L’eretico
1 Il confessore se ne va,
scuro in volto. Non ha ottenuto nulla. Quell’eretico sodomita non si
è pentito. Il carceriere Matteo lo accompagna alla porta della
prigione, si inchina umilmente e poi lo guarda allontanarsi e scomparire. Finalmente si è
tolto dai coglioni! Matteo è impaziente,
da giorni aspetta questo momento. Ora il prigioniero è nelle sue mani.
Domani mattina il boia lo prenderà direttamente in consegna e lo
brucerà in piazza. Da adesso al momento in cui salirà al rogo,
l’eretico non vedrà più nessuno. Chiude la porta che
dà sulla strada, prende una lanterna ed una corda e percorre il
corridoio in cui si trovano le tre celle. Apre l’ultima, quella in cui
Alessandro, eretico e sodomita impenitente, ha trascorso l’ultimo mese
della sua vita, tra interrogatori ed umiliazioni. Ha confessato, ma non si
è pentito, sembra quasi orgoglioso delle sue colpe. La cella è buia:
c’è solo una finestrella in alto, che si apre su un passaggio
angusto. Entra una luce fioca ed ora che il cielo si fa scuro, non si
vedrebbe nulla senza la lanterna. C’è tanfo di sudore e di
piscio. Matteo guarda Alessandro,
seduto sulla paglia lercia della cella. Guarda il cranio che gli inquisitori
hanno rasato alla ricerca del segno del demonio, guarda il torace, forte e
muscoloso, le braccia robuste. E la tensione sale dai suoi coglioni, il cazzo
gli diventa una lama d’acciaio. È un mese che lo desidera, da
quando lo hanno portato nella prigione. Ma prima non era possibile, quel figlio
di puttana avrebbe potuto denunciarlo. Ora non ci sono più rischi. Alessandro lo guarda e la
luce della lanterna si riflette nei suoi occhi. È davvero un seguace
del diavolo, quel bastardo, ma neppure Satana in persona riuscirà a
salvarlo. Il carceriere si avvicina. Posa la lanterna sul tavolo. - Alzati. Alessandro obbedisce. Non
ha mai opposto resistenza, sembra che non gli importi di nulla. - Voltati e metti le mani
dietro la schiena. Alessandro si volta e il
carceriere guarda il dorso dell’eretico. Il desiderio arde dentro di
lui, feroce ed implacabile. Lega i polsi del condannato, il più in
fretta possibile. Non si preoccupa di stringere bene, tanto il prigioniero
è docile. Forse sarà un po’ meno docile quando glielo
metterà in culo, ma non potrà farci niente. Appena ha finito, Matteo
afferra i pantaloni dell’uomo, l’unico suo indumento, e li
abbassa. Guarda il culo, muscoloso e stretto, che gli si offre. Gli sembra di
essere sul punto di venire. Spinge violentemente Alessandro sulla paglia, gli
allarga le gambe. Con le forti mani gli stringe il culo, lo apre. Fissa
l’apertura che tra poco forzerà e di nuovo il desiderio preme,
gli toglie il fiato. Si alza, si toglie la
tunica ed i pantaloni. Sorride. Si guarda il grande cazzo teso, perfettamente
verticale, che batte contro il ventre nero di peli. Con un dito sfiora appena
la cappella rosso fuoco, su cui brilla una goccia di sborro. Si accarezza i
coglioni, voluminosi e coperti da una peluria scura. Ride della propria
forza. Tra poco quel sodomita sentirà che cos’è il cazzo
di un vero maschio. Si inginocchia tra le gambe
divaricate di Alessandro, nuovamente le sue mani afferrano il culo e lo
stringono con forza. Poi Matteo fa cadere un po’ di saliva sul buco del
culo, accosta la cappella e, con un movimento ininterrotto, entra e spinge
fino in fondo, fino a che i suoi coglioni battono contro il culo del
prigioniero. Sente la tensione del corpo sotto il suo, il guizzo con cui
l’uomo vorrebbe sfuggire e nuovamente ride della propria forza. Aspetta un momento, vuole
gustare il piacere intenso che sta provando, il calore di quel culo caldo che
avvolge il suo cazzo come una guaina, il corpo forte steso sotto il suo, un
corpo che lui sta violando e possedendo. Ma il desiderio preme ed il
carceriere arretra il culo, fino a che il suo cazzo non esce completamente,
poi lo infilza nuovamente, perché vuole sentire vibrare di dolore la
carne che trapassa. Prende a spingere, con violenza, avanti e indietro,
più volte. Il ritmo delle spinte accelera, ondate di piacere crescono,
fino a riempire ogni spazio, poi s’infrangono, una dopo l’altra,
con un fragore immenso, che lo stordisce. Lo sborro riempie il culo del
prigioniero e le mani di Matteo stringono quel culo con tanta forza che
lasceranno lividi bluastri. Matteo si abbandona su quel
corpo, ansimante. Il piacere lo ha stordito. Gli sembra di non aver mai
goduto tanto. Aspetta che il respiro diventi meno affannoso. Ha soddisfatto il suo
bisogno, ma non è sazio. Dentro il culo del prigioniero il suo cazzo
riprende volume e consistenza. Matteo si ritrae, si alza. - Voltati, finocchio. Alessandro si gira sulla
schiena e lo fissa. Ha il cazzo duro, ma il suo viso è impassibile. - Ti è piaciuto, eh,
finocchio? Alessandro tace, ma Matteo
non aspetta una risposta. Vuole fottere di nuovo, vuole fottere quel bel culo
e vuole vedere la faccia del prigioniero mentre gli viene dentro. Si mette in ginocchio,
prende le gambe di Alessandro. Sono gambe muscolose, coperte da una peluria
leggera. Matteo se le mette sulle spalle, costringendo Alessandro a sollevare
il culo. - Adesso ti gusti di nuovo
questo grosso cazzo che ti piace tanto. Alessandro ha ancora il
cazzo duro e Matteo lo guarda, ghignando. Anche il suo cazzo è di
nuovo rigido, come una pietra, ed il desiderio incalza. Avvicina la cappella al
buco, da cui cola un po’ di sborro. Di nuovo entra con un colpo secco e
legge la tensione sulla faccia del prigioniero. Abbassa la testa e fissa con
attenzione quegli occhi impassibili. Poi incomincia a spingere. Questa volta il piacere
è una brezza, che soffia leggera, e solo lentamente diventa un vento
forte, uno scirocco che investe tutto il suo corpo, lo tende allo spasimo e
poi lo trascina via, in un vortice tanto violento da fargli dimenticare dove
si trova. La vista gli si annebbia e dai coglioni di nuovo il piacere sale,
spietato. Matteo chiude gli occhi, il cuore corre veloce, il fiato gli manca. Non riesce a respirare,
apre gli occhi e gli ci vuole un attimo prima di capire. Alessandro ha steso
le braccia e le sue mani gli stanno stringendo la gola. Quel bastardo
è riuscito a slegarsi. Matteo è ancora stordito dal piacere e
già il mondo sta svanendo. Le sue mani si poggiano sulle braccia di
Alessandro, cerca di allontanarle, di spezzare la morsa che gli chiude la
gola e gli toglie il respiro, gli incendia il petto e gli offusca la vista. Tira disperatamente, ma
ormai non ha più forze, vede ancora balenare il sorriso di Alessandro,
sì, ora quel figlio di puttana sorride. Il viso del prigioniero
scompare, il fuoco che divampa nei polmoni gli arde in gola, perde il
controllo degli sfinteri, il suo corpo si affloscia e solo le mani di
Alessandro ancora lo sostengono. Alessandro stringe ancora
con le dita. Sa che ormai regge un cadavere, ma non può mollare la
presa, perché ora è il suo corpo ad essere percorso da
un’onda di piacere intensissimo, che sale dal culo e dai coglioni e poi
sgorga dal suo cazzo, violenta ed indomabile. Di colpo esausto,
Alessandro lascia cadere le braccia ed il corpo pesante del carceriere si
affloscia sul suo. Chiude gli occhi. È stato un piacere nuovo,
sconvolgente. Uccidere l’uomo che lo stava fottendo e godere. Alessandro rimane a lungo
immobile, poi si riscuote. Fa scivolare di lato il cadavere. Si alza. Fissa
il corpo del carceriere. Poi si infila i pantaloni, prende la tunica del
morto e la indossa. È troppo larga, ma non può girare per la
città a torso nudo, anche se ormai è buio. Nella camera del carceriere
prende un’arma, una bisaccia con un po’ di cibo e di acqua.
È tutto quello che gli può servire. Poi apre con cautela la
porta e scivola in strada. È notte. Sa come uscire dalla città
senza farsi sorprendere. Domani mattina, quando verranno a prenderlo per
bruciarlo vivo, sarà già lontano. 2 È l’alba ed il
conte Ferdinando cavalca con due servitori. È un uomo massiccio,
possente, con barba e capelli grigi. I cani seguono le tracce di
un cervo e la caccia si preannuncia fruttuosa. Ora latrano furiosi, ma
quando il conte arriva alla radura dove la muta si è fermata, non
c’è traccia della preda. Ai piedi di un albero è seduto
un uomo, immobile. Il conte guarda i capelli rasati del giovane ed
immediatamente capisce di chi si tratta: da alcuni giorni si aggira nella sua
contea un eretico, fuggito dal carcere il giorno prima dell’esecuzione.
Alcuni lo hanno avvistato, da lontano; pare che si sia avvicinato ad una casa
isolata per comprare un po’ di cibo. Probabilmente si è
rifugiato nella contea perché sa che Ferdinando è un nemico
giurato del vescovo e che gli sbirri della diocesi non sono i benvenuti. Ma
questo non significa nulla: il conte può riconsegnarlo alle
autorità religiose, se vuole, non ha motivi per proteggerlo. Il conte Ferdinando ferma
il cavallo e guarda l’uomo. È un bell’uomo, un corpo
vigoroso. Il conte lo fissa, senza
dire nulla, poi si rivolge ai suoi due servitori: - Portate via i cani e
proseguite, io vi raggiungo dopo. I due ubbidiscono e la muta
si allontana, riprendendo a cercare le tracce del cervo. Alessandro si alza, senza
dire nulla. Guarda confuso il conte. Quell’uomo robusto che lo fissa
con gli occhi scuri lo turba. Non è paura, no, non è questo che
prova, anche se sa che la sua vita è appesa ad un filo. È
un’altra sensazione, molto forte, che sale dal ventre. Il conte scende da cavallo e lo fissa negli
occhi. - Tu sei quello che
cercano, l’assassino del carceriere. Alessandro non dice nulla.
I capelli rasati rendono inutile cercare di negare. La sua vita è
arrivata alla fine? - Assassino, eretico,
sodomita e pure un gran bel ragazzo. Che cosa pretendere di più? Il conte scoppia a ridere.
Alessandro non ha distolto gli occhi da lui. - Fammi vedere le tue mani. Alessandro tende le
braccia. Il conte le prende tra le proprie mani. Ha mani forti, grandi, il
dorso coperto da un pelame scuro. - Sì,
c’è forza in queste mani. Hai fatto bene a strangolarlo,
ragazzo. È quello che bisognerebbe fare a tutti quei bastardi, dal
vescovo all’ultimo dei suoi servi. L’uomo ride di nuovo,
ma non gli lascia le braccia. Lo fissa negli occhi. Alessandro è
turbato, ma non abbassa lo sguardo, non ne è capace, quel viso che lo
scruta lo attira a sé. - È vero che
l’hai strozzato mentre scopavate? Alessandro ritrova la voce.
Non sa perché risponde, ma non può non farlo. - Sì. Il conte ritorna serio.
Annuisce, come soddisfatto della risposta. Le sue due mani si uniscono per
avvolgere la destra di Alessandro, la accarezzano. Poi tende un braccio e di
colpo con la sinistra stringe la gola di Alessandro. Non gli blocca il
respiro, lo rende solo un po’ più difficile. - Si può fare anche
con una mano sola. Alessandro non reagisce. Si
lascerebbe strangolare senza difendersi. Non riesce a scuotersi. L’uomo
toglie la mano, gli si avvicina, prende Alessandro e lo fa girare su se
stesso, preme il suo corpo contro quello di Alessandro, lo avvolge tra le sue
braccia. Finalmente Alessandro non
ha più davanti a sé quel viso, ma la tensione che avvertiva non
è diminuita: è invece cresciuta. Ora è prigioniero di
due braccia vigorose, che lo stringono. Non pensa nulla, solo che è bello
stare così, stretto contro quel corpo possente. Ne sente
l’odore, di sudore. Ne avverte la forza erculea. - Hai voglia di scopare,
ragazzo? Alessandro ha la gola
secca, non riesce a parlare. Si limita ad annuire. E gli sembra che le gambe
cedano, che solo quelle braccia potenti gli impediscano di cadere. Il conte gli sfila la
tunica, gli cala i pantaloni. Guarda la sua preda. Il cervo può andare
a farsi fottere. Lui ha solo voglia di fottere e quel bel culo che le sue
mani pizzicano è esattamente quello che vuole. Alessandro si sente
perduto. Non è il timore per ciò che sta per accadere: lo
desidera, non meno del conte. Non è il dubbio su ciò che
accadrà dopo, quando l’uomo che gli stringe il culo si
sarà preso il suo piacere: non sa se lo consegnerà agli sbirri
del vescovo, ma Alessandro non ha paura della morte. È una sensazione
più forte, più violenta perfino del desiderio che monta feroce,
che gli tende il cazzo e lo fa vacillare. È la certezza di essere
perduto, perché nelle mani del conte Alessandro non ha più una
volontà propria. Il conte si è
inginocchiato dietro di lui. Alessandro non capisce, poi sente una carezza
umida che scorre lungo la fenditura ed indugia sull’apertura. Alessandro ha la gola
secca, gli sembra che sulla radura sia calata una fitta nebbia, non sa
più che cosa c’è intorno a lui, non vede più
nulla, non sente i rumori della foresta, non avverte la frescura
dell’aria del mattino. Esiste solo quella lingua che accarezza e che
ora il conte spinge a fondo. Ferdinando sente che il
corpo di Alessandro vibra, teso allo spasimo. Ed allora le sue mani lo
guidano a stendersi a terra, le gambe aperte, per offrire al signore la sua
preda. Alessandro scivola al suolo, sorretto dalle braccia forti del conte,
ma la sua sensazione è quella di precipitare in un baratro senza
fondo, una caduta senza fine in un pozzo oscuro come l’interno del suo
corpo, come quella cavità che la lingua nuovamente sta invadendo. Il conte si stende sul
giovane. Il desiderio scalpita, come un puledro impaziente, ma il momento
è troppo intenso per lasciare che a condurre sia un cavaliere
inesperto. Quel corpo sotto il suo gli trasmette mille sensazioni di piacere
ed ogni lembo di pelle cerca quel contatto inebriante. Ferdinando stringe il
culo, accarezza i fianchi, afferra Alessandro sotto le ascelle, gli passa la
mano ruvida sulla testa rasata, gli morde il collo, una spalla. Il desiderio cresce,
è una montagna che incombe su di lui e lo schiaccia, costringendolo a
cercare rifugio all’interno di quel corpo che ora lo accoglie con un
sussulto ed un gemito strozzato. Ferdinando è entrato
da trionfatore, senza pietà per l’uomo abbattuto, che non
è in grado di opporre resistenza, che null’altro desidera che
quella presenza massiccia e implacabile, che avverte sempre più a
fondo. Il conte si ritrae e poi
avanza di nuovo, in un movimento lento, ma inesorabile, che strappa ad
Alessandro gemiti di piacere. C’è un dolore, forte, che sale
dalle sue viscere, la sofferenza della carne forzata, che fatica ad adattarsi
ad un padrone tanto forte e possente. Ma quel tormento accresce solo il
piacere che sale impetuoso, che dai coglioni avanza e si diffonde in tutto il
corpo, che riempie insieme il cazzo teso ed il culo. A lungo il conte avanza ed
arretra e ad ogni incursione il nemico si sbanda, incapace di difendersi, ed
ogni volta la strage è più grande e terribile. Ferdinando sente
che non ha mai goduto come ora ed Alessandro dice la stessa cosa con i suoi
gemiti, sempre più forti. La violenza del piacere
sale ancora, come l’acqua che cresce e preme contro la diga, crea una
falla ed infine sfonda la muraglia. Una cascata si rovescia impetuosa oltre
le macerie, travolgendo tutto ciò che incontra. Ed allora Alessandro urla,
un grido che prorompe dalle sue viscere, gli riempie i polmoni e la gola e si
proietta fuori, incontenibile, come incontenibile è il seme che sgorga
dal suo cazzo e si sparge al suolo. Un urlo selvaggio, di piacere, che
avvolge il dolore, di trionfo e di sottomissione totale. Ed al grido di
Alessandro fa eco un suono sordo, quasi un grugnito, del conte, che gli
riempie il culo del suo seme. Ferdinando si abbandona sul
corpo di Alessandro, ancora preda della vertigine di piacere che lo trascina
verso il fondo. Null’altro vuole al mondo Alessandro che quel corpo che
preme sul suo, quel cazzo ancora turgido dentro il suo culo, quelle mani che
lo stringono con tanta forza da fargli male. Null’altro avrà,
nelle ore che seguono, perché entrambi non sono sazi. Solo quando il sole
è ormai alto in cielo, il conte ed Alessandro sciolgono il loro
abbraccio. Ferdinando fa salire il giovane sul suo cavallo ed insieme si
dirigono al castello. La fuga dell’eretico è finita. 3 Alessandro si muove nel
bosco. È nudo, ha dovuto lasciare ogni indumento. Cammina rapido, ma
non corre, sa che è inutile, non sfuggirebbe ai cani. Ed anche se lo
potesse, non lo vorrebbe. Non vuole fuggire, vuole solo raggiungere la
radura. Eccola. Qui tutto è
incominciato, tre anni fa. Qui tutto finirà. Alessandro si dice che non
ha paura. Tra poco i cani lo raggiungeranno e dopo di loro, i cavalieri. Si sentono i latrati.
Alessandro chiude gli occhi, il suo cuore batte all’impazzata, tutto il
suo corpo è teso. La muta arriva, in un
attimo lo circonda. Alessandro rimane immobile. Guarda le fauci dei cani. Un brivido
gli corre lungo la schiena. Annuisce, anche se nessuno può vederlo. Il conte arriva al galoppo,
con otto uomini. Alessandro lo guarda avvicinarsi. Ora il conte ferma il
cavallo, davanti a lui. Il suo viso sembra impassibile. Fissa Alessandro, che
ricambia lo sguardo, senza abbassare gli occhi, neppure un secondo. Non sente
più i cani, non vede più nulla. Solo gli occhi scuri di
Ferdinando, che lo inchiodano in quella radura dove morirà. Ferdinando ordina ai suoi
uomini di smontare e di tenere i cani. E mentre i servi eseguono ed il conte
scende da cavallo, Alessandro guarda gli uomini che si affaccendano a legare
i cani. Il conte li ha scelti con cura. Alessandro li conosce, almeno di
vista, quasi tutti. Otto uomini robusti, muscolosi, con le spalle larghe e
braccia forti. Otto animali che l’odore del sangue eccita. - Spogliatevi. L’ordine del conte
viene eseguito senza esitare. Gli uomini sanno già quello che devono
fare. Alessandro li guarda mentre si tolgono la camicia e le braghe. Guarda i
loro cazzi e di nuovo un brivido gli percorre la schiena. Tre di loro ce
l’hanno già duro. Ora sono tutti e otto intorno a lui. Ghignano,
mentre si avvicinano. Alessandro vede i loro sguardi carichi di un desiderio
feroce. Berto, uno dei guardacaccia, si mette davanti a lui. Ha un corpo
erculeo ed un cazzo taurino, già perfettamente teso. Una fitta peluria
nera gli ricopre tutto il corpo. È una bestia che sta per ghermire la
preda. - Ora. All’ordine del conte,
Berto chiude il pugno e colpisce Alessandro al ventre, con tutta la sua
forza. Il mondo vacilla e sembra svanire. Alessandro cade a terra. Gli
allargano le gambe. Berto passa dietro di lui.
Gli sputa sul buco del culo. Poi entra, con un colpo secco, ed Alessandro
urla. Il dolore è tanto forte da annebbiargli la vista. Alessandro è solo
più un animale, da prendere per il proprio piacere, da scannare, da
dare in pasto ai cani. Berto spinge con violenza
ed ogni spinta è una lacerazione. Presto ha finito, si è preso
il suo piacere, c’è posto per un altro. Maso si mette su
Alessandro. Anche lui entra senza riguardo, godendo del suo trionfo. Alessandro ha le lacrime
agli occhi. Alza la testa e guarda il conte, che lo sta fissando. Ferdinando
non si è tolto gli abiti, ma è evidente che anche lui è
eccitato. Uno dopo l’altro,
tutti e otto lo prendono. Ognuno rinnova e moltiplica il dolore. Ognuno si
sazia in fretta. Bestie che soddisfano il loro bisogno. Poi lo forzano a mettersi
in ginocchio. Dal culo gli colano sborro e sangue. Il dolore lo acceca. Berto
è davanti a lui. - Puliscimi, troia. Alessandro apre la bocca e
pulisce. Sente che il cazzo di Berto sta crescendo di volume. Continua a
leccarlo e succhiarlo. Berto viene una seconda
volta, nella sua bocca. Dopo di lui, anche gli altri si fanno pulire e due di
loro lo forzano a succhiargli il cazzo fino a che gli vengono in bocca. Berto si avvicina di nuovo. - Apri la bocca. Alessandro ubbidisce. Berto
avvicina il cazzo ed incomincia a pisciare. Alessandro beve, poi, quando non
ce la fa più, chiude la bocca ed il piscio gli cola sul mento e sul
torace. La voce del conte risuona,
imperiosa: - Ora andate. Gli uomini si rivestono.
Prendono i cavalli e se ne vanno. Liberano i cani. Alessandro è ancora
in ginocchio. Ferdinando si mette davanti a lui. Il conte si spoglia, senza
distogliere gli occhi da quelli di Alessandro. Ora è nudo.
Alessandro guarda per l’ultima volta il corpo che per tre anni è
stato il suo unico signore e dio. Guarda il cazzo superbo che ha accolto
tante volte. Il dolore lancinante che gli sale dal culo non ha più
importanza, anche se sta per rinnovarsi, anche se sarà proprio quella
picca voluminosa ad accenderlo un’altra volta, in un rogo
inestinguibile, che solo la morte spegnerà. - A quattro zampe. Alessandro esegue. È
una bestia da scannare e quella è la sua posizione. Ferdinando posa il coltello
di fianco ad Alessandro, ad un palmo dalla sua mano. Alessandro potrebbe
prenderlo ed uccidere il suo assassino, ma tutti e due sanno che non lo
farà, anche se entrambi lo desiderano. Il loro patto è un
altro. Il conte gli afferra il
culo con le mani, tanto forte da farlo gemere. Poi avvicina il cazzo al buco,
guarda l’apertura da cui colano sangue e sborro. Ride, una risata
violenta che Alessandro sente come un graffio sulla pelle. Il conte entra, da
trionfatore. Di nuovo il dolore, violento, ma anche il piacere. Alessandro
non saprebbe dire quale sensazione è più forte. A lungo, molto a lungo,
Ferdinando rimane dentro di lui, senza muoversi, ed il dolore sfuma, il
piacere cresce e si dilata, impetuoso. È sempre più forte ed
ora che il conte prende a muoversi dentro di lui, sovrasta la sofferenza, la
costringe a tacere. La tensione cresce, gli sale dai coglioni ed infine il
precipizio si spalanca davanti a lui. Ora, nell’attimo in cui
il piacere sta per esplodere, Ferdinando prende il coltello. Alessandro sente
la tensione deflagrare e, proprio quando il seme incomincia a sgorgare,
Ferdinando gli immerge la lama nel basso ventre. Alessandro urla il dolore
atroce che sale dal suo corpo straziato, il piacere travolgente che si spegne
nella sofferenza. Ferdinando muove la lama,
aprendo il ventre di Alessandro dai coglioni fino all’ombelico. Il
giovane emette un suono strozzato e cade a terra. Ferdinando cade con lui e
rimane sopra quel corpo, dentro quel corpo, ancora un buon momento. Poi si alza. Ferdinando volta il corpo
con il piede. Guarda il cazzo teso, di fianco a cui la lama ha aperto uno
squarcio. Guarda Alessandro, che
agonizza, ma ancora è cosciente e lo fissa. Ferdinando chiama i cani e
dà il segnale. La muta si lancia sulla preda, l’azzanna,
incomincia a divorarla. Alessandro sente i morsi
nella carne, il dolore della lacerazione. Urla, mentre ancora guarda il
conte. Poi il mondo scompare per sempre. Il conte rimane immobile a
guardare i cani che si cibano del corpo di Alessandro. Poi si riveste, senza
pulirsi, sale a cavallo e si allontana. 4 Il carceriere lo spinge in
avanti, bruscamente. Quando i piedi ustionati toccano il pavimento della
cella, il conte Ferdinando chiude un attimo gli occhi, sopraffatto dal
dolore. L’uomo richiude la porta alle spalle del conte. Ferdinando si inginocchia.
Non vuole pregare, non è uomo da rivolgersi a Dio, neppure ora che sta
per morire. Stare in ginocchio è la posizione meno dolorosa. Le ferite
aperte dalle frustate sulla schiena e sul culo gli impediscono di sdraiarsi
supino. Stendersi a pancia in giù significherebbe premere contro il
pavimento i coglioni gonfi e doloranti. Più tardi, per
l’ultima notte della sua vita, Ferdinando cercherà di mettersi
su un fianco, perché non può rimanere tutto il tempo in
ginocchio. È sera, ormai. Tra
poco gli porteranno da mangiare e da bere. Ferdinando mangerà dalla
scodella chinandosi in avanti: non può usare le mani, perché le
sue dita sono state tutte spezzate. Alla fine Ferdinando ha
confessato di aver partecipato alla congiura per uccidere l’imperatore.
Non è vero e anche tra i suoi accusatori nessuno lo crede, ma
all’imperatore, ora alleato del papa, il conte Ferdinando non serve più
e la contea è già stata promessa ad altri. La partecipazione
alla congiura è una comoda scusa per sbarazzarsi di questo feudatario
in perenne conflitto con la Chiesa. Se Ferdinando avesse
confessato subito, come gli era stato suggerito, sarebbe stato decapitato,
risparmiandosi le torture e la pena infamante che lo aspetta domani. Ma il
conte è ostinato ed a lungo si è rifiutato di riconoscersi
colpevole, finché ha capito che la sua resistenza era insensata. Ora è per
l’ultima notte nella prigione in cui ha trascorso un mese, in mano ai
suoi nemici. Pensa ad Alessandro, l’uomo che ha amato e con cui
è vissuto per tre anni. Lo ha ucciso un mese fa, il mattino del giorno
in cui sono venuti a prenderlo. Alessandro era in questo stesso carcere e ne
era fuggito: per tre anni il conte lo aveva protetto, ma ormai non era
più possibile. La porta si apre. Entrano
il boia ed il suo assistente. Non portano da mangiare, solo una scodella con
l’acqua. Del cibo poco importa a Ferdinando, fino a domani mattina
può rimanere senza mangiare. Ma la gola è secca e berrà
volentieri. Il boia lo spinge a terra
con un calcio ben assestato. Ferdinando mette le braccia in avanti, cercando
di non toccare il pavimento con le dita, ma quando il suo corpo urta contro
il suolo, il dolore ai coglioni ed alle mani è tanto forte da
accecarlo. - Visto che domani ti
squartano, adesso ci divertiamo un po’ con te. L’uomo gli solleva la
corta tunica, l’unico indumento che Ferdinando indossa, scoprendogli il
culo. Il conte è stupito: sa benissimo che i carcerieri ed i boia
spesso fottono le prigioniere ed i giovani maschi, anche Alessandro aveva
subito violenza. Ma Ferdinando ha superato i cinquanta e si sorprende che
qualcuno possa desiderare il suo culo. Le parole del boia gli spiegano le ragioni
dell’uomo: - Non capita tutti i giorni
di metterlo in culo ad un conte. Ferdinando non è in
grado di difendersi. E di fronte a quanto ha passato in queste quattro
settimane, a quanto lo aspetta domani, non è certo una violenza a
spaventarlo. È solo un’umiliazione che si aggiunge alle altre
subite. È anche un dolore,
perché il boia entra con violenza ed ha un grosso cazzo che forza
l’apertura. L’uomo si appoggia su Ferdinando ed il peso di quel
corpo riaccende il dolore delle ferite sulla schiena e sul culo e quello,
ancora più forte, dei coglioni martoriati. Eppure è nulla in
confronto a ciò che quell’uomo gli farà domani. Ed il
conte si dice che è giusto, che la violenza del boia è davvero
l’ultima tappa da percorrere prima della fine: l’uomo che lo castrerà
e lo ucciderà, ora lo fotte. Può farlo. L’uomo spinge deciso
ed il culo di Ferdinando si apre, per la prima volta, al cazzo di un altro
maschio. Infinite volte il conte ha posseduto uomini e ragazzi: non ha mai
amato le donne. Ma nessuno lo ha mai posseduto. Ed ora ad incularlo è
il boia, un uomo che fino ad un mese fa si sarebbe inchinato fino a terra
davanti a lui. Ma Ferdinando non è più un conte,
l’imperatore lo ha privato del titolo. Domani, prima di morire, non sarà
più nemmeno un uomo. L’uomo ansima e
bestemmia liberamente, tanto Ferdinando non potrà raccontare
più nulla a nessuno: - Dio bast…
un culo di signore, di quelli che mangiano carne tutti i giorni. L’uomo lavora con
energia ed ogni spinta accende lampi di dolore nel corpo di Ferdinando. Non
sono sole le ferite al culo ed alla schiena, i coglioni gonfi. Ora che il
cazzo dell’uomo gli lacera le viscere, il dolore che sale dal culo non
è meno violento. Ferdinando trattiene a fatica l’urlo, non vuole
dare questa soddisfazione al boia. Questi spinge a lungo,
finché non viene. Geme forte, quasi un grugnito, spinge ancora due
volte e si ritrae. Appena il peso
dell’uomo scompare, subito un nuovo corpo schiaccia al suolo
Ferdinando: il carceriere ha preso il suo posto. Ha il cazzo meno grosso ed
il buco del culo è lubrificato dalla sborro del boia, ma le viscere
sono state dilaniate e l’ingresso riaccende il dolore e lo fa crescere.
Il carceriere spinge con
violenza, ma viene in fretta e si ritrae. - Cazzo, ‘sto stronzo
mi ha smerdato. Il boia ride. - Ci puliamo.
C’è qui l’acqua. Prende la scodella con
l’acqua per il prigioniero e ci immerge il cazzo, ripulendolo con le
dita. Il carceriere ride e, quando il boia ha finito, fa altrettanto. Una
parte dell’acqua è caduta a terra, la scodella è mezza
vuota. - Forse questa acqua non ti
basta. Ne aggiungiamo un po’. Il boia riprende la
scodella e la mette sotto il cazzo. Incomincia a pisciare, fino a riempire il
recipiente. - Ora puoi dissetarti. Ferdinando si è
messo in ginocchio, a fatica, facendo leva sui gomiti. Guarda il boia, senza
dire nulla. Guarda le mani dell’uomo, che domani lo castreranno. Il carceriere dice: - Bevi, conte, bevi! Il boia gli avvicina la
scodella alle labbra. Ferdinando tiene la bocca chiusa, ma il carceriere gli
stringe il collo con una mano, costringendolo a socchiudere la bocca. Il boia
gli versa un po’ del liquido in bocca, altro gli cola dal mento sul
torace. Poi l’uomo passa la scodella al carceriere. Questi piscia fino
a riempirla e la posa a terra. - Quando hai sete puoi
bere, conte. I due escono. Nella notte Ferdinando beve
quello che rimane nella scodella. Il mattino vengono a
prenderlo. Aprono la porta della cella ed il carceriere spinge fuori
Ferdinando. Il tragitto dal carcere fino alla piazza dell’esecuzione
è breve, ma per i piedi di Ferdinando è una tortura che solo la
sua forza di volontà gli permette di tollerare. I soldati imperiali si
fanno strada tra la folla che dileggia il conte, lo insulta, gli ricorda la
fine che lo aspetta. Un uomo gli sputa in faccia. Ferdinando sente una
trafittura al culo: una donna lo ha ferito con uno spillone. Ferdinando
avanza, strattonato dai soldati che cercano di farlo camminare più in
fretta. Altri gli sputano addosso, piccole ferite si aprono sul suo corpo, malgrado
i soldati cerchino di tenere lontano la folla. Infine Ferdinando è
in piazza ed a fatica sale i gradini che portano al patibolo. Lo stendono a
braccia e gambe divaricate su una tavola di legno, legandogli le caviglie ed
i polsi: il corpo di Ferdinando forma una grande X. La tavola viene
sollevata, dalla parte dei piedi, per cui Ferdinando si ritrova a testa in
giù: ora il ripiano è messo quasi in verticale, in modo che
tutti possano vedere la tortura del conte. Il boia è davanti a lui. Ha
un cappuccio nero ed è a torso nudo. Ferdinando solleva un po’
la testa e gli guarda le grosse mani pelose. Rabbrividisce. Poi guarda il
rigonfio dei pantaloni e pensa che quell’uomo che sta per castrarlo lo
ha inculato ieri sera. L’uomo ha un grosso
coltello, con cui taglia la tunica di Ferdinando, strappandola via. Ora il
conte è nudo. Le urla della folla crescono di intensità. Il boia prende un attrezzo di legno,
una piccola morsa con due rotelle per stringere. L’uomo afferra i
coglioni di Ferdinando con la mano ed il conte sussulta: lo scroto è
gonfio e violaceo per i colpi subiti ed il semplice contatto accende
scintille di dolore. Il boia dispone la morsa in modo che i coglioni
rimangano tra le due assicelle di legno. Poi guarda il viso di Ferdinando,
sorride, ed incomincia a girare una rotella. Nella piazza si è
creato un grande silenzio. Ferdinando non si rende conto di aver incominciato
a gemere. La folla beve i suoi lamenti. Il boia stringe ora una
rotella, ora l’altra. Le due assi si avvicinano, schiacciando i
coglioni di Ferdinando. Il gemito diventa una specie di rantolo, che si
interrompe continuamente e poi riprende, spasmodico. Il corpo di Ferdinando
è percorso da rivoli di sudore che scendono dal ventre e dal torace
alle spalle. Ferdinando solleva la testa
e guarda il boia che continua la sua opera. Il dolore cresce a livelli che
Ferdinando non ha mai provato, per quanto nelle ultime settimane abbia subito
torture di ogni genere. Il conte non riesce a tollerare questa sofferenza
atroce. E poi, di colpo, uno dei coglioni cede. Ferdinando perde i sensi. Il
boia sistema meglio l’altro coglione nella morsa e riprende a girare la
rotella. Il dolore risveglia Ferdinando, che urla, con una voce roca, tre
volte: - No! No! No! Di nuovo un dolore
tremendo. Il boia toglie la morsa. Il mondo sembra oscillare davanti agli
occhi del conte. La mano del boia afferra la sacca in cui i coglioni del
conte sono ormai una poltiglia. Il contatto di quelle dita strappa un nuovo
urlo a Ferdinando. Il boia ha un grande
coltello in mano e lo mostra a Ferdinando. Poi lo alza, per farlo vedere bene
alla folla. Infinite urla si levano. Poi il boia abbassa il braccio ed allora
ritorna il silenzio. Il corpo di Ferdinando è ricoperto di sudore. Dal
culo del condannato un po’ di merda scivola sulla tavola. Il boia passa la lama dietro alla sacca
dei coglioni ed incomincia a tagliare. Il coltello recide. Ferdinando
vorrebbe urlare, ma non ha più voce. Nuovamente perde i sensi, ma
l’incoscienza dura solo un attimo, la sofferenza lo riporta alla
realtà. Riapre gli occhi e vede che il boia mostra il suo trofeo alla
folla esultante. Il boia getta sulla
piattaforma lo scroto di Ferdinando. La tavola viene calata e le corde che
tengono il conte sciolte. Ferdinando viene sollevato.
Si china in avanti e vomita, mentre solo le braccia dei due aiutanti del boia
lo tengono in piedi. I due uomini lo trascinano verso la scala che scende
dall’estremità opposta della piattaforma, dove è stato
costruito un vasto recinto. Tutt’intorno la folla preme. Ferdinando fa fatica a
stare in piedi, gli uomini lo sostengono e lo fanno scendere. Ferdinando
incomincia a pisciare, senza nemmeno rendersene conto. In mezzo al recinto ci sono
quattro cavalli. Ognuno di essi ha sui fianchi due stanghe, unite dietro da
un asse di legno. Ferdinando respira a fondo
e cerca di drizzarsi. Tra poco tutto sarà finito. Gli uomini che lo
sorreggono lo lasciano. Ferdinando incomincia ad avanzare. Ogni passo
è una tortura, ma il conte non vuole cedere. Ferdinando arriva in mezzo
al recinto, tra i quattro cavalli. Ad un ordine del boia i due
aiutanti forzano Ferdinando a stendersi, a gambe e braccia larghe. Poi gli
prendono le gambe ed ognuno dei due lega una gamba alla stanga di un cavallo. Ora è il turno delle
braccia, che vengono legate alle stanghe degli altri due cavalli. Ferdinando
si trova, come prima sulla tavola, a gambe e braccia divaricate. Quando i
cavalli incominceranno a muoversi, il conte sarà squartato. Il boia è davanti a
Ferdinando. Ha le mani sporche di sangue ed ha ancora il coltello. Alla
cintura ha una spada. Il boia fa un cenno ed i quattro uomini che tengono le
redini dei cavalli li fanno muovere. Ferdinando sente la tensione nel suo
corpo e ben presto si trova sollevato da terra. Il boia muove di nuovo la testa.
Gli uomini fermano i cavalli. Il boia si avvicina a
Ferdinando, mettendosi tra le sue gambe divaricate, per l’ultimo
affronto. Il boia gli sussurra,
così piano che nessun altro può sentire: - Ieri ti ho fottuto, non
sei un maschio. Del cazzo non te ne fai niente. Ferdinando sapeva che
neppure questo gli sarebbe stato risparmiato. Ma ormai non ha più
importanza, vuole solo di finire, chiudere con la sofferenza, annullarsi. Il
boia si muove lentamente. Avvicina il coltello al grosso cazzo di Ferdinando.
Con la sinistra lo afferra, con la destra fa un movimento rapido con il
coltello, avvicinandolo alla carne da recidere. La folla non può
vedere, ma passando da sotto, la lama ha tagliato la carne, dal buco del culo
alla base del cazzo. Un regalo personale per il conte, da parte del suo
assassino. Poi il boia recide il
cazzo. Il sangue schizza sul ventre del conte. Ferdinando non ha più
la forza di urlare. Geme. Il boia alza il braccio, mostrando alla folla il
suo trofeo, ed è il segnale. Gli uomini incitano i cavalli, che si
muovono in quattro direzioni diverse, mentre il boia si sposta. Ferdinando sente la
tensione spasmodica delle braccia e delle gambe, le articolazioni che stanno
cedendo. Emette un verso che non è più umano, mentre braccia e
spalle si slogano, i tessuti si lacerano ed il sangue sgorga. Gli arti
incominciano a staccarsi dal tronco. Tutto il corpo di Ferdinando è in
tensione. In quel preciso momento la
spada del boia si abbatte sul suo collo, recidendogli di netto la testa. La
sofferenza svanisce. La testa del conte
verrà infilzata su un palo e messa di fronte all’ingresso del
suo castello. Le braccia, le gambe e il torace saranno collocati in punti
diversi della città, come monito per tutti i sudditi
dell’imperatore. |