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   Padre e
  figlio 2 
 Peter finisce di controllare il
  documento, poi si accende un sigaro. Oggi arriverà Alexander, il suo unico
  figlio. Non lo vede da anni. Quanti? Cinque, sì, cinque. Quando era tornato dall’Iraq
  si erano incontrati, ma in Afghanistan Alexander è rimasto per cinque anni
  senza mai tornare a casa. Alexander ama combattere, uccidere. Ha sempre avuto
  una passione per le armi. Quella gliel’ha trasmessa lui, Peter lo sa
  benissimo. Non a caso Peter ha sempre trafficato in armi. Per guadagno e per
  passione. Traffici legali e, soprattutto, illegali. Perché il rischio gli
  piace. E quando si tratta di vendere armi letali a chi combatte, il rischio
  non è soltanto quello di finire in carcere: diversi trafficanti come Peter
  sono stati crivellati di pallottole. L’idea non lo spaventa, al massimo
  aggiunge gusto al lavoro, come una spezia molto forte in un piatto. Non è una
  brutta fine. In fondo è quella che Peter sceglierebbe: non si vede proprio a
  morire di vecchiaia. Preferisce andarsene prima e le pallottole sono la fine
  migliore. Alexander è stato ferito in
  Afghanistan. Ad un certo punto è stato dato per morto. Non era vero. Ma anche
  durante la convalescenza, non ha voluto tornare a casa. È rimasto in Afghanistan.
  Perché?  Peter a volte si pone domande. Tra lui
  ed Alexander c’è sempre stato un rapporto molto forte, ma dopo che è stato
  ferito, Alexander sembra essersi allontanato. Non è facile per loro rimanere
  in contatto: da quattro anni Peter è ricercato dalla polizia federale e dall’Interpol, in molti stati verrebbe immediatamente
  arrestato. Si muove con documenti falsi, ma ovviamente in un’area di guerra,
  dove i controlli sono maggiori, per lui i rischi sarebbero molto forti.
  Nonostante questo, lui ed Alexander hanno comunicato regolarmente per un
  lungo periodo di tempo. Poi c’è stato il silenzio. Solo pochi giorni fa
  Alexander gli ha fatto sapere, attraverso i soliti canali, che è ritornato
  negli USA e che verrà a trovarlo. Il suono del citofono interno lo scuote
  dai suoi pensieri. L’uomo di guardia gli comunica che Alexander è arrivato.
  Peter dà ordine di farlo salire subito. È impaziente di vederlo. Lo aspetta
  sulla soglia. Lo vede in lontananza, all’altra estremità
  del lungo corridoio che porta all’ufficio di Peter. La sua centrale di
  operazioni è in una vecchia fabbrica dismessa, che sarà presto demolita. Tra
  qualche settimana, Peter si sposterà. Non rimane mai a lungo nello stesso
  posto. Alexander è sempre lo stesso. Bello,
  forte, muscoloso, elegante nella semplicità della sua camicia bianca e dei
  jeans. Sicuro di sé. Gli sorride a distanza. Peter gli va incontro nel corridoio e
  lo abbraccia stretto. Poi gli prende la faccia tra le mani e sorride. Gli
  muove la testa a destra e a sinistra. Ride. C’è sempre stata molta confidenza
  tra loro. - Mio figlio. Soldato, eroe. Infine a
  casa. Alexander sorride. Ma non c’è la stessa
  spontaneità di un tempo, la stessa luce in quel sorriso.  - Sono contento di rivederti, figlio.
  Sono contento che tu sia a casa. - Ed io sono contento di essere di
  nuovo a casa, di ritrovarti. - Cinque anni, figlio! Cinque anni! Alexander annuisce. Peter lo guida nel suo ufficio. Lo fa
  accomodare sulla poltrona.  - Un po’ di whisky, figlio? Alexander annuisce. Peter apre l’armadietto, prende due
  bicchieri e la bottiglia. Versa una dose abbondante di liquore in entrambi i
  bicchieri e ne porge uno ad Alexander.  - Bevi, figlio. Alexander guarda la bottiglia. Ghigna. - Il migliore, come sempre. - Solo le cose migliori. Il migliore
  whisky, i sigari migliori, le armi migliori, il figlio migliore. Peter ride ed intanto tira fuori la
  scatola di sigari, mentre sorseggia il suo whisky. - Ti tratti bene, padre. Peter guarda il figlio. C’è una nota
  insolita, nella sua voce. - Si vive una volta sola, no? Peter beve ancora un sorso, poi prepara
  due sigari. Alexander sta ancora bevendo. - Te lo accendo? - Grazie. Peter accende il sigaro, lo porge ad
  Alexander e si siede sulla scrivania. Guarda il figlio. Si avvicina. Si mette
  il sigaro in bocca e prende di nuovo il viso di Alexander tra le mani. Poi
  gli passa le dita sul torace, gli infila una mano nella camicia aperta, gli
  stringe i pettorali. Sorride e si stacca. Torna a sedersi sulla scrivania. - È bello averti qui, Alexander. Quando
  è arrivata la notizia che ti avevano ucciso… ho
  creduto di impazzire. Alexander annuisce, ma sul suo viso è
  calata un’ombra. - Come è successo, Alexander? Se vuoi parlarne… Alxander annuisce. Rimane un buon momento in silenzio,
  lo sguardo perso nel vuoto. Poi incomincia a parlare. - Ci hanno attirato in un’imboscata. La
  jeep è saltata in aria. E loro ci hanno mitragliato. I miei uomini sono morti
  tutti. - E tu, come ti sei salvato? - Sono stato sbalzato a terra e due dei
  miei uomini mi sono finiti addosso. Hanno preso loro le pallottole. - Sei stato fortunato. Alexander alza gli occhi e guarda suo
  padre, mentre passa il dito intorno all’orlo del bicchiere. - Fortunato, dici? - Cazzo, sei qui!  Alexander abbassa gli occhi. - Già, sono qui. Alexander non dice altro. Peter si
  sente a disagio. Forse ha fatto male a tirare fuori la faccenda. Non c’era
  nessun bisogno di parlarne adesso. Potevano affrontare l’argomento un’altra
  volta. Peter si dice che forse è meglio passare ad altro. Ma Alexander alza lo sguardo su di lui
  e parla: - Sai che cosa fanno ai nemici
  catturati, soprattutto se sono ufficiali? - Merda, vuoi dire che… Alexander annuisce. - Mi hanno violentato. Una ventina di
  uomini. In culo ed in bocca. Ho bevuto il loro piscio. Cazzo, per tre giorni
  sono stato la loro puttana. Peter è rimasto impietrito. Una ridda
  di pensieri e di immagini attraversa la sua testa. Alexander, violentato. Suo
  figlio. Alexander, qui, davanti a lui, è stato violentato. Lo hanno preso,
  con la forza. Lo hanno costretto a subire… I pensieri sono disturbanti, Peter non
  vuole chiarire le vaghe sensazioni che prova. Devia l’argomento. - Come sei riuscito a scappare? - Non sono scappato. - E allora. Come cazzo… - Mi hanno giustiziato. Peter guarda Alexander. Non capisce, ma
  adesso suo figlio gli spiegherà. Alexander ha chinato il capo e fissa il
  bicchiere. Il sigaro rimane appoggiato sul bordo del portacenere.  - Mi hanno trascinato fuori, nudo e
  legato, bagnato del loro piscio. Mi hanno appoggiato contro un muro e poi
  hanno preso le pistole. Volevano divertirsi. Uno mi ha appoggiato la pistola
  contro il ventre ed ha sparato. Poi un secondo. Un terzo. Alexander ansima leggermente. Il cazzo gli
  è diventato duro: Peter vede benissimo il gonfiore. Anche a Peter il cazzo è
  diventato duro. Entrambi amano giocare con la morte, li eccita. Alexander prosegue: - Alla quinta pallottola sono caduto a
  terra. Allora quello dopo mi ha puntato la pistola ad uno dei coglioni.
  Volevano farmeli saltare, poi il cazzo. E poi finirmi sparandomi in culo. Peter sente la rabbia invaderlo, più
  forte dell’eccitazione. - Bastardi! - Sono arrivati i nostri, in quel
  momento. - Grazie al cielo. Alexander alza la testa e lo guarda
  negli occhi. Peter prosegue: - Meno male che sono arrivati, altrimenti… Si interrompe. Qualche cosa nello
  sguardo di Alexander gli fa capire che ha detto la cosa sbagliata. - Quando ho visto cadere l’uomo che
  stava per spararmi, ho maledetto i nostri soldati. Volevo che mi finissero.
  Volevo che quei bastardi mi finissero come gli piaceva. Volevo andare fino in
  fondo. Ero… troppo avanti. Peter è rimasto senza parole. C’è un
  momento di silenzio, in cui Peter rivede la scena che Alexander gli ha raccontato.
  Vorrebbe essere stato presente, aver avuto un mitra e aver ucciso tutti quei
  figli di puttana. Vorrebbe aver evitato ad Alexander la violenza. Vorrebbe… Vorrebbe aver assistito a tutto. Peter si dice che sono i rischi della
  guerra. Vanno messi in conto. Ma ha la gola secca e il cazzo duro. Anche
  Alexander è eccitato. La violenza, la morte, le armi. I loro vecchi giochi.
  Peter si riscuote. - Ormai è finita. Stai bene, ora? - Sì. I medici pensavano che sarei
  morto, ma noi O’ Connery abbiamo la pelle dura. Peter sorride: - Vecchia razza irlandese. Cinque
  pallottole e sei qui a raccontarmelo. Peter scuote la testa. C’è di nuovo un attimo di silenzio, poi
  Alexander dice: - Fammi vedere che cosa tratti, adesso.
  Scommetto che c’è qualche nuovo modello di mitra. La voce di Alexander rivela ancora la
  tensione, ma Peter è ben felice di cambiare argomento. Ride. Da bambino
  Alexander si divertiva a puntargli addosso un mitra e poi faceva finta di
  sparare. Peter cadeva a terra e si rotolava come se fosse stato colpito a
  morte.  Avevano continuato a farlo anche dopo,
  quando Alexander era ormai un ragazzo. Veniva duro ad entrambi. Quando Peter
  finiva a terra, fingendo di agonizzare, Alexander gli premeva il mitra sul
  cazzo e poi faceva finta di sparare ancora. Spesso quella pressione sul cazzo
  lo aveva fatto venire. Anche Alexander era venuto, più di una volta, in
  questi duelli o quando facevano la lotta. Nessuno dei due si vergognava:
  c’era sempre stata una grande intimità tra di loro. Entrambi sapevano
  benissimo che facevano l’amore attraverso le armi. - Aspettami un momento. Peter va nella stanza a fianco e prende
  l’ultimo modello di mitra. Un vero gioiello. Entra sorridendo, controlla la
  sicura e lo lancia ad Alexander. - Però non sparare. È carico! Alaxander prende il mitra, con delicatezza.
  Sembra quasi accarezzarlo. Controlla la carica.  Peter sorride. Alexander è innamorato
  delle armi. Lo è sempre stato. Le armi. Uccidere. Essere uccisi. Sono simili,
  loro due. Davvero padre e figlio. Alexander sorride. Un sorriso diverso,
  ora. Lo guarda e riprende a parlare.  - Sai, avevo un amico, uno che hanno
  ammazzato vicino a Kandahar. Era uno storico, si
  occupava dei Celti, un popolo che viveva in Europa. Dice che quando un re
  incominciava ad avere capelli bianchi, lo uccidevano, perché il suo posto
  venisse preso da un re più giovane. Peter avverte una vibrazione diversa
  nella voce di Alexander. Intuisce. Si tende, ma non dice nulla.  Alexander accarezza il fucile, ma la
  canna è puntata nella direzione di Peter e mentre parlava Alexander ha tolto
  la sicura. C’è una pistola nel cassetto della scrivania, ma Peter dovrebbe
  passare dall’altra parte e sa che, se provasse a farlo, Alexander sparerebbe.
  Il cazzo gli sta ritornando duro, come sempre nelle situazioni di pericolo,
  come quando giocavano. Ma questo non è un gioco. Forse non lo era nemmeno
  allora. - Sì, figlio. So di questi usi. - Lo spogliavano e poi, nudo, gli
  squarciavano il ventre. Poi lo guardavano contorcersi, era un modo per
  prevedere il futuro. Peter guarda il figlio. Non dice nulla.
  La canna è sempre puntata nella sua direzione. - Mark, il mio amico, diceva che
  secondo lui era l’erede ad uccidere il vecchio re. Lo inculava anche, come
  segno di dominio, perché lui era il maschio, e dopo averlo inculato lo
  castrava.  Peter annuisce di nuovo. Sa quello che
  sta per succedere, ma non ha paura. Avverte invece la violenta tensione nel
  cazzo. Non si stupisce che la violenza e la morte gli facciano questo
  effetto. In fondo ha sempre desiderato andarsene così. E Alexander è l’uomo
  adatto: un guerriero, un eroe, suo figlio. Come quando giocavano. Ma questa
  volta sarà sul serio. Alexander sorride. Punta il kalashnikov
  sul padre. - Spogliati, padre. Peter annuisce. Con movimenti sicuri si
  toglie la camicia bianca e la lascia cadere a terra. Poi si sfila le eleganti
  scarpe italiane, i pantaloni ed infine i jockstrap.
  Ha il cazzo duro come una pietra. Si accorge che Alexander lo sta
  fissando, come ipnotizzato. Peter ghigna: - È quello che ti ha fatto. Di qui sei
  venuto fuori. Si guardano un buon momento. Peter
  sorride.  - Mi fotterai, figlio? Alexander annuisce. Poi si volta, allarga le gambe e si
  appoggia alla scrivania, offrendo il culo ad Alexander. - Avanti, figlio. Fammi vedere che sei
  un maschio. Alexander chiude gli occhi, stordito.
  Li riapre. Lentamente si spoglia, senza lasciare l’arma. Poi si avvicina.
  Guarda il culo del padre, la peluria che lo ricopre, il buco che si
  intravvede. Peter ha la sensazione di essere un po’
  ubriaco. Tra poco sarà morto. Il pensiero sembra tendere ancora di più il suo
  cazzo. Alexander lo ucciderà. Peter lo provoca: - Datti da fare soldato. Fammi sentire
  che sei tornato a casa. Alexander preme la punta del mitra
  contro il buco del culo di Peter, che si tende. Alexander ride e dice. - Potrebbe essere così, padre. Spararti
  in culo, come volevano fare a me. Lentamente Alexander spinge la canna
  dentro. Vede il corpo del padre irrigidirsi, le sue mani afferrare
  spasmodicamente la scrivania. - Che ne dici, padre? Peter suda. La canna gli ha fatto un
  male bestiale. Annuisce. - Coraggio. Sii un uomo. Alexander spinge con forza. Peter
  emette un grugnito strozzato: il dolore è diventato ancora più forte.
  Alexander ansima.  Peter attende. Ma Alexander non si
  muove. Tiene la canna del mitra nel culo di Peter. Non si muove, non dice
  nulla. Peter lo provoca ancora: non sa nemmeno lui perché lo fa. Vuole
  finire. - Va bene, figlio. Ho sentito il tuo
  mitra, quello che mi fotterà per l’ultima volta. Ora fammi sentire il tuo cazzo.
  L’erede fotte il re, perché prenderà il suo posto. Fottimi. Alexander annuisce. Toglie dal culo
  l’arma. Un po’ di sangue sulla canna. Alexander sorride. Guarda il culo
  davanti a lui. Ha il cazzo duro come una pietra, ma non si muove. C’è un silenzio. - Allora, figlio? Fottimi, se hai i
  coglioni per farlo. Peter aspetta. Vuole quello che sta per
  succedere. Vagamente intuisce di averlo sempre desiderato. Ma solo ora lo
  comprende. Vuole che Alessandro lo fotta e che poi lo uccida. Vuole sentire
  in culo il cazzo di suo figlio e poi i proiettili che sparerà. Alexander allunga il braccio sinistro.
  Le sue dita toccano il buco del culo di Peter. - Qual è il problema, figlio? - Ti sto per fottere, padre. Peter annuisce. C’è un nuovo silenzio.
  Alexander ritira la mano. Ancora una volta Peter lo sfida: - Sei un uomo, figlio? Sei un maschio? Silenzio. La voce di Alexander è
  sommessa: - Ti ucciderò, padre. Ti farò esplodere
  cazzo e coglioni. Ti piscerò in bocca. Peter sente un brivido percorrere il
  suo corpo. Ciò che lo aspetta è orrendo. Il suo corpo rifiuta lo sfregio, la
  sofferenza atroce, l’umiliazione. Anche se una parte di lui lo vuole, il suo
  corpo si tira indietro. Alexander esita. Se suo figlio non
  troverà la forza per fotterlo e ucciderlo, Peter vivrà.  E mentre lo pensa, Peter si rende conto
  che se non riuscirà a ucciderlo, sarà Alexander a morire. Alexander deve
  riuscire ad affermarsi come maschio, cancellando quello che gli hanno fatto.
  Perché possa farlo, è necessaria una vittima e questa vittima può essere solo
  Peter, il padre, il maschio che non è mai stato violato. Inculandolo,
  Alexander ritorna a essere il maschio. Uccidendolo, Alexander prende il suo
  posto. Ma il segno lasciato da quei bastardi nella carne di Alexander è
  forte. Quel segno è l’unica salvezza possibile per Peter, ma è la fine di
  Alexander. Peter si tende. Dentro di lui lottano
  forze contrastanti. L’orrore della fine che lo attende lo sgomenta. Ma non
  vuole che Alessandro muoia. E qualche cosa dentro di lui vuole precipitare
  nel baratro che vede davanti a sé. Peter deglutisce e dice: - Fallo, figlio. Sei un maschio. Ora di
  fottermi e poi di uccidermi. Alexander non si muove. Non riesce. In Peter sollievo e disperazione si
  mescolano. Potrebbe voltarsi, ora, prendere l’arma e tutto sarebbe finito.
  Alexander se ne andrebbe, a morire da qualche parte. Peter stringe i denti. Attende. Ora. O
  mai più. Ora, vivere. Che Alessandro muoia. Gli basta tacere. Peter chiude
  gli occhi e dice: - Fotti la troia, maschio. È quello che
  vuole anche lei. Fottila con il cazzo e poi con il mitra. Appena Peter ha finito di parlare,
  Alexander affonda il cazzo nel buco del culo di Peter, con un’unica spinta
  decisa. Peter sussulta per la violenza dell’ingresso. Gli ha fatto un male
  bestiale e ora le spinte selvagge gli dilaniano le viscere che la canna ha
  lacerato. Le pallottole saranno peggio. Ma confusamente Peter si rende conto
  che vuole anche il dolore, lo vuole davvero.  Alexander fotte con grande energia.
  Ogni spinta è una fitta di dolore, ma il cazzo di Peter è duro. - Lo senti il mio cazzo, padre? Lo
  senti? Peter annuisce. - Sei grande, figlio. Un vero maschio.
  Così devi essere. Senza pietà. - Non ne avrò, padre. Sì, Alexander non avrà pietà. Peter
  avrà una morte terribile. La morte di un vero maschio, anche se quando
  Alexander avrà finito, lui non sarà più un maschio. Peter non ha paura. Suo
  figlio sarà il nuovo boss, suo figlio è il maschio, il maschio che ora lo
  fotte, perché tra poco lui non sarà più maschio. Il pensiero ritorna ossessivo.
  Per lui e per Alexander la morte era un rischio accettabile, quello che
  contava era essere maschi fino all’ultimo. Lo stupro che ha subito ha
  spezzato la virilità di Alexander. Lo stupro che sta facendo gliela rende.  Alexander prosegue a lungo. Il dolore
  cresce. Il cazzo di Peter rimane duro, teso allo spasimo, nonostante le fitte
  violente. Peter chiude gli occhi. Alexander lo sta fottendo, alla grande.
  Alexander è un vero maschio. Alexander lo ucciderà. Infine Alexander viene. Il seme riempie
  le viscere di Peter. Il seme che dà vita, ma questa volta porta la morte. Alexander si ritrae. - Ti ho fottuto, padre. Peter annuisce. Alexander prosegue: - Ora sono io il maschio. Per Peter è difficile dire quanto ha da
  dire: - Sì, Alexander. Ora sei tu il maschio.
  L’unico maschio. Io sono solo la tua troia. Alexander fa due passi indietro e
  intima: - Voltati, padre. È tempo di crepare. Peter si solleva e si volta. Sorride.
  Ormai ha accettato quello che verrà. Sul viso di Alexander c’è ancora
  un’ombra di dubbio, ma è solo un’ombra. - Sono orgoglioso di te, figlio. Fammi
  vedere che non hai pietà. Alexander sorride, un sorriso feroce. - No di certo, padre. Alexander fa un passo in avanti. Ora la
  canna del mitra è a una spanna dal cazzo teso di Peter. - Questa è roba da maschi, padre. Tu te
  lo sei preso in culo, non sei più un maschio. Peter annuisce. In lui qualche cosa si
  ritrae, sgomento, da ciò che sta per succedere, ma Peter cela il suo
  smarrimento. - Sì, figlio. Cazzo e coglioni sono roba
  da maschi, non da troie. È ora che tu metta le cose a posto. Alexander annuisce, ma ancora esita. - Fallo, figlio. Io non sono più un
  maschio. Solo una troia. Alexander annuisce. La raffica spappola
  il cazzo e i coglioni. Peter grida e cade in ginocchio, le mani sulle ferite. Peter trema. Fa fatica a parlare. - Bravo…
  figlio. Alexander si avvicina. - Apri la bocca, padre. Peter ubbidisce. Alexander gli piscia in bocca. Peter
  cerca di bere, ma trema e a tratti la bocca gli si richiude. Parte del piscio
  gli inonda la faccia e il petto. Alexander finisce di pisciare. - Puliscimi, padre. Peter guarda il cazzo del figlio,
  sporco del suo sangue. Avvicina lo bocca e lo avvolge. Passa la lingua. Il
  dolore che sale dalle ferite è atroce. Peter si sente svenire. Lascia il
  cazzo di Alexander. Alexander lo prende per il collo e lo
  forza nuovamente sulla scrivania, com’era prima. Infila la canna del mitra
  dentro il culo, spingendo a fondo. Peter urla. - Addio, padre. - Addio... figlio. La raffica dilania il culo di Peter e i
  proiettili attraversano tutto il suo corpo. Alexander non si ferma, fino a
  che il caricatore non è vuoto. Ci sono frammenti di carne e di sangue
  ovunque. Alexander è tutto sporco di sangue. Alexander sorride. Ora è di nuovo un uomo.  | 
 
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