccato, che sto per morire. Ma il pensiero non riesce a spegnere
  l’eccitazione che provo, anzi, sembra accrescerla.  Quando il tenente ha
  finito, il giudice si rivolge al sergente per chiedergli se ha qualche cosa
  da aggiungere. - No signore.  La stessa domanda rivolta
  a me, ottiene un’identica risposta. Che cosa potremmo dire? La giuria esce. Guardo il
  sergente al mio fianco, gli leggo in faccia l’umiliazione. Gli sorrido
  e sussurro:  - Se non ci impiccano
  subito, posso ancora farlo.  Mi guarda, perplesso. - Come? Sollevo un po’ le
  mani. Vedo un lampo nei suoi occhi. - Grazie. La giuria rientra subito.
  La sentenza è quella che tutti noi ci aspettavamo. Saremo impiccati
  oggi stesso, il tempo di chiamare i soldati perché possano assistere
  allo spettacolo. Questione di pochi minuti. La forca è sempre montata,
  come monito per tutti i soldati. Ci conducono in una
  stanzetta, dove aspetteremo l’esecuzione. I soldati escono e chiudono
  la porta.  Appena la porta viene
  chiusa, Jameson mi abbraccia e mi bacia sulla
  bocca. Non avevo mai baciato un uomo. È una sensazione bellissima. Lui
  mi infila la lingua tra le labbra ed io apro la bocca per accoglierla.
  È splendido, ma non abbiamo tempo. Mi stacco e gli dico:  - Ora, Jameson. Non voglio essere impiccato davanti ai miei
  soldati.  Gli prendo le mani e le
  guardo. Sono mani forti, il dorso è ricoperto da una peluria scura.
  Queste mani tra poco mi uccideranno. È bello, cazzo, se è
  bello! Le sollevo e le porto fino al mio collo. Mi sembra che il cazzo stia
  per scoppiare. Annuisce. - Sì, signor
  sergente. Ma sarà più facile se si concentra su altro. Non capisco che cosa
  intende dire. Mette le mani sulle mie braccia e mi fa girare su me stesso;
  ora sono rivolto verso la finestra. Oltre i vetri posso vedere il cortile e
  la forca. Un soldato sta preparando un cappio. Altri stanno arrivando a
  gruppetti. Vedo le loro facce allegre. Pregustano la soddisfazione di veder
  impiccare il sergente. Jameson mi slaccia la cinghia dei pantaloni e li
  abbassa, poi, con un colpo secco, mi infila il cazzo in culo, fino in fondo.
  Il dolore è violento, anche se c’era ancora il suo sborro a
  lubrificare il buco. E mentre il suo cazzo penetra a fondo, mi afferra il
  collo con le mani ed incomincia a stringere.  Mormoro: - Grazie, Jameson. Grazie per tutto. Non so se mi ha
  sentito, ho parlato piano e le sue mani vigorose mi stanno chiudendo del
  tutto la gola. Non riesco più a respirare ed ho un fuoco che arde in
  culo, nei polmoni ed in gola. È un inferno, ma è anche il
  paradiso. Il dolore violento al culo, che le sue spinte gagliarde
  moltiplicano, il dolore che mi brucia in gola e nei polmoni, questo dolore
  è anche puro piacere. Jameson spinge con la
  stessa forza con cui mi stringe il collo e la vista mi si annebbia. Sto per
  crepare con il suo cazzo in culo e le sue mani intorno alla gola. Non posso
  pensare a niente di più bello. Tra poco sarò un cadavere. Con
  le mani stringo lo schienale di una sedia, per impedirmi di cercare di
  bloccarlo. Piacere e dolore sono ugualmente intollerabili, ormai. Non vedo
  più nulla. Le mie mani afferrano le braccia di Jameson,
  ma sento che il cazzo esplode in una frenesia di piacere e… Lo sento tendersi allo
  spasimo e poi rilassarsi completamente. È un cadavere, che solo le mie
  mani ed il mio cazzo sostengono. Aumento ancora la pressione e poi lo lascio
  andare. Vorrei venire dentro di lui, perché sarebbe un piacere estremo,
  ma non c’è tempo, non voglio che ci trovino così. Mi chino e gli tiro su i
  pantaloni, sistemo la camicia e gli allaccio la cinghia. Poi mi rassetto
  anch’io. Ho il cazzo sporco di sborro e di merda, ma non ha importanza. Guardo fuori dalla
  finestra e vedo che il cortile ormai è pieno di soldati. Tra poco
  verranno a prendermi.    Sollevo il corpo del
  sergente e lo metto su una sedia, la testa appoggiata al tavolo. E mentre lo
  sto sistemando, aprono la porta. Mi metto sull’attenti. Il tenente
  guarda il sergente e capisce immediatamente. Mi fissa e sibila: - Jameson,
  il sergente è scampato alla morte sulla forca, ma non alla forca: le
  sentenza verrà eseguita. Poi si volta verso i
  soldati che lo accompagnano ed ordina di trascinare il cadavere del sergente
  alla forca, prendendolo per i piedi. Mi legano le mani dietro
  la schiena e ci avviamo. Trascinano il sergente
  davanti a me. Un’ultima umiliazione, ma lui ormai è oltre tutto
  questo. I soldati nel cortile ridono allo spettacolo, ma sento i mormorii.
  Sono delusi: speravano di assistere all’impiccagione del sergente, di
  vederlo ballare appeso al cappio, ma non sarà così. Per il loro
  odio rimane solo la soddisfazione di veder trascinare con la faccia nella
  polvere e poi impiccare un cadavere. Quanto lo odiano! Anch’io lo
  odiavo. Ora siamo alla forca.
  Saliamo sulla piattaforma. Due soldati trascinano il sergente e gli infilano
  la testa nel cappio. Poi si tolgono. Il cadavere si affloscia, ma il cappio
  lo sorregge. I soldati nel cortile
  fischiano e mi insultano. Hanno capito che cosa è successo e sono
  furiosi perché li ho privati del loro divertimento. Il tenente dà
  ordine al boia di accorciare la corda. Vuole punirmi per aver ucciso il
  sergente. Agonizzerò più a lungo.  Quando il boia ha finito,
  prende il cappio e lo passa intorno alla mia testa. Sento la corda che mi
  sfiora la pelle e poi preme intorno al collo, quando il boia stringe il
  cappio. L’uomo si allontana. C’è un
  momento di silenzio. Penso che sto per morire, ma non mi pento di quello che
  ho fatto. Il tenente fa un cenno. Il
  cuore accelera il battito. La botola si apre ed io cado. È una caduta
  breve, che non mi spezza il collo, anche se sento un dolore forte. Riesco
  ancora a respirare, un’unica volta, poi la corda stringe troppo ed il
  respiro si blocca. Mi rendo conto di aver incominciato a scalciare, mentre
  cerco disperatamente di liberare le mani per poter afferrare la corda sopra
  di me, ma so che tutto è inutile. Il dolore al collo diventa sempre
  più forte, i polmoni bruciano e vedo sempre peggio. Ma sento ancora
  che il cazzo si tende e per l’ultima volta vengo. Sento che lo sborro
  mi cola dal cazzo e tutto diventa buio. -*- I cadaveri del sergente Musgrave
  e del soldato semplice Jameson furono lasciati
  appesi fino al giorno successivo. In mattinata, dopo l’appello, vennero
  tolti e sepolti tra le due cinta di mura della fortezza, in tombe senza nome.  |